Blog cattolico di informazione a cura di La Piccola Vigna del Signore
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giovedì 10 maggio 2012

Cattolici ed ebrei, "buoni amici" in continuo dialogo. Così il Papa al Latin American Jewish Congress

Da: Radio Vaticana


“Partner affidabili” e “ buoni amici”, capaci di “affrontare insieme” le crisi e “superare i conflitti in modo positivo”. Tali sono diventati cattolici ed ebrei, grazie al “progresso ottenuto negli ultimi cinquanta anni di relazioni”. Queste le parole di Benedetto XVI nel saluto stamani, nella Sala dei Papi, ai 30 membri della delegazione del “Latin American Jewish Congress”, che rappresenta le comunità ebraiche dell’America Latina. Il servizio di Giada Aquilino:

In quello che è stato il primo e “significativo” incontro tra il Papa e i rappresentanti di organizzazioni e comunità ebraiche latinoamericane, Benedetto XVI ha voluto sottolineare l’importanza del contesto regionale e storico:

“En toda Latinoamérica hay comunidades judías dinámicas”… 
In tutta l'America Latina, ha spiegato il Santo Padre, ci sono “comunità ebraiche dinamiche”, soprattutto in Argentina e Brasile, che vivono accanto “a una grande maggioranza di cattolici”. Dagli anni del Concilio Vaticano II, ha proseguito, si sono non solo rafforzate “le relazioni tra ebrei e cattolici”, ma sono pure in corso “diverse iniziative” che permettono l’approfondimento dell'“amicizia reciproca”.

Alla base di tale amicizia, quindi, il Concilio Vaticano II, di cui in ottobre - ha ricordato Benedetto XVI - ricorrono i 50 anni dall’apertura: la Dichiarazione Nostra Aetate, sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, guida - ha aggiunto - i “nostri sforzi” per promuovere “maggiore comprensione, rispetto e cooperazione tra le nostre due comunità”. 

“Esta Declaración no sólo asumió”…
Questa Dichiarazione, ha spiegato il Papa, “non solo ha preso una posizione chiara contro tutte le forme di antisemitismo”, ma anche gettato le basi “per una nuova valutazione teologica del rapporto tra Chiesa ed ebraismo”, esprimendo fiducia nel contributo “del patrimonio spirituale condiviso da ebrei e cristiani” ad una comprensione e una crescente stima reciproca. Considerando “il progresso ottenuto negli ultimi cinquanta anni di relazioni cattolico-ebraiche in tutto il mondo”, il Papa ha detto che “non possiamo fare a meno di ringraziare l'Onnipotente per questo segno evidente della sua bontà e provvidenza”. 

“Con el crecimiento de la confianza, el respeto y la buena voluta”…
Con la crescita “della fiducia, del rispetto e della buona volontà”, ha detto, i gruppi che “inizialmente erano stati associati con diffidenza” diventano passo dopo passo “partner affidabili” e “buoni amici” in grado di “affrontare insieme” le crisi e “superare i conflitti in modo positivo”. Certo, ha notato il Papa, molto resta ancora da fare “per superare gli oneri del passato”, “nel promuovere migliori relazioni tra le nostre due comunità” e in risposta alle sfide del mondo di oggi. È comunque motivo di ringraziamento il fatto di “percorrere insieme la via del dialogo, della riconciliazione e della cooperazione”.

“En un mundo cada vez más amenazado por la pérdida de los valores espirituales”…
“In un mondo sempre più minacciato dalla perdita dei valori spirituali e morali, che sono quelli che possono garantire il rispetto della dignità umana e una pace duratura, il dialogo sincero e rispettoso tra religioni e culture - ha sottolineato Benedetto XVI - è fondamentale per il futuro della nostra famiglia umana”. La speranza del Santo Padre, congedandosi dalla delegazione, è stata che l’incontro di oggi sia “fonte di incoraggiamento e di rinnovata fiducia per affrontare la sfida di costruire legami sempre più forti di amicizia e collaborazione” e per dare testimonianza profetica della forza della verità di Dio, della giustizia e dell’amore riconciliatore, per il bene di tutta l'umanità.
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martedì 8 maggio 2012

Supplica alla Madonna di Pompei. Mons. Liberati: una preghiera che entra nelle pieghe dell'attualità

Da: Radio Vaticana


“O Madre, (…) mostrati a tutti quale sei, Regina di pace e di perdono”: sono alcuni versi della Supplica alla Madonna di Pompei che viene recitata ogni 8 maggio e nella prima domenica di ottobre nel Santuario campano, alla presenza di migliaia di fedeli. A presiedere la cerimonia di questa mattina è stato l'arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Nella sua omelia, il presule ha affermato che l'uomo di oggi è in crisi perché ha messo Dio in disparte. Di qui, l'importanza della nuova evangelizzazione per comprendere che vivere senza Dio è vivere un dramma. Ma qual è il significato storico della Supplica? Isabella Piro lo ha chiesto a mons. Carlo Liberati, arcivescovo prelato e delegato pontificio di Pompei:

R. – La Supplica, che nasce nel 1883, dalla spiritualità di questo avvocato laico, Bartolo Longo, convertito alla fede dopo una giovinezza problematica e anche atea per qualche anno. Egli fonde praticamente nella preghiera, in questa invocazione accorata alla Madonna, non soltanto tutti i suoi problemi di uomo santo, ma di colui che, come tutti i Santi, rispecchia e vive la storia del suo tempo. Noi cristiani non dobbiamo essere spettatori di cronaca, ma dobbiamo essere costruttori di storia. Quindi, il significato storico della Supplica è avere interpretato la società e la Chiesa del suo tempo con una modernità di linguaggio sorprendente.

D. - Cosa ci insegna quindi questa preghiera a Maria?

R. – La mia sorpresa, in questo periodo di crisi economica e finanziaria, di mancanza di lavoro, di precariato, di incertezza sociale, è nel vedere che i pellegrini aumentano enormemente. Che cosa vengono a chiedere alla Madonna? Il coraggio, la forza di andare avanti, la sicurezza di trovare lavoro o chi, l’ha perduto, di ritrovarlo. La Supplica aiuta l’uomo, il credente del nostro tempo, a ritrovare la sua dimensione umana e come Bartolo Longo si abbandonava a Gesù per mezzo di Maria con una confidenza che ancora oggi ci sorprende per la sua freschezza spirituale, così fanno oggi i nostri fedeli. Quindi, la preghiera a Maria diventa il gesto di confidenza dei nostri contemporanei perché la Madonna ci ascolti e interpreti i problemi della nostra vita e ci indichi anche la strada per poterli superare. L’uomo oggi si sente solo, si sente anche abbandonato dalle istituzioni. La Supplica ci insegna che nella tenerezza dell’invocazione alla Madonna, noi la vogliamo coinvolgere assolutamente nei problemi della nostra vita.

D. – Come si collega la tradizione della Supplica alla pietà popolare?

R. - La pietà popolare è il nucleo non solo della storia della Chiesa, ma della Chiesa: non esiste la Chiesa senza pietà popolare. Cos’è la pietà popolare? È la folla dei fedeli che dicono di sì ogni giorno al Signore per mezzo di Maria e cercano di interpretare nella loro vita la volontà di Dio e di dire sì al Signore, che li chiama a portare avanti la vocazione di amore. La Supplica è dentro questa pietà popolare. Bartolo Longo scende nei problemi vivi della storia, della pietà popolare, e quindi diventa una "fotografia" dei credenti del nostro tempo. La Supplica fu anche chiamata dai Papi “l’Ora del mondo” perché in questa preghiera noi cogliamo la coscienza del nostro popolo, la pietà popolare. La Chiesa esiste perché c’è un popolo di Dio chiamato al Signore e dal Signore per mezzo di Maria che domanda il miracolo della fedeltà nei giorni difficili della vita.

D. – Molti pellegrini arrivano dall’estero: è segno che la Supplica alla Madonna di Pompei travalica i confini nazionali italiani?

R. – L’affetto alla Madonna di Pompei è universale, perché la Madonna di Pompei è il richiamo al Santo Rosario, quello che Bartolo Longo definisce nella Supplica “la catena dolce che ci unisce a Dio, il vincolo di amore che ci fa fratelli”. Attraverso il Rosario facciamo una somma, un riassunto di tutti i misteri della vita del Signore, e ci troviamo nelle braccia di Cristo - e lì ci ha condotti Maria - il Cristo vivente, vincente, capo della Chiesa, capo del Corpo mistico della Chiesa che siamo noi.
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sabato 5 maggio 2012

Intelligenza, fede e amore: l'editoriale di padre Lombardi

Da: Radio Vaticana


Giovedì scorso, Benedetto XVI si è recato in visita al Policlinico “Gemelli” per celebrare i 50 anni di fondazione della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Un’occasione per ribadire l’importanza del fecondo dialogo tra scienze e fede. Ascoltiamo al riguardo il nostro direttore padre Federico Lombardi nel suo editoriale per il settimanale informativo “Octava dies” del Centro Televisivo Vaticano:

“Senza amore, anche la scienza perde la sua nobiltà. Solo l’amore garantisce l’umanità della ricerca”. Così Papa Benedetto ha concluso il suo discorso giovedì mattina alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Una risposta profonda e toccante a un bisogno diffuso di orientamenti solidi e alti.

