mercoledì 30 novembre 2011

Il Papa all’udienza generale: i cristiani siano testimoni di preghiera per aprire finestre verso il cielo

Da: Radio Vaticana


La preghiera è un dono, ma esige impegno e costanza da parte nostra: è quanto sottolineato da Benedetto XVI all’udienza generale in Aula Paolo VI, incentrata sulla preghiera nella vita di Gesù. Il Papa ha esortato i cristiani ad essere testimoni di preghiera e speranza, specie in un mondo spesso chiuso all’incontro con Dio. Il servizio di Alessandro Gisotti:

“Nella preghiera, Gesù vive un ininterrotto contatto con il Padre per realizzare fino in fondo il progetto di amore per gli uomini”: è quanto affermato da Benedetto XVI, che all’udienza generale ha esortato i fedeli a seguire l’esempio del Signore, a stare in dialogo con Dio:
“Anche nella nostra preghiera dobbiamo imparare, sempre di più, ad entrare in questa storia di salvezza di cui Gesù è il vertice, rinnovare davanti a Dio la nostra decisione personale di aprirci alla sua volontà, chiedere a Lui la forza di conformare la nostra volontà alla sua, in tutta la nostra vita, in obbedienza al suo progetto di amore su di noi”.
La preghiera di Gesù, ha rammentato, “tocca tutte le fasi del suo ministero e tutte le sue giornate”, “le fatiche non la bloccano”. Al contempo, ha evidenziato che l’insegnamento di Gesù sulla preghiera viene dal suo “essere il Figlio di Dio”, dal suo “rapporto unico con Dio Padre”:
“Ascoltare, meditare, tacere davanti al Signore che parla è un’arte che si impara praticandola con costanza. Certamente la preghiera è un dono che chiede, tuttavia, di essere accolto; è opera di Dio, ma esige impegno e continuità da parte nostra”.

Guardando alla preghiera di Gesù, ha ammonito, dovremmo tutti domandarci come noi preghiamo, quanto tempo dedichiamo al rapporto con Dio. Ed ha ribadito quanto sia importante pregare per illuminare il mondo attorno a noi:
“Oggi i cristiani sono chiamati a essere testimoni di preghiera, proprio perché il nostro mondo è spesso chiuso all'orizzonte divino e alla speranza che porta l’incontro con Dio. Nell’amicizia profonda con Gesù e vivendo in Lui e con Lui la relazione filiale con il Padre, attraverso la nostra preghiera fedele e costante, possiamo aprire finestre verso il Cielo di Dio”. 

Il Papa ha quindi rinnovato l’incoraggiamento a “percorrere la via della preghiera”, una via che apre nuovi cammini anche per chi è lontano da Dio:

“Cari fratelli e sorelle, educhiamoci ad un rapporto con Dio intenso, ad una preghiera che non sia saltuaria, ma costante, piena di fiducia, capace di illuminare la nostra vita, come ci insegna Gesù. E chiediamo a Lui di poter comunicare alle persone che ci stanno vicino, a coloro che incontriamo sulla nostra strada, la gioia dell’incontro con il Signore, luce per l’esistenza”.

Al momento dei saluti ai pellegrini, parlando in lingua francese, il Papa ha salutato i fedeli della diocesi di Belley-Ars, venuti in Vaticano per regalare alla Basilica vaticana un ritratto di San Giovanni Maria Vianney, a ricordo dell’Anno sacerdotale. In italiano, ha ringraziato la Federazione italiana Panificatori e Pasticceri che ha donato dei panettoni destinati alle opere di carità del Papa. 
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lunedì 28 novembre 2011

Il Papa ai giovani: imparate a rispettare l'ambiente per assicurarvi un futuro migliore

Da: Radio Vaticana


“Il rispetto per l’essere umano e il rispetto per la natura sono tutt’uno”. E i danni provocati dallo scarso rispetto spesso riservato all’ambiente dimostrano che è urgente un cambio di rotta, perché soprattutto le generazioni future possano godere di un pianeta vivibile. E proprio a una folla di giovani sensibile al problema si è rivolto questa mattina Benedetto XVI, ricevendo in udienza in Aula Paolo VI i circa settemila partecipanti all’Incontro promosso dalla “Fondazione Sorella Natura”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