“Ricco di mezzi, ma non altrettanto di fini, l’uomo del nostro tempo, quasi abbagliato dall’efficacia tecnica, dimentica l’orizzonte fondamentale della domanda di senso”. Ancora una volta il Papa parla della fiducia nell’intelligenza, nella ragione; parla del cristianesimo come “religione del Logos”, che non relega la fede nell’ambito dell’irrazionale, ma vede l’origine e il senso della realtà intera nella “Ragione creatrice”. L’unione della ragione e della fede è garanzia della fecondità di ambedue, mentre la loro separazione conduce a un “impoverimento etico”, che rende incapaci di valutare se ciò che è tecnicamente possibile è anche moralmente buono e conduce al bene dell’umanità.

Ma il Papa ha detto anche di più, perché la scienza e la ricerca medica sono così direttamente connesse alla cura della persona umana, che in esse diventa particolarmente evidente quanto sia necessaria la guida dell’amore, quanto sia vitale il nesso fra l’impegno scientifico e la dedizione appassionata al bene dell’uomo; un uomo che soffre e si trova a confronto con le domande più radicali sul senso della vita. Allora, “la dedizione dell’intelligenza e del cuore si fa segno della misericordia di Dio e della sua vittoria sulla morte”.

Quale ispirazione più entusiasmante e forte per ogni impegno dell’intelligenza a favore dell’uomo? E per che altro dovrebbe impegnarsi alla fine l’intelligenza?
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giovedì 3 maggio 2012

Il Papa in visita al “Gemelli”: senza amore, anche la scienza perde la sua nobilità

Da: Radio Vaticana


Benedetto XVI in visita stamani al Policlinico “Gemelli” per celebrare i 50 anni di fondazione della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Nel suo discorso alla comunità accademica, al personale sanitario e ai pazienti, il Papa ha ribadito che “scienza e fede hanno una reciprocità feconda”. Quindi, ha ringraziato il "Gemelli" per l’attenzione alla persona umana, specie nella sua fragilità. Il Papa, che ha visitato il "Gemelli" per la quinta volta, è stato accolto, tra gli altri, dal cardinale Angelo Scola, presidente dell’Istituto Toniolo. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Benedetto XVI ha svolto un’appassionata riflessione sul senso della ricerca scientifica e della medicina. Nel Piazzale del Policlinico, gremito di autorità e semplici fedeli, il Papa ha ribadito innanzitutto che ogni ricerca, ogni cura medica va guidata dall’amore:

“Senza amore, anche la scienza perde la sua nobiltà. Solo l’amore garantisce l’umanità della ricerca”.
Nel suo discorso, il Papa ha quindi rilevato che le tecnologie innovative hanno trasformato la visione del mondo, ma “spesso non sono prive di inquietanti risvolti”. L’uomo del nostro tempo, ha soggiunto, “vive spesso condizionato da riduzionismo e relativismo”. Quasi “abbagliato dall’efficacia della tecnica”, ha osservato, si “dimentica l’orizzonte fondamentale della domanda di senso”, “la dimensione trascendente”. Così, “il pensiero diventa debole e acquista terreno anche un impoverimento etico, che annebbia i riferimenti normativi di valore”:

“Una mentalità fondamentalmente tecnopratica genera un rischioso squilibrio tra ciò che è possibile tecnicamente e ciò che è moralmente buono, con imprevedibili conseguenze”.

Ecco allora, ha affermato il Papa, che va riscoperto il valore e il dinamismo della trascendenza, il quaerere Deum, la ricerca di Dio:

“Scienza e fede hanno una reciprocità feconda, quasi una complementare esigenza dell’intelligenza del reale. Ma, paradossalmente, proprio la cultura positivista, escludendo la domanda su Dio dal dibattito scientifico, determina il declino del pensiero e l’indebolimento della capacità di intelligenza del reale”.

“Religione del Logos”, ha proseguito, “il Cristianesimo non relega la fede nell’ambito dell’irrazionale ma attribuisce l’origine e il senso della realtà alla Ragione creatrice, che nel Dio crocifisso si è manifestata come amore”. Proprio percorrendo “il sentiero della fede”, ha affermato, l’uomo è messo in grado di “scorgere nelle stesse realtà di sofferenza e di morte”, una “possibilità autentica di bene e di vita”:

“La cura di coloro che soffrono è allora incontro quotidiano con il volto di Cristo, e la dedizione dell’intelligenza e del cuore si fa segno della misericordia di Dio e della sua vittoria sulla morte”

Dunque, vissuta nella sua integralità, la ricerca “è illuminata da scienza e fede, e da queste due ‘ali’ trae impulso e slancio, senza mai perdere la giusta umiltà, il senso del proprio limite”. In tal modo, ha detto ancora, “la ricerca di Dio diventa feconda per l’intelligenza, fermento di cultura, promotrice di vero umanesimo”. In tal senso, ha affermato, si inserisce il “compito insostituibile dell’Università Cattolica”:

“… luogo in cui la relazione di cura non è mestiere, ma missione; dove la carità del Buon Samaritano è la prima cattedra e il volto dell’uomo sofferente il Volto stesso di Cristo”. 

Il Papa ha ricordato il particolare rapporto tra l’Università Cattolica e la Sede di Pietro ed ha sottolineato che “una facoltà cattolica di Medicina è luogo dove l’umanesimo trascendente non è slogan retorico, ma regola vissuta della dedizione quotidiana”. Per questo, ha detto, è stato "istituito un nuovo Centro di Ateneo per la vita". Il Papa ha infine ribadito, con padre Agostino Gemelli, che va sempre messa “al centro dell’attenzione la persona umana nella sua fragilità e nella sua grandezza”. Quindi, ha concluso, rivolgendo un pensiero speciale ai pazienti del “Gemelli” nel volto dei quali, ha detto, “si riflette il Volto di Cristo sofferente”.
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mercoledì 2 maggio 2012

La preghiera del primo martire cristiano al centro dell’udienza generale del Papa

Da: Radio Vaticana


Nelle ultime catechesi del mercoledì, il Papa aveva spiegato come, “nella preghiera personale e comunitaria, la lettura e la meditazione della Sacra Scrittura aprano all’ascolto di Dio che ci parla e infondano luce per capire il presente”. Oggi, in Piazza San Pietro, Benedetto XVI ha parlato “della testimonianza e della preghiera del primo martire della Chiesa, santo Stefano, uno dei sette scelti per il servizio della carità verso i bisognosi. Nel momento del suo martirio, narrato dagli Atti degli Apostoli, si manifesta, ancora una volta, il fecondo rapporto tra la Parola di Dio e la preghiera”. 

Il Papa ricorda che “Stefano viene condotto in tribunale, davanti al Sinedrio, dove viene accusato di avere dichiarato che «Gesù …distruggerà questo luogo, [il tempio], e sovvertirà le usanze che Mosè ci ha tramandato» (At 6,14). Durante la sua vita pubblica, Gesù aveva effettivamente preannunciato la distruzione del tempio di Gerusalemme: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2,19). Tuttavia, come annota l’evangelista Giovanni, «egli parlava del tempio del suo corpo. Quando, poi, fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù» (Gv 2,21-22)”. 

“Il discorso di Stefano davanti al tribunale, il più lungo degli Atti degli Apostoli – prosegue il Papa - si sviluppa proprio su questa profezia di Gesù, il quale è il nuovo tempio, inaugura il nuovo culto, e sostituisce, con l’offerta che fa di se stesso sulla croce, i sacrifici antichi. Stefano vuole dimostrare come sia infondata l’accusa che gli viene rivolta di sovvertire la legge di Mosè e illustra la sua visione della storia della salvezza, dell’alleanza tra Dio e l’uomo. Egli rilegge così tutta la narrazione biblica, itinerario contenuto nella Sacra Scrittura, per mostrare che esso conduce al «luogo» della presenza definitiva di Dio, che è Gesù Cristo, in particolare la sua Passione, Morte e Risurrezione. In questa prospettiva Stefano legge anche il suo essere discepolo di Gesù, seguendolo fino al martirio”. 

Il Papa osserva quindi che la meditazione sulla Sacra Scrittura permette così a Stefano di comprendere il suo presente. “In questo egli è guidato dalla luce dello Spirito Santo, dal suo rapporto intimo con il Signore tanto che i membri del Sinedrio videro il suo volto «come quello di un angelo» (At 6,15). Tale segno di assistenza divina, richiama il volto raggiante di Mosè disceso dal Monte Sinai dopo aver incontrato Dio (cfr Es 34,29-35; 2 Cor 3,7-8)”.

“Nel suo discorso – continua Benedetto XVI - Stefano parte dalla chiamata di Abramo, pellegrino verso la terra indicata da Dio e che ebbe in possesso solo a livello di promessa; passa poi a Giuseppe, venduto dai fratelli, ma assistito e liberato da Dio, per giungere a Mosè, che diventa strumento di Dio per liberare il suo popolo, ma incontra anche e più volte il rifiuto della sua stessa gente. In questi eventi narrati dalla Sacra Scrittura, della quale Stefano mostra di essere in religioso ascolto, emerge sempre Dio, che non si stanca di andare incontro all’uomo nonostante trovi spesso un’ostinata opposizione”. 

“In tutto ciò – spiega - egli vede la prefigurazione della vicenda di Gesù stesso, il Figlio di Dio fattosi carne, che – come gli antichi Padri – incontra ostacoli, rifiuto, morte. Stefano si riferisce quindi a Giosuè, a Davide e a Salomone, messi in rapporto con la costruzione del tempio di Gerusalemme, e conclude con le parole del profeta Isaia (66,1-2): «Il cielo è il mio trono e la terra sgabello dei miei piedi. Quale casa potrete costruirmi, dice il Signore, e quale sarà il luogo del mio riposo? Non è forse la mia mano che ha creato tutte queste cose?» (At 7,49-50). Nella sua meditazione sull’agire di Dio nella storia della salvezza, evidenziando la perenne tentazione di rifiutare Dio e la sua azione, egli afferma che Gesù è il Giusto annunciato dai profeti; in Lui Dio stesso si è reso presente in modo unico e definitivo: Gesù è il “luogo” del vero culto”. 

Stefano, dunque, non nega l’importanza del tempio – rileva il Papa – “ma sottolinea che «Dio non abita in costruzioni fatte da mano d’uomo» (At 7,48). Il nuovo tempio in cui Dio abita è il suo Figlio, che ha assunto la carne umana, è l’umanità di Cristo, il Risorto che raccoglie i popoli e li unisce nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. L’espressione circa il tempio “non costruito da mani d’uomo”, si trova anche nella teologia di san Paolo e della Lettera agli Ebrei: il corpo di Gesù, che Egli ha assunto per offrire se stesso come vittima sacrificale per espiare i peccati, è il nuovo tempio di Dio, il luogo della presenza del Dio vivente; in Lui Dio e uomo, Dio e il mondo sono in contatto: Gesù prende su di sé tutto il peccato dell’umanità per portarlo nell’amore di Dio e per «bruciarlo» in questo amore. Accostarsi alla Croce, entrare in comunione con Cristo, vuol dire entrare in questa trasformazione”.

“La vita e il discorso di Stefano – afferma il Papa - improvvisamente si interrompono con la lapidazione, ma proprio il suo martirio è il compimento della sua vita e del suo messaggio: egli diventa una cosa sola con Cristo. Così la sua meditazione sull’agire di Dio nella storia, sulla Parola divina che in Gesù ha trovato il pieno compimento, diventa una partecipazione alla stessa preghiera della Croce. Prima di morire, infatti esclama: «Signore Gesù, accogli il mio spirito» (At 7,59), appropriandosi delle parole del Salmo 31,6 e ricalcando l’ultima espressione di Gesù sul Calvario: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46); e, infine, come Gesù, grida a gran voce davanti a coloro che lo stavano lapidando: «Signore, non imputare loro questo peccato» (At 7,60). Notiamo che, se da un lato la preghiera di Stefano riprende quella di Gesù, diverso è il destinatario, perché l’invocazione è rivolta allo stesso Signore, cioè a Gesù che egli contempla glorificato alla destra del Padre: «Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio» (v. 55)”. 

Il Papa conclude la sua catechesi con due annotazioni. “La testimonianza di santo Stefano ci offre alcune indicazioni per la nostra preghiera e la nostra vita. Ci possiamo chiedere: da dove questo primo martire cristiano ha tratto la forza per affrontare i suoi persecutori e giungere fino al dono di se stesso?”. La risposta è semplice: “dal suo rapporto con Dio”, nonché “dalla meditazione sulla storia della salvezza, dal vedere l’agire di Dio, che in Gesù Cristo è giunto al vertice”. Quindi “anche la nostra preghiera dev’essere nutrita dall’ascolto della Parola di Dio”.

C’è poi un secondo elemento: “santo Stefano vede preannunciata, nella storia del rapporto di amore tra Dio e l’uomo, la figura e la missione di Gesù. Egli - il Figlio di Dio – è il tempio “non fatto da mano d’uomo” in cui la presenza di Dio Padre si è fatta così vicina da entrare nella nostra carne umana per portarci a Dio, per aprirci le porte del Cielo. La nostra preghiera, allora, deve essere contemplazione di Gesù alla destra di Dio, di Gesù come Signore della nostra, della mia, esistenza quotidiana. In Lui, sotto la guida dello Spirito Santo, possiamo anche noi rivolgerci a Dio – conclude il Papa - con la fiducia e l’abbandono dei figli che si rivolgono ad un Padre che li ama in modo infinito”.
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martedì 1 maggio 2012

Nel mese dedicato alla Madonna, Benedetto XVI chiede di pregare per i missionari

Da: Radio Vaticana


Entriamo oggi nel mese dedicato alla Madonna, ricordando l’intenzione di preghiera di Benedetto XVI “perché Maria, Regina del mondo e Stella dell’evangelizzazione, accompagni tutti i missionari nell'annuncio del suo Figlio Gesù”. Ma come nasce la tradizione del mese mariano nella Chiesa? Roberta Gisotti lo ha chiesto apadre Salvatore Perrella, dell'Ordine dei Servi di Maria e preside della Pontificia Facoltà Teologica Marianum:

R. - Dobbiamo dire che il popolo cristiano, sia di Oriente che di Occidente, ha sempre pensato di dedicare dei giorni della settimana o un particolare mese alla Vergine. Con il Concilio Vaticano II, il mese di maggio è mese del popolo a Maria; è il mese dei fiori; è il mese del sole: è tutto un rinascere. “Onorare Maria, venerare Maria nell’ambito del culto cristiano - diceva Paolo VI - è un dovere della Chiesa, è un dovere dei cristiani”. Soprattutto per i cristiani il mese di maggio è il mese in cui ci si ricorda di avere una Madre, bella, buona, santa, che invita a guardare il sole, che è Cristo.

D. - In tempi difficili per i cristiani perseguitati in tanti luoghi del mondo, Benedetto XVI chiede speciali preghiere a Maria per i missionari. Padre Perrella quanto è importante pregare la Madonna?

R. - E’ essenziale per il cristianesimo avere un riferimento umano e santo, che è la Madre di Gesù. Pregare Maria, pregare come Maria, pregare con Maria sono le indicazioni che vengono dalla riforma del Concilio e dalla Marialis cultus di Paolo VI, che Benedetto XVI sa bene. Infatti nella sua predicazione mariana, Papa Benedetto ci insegna che Maria è Madre del cristianesimo, perché Discepola, perché Donna della Parola, perché Donna della Preghiera. Quindi Maria è impegnata - come fu impegnata nella vita, è impegnata nell’eternità - a seguire con materna mediazione tutti i suoi figli, soprattutto quelli che a motivo della fede vengono oppressi, vengono uccisi, vengono discriminati. E’ giusto, quindi, pregare per questi veri testimoni della fede e Maria ha a cuore i testimoni della fede, come il Papa stesso ci ha indicato nel motus proprio Porta Fidei: Maria prega, prega sempre, incessantemente, ma soprattutto chiede a noi non solo di pregare, ma di essere operosi nella carità e operosi tutti nel testimoniare la validità del Vangelo di Cristo, che è un Vangelo di pace, un Vangelo di tolleranza, ma è anche un Vangelo di identità. Noi siamo figli di Dio in Gesù Cristo e Maria lo ricorda, come lo ricordano questi testimoni della fede, che in questi ultimi tempi vengono angariati da fondamentalismi inaccettabili, antiumani oltre che antireligiosi. 