“Il più italiano dei santi e il più santo degli italiani” – come Pio XII definì Francesco d’Assisi – soleva chiedere al frate incaricato di curare l’orto del convento di non utilizzare tutto il terreno per gli ortaggi, ma di riservarne una parte ai fiori, perché chiunque, passando e guardandoli, potesse rimanere incantato da tanta bellezza e rivolgere un pensiero a Colui che l’aveva creata, Dio. L’aneddoto è stato ricordato da Benedetto XVI davanti alle migliaia di ragazze e ragazzi che – aderendo alla “Fondazione Sorella Natura”, di chiara ispirazione francescana – hanno fatto la scelta di campo di sentirsi e comportarsi da “custodi del creato”. Parlando a loro e ai formatori che li accompagnavano, il Papa è stato chiaro. Il rispetto per la natura e l’ambiente, ha detto, è un valore oggi imprescindibile:

“E’ infatti ormai evidente che non c’è un futuro buono per l’umanità sulla terra se non ci educhiamo tutti ad uno stile di vita più responsabile nei confronti del creato. E questo stile si impara prima di tutto in famiglia e nella scuola”.
Il "grande meraviglioso albero della vita – ha osservato il Pontefice – non è frutto di una evoluzione cieca e irrazionale", ma "riflette" la forza e l'amore del suo Artefice. Dunque, sì alla scienza e alla ricerca, purché i loro percorsi – ha affermato – rispettino “l’impronta del Creatore in tutto il creato”: 

“Se infatti, nel suo lavoro, l’uomo dimentica di essere collaboratore di Dio, può fare violenza al creato e provocare danni che hanno sempre conseguenze negative anche sull’uomo, come vediamo, purtroppo, in varie occasioni”. 
“Oggi più che mai – ha proseguito Benedetto XVI – ci appare chiaro che il rispetto per l’ambiente non può dimenticare il riconoscimento del valore della persona umana e della sua inviolabilità, in ogni fase della vita e in ogni sua condizione”: 

“Il rispetto per l’essere umano e il rispetto per la natura sono un tutt’uno, ma entrambi possono crescere ed avere la loro giusta misura se rispettiamo nella creatura umana e nella natura il Creatore e la sua creazione. Su questo, cari ragazzi, sono convinto di trovare in voi degli alleati, dei veri ‘custodi della vita e del creato’”.
In precedenza, nel ricordare la decisione del giovane Papa Giovanni Paolo II di proclamare, nel 1979, San Francesco patrono dell’ecologia – e nel ringraziare anche il cardinale Rodriguez Maradiaga per aver ricevuto in dono una preziosa riproduzione del Codice 338, contenente le fonti francescane più antiche – Benedetto XVI ha citato alcuni versi del “Cantico di Frate Sole”, un componimento – ha osservato – “che mette in luce il giusto posto da dare al Creatore”. Ed ha commentato:

“Questi versi fanno parte giustamente della vostra tradizione culturale e scolastica. Ma sono anzitutto una preghiera, che educa il cuore nel dialogo con Dio, lo educa a vedere in ogni creatura l’impronta del grande Artista celeste (…) Frate Francesco, fedele alla Sacra Scrittura, ci invita a riconoscere nella natura un libro stupendo, che ci parla di Dio, della sua bellezza e bontà”.
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sabato 26 novembre 2011

Il Papa ai vescovi Usa: la Chiesa prosegua nell’impegno contro gli abusi sessuali e faccia sentire la sua voce nella società

Da: Radio Vaticana


L’impegno della Chiesa per sanare la ferita degli abusi sessuali e la sfida della nuova evangelizzazione: questi i temi forti del discorso di Benedetto XVI ad un gruppo di vescovi degli Stati Uniti, ricevuti stamani in udienza in occasione della visita “ad Limina”. Si tratta del primo gruppo di presuli statunitensi ai quali il Papa rivolge un discorso, dopo il viaggio apostolico in America nel 2008. Il Papa ha incoraggiato i vescovi a difendere la verità e ad offrire una parola di speranza agli americani in un tempo di radicali cambiamenti sociali. L’indirizzo d’omaggio è stato rivolto dall’arcivescovo di New York e presidente della Conferenza episcopale Usa, mons. Timothy Dolan. Il servizio diAlessandro Gisotti:

Benedetto XVI ha iniziato il suo intervento tornando al contesto del suo viaggio apostolico negli Stati Uniti del 2008. Il Papa ha ricordato che quella visita aveva l’intento di “incoraggiare” i cattolici americani, “dopo lo scandalo e il disorientamento causato dalla crisi degli abusi sessuali”:
“I wished to acknowledge personally…”“Ho voluto – ha detto il Papa – rendermi conto personalmente delle sofferenze inflitte alle vittime e degli sforzi sinceri compiuti sia per assicurare la sicurezza dei nostri bambini sia per affrontare in modo trasparente e adeguato” le accuse di abusi. “E’ mia speranza – ha soggiunto – che gli sforzi coscienziosi della Chiesa nell’affrontare questa realtà aiutino” tutti “a riconoscere le cause e le conseguenze devastanti degli abusi sessuali e a rispondere efficacemente a questo flagello che colpisce ogni livello della società”:

“By the same token, just as…”
Allo stesso modo, ha osservato il Pontefice, così come dalla Chiesa si pretende giustamente che vengano rispettate delle norme di comportamento al riguardo, “tutte le altre istituzioni, senza alcuna eccezione, dovrebbero essere tenute” a rispettare le stesse misure. Ha così rivolto il pensiero ad un altro tema forte del viaggio apostolico negli Stati Uniti: la sfida della nuova evangelizzazione, “alla luce di un cambiamento radicale dello scenario sociale e religioso”. Il Papa si è soffermato sulla sfida della “crescente secolarizzazione della società”:

“I consider it significant, however…”
“Considero significativo – ha confidato – che ci sia un’accresciuta attenzione, sul futuro delle nostre società democratiche, da parte di tanti uomini e donne, a prescindere dalle loro visioni politiche e religiose”. Si riconosce, ha soggiunto, “una preoccupante rottura nelle fondamenta intellettuali, culturali e morali della vita sociale”, specialmente tra i giovani alle prese con “vasti cambiamenti sociali”:

“Despite attempts to still the Church’s…”
“Nonostante i tentavi di far tacere la voce della Chiesa nello spazio pubblico – ha ammonito – molte persone di buona volontà continuano a guardare alla sua saggezza, al suo discernimento e alla sua valida guida nel confrontarsi con questa crisi di ampia portata”. Per questo, il momento presente, ha detto, può essere visto “in termini positivi” come un’occasione per “esercitare la dimensione profetica” del ministero episcopale. Ha quindi incoraggiato i vescovi a parlare, “con umiltà ma anche con perseveranza, in difesa della verità morale”, offrendo “una parola di speranza capace di aprire i cuori e le menti alla verità che ci rende liberi”:

“The obstacles to Christian faith and practice…”
“Gli ostacoli alla fede e alla pratica cristiana posti da una cultura secolarizzata – ha poi constatato – incidono anche sulla vita dei credenti, portando a volte ad un ‘velato attrito’ nei confronti della Chiesa”. Immersi nella cultura secolarizzata – ha proseguito – i credenti sono “assediati quotidianamente dalle obiezioni, dalle questioni problematiche e dal cinismo di una società che pare aver perso le sue radici”. Ancora sono assediati da “un mondo nel quale l’amore verso Dio si è raffreddato in molti cuori”. Ecco allora, ha detto il Papa, che l’evangelizzazione non è “solo un compito da portare all’esterno”. Noi stessi, ha riconosciuto, “siamo i primi ad aver bisogno” di essere re-evangelizzati. 

Nella parte conclusiva del suo discorso, Benedetto XVI ha elogiato i vescovi americani per i progressi fatti individualmente e come Conferenza episcopale nell’affrontare queste sfide. Frutti, ha aggiunto, che si sono visti nei recenti documenti sull’impegno dei fedeli nella società e sull’istituzione del matrimonio. Ed ha ribadito che “l’importanza di queste espressioni autorevoli” devono “essere evidenti a tutti”. Infine, ha messo l’accento sull’implementazione della traduzione del Messale Romano e sul ruolo delle università cattoliche, dove i giovani possono ascoltare chiaramente l’insegnamento della Chiesa e trovare ispirazione dalla bellezza del messaggio cristiano.
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venerdì 25 novembre 2011

Il Papa ai laici cristiani: per incidere nella vita pubblica bisogna avere una solida fede personale