D. - Padre Perrella, possiamo dire che la devozione popolare alla Madonna sempre così viva, in qualche modo travalica i confini tra fede, ragione, sentimento?

R. - La vera devozione - dice il Concilio - nasce dalla vera fede e la fede che cos’è se non un’adesione intellettuale e cordiale al Dio che si rivela. Quindi mettere insieme ragione, fede, sentimento indica l’integralità dell’uomo nell’approcciarsi al suo Dio. E, l’esempio di Maria che, con ragione, con fede, con sentimento, ha servito il Mistero di Cristo ci dice che l’anima della devozione mariana è proprio questa armonizzazione integrale di tutte queste possibilità, che è nell’umano di incontrare il Signore. Quindi non c’è assolutamente discrasia tra queste tre componenti nella persona. La ragione: noi vogliamo conoscere e non solo vogliamo conoscere, noi vogliamo ragionare su Dio, anche se Gesù ci dice che i suoi pensieri non sono i nostri pensieri. Ecco che c’è bisogno: non basta la ragione, ma ci vuole la fede, perché la ragione e quindi il pensiero venga sintonizzato in questo accogliere la rivelazione divina. E poi il sentimento: non dimentichiamoci che Cristo si presenta come mite e umile di cuore; quindi la cordialità, l’affetto, l’amore, la carità, l’agape sono parti essenziali dell’esperienza religiosa e che nella devozione retta, genuina, che sa bene distinguere il Creatore dalla creatura, questi tre elementi possono e devono essere armonizzati. Com’è l’auspicio di Benedetto XVI.
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lunedì 30 aprile 2012

Benedetto XVI: la "Pacem in terris" di Giovanni XXIII ha molto da insegnare al mondo di oggi

Da: Radio Vaticana


La celebre Enciclica di Giovanni XXIII Pacem in terris non ha smesso di insegnare alla nostra epoca cosa bisogna fare per promuovere la pace e difendere la giustizia. Lo afferma Benedetto XVI nel Messaggio inviato oggi alla plenaria Pontificia Accademie delle Scienze Sociali, in corso in Vaticano. Lo afferma Benedetto XVI nel Messaggio inviato oggi alla plenaria della Pontificia Accademie delle Scienze Sociali. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Quando la scrisse, il mondo cominciava a temere la propria dissoluzione in enorme fungo nucleare, simbolo della perversa genialità umana, guerrafondaia e distruttiva. Giovanni XXIII decise allora di appellarsi all’intelligenza e al cuore dell’umanità, che non dimentica e anzi sa battersi per il valore universale della pace. Così – afferma Benedetto XVI nel suo Messaggio alla plenaria delle Scienze Sociali – la Pacem in terris divenne quella, come fu definita, “lettera aperta al mondo”, “l’accorato appello di un grande pastore, vicino alla fine della sua vita, affinché la causa della pace e della giustizia fossero vigorosamente promosse a ogni livello della società, sia in ambito nazionale che internazionale”. Tuttavia, è un fatto che la straordinaria portata di quelle pagine di 50 anni fa regga ancora il confronto con il mondo globalizzato di oggi. “La visione offerta da Papa Giovanni – sottolinea Benedetto XVI – ha ancora molto da insegnare a noi che lottiamo per affrontare le nuove sfide in favore della pace e della giustizia nell'era post-Guerra Fredda e in mezzo al continuo proliferare degli armamenti”.

Quella di “Papa Giovanni – prosegue Benedetto XVI – era ed è un invito potente” a impegnarsi in un “dialogo creativo tra la Chiesa e il mondo, tra credenti e non credenti”, sullo spirito del Vaticano II che proprio con Papa Roncalli prendeva le mosse. Un invito seguito in pieno anche da Giovanni Paolo II dopo gli attacchi terroristici del settembre 2001, che indussero Papa Wojtyla a ribadire che senza il perdono la giustizia è all’incirca un’utopia. Per questo, esorta il Papa, “il concetto di perdono ha bisogno di trovare la sua via nei discorsi internazionali sulla risoluzione dei conflitti, così da trasformare il linguaggio sterile della recriminazione reciproca che porta da nessuna parte”.

Anche i recenti Sinodi sulle Chiese dell’Africa e del Medio Oriente, annota Benedetto XVI, hanno messo in evidenza che “torti e ingiustizie storiche possono essere superati solo se uomini e donne vengono ispirati da un messaggio di guarigione e di speranza, un messaggio che offre una via d'uscita dall’impasse che spesso blocca persone e nazioni in un circolo vizioso di violenza”. La Pacem in terris, in fondo, ne è la prova: “Dal 1963 – osserva il Papa – alcuni dei conflitti che sembravano in quel frangente insolubili sono passati alla storia”. Impegniamoci allora, conclude, a lottare “per la pace e la giustizia nel mondo di oggi, fiduciosi che la nostra comune ricerca dell’ordine stabilito da Dio, di un mondo in cui è la dignità di ogni persona umana si accorda al rispetto che le è dovuto, può e potrà dare i suoi frutti”.
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domenica 29 aprile 2012

Nella Basilica romana di San Paolo fuori le Mura, elevato agli onori degli altari Giuseppe Toniolo “economista di Dio”

Da: Radio Vaticana


Si è svolta questa mattina nella Basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma la cerimonia di Beatificazione di Giuseppe Toniolo, chiamato anche “l’economista di Dio”. Una figura molto importante, che ha avuto il merito di aver indicato “la via del primato della persona umana e della solidarietà”, come ha ricordato oggi Benedetto XVI al termine del Regina Caeli, rivolgendo un saluto ai pellegrini che hanno partecipato al rito celebrato dal cardinale Salvatore De Giorgi. Roberta Barbi:

Uno scroscio di applausi dei fedeli presenti alla celebrazione, ha accolto oggi Giuseppe Toniolo tra i Beati venerati dalla Chiesa, proprio nella Giornata in cui tutto il mondo si riunisce in preghiera per le Vocazioni. Economista, sociologo, ma anche padre di famiglia, educatore dei giovani, testimone laico del Vangelo, la cui Parola ha portato negli ambiti della politica e della cultura: Toniolo ha risposto a tutte le chiamate che il Signore gli ha rivolto, convinto com’era che il mondo avesse bisogno di Santi, oggi ancora più di allora, come ha sottolineato nell’omelia il cardinale De Giorgi:

“Egli era convinto che tutti, indistintamente, siamo chiamati alla santità, ossia ‘alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità nelle ordinarie condizioni e situazioni di vita; che tale santità promuove nella stessa società terrena un tenore di vita più umano’; che i laici si santificano nel mondo e per la santificazione del mondo, senza fuggire dal mondo, ma senza essere del mondo, attraverso l’esercizio del loro compito proprio: l’animazione cristiana delle realtà temporali”. 

E in questo mondo, anzi, in più mondi, il nuovo Beato fu quanto mai attivo, a partire dalla famiglia, che considerava il luogo primario della sua santificazione e della sua missione:

“La sua fu una famiglia normale, inserita nella vita della parrocchia e aperta a quella della società, serena nell'affrontare le inevitabili difficoltà perché unita dalla forza del Vangelo che si leggeva insieme ogni mattina e animata dalla preghiera che si recitava insieme ogni sera. Una vera chiesa domestica”.

Toniolo, professore universitario a Padova, Modena, e soprattutto a Pisa - il cui arcivescovo, mons. Giovanni Paolo Benotto era presente alla celebrazione ed ha guidato le breve processione delle reliquie insieme con il postulatore della causa di Beatificazione, mons. Domenico Sorrentino, ed il giovane miracolato dal Beato nel 2006 - fu educatore e amico dei suoi studenti, consapevole di volerli formare anche cristianamente, convinto com’era che ci dovesse essere una presenza dei cattolici nel sociale e nel politico per il bene del Paese:

“Avvertiva già allora l'emergenza educativa per il clima universitario indifferente o ostile alle fondamentali istanze religiose e morali, come anche l'urgenza di una solida formazione culturale cristiana che preparasse le nuove generazioni ad affrontare le sfide del futuro”.

Toniolo è stato un uomo che ha amato e servito la Chiesa e l’Italia da cristiano e cittadino esemplare, un esempio di laicità vera per tutto il mondo cattolico, che lui voleva vedere non più diviso e per la cui unità lavorò molto, mettendo a disposizione la sua sconfinata competenza:

“La Società della Gioventù Cattolica, primo nucleo dell'Azione Cattolica Italiana, la Fuci, l'Opera dei Congressi, l'Unione Cattolica per gli Studi sociali, l'Unione popolare, l'avvio delle Settimane Sociali ebbero in lui un eccellente ideatore, animatore, coordinatore di progetti culturali, sociali, politici cristianamente ispirati e di innovative strutture cattoliche pubbliche, come l'Università del Sacro Cuore”.

Molte intuizioni del Beato, infine, hanno trovato conferma e sviluppo anche in seguito nella dottrina sociale della Chiesa, come la centralità della persona nel mondo del lavoro, l’insopprimibile fondamento etico dell’economia, l’importanza del Vangelo nella costruzione della società, le istanze della giustizia distributiva e l’impegno per la pace. Questa la sua eredità e il suo insegnamento più importante, ricordato dal cardinale De Giorgi a conclusione dell’omelia: 

“Ci esorta in particolare a impegnarci con entusiasmo nella nuova evangelizzazione della quale la Dottrina sociale è parte integrante, e di renderla credibile con la testimonianza di una vita coerente con la fede, illuminata dalla verità, sorretta dalla speranza, amante della giustizia e animata dalla carità, soprattutto verso i poveri”. 
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sabato 28 aprile 2012

Domani il Papa ordina nove diaconi romani. Interviste con mons. Occhipinti e mons. Dal Molin

Da: Radio Vaticana


Benedetto XVI celebrerà domani la Santa Messa in San Pietro con l’ordinazione di nove seminaristi della diocesi di Roma. Concelebra con il Papa il cardinale vicario generale per la Diocesi di Roma, Agostino Vallini. Al microfono di Alessandro Gisotti, il rettore del Seminario Romano Maggiore, mons. Concetto Occhipinti, racconta come gli ordinandi si stanno preparando a questo momento fondamentale della loro vita:

R. – Il primo pensiero va ai sette anni di seminario, tutti orientati a questo momento dell’ordinazione sacerdotale. In questi giorni di immediata preparazione, gli ordinandi stanno vivendo gli esercizi spirituali che li accompagnano alla vigilia dell’ordinazione stessa, quasi come suggello e come completamento di questo lungo percorso di formazione degli anni del seminario. Sono radunati insieme al cardinale vicario Agostino Vallini, che cura la predicazione degli esercizi, esprimendo loro un dono bello e di paternità. 

D. – Quali sono i suoi sentimenti nell’attesa che questi suoi seminaristi vengano ordinati dal Papa?

R. – Sono sentimenti di trepidazione e di grande gioia insieme. C’è la consapevolezza che questo dono prezioso viene posto in vasi di creta, cogliendo la suggestione dell’immagine paolina, e in quanto tale ha bisogno di essere custodito dalla preghiera e dalla carità della comunità cristiana. La gioia è poi grande pensando alla grazia, alla consolazione, alla speranza che attraverso i loro gesti sacerdotali potrà raggiungere tanti cuori. 

D. – Benedetto XVI ha mostrato fin dall’inizio del suo Pontificato, e anche ultimamente nell’udienza ai seminaristi romani, una grande attenzione per i sacerdoti. Quanto è sentita questa vicinanza del Santo Padre dagli ordinandi?

R. – Un seminarista che vive autenticamente il suo cammino formativo non può che maturare un grande amore per la figura, per la missione e per la persona del Santo Padre. I nostri seminaristi romani, ovviamente, hanno il dono di vivere una particolare vicinanza del Santo Padre, proprio in quanto loro vescovo, che è espressa concretamente, in modo particolare, nella visita al Seminario Romano, il suo seminario: il Santo Padre annualmente ci fa il dono di vivere questo momento nell’occasione della Festa della Madonna della Fiducia. Nella visita dello scorso 15 febbraio, durante il momento conviviale della cena, uno degli ordinandi – proprio don Alfredo – rivolgendo delle parole di saluto al Santo Padre, ricordava come l’inizio del loro cammino in seminario coincidesse con l’inizio del suo Pontificato, nel 2005: esprimendo così, attraverso anche questo particolare, la gioia di un legame importante. 

D. – Cosa augura a questi giovani, a questi ordinandi che si apprestano a consacrare totalmente la propria vita al Signore?

R. – L’augurio che, nella loro vita sacerdotale, preghiera e servizio possano essere due poli che si illuminano e si arricchiscono vicendevolmente nella circolarità della carità. Che abbiano l’umiltà e il coraggio di custodire quotidianamente il primato della preghiera, vissuta come spazio di intimità e di amicizia con il Signore, ricordando che Gesù chiamò i Dodici anzitutto perché stessero con Lui. E che possano vivere il nuovo ministero come esperienza ecclesiale ricca e coinvolgente, capace di accogliere i carismi dei fedeli loro affidati e di animare costantemente la comunione in una relazione serena ed aperta verso tutti. 
Proprio una riflessione sui giovani e l’amore verso la Chiesa è offerta da mons. Domenico Dal Molin, direttore del Centro nazionale vocazioni della Conferenza episcopale italiana, intervistato da Federico Piana

R. – La via che il Papa ci ha indicato è riscoprire la bellezza del dono dell’amore. Nel suo messaggio, il Papa cita Sant’Agostino:Tardi ti amai bellezza, così antica e così nuova. Tardi ti amai…”. Queste parole stupende di Sant’Agostino sono, in realtà, una via straordinaria perché oggi riscoprire l’amore vuol dire mettersi fuori da una logica di individualismo, di relativismo e anche di narcisismo, ormai così diffusa. Credo che i giovani, di fronte al tema dell’amore, rimangano sempre affascinati. 

D. – Secondo lei, come mai tanti giovani pur sentendo la chiamata, non la corrispondono? Hanno timore, hanno paura?

R. – Io credo che il coraggio di seguire il Signore ci sia ancora nel cuore dei giovani: basta vedere le Gmg, anche l’ultima di Madrid, che rappresentano sempre una specie di impennata nei cammini vocazionali, che vengono poi proposti. Credo quindi che nel cuore del giovane la disponibilità ci sia: il famoso “duc in altum” di Giovanni Paolo II. Secondo me, c’è una cultura che evidentemente è come l’aria che noi respiriamo e che rende difficile ogni tipo di scelta. I giovani oggi faticano a vivere quel “per sempre”, quell’impegno duraturo, radicale, fedele, perché anche questo nella cultura viene molto relativizzato. Pur rimanendo l’attrazione, rimangono anche il dubbio e la paura di farcela.
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giovedì 26 aprile 2012

Comunicato della Plenaria della Commissione vaticana per la Chiesa cattolica in Cina

Da: Radio Vaticana

Dal 23 al 25 aprile corrente si è riunita in Vaticano, per la quinta volta, la Commissione che il Papa Benedetto XVI ha istituito nel 2007 per studiare le questioni di maggiore importanza, riguardanti la vita della Chiesa cattolica in Cina. In una profonda vicinanza spirituale con tutti i fratelli e le sorelle nella fede che vivono in Cina, la Commissione ha riconosciuto i doni di fedeltà e di dedizione che, nel corso di un anno, il Signore ha donato alla Sua Chiesa. 

I Partecipanti hanno approfondito il tema della formazione dei fedeli laici, in vista anche dell’«Anno della Fede», che è stato indetto dal Santo Padre dall’11 ottobre 2012 al 24 novembre 2013. Le parole del Vangelo: “E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2, 52) illustrano il compito cui sono chiamati i fedeli laici cattolici in Cina. In primo luogo, essi devono entrare sempre più profondamente nella vita della Chiesa nutriti dalla dottrina, consapevoli della loro appartenenza ecclesiale e coerenti con le esigenze della vita in Cristo, che postula l’ascolto della Parola di Dio nella fede. In questa prospettiva sarà per loro di particolare aiuto la conoscenza approfondita del Catechismo della Chiesa cattolica. In secondo luogo, essi sono chiamati a entrare nella vita civile e nel mondo del lavoro, offrendo con piena responsabilità il proprio contributo: amare la vita e rispettarla dal suo concepimento sino alla sua fine naturale; amare la famiglia, promuovendo i valori che sono propri anche della cultura cinese tradizionale; amare la Patria, come cittadini onesti e solleciti del bene comune. Come dice pure un Saggio cinese, “la via del grande studio consiste nel manifestare le virtù luminose, nel rinnovare e avvicinare le persone, e nel raggiungere il bene supremo”. In terzo luogo, i laici cinesi devono crescere in grazia davanti a Dio e agli uomini, nutrendo e perfezionando la propria vita spirituale come membri attivi della comunità parrocchiale, e aprendosi all’apostolato anche con il sostegno di associazioni e di movimenti ecclesiali, che favoriscono la loro formazione permanente. 