Da: Radio Vaticana


Bisogna riportare la “questione di Dio” anche all’interno della Chiesa, per far sì che la testimonianza dei laici nella vita pubblica sia “incisiva”. È l’invito che Benedetto XVI ha rivolto alla 25.ma plenaria dei Laici in corso in Vaticano, i cui partecipanti sono stati ricevuti questa mattina in udienza dal Papa. Il Pontefice ha anche ricordato il coraggio delle minoranze cristiane in Asia, spesso soggette a persecuzioni, e ha apprezzato l’impegno del dicastero per i Laici di aver messo in programma per il prossimo anno, in Camerun, un Congresso per i laici dell’Africa. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Per incontrare Dio bisogna incontrare qualcuno che Lo abbia incontrato. Il segreto della fede sta in questa sequenza, e non è eludibile. Non è tanto una questione legata a fattori esterni, geografici o culturali. Semmai lo è alla “geografia” dell’anima, il luogo dove avviene e matura l’incontro con Cristo. E i laici cristiani hanno una grandissima responsabilità nel creare i presupposti per questo incontro, che potrà avere importanti risvolti nella vita sociale. Benedetto XVI lo ha ricordato al cospetto degli specialisti convocati dal Pontificio Consiglio per i Laici per l’incontro annuale, impegnati a confrontarsi sul tema “La questione di Dio oggi”. Benedetto XVI ha distinto. Certamente, ha ripetuto, c’è anzitutto una questione di Dio pubblica, quella per cui la rinuncia “a ogni riferimento del trascendente” diffusasi attualmente “ha generato la crisi” di “significato e di valori” che oggi precede quella economica e sociale:

“L’uomo che cerca di esistere soltanto positivisticamente, nel calcolabile e nel misurabile, alla fine rimane soffocato. In questo quadro, la questione di Dio è, in un certo senso, 'la questione delle questioni'. Essa ci riporta alle domande di fondo dell’uomo, alle aspirazioni di verità, di felicità e di libertà insite nel suo cuore, che cercano una realizzazione”.
“L’uomo che risveglia in sé la domanda su Dio – ha proseguito – si apre alla speranza, ad una speranza affidabile, per cui vale la pena di affrontare la fatica del cammino nel presente”. Tuttavia, si è chiesto il Papa, come è possibile “risvegliare la domanda su Dio, perché sia la questione fondamentale?”:

“La domanda su Dio è risvegliata dall’incontro con chi ha il dono della fede, con chi ha un rapporto vitale con il Signore. Dio viene conosciuto attraverso uomini e donne che lo conoscono: la strada verso di Lui passa, in modo concreto, attraverso chi l’ha incontrato. Qui il vostro ruolo di fedeli laici è particolarmente importante”.

Tuttavia, se i diversi ambiti pubblici hanno bisogno di essere popolati da laici cristiani trasparenti nelle proprie convinzioni, esiste – ha osservato Benedetto XVI – anche una questione di Dio dentro il tessuto ecclesiale. La disamina del Papa è stata all’insegna della consueta schiettezza. “A volte – ha asserito – ci si è adoperati perché la presenza dei cristiani nel sociale, nella politica o nell’economia risultasse più incisiva, e forse non ci si è altrettanto preoccupati della solidità della loro fede, quasi fosse un dato acquisito una volta per tutte”. In realtà, ha soggiunto…

“… i cristiani non abitano un pianeta lontano, immune dalle ‘malattie’ del mondo, ma condividono i turbamenti, il disorientamento e le difficoltà del loro tempo. Perciò non meno urgente è riproporre la questione di Dio anche nello stesso tessuto ecclesiale. Quante volte, nonostante il definirsi cristiani, Dio di fatto non è il punto di riferimento centrale nel modo di pensare e di agire, nelle scelte fondamentali della vita. La prima risposta alla grande sfida del nostro tempo sta allora nella profonda conversione del nostro cuore”.

E un esempio di cosa voglia dire oggi coerenza al Vangelo Benedetto XVI lo aveva offerto all’inizio del suo discorso, evocando il coraggio di quei fedeli che vivono, specie in Asia, in condizioni spesso drammatiche. In quel vastissimo e antico continente, sono state le parole del Papa…
“… l’annuncio cristiano ha raggiunto sinora soltanto una piccola minoranza, che non di rado vive la fede in un contesto difficile, a volte anche di vera persecuzione (...) Questi nostri fratelli testimoniano in modo ammirevole la loro adesione a Cristo, lasciando intravedere come in Asia, grazie alla loro fede, si stiano aprendo per la Chiesa del terzo millennio vasti scenari di evangelizzazione”.
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giovedì 24 novembre 2011

Il Papa alla Caritas Italiana, nel 40.mo di fondazione: la crisi economica chiede il coraggio della fraternità