Al riguardo, la Commissione ha riscontrato con gioia che l’annuncio del Vangelo, offerto da comunità cattoliche a volte umili e senza risorse materiali, incoraggia ogni anno molti adulti a domandare il Battesimo. Si è sottolineata, così, la necessità che le Diocesi in Cina promuovano un serio catecumenato, adottino il Rito dell’Iniziazione Cristiana degli Adulti e curino la loro formazione anche dopo il Battesimo. I Pastori debbono fare ogni sforzo per consolidare nei fedeli laici la conoscenza degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, in particolare dell’ecclesiologia e della dottrina sociale della Chiesa. Sarà altresì utile dedicare una cura particolare alla preparazione di operatori pastorali per l’evangelizzazione, per la catechesi e per le opere di carità. La formazione integrale dei laici cattolici, soprattutto laddove sono in atto una rapida evoluzione sociale e un significativo sviluppo economico, è parte dell’impegno per rendere vibrante e vitale la Chiesa locale. Si auspica, inoltre, una speciale attenzione ai fenomeni delle migrazioni interne e dell’urbanizzazione. 
Le indicazioni pratiche, che la Santa Sede ha proposto e proporrà alla Chiesa universale per una fruttuosa celebrazione dell’«Anno della Fede», saranno certamente accolte con entusiasmo e con spirito creativo anche in Cina. Dette indicazioni stimoleranno la comunità cattolica a trovare iniziative adeguate per realizzare quanto il Papa Benedetto XVI ha scritto a riguardo dei fedeli laici e della famiglia nella Lettera del 27 maggio 2007 alla Chiesa cattolica nella Repubblica Popolare Cinese (cfr nn. 15-16). I laici, dunque, sono chiamati a partecipare con zelo apostolico all’evangelizzazione del Popolo cinese. In virtù del loro Battesimo e della Confermazione ricevono da Cristo la grazia e l’incarico di edificare la Chiesa (cfr Ef 4, 1-16). 


Nel corso della riunione, lo sguardo si è poi rivolto ai Pastori e, in particolare, ai vescovi e ai sacerdoti che sono detenuti o soffrono ingiuste limitazioni nel compimento della loro missione. Si è espressa ammirazione per la fermezza della loro fede e per la loro unione con il Santo Padre. Essi, in modo speciale, necessitano della preghiera della Chiesa, per affrontare le loro difficoltà con serenità e nella fedeltà a Cristo. 
La Chiesa ha bisogno di buoni vescovi. Essi sono un dono di Dio per il Suo Popolo, a favore del quale esercitano l’ufficio di insegnare, santificare e governare. Sono inoltre chiamati a donare ragioni di vita e di speranza a tutti coloro che incontrano. Essi ricevono da Cristo, attraverso la Chiesa, il loro compito e la loro autorità, che esercitano in unione con il Romano Pontefice e con tutti i vescovi sparsi nel mondo. 
A proposito della situazione specifica della Chiesa in Cina, si è notato che persiste la pretesa degli organismi, chiamati “Un’Associazione e Una Conferenza”, di porsi al di sopra dei vescovi e di guidare la vita della comunità ecclesiale. Al riguardo, restano attuali e di orientamento le indicazioni, offerte nella succitata Lettera del Papa Benedetto XVI (cfr n.7), e ad esse è importante attenersi, perché il volto della Chiesa risplenda con chiarezza in mezzo al nobile Popolo cinese.


Tale chiarezza è stata offuscata dagli ecclesiastici che hanno ricevuto illegittimamente l’ordinazione episcopale e dai vescovi illegittimi che hanno posto atti di giurisdizione o sacramentali, usurpando un potere che la Chiesa non ha loro conferito. Nei giorni scorsi, alcuni di loro hanno partecipato a consacrazioni episcopali autorizzate dalla Chiesa. I comportamenti di questi vescovi, oltre ad aggravare la loro posizione canonica, hanno turbato i fedeli e spesso hanno forzato la coscienza dei sacerdoti e dei fedeli che vi sono stati coinvolti.


Inoltre detta chiarezza è stata offuscata dai vescovi legittimi, che hanno partecipato a ordinazioni episcopali illegittime. Molti di loro hanno chiarito la propria posizione e hanno chiesto scusa, e il Santo Padre li ha benevolmente perdonati; altri invece, che pure vi hanno preso parte, non hanno ancora fatto tale chiarificazione e sono quindi incoraggiati ad agire quanto prima in tal senso. 


I Partecipanti alla Riunione Plenaria seguono con attenzione e con spirito di carità questi penosi avvenimenti e, pur consapevoli delle particolari difficoltà della situazione presente, ricordano che l’evangelizzazione non può avvenire sacrificando elementi essenziali della fede e della disciplina cattolica. L’obbedienza a Cristo e al Successore di Pietro è il presupposto di ogni vero rinnovamento, e ciò vale per tutte le componenti del Popolo di Dio. Gli stessi laici sono sensibili alla chiara fedeltà ecclesiale dei propri Pastori. 
Per quanto concerne i sacerdoti, le persone consacrate e i seminaristi, la Commissione ha nuovamente riflettuto sull’importanza della loro formazione, rallegrandosi per il sincero e lodevole impegno nel realizzare non soltanto adeguati percorsi di educazione umana, intellettuale, spirituale e pastorale per i seminaristi, ma anche momenti di formazione permanente per i presbiteri. Inoltre, si è manifestato apprezzamento per le iniziative, che sono messe in atto da vari Istituti religiosi femminili per coordinare attività di formazione per le persone consacrate. 


Si è riscontrato, d’altra parte, che il numero delle vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa negli ultimi anni registra un sensibile calo. Le sfide della situazione spingono ad invocare il Padrone della messe e a rafforzare la consapevolezza che ogni sacerdote e ogni religiosa, fedeli e luminosi nella loro testimonianza evangelica, sono il primo segno capace di incoraggiare ancora i giovani e le giovani di oggi a seguire Cristo con il cuore indiviso. 


La Commissione infine ricorda che il 24 maggio prossimo, memoria liturgica della Beata Vergine Maria Aiuto dei Cristiani e Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, sarà un’occasione particolarmente propizia per tutta la Chiesa per invocare energia e consolazione, misericordia e coraggio, per la comunità cattolica in Cina. 
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domenica 22 aprile 2012

Il Papa al Regina Caeli: Gesù è sempre con noi nell’Eucaristia, preparare bene i bambini alla Prima Comunione

Da: Radio Vaticana


Al Regina Caeli, in Piazza San Pietro, Benedetto XVI si è soffermato sull’importanza fondamentale dell’Eucaristia nella vita del cristiano. Il Papa ha chiesto, in particolare ai sacerdoti e ai genitori, di preparare bene i bambini alla Prima Comunione. Quindi, nella Giornata dell’Università Cattolica, ha auspicato che i giovani si formino nei valori e non solo nelle conoscenze tecniche. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Partecipiamo “degnamente” alla Messa “per diventare testimoni dell’umanità nuova”: è l’esortazione di Benedetto XVI che, al Regina Caeli, si è soffermato sul Vangelo domenicale che narra dell’incredulità dei discepoli nel vedere Gesù Risorto. Per convincerli, sottolinea il Papa, il Signore mostra “i segni della Crocifissione” che la Risurrezione non ha cancellato e chiede qualcosa da mangiare. Sono segni “molto realistici” grazie ai quali i discepoli “superano il dubbio iniziale e si aprono alla fede”:

“Il Salvatore ci assicura della sua presenza reale tra noi, per mezzo della Parola e dell’Eucaristia. Come, perciò, i discepoli di Emmaus riconobbero Gesù nello spezzare il pane (cfr Lc 24,35), così anche noi incontriamo il Signore nella Celebrazione eucaristica”.

E, con san Tommaso d’Aquino, ricorda che “è necessario riconoscere secondo la fede cattolica, che tutto il Cristo è presente in questo Sacramento”. Il Papa ha poi osservato che, nel tempo pasquale, la Chiesa solitamente amministra la Prima Comunione ai bambini:

“Esorto, pertanto, i parroci, i genitori e i catechisti a preparare bene questa festa della fede, con grande fervore ma anche con sobrietà. ‘Questo giorno rimane giustamente impresso nella memoria come il primo momento in cui… si è percepita l’importanza dell’incontro personale con Gesù’”.
Dopo la catechesi, il Papa ha ricordato la Beatificazione in Messico della religiosa María Inés Teresa del Santissimo Sacramento:

“Rendiamo grazie a Dio per questa esemplare figlia della terra messicana, che da poco ho avuto la gioia di visitare e che porto sempre nel cuore”.
Quindi, nella giornata dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sul tema “Il futuro del Paese nel cuore dei giovani”, ha dedicato un pensiero particolare agli studenti:

“E’ importante che i giovani si formino nei valori, oltre che nelle conoscenze scientifiche e tecniche. Per questo Padre Gemelli ha fondato l’Università Cattolica, alla quale auguro di essere al passo con i tempi, ma anche sempre fedele alle sue origini”.
Nei saluti in francese, il Papa ha evidenziato che nel nostro mondo, “segnato dal male, dalla sofferenza e dal dolore”, il Signore risorto ci dona la pace e ci “invita a divenire suoi testimoni fino ai confini della Terra”. Infine, al momento dei saluti ai pellegrini di lingua italiana, ha rivolto un pensiero speciale al gruppo “Bambini in missione di pace” dell’Unitalsi, che hanno contraccambiato al gesto d'affetto facendo volare in cielo dei palloncini colorati.
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sabato 21 aprile 2012

Benedetto XVI alla “Papal Foundation”: la Chiesa sia libera di proclamare il Vangelo

Da: Radio Vaticana


Benedetto XVI ha ricevuto, stamani, in Vaticano i membri della “Papal Foundation”, associazione caritativa statunitense fondata nel 1988. Il Papa ha ringraziato il sodalizio per il sostegno alle opere di carità della Chiesa e agli sforzi di evangelizzazione. L’indirizzo d’omaggio al Papa è stato rivolto dal cardinale Donald Wuerl, arcivescovo di Washington e presidente della Fondazione. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Benedetto XVI ha innanzitutto espresso gratitudine alla “Papal Foundation” per il supporto al Successore di Pietro e per il servizio alla Chiesa:

“Through the work of the Papal Foundation…”
“Attraverso il lavoro della ‘Papal Foundation’ – ha affermato – aiutate a far avanzare la missione di evangelizzazione della Chiesa, a promuovere l’educazione e lo sviluppo integrale dei nostri fratelli nei Paesi più poveri”. Ancora, ha detto, sostenete gli sforzi missionari di tante diocesi e congregazioni religiose nel mondo:

“In these days I ask your continued prayers…”
“In questi giorni – ha soggiunto – chiedo che continuate le vostre preghiere per i bisogni della Chiesa universale” in particolare “per la libertà dei cristiani di proclamare il Vangelo” e affinché illumini con la sua luce “le urgenti questioni morali del nostro tempo”. Il Papa ha poi ricordato che, nei prossimi mesi, canonizzerà due nuove Sante del Nord America, la Beata Kateri Tekakwitha e la Beata Madre Marianne Cope. Si tratta, ha rilevato, di due “grandi esempi di santità ed eroica carità” e ci ricordano “lo storico ruolo avuto dalle donne nella costruzione delle Chiesa in America”.
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venerdì 20 aprile 2012

La Parola di Dio non è deposito inerte, ma potenza di vita: così il Papa alla Pontificia Commissione Biblica

Da: Radio Vaticana


La Parola di Dio non resta confinata nello scritto, ma è potenza di vita e la sua comprensione continua a crescere con l’assistenza dello Spirito Santo: è quanto afferma il Papa in un Messaggio inviato al cardinale William Levada, presidente della Pontificia Commissione Biblica, in occasione dell’annuale plenaria dell'organismo che si è svolta in Vaticano sul tema «Ispirazione e Verità della Bibbia». Il servizio di Sergio Centofanti.

Il Papa indica gli elementi per una corretta interpretazione del messaggio biblico: “l’ispirazione come azione di Dio – scrive - fa sì che nelle parole umane si esprima la Parola di Dio. Di conseguenza, il tema dell’ispirazione è decisivo per l’adeguato accostamento alle Sacre Scritture. Infatti, un’interpretazione dei sacri testi che trascura o dimentica la loro ispirazione non tiene conto della loro più importante e preziosa caratteristica, ossia della loro provenienza da Dio”.

Al tema dell’ispirazione – aggiunge – è poi connesso “anche il tema della verità delle Scritture. Per questo, un approfondimento della dinamica dell’ispirazione porterà indubbiamente anche ad una maggior comprensione della verità contenuta nei libri sacri”.

Il Papa sottolinea quindi che “per il carisma dell’ispirazione i libri della Sacra Scrittura hanno una forza di appello diretto e concreto. Ma la Parola di Dio non resta confinata nello scritto. Se, infatti, l’atto della Rivelazione si è concluso con la morte dell’ultimo Apostolo, la Parola rivelata ha continuato ad essere annunciata e interpretata dalla viva Tradizione della Chiesa. Per questa ragione – spiega Benedetto XVI - la Parola di Dio fissata nei testi sacri non è un deposito inerte all’interno della Chiesa ma diventa regola suprema della sua fede e potenza di vita. La Tradizione che trae origine dagli Apostoli”, infatti, “progredisce con l’assistenza dello Spirito Santo e cresce con la riflessione e lo studio dei credenti, con l’esperienza personale di vita spirituale e la predicazione dei Vescovi”.

Benedetto XVI afferma poi che è “essenziale e fondamentale per la vita e la missione della Chiesa che i testi sacri vengano interpretati secondo la loro natura: l’Ispirazione e la Verità sono caratteristiche costitutive di questa natura”. “Perciò – conclude il suo messaggio alla Commissione Biblica – il vostro impegno avrà una vera utilità per la vita e la missione della Chiesa” e per promuovere “la conoscenza, lo studio e l’accoglienza della Parola di Dio nel mondo”.
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giovedì 19 aprile 2012

Sette anni con Benedetto XVI, Papa della gioia

Da: Radio Vaticana


La Chiesa celebra oggi con gratitudine al Signore il settimo anniversario dell'elezione di Joseph Ratzinger alla Cattedra di Pietro. Nel servizio di Alessandro Gisotti, un vescovo, una suora missionaria, il leader di un movimento laicale e ancora il direttore di un giornale, una giovane cattolica e uno scienziato agnostico raccontano cosa hanno dato loro questi sette anni di Pontificato di Benedetto XVI:

“Un umile lavoratore nella Vigna del Signore”: il 19 aprile del 2005, Benedetto XVI si presentava così al mondo. Sette anni nei quali, il pastore “mite e fermo” della Chiesa universale ha guidato con mano sicura e cuore generoso la Barca di Pietro. Mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, sottolinea la dimensione luminosa del Magistero di Benedetto XVI:

R. - E’ un Pontificato al tempo stesso drammatico e luminoso. E’ un Pontificato drammatico per i tempi in cui esso viene a svolgersi. Siamo nella stagione seguente quello scontro delle civiltà che ad alcuni sembrava inevitabile e addirittura unica via di un progresso futuro; uno scontro nel quale il Papa si è situato con estrema lucidità, con parole chiare, quelle del rifiuto di ogni violenza esercitata in nome di Dio. Ma la drammaticità è non solo quella dei grandi contesti, quanto anche la crisi generale che attraversa il villaggio globale, in particolare l’Occidente; una crisi che il Papa sente in prima persona e che ha espresso in maniera molto lucida, specialmente nella costituzione di un Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione. Proprio in questo contesto drammatico si situa la luminosità del messaggio di Papa Benedetto XVI. Egli non cede alla tentazione della rinuncia o del pessimismo, anzi, più che mai si dimostra tenace nel proporre il sì di Dio in Gesù Cristo, nel testimoniare orizzonti di senso e di speranza e di ritenere il cristianesimo la via possibile di salvezza nella crisi attuale. Questo lo vediamo nella insistenza sui grandi temi del cristianesimo, innanzitutto il tema della fede, che è quello dell’autentico rinnovamento che questo Papa sta chiedendo alla Chiesa.

D. – Rinnovamento nella fede, sottolineava, l’Anno della fede è vicino… Quale augurio si sente di fare a Benedetto XVI per il suo Pontificato?

R. – Che questo suo straordinario sforzo di testimoniare la bellezza di Dio e la luce della fede a un mondo più che mai bisognoso di essa, questo rilancio della centralità della fede nella vita nell’identità e nella missione della Chiesa, trovino amplissima risposta nei cuori e che il Signore dia alla sua azione, al tempo stesso coraggiosa e umile, una grande fecondità che sia anche di consolazione per il suo cuore di padre e di pastore. (bf)

Come il suo amato predecessore, anche Benedetto XVI ha puntato molto sul ruolo dei movimenti laicali nel rinnovato sforzo della nuova evangelizzazione. Un tema forte di questi sette anni, su cui si sofferma il presidente in Italia di “Rinnovamento nello Spirito”, Salvatore Martinez, che ricorda i suoi primi incontri con il Papa:

R. – Vorrei evidenziare qui due ricordi. Il primo, a dieci mesi dalla sua elezione: la mia udienza privata con lui, quando ho subito percepito il tratto del pastore buono, di un uomo profondamente interiorizzato, nobile non soltanto nell’incedere, nel tratto, ma direi soprattutto nei pensieri; poi, la storica Pentecoste con i movimenti. Certamente, Benedetto XVI ha convalidato, confermato, rilanciato il grande tema della coessenzialità dei carismi, con il principio gerarchico petrino. E’ un Pontefice che invita i laici a dare ancora credito alla speranza, al Vangelo della speranza. Sta sottolineando, in ogni modo, il bisogno che questa nuova evangelizzazione abbia nei movimenti, nei laici, una espressione compiuta. Infine, al Pontefice dobbiamo dire grazie per come ci insegna ogni giorno a difendere e a diffondere la fede!

D. – Testimone della fede, testimone della gioia: quale augurio si sente di fare a Papa Benedetto per il prosieguo del suo ministero petrino?

R. – Che continui a tenere la mano sul timone di questa barca. Se anche il mare è periglioso e non mancano le tempeste, la mano è sicura. Noi siamo con lui; la gente lo sente sempre più vicino, vede ogni giorno di più il coraggio di un uomo. E, seppure evidentemente invecchia e faccia fatica come ogni anziano, la gente vede, coglie in lui, il desiderio che questa Chiesa sia guidata, che questa Chiesa sia condotta verso l’approdo che è Cristo: ogni giorno un Gesù nuovo, ogni giorno un Cristo vivo. Il Papa ha ricordato all’inizio del Pontificato che è parte di una Chiesa giovane, perché Cristo è vivo. Cristo lo rende giovane, Cristo gli regala questa giovinezza spirituale, Cristo lo fa amare dalla gente. Allora, lunga vita al Papa! Che continui davvero a guidare la Chiesa con l’amore e la passione che ci sta testimoniando. (ap) 

E il Papa, in questi anni, ha levato incessantemente la sua voce in difesa della dignità dell’uomo, sfigurata dalla violenza, dall’egoismo, dalla miseria. Benedetto XVI ha dato così voce a chi non ha voce. E’ quanto sottolinea suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata, responsabile dell’ufficio “Tratta donne e minori” dell’Usmi:

R. – Questi anni di Pontificato a noi hanno dato moltissimo, perché abbiamo trovato in Benedetto XVI un padre, un padre che sa ascoltare, che sa cogliere le urgenze, le emergenze dell’oggi, soprattutto le emergenze dell’immigrazione, dello sfruttamento della persona. Abbiamo trovato un pastore in lui e troviamo nei suoi insegnamenti veramente l’aiuto e la forza per continuare a lottare, perché ogni persona possa vivere da persona umana con la propria dignità, così come è stata voluta e creata dal Creatore. Quindi, per noi è un grande esempio: la sua dedizione, le sue catechesi sempre così puntuali, così attuali. Oggi abbiamo più che mai bisogno di avere delle guide, di avere dei testimoni.

D. – Come religiosa, come missionaria, come cristiana, qual è l’augurio che vuole rivolgere a Benedetto XVI?

R. – Prima che la Libia andasse in guerra, ho avuto l’occasione di andare a Tripoli e ho visitato le prigioni dove queste persone, rimandate dall’Italia, si trovavano in prigione. Quando hanno saputo che venivo dall’Italia, che venivo da Roma, in coro hanno gridato: “Vai a trovare il Papa e dì al Papa che gli vogliamo bene”! Ecco, io voglio fare ancora mio e nostro questo augurio: che tante persone, soprattutto le persone più sfortunate, più svantaggiate, sentano e trovino nel Santo Padre questa guida, che veramente sentano di voler bene al Papa, e così anche noi. Questo è il nostro augurio, e l’augurio di tante suore, di tante donne che noi abbiamo aiutato, di poter dire al Santo Padre: “Grazie per la sua presenza, per il suo insegnamento”. E sia così anche per noi, come queste persone, che hanno gridato: “Dì al Papa che gli vogliamo bene”. (ap)

Colonia, Sydney, Madrid: le città delle tre Gmg di Benedetto XVI, mentre già si guarda all’appuntamento di Rio de Janeiro del prossimo anno. Un rapporto speciale quello del Papa con i giovani, come già era avvenuto nel Pontificato del Beato Karol Wojtyla.Lisa Moni Bidin, responsabile nazionale di Azione Cattolica per i giovani, si sofferma sui doni che ha ricevuto da Papa Benedetto in questi sette anni:

R. – Le due cose che porto più nel cuore sono il primato dell’amore e il desiderio profondo di chiarezza e di verità: un amore che faccia crescere, che ci permetta di trovare quel di più della nostra vita per aspirare a mete grandi; e quel desiderio di chiarezza e verità da ricercare dentro ciascuno di noi, nelle nostre chiese, nelle nostre comunità, per essere sempre più testimonianza viva di Cristo Risorto, di una Chiesa viva, di una Chiesa della gioia.

D. – Quale augurio per questo anniversario di Pontificato, guardando in particolare ai giovani?

R. – Un augurio sicuramente dai giovani, in particolar modo i giovani dell’Azione Cattolica, che sono quelli che conosco meglio, un augurio di bene, di sostegno per il suo operare, anche nel nostro impegno di sostenerlo con la preghiera. (ap)

Altro tema che sta fortemente caratterizzando il Pontificato di Benedetto XVI è la promozione di un fruttuoso dialogo tra fede e ragione. Un impegno particolarmente apprezzato dal genetista Angelo Vescovi, presidente del Comitato scientifico di “Neurothon”:

R. - Ha dato una chiara direzione su come muoversi. Io parlo ovviamente per quanto riguarda il mio settore di competenza, che è quello delle malattie degenerative, delle terapie con le cellule staminali. Per quanto mi riguarda il grande valore che il Papa mi ha confermato è di rimanere sempre nell’alveo del rispetto della vita umana, quando si lavora per cercare di curare coloro che soffrono. Sicuramente i suoi insegnamenti funzionano molto da “luce guida”. Ho avuto poi anche il piacere e l’onore di vederlo da vicino e posso trasmettere una sensazione che mi ha veramente impressionato: guardandolo negli occhi, ho sentito un senso di serenità che ho visto in pochissimi uomini. 

D. - Lei ci dice: un Papa può aiutare anche un uomo di scienza…

R. - Anzitutto uno scienziato è un uomo; è poi un uomo di scienza, ma è un uomo. Un Pontefice con la capacità di trasmettere dei valori non solo religiosi, ma morali e filosofici, non “può” aiutare, ma essenzialmente aiuta!

D. - Quale augurio si sente di fare come uomo per l’appunto, prima ancora che come uomo di scienza?

R. - Il mio augurio è che lui rimanga tra di noi per altri 100 anni! E che possa guidarci con quella serenità che gli ho visto negli occhi e che è una serenità di tipo trascendente. (mg)

“Papa della parola” per antonomasia, Benedetto XVI con il suo Magistero rappresenta una sfida stimolante per gli operatori della comunicazione. La riflessione del direttore del quotidiano “Avvenire”, Marco Tarquinio:

R. – In Joseph Ratzinger, divenuto Papa Benedetto XVI, quella che era la sua grande sapienza cristiana è diventata qualcosa di più e di diverso. Io lo considero un segno di contraddizione bellissimo nel mondo di oggi. Gli hanno costruito addosso dei cliché mediatici e lui li ha rovesciati: ad un mondo che ha rovesciato l’ordine dei valori, ha offerto lo scandalo di un rovesciamento dei cliché precostituiti sia sulla sua persona sia sulla predicazione della Chiesa. E questo lo ha fatto sulle questioni cruciali del nostro tempo. 

D. – Uno scandalo che interroga molto il mondo della comunicazione…

R. – Questo è lo scandalo: per un mondo dell’informazione, che si nutre di certezze evanescenti, che fa titolo grazie alla levità infelice di casi di cronaca, di gossip, trasformati nel metro della nostra umanità, nella misura del successo, c’è qualcuno che dice, con una voce percepibile anche dai semplici, non solo dai dotti, che è un altro il modo, è un altro il centro, è un altro il fuoco vero intorno al quale si può accendere la speranza del mondo.

D. – Quale augurio rivolge al Papa in questo giorno, in questo anniversario di ministero petrino?

R. – Che l’Anno della fede, che sta per cominciare corrisponda a quella domanda che il Papa si poneva qualche settimana fa nell’incontro con la Chiesa di Roma: che cosa dirà il mondo della nostra fede? Di questo ci dobbiamo preoccupare. Quindi, l’augurio è che noi sappiamo dire come popolo di Dio, seguendo la luce che il Papa ci aiuta a vedere, che la nostra fede è significante ed è una forza buona, in un mondo che è pervaso da correnti obiettivamente negative. (ap)
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