Da: Radio Vaticana


Abbiamo bisogno di persone con “un cuore che vede”, ancor più in tempo di crisi: è l’esortazione di Benedetto XVI, che stamani ha ricevuto nella Basilica Vaticana i partecipanti all’incontro promosso dalla Caritas Italiana, nel suo 40.mo di fondazione. Il Papa ha sottolineato l’importanza delle Caritas diocesane che rendono visibile l’amore di Dio e della Chiesa verso i più bisognosi. Prima dell’udienza - sempre in San Pietro, a cui hanno preso parte 12 mila fedeli - era stata celebrata una Messa per l’occasione, presieduta dal cardinale arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco. Nell’omelia, il presidente della Cei, ha affermato che, nelle emergenze come nella vita quotidiana, le Caritas diocesane sono un riferimento sicuro per i cittadini. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Siate “sentinelle” del Vangelo, segno dell’amore di Dio verso il prossimo nel bisogno: è il messaggio di esortazione e incoraggiamento che Benedetto XVI ha consegnato agli operatori Caritas giunti da tutta Italia per celebrare 40 anni di attività. Il Pontefice ha ripreso la sua prima Enciclica, “Deus Caritas est”, per ribadire l’esigenza di persone dotate di “un cuore che vede”. Donne e uomini che non offrano solo il pane all’affamato, ma si lascino anche “interpellare dalle cause per cui è affamato”. Un pensiero, ha osservato, che va anche al vasto mondo della migrazione:

“La crisi economica globale è un ulteriore segno dei tempi che chiede il coraggio della fraternità. Il divario tra nord e sud del mondo e la lesione della dignità umana di tante persone, richiamano ad una carità che sappia allargarsi a cerchi concentrici dai piccoli ai grandi sistemi economici”. 
“Il crescente disagio – ha rilevato – l’indebolimento delle famiglie, l’incertezza della condizione giovanile indicano il rischio di un calo di speranza”. Ed è questa sfiducia, ha avvertito, che le Caritas sono chiamate a contrastare: 

“L’umanità non necessita solo di benefattori, ma anche di persone umili e concrete che, come Gesù, sappiano mettersi al fianco dei fratelli condividendo un po’ della loro fatica. In una parola, l’umanità cerca segni di speranza. La nostra fonte di speranza è nel Signore”. 

Il Papa ha messo così l’accento sul “compito educativo” a cui è chiamata la Chiesa e le Caritas in particolare. E ha incoraggiato a “farsi prossimo” a chi “necessita di sentire il calore di Dio attraverso le mani aperte e disponibili dei discepoli di Gesù”. Compito ancor più urgente nel nostro tempo:
“L’individualismo dei nostri giorni, la presunta sufficienza della tecnica, il relativismo che influenza tutti, chiedono di provocare persone e comunità verso forme alte di ascolto, verso capacità di apertura dello sguardo e del cuore sulle necessità e sulle risorse, verso forme comunitarie di discernimento sul modo di essere e di porsi in un mondo in profondo cambiamento”.
Si tratta, ha evidenziato, di “assumere la responsabilità dell’educare alla vita buona del Vangelo, che è tale solo se comprende in maniera organica la testimonianza della carità”:

“Ciascuno di voi è chiamato a dare il suo contributo affinché l’amore con cui siamo da sempre e per sempre amati da Dio divenga operosità della vita, forza di servizio, consapevolezza della responsabilità”.

Il Papa ha tenuto a ribadire che l’umile e concreto “servizio che la Chiesa offre non vuole sostituire, né tantomeno, assopire la coscienza collettiva e civile”. Piuttosto, ha soggiunto, le si affianca con “spirito di sincera collaborazione, nella dovuta autonomia e nella piena coscienza della sussidiarietà”. Il Papa ha concluso il suo intervento con un’esortazione agli operatori Caritas ad essere segno della “carità di Cristo, un segno che porti speranza”:

“Vivete la gratuità e aiutate a viverla. Richiamate tutti all’essenzialità dell’amore che si fa servizio. Accompagnate i fratelli più deboli. Animate le comunità cristiane. Dite al mondo la parola dell’amore che viene da Dio. Ricercate la carità come sintesi di tutti i carismi dello Spirito”.
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martedì 22 novembre 2011

L'Esortazione Apostolica "Africae Munus". Padre Giulio Albanese: dalla Dottrina sociale della Chiesa i valori per rilanciare il continente

Da: Radio Vaticana


Uno dei pilastri spirituali e allo stesso tempo sociali sul quale Benedetto XVI ha imperniato l’Esortazione apostolica postsinodale Africae Munus è certamente la giustizia. Il Papa lo ha affermato con decisione durante il recente viaggio apostolico in Benin, consegnando il documento alle Chiese africane. I cattolici del continente hanno una grande responsabilità nel favorire l’affermarsi di una stagione di riconciliazione e di equità nel continente, come afferma padre Giulio Albanese, direttore di “Popoli e Missione”, il mensile delle Pontificie Opere Missionarie. L’intervista è di Alessandro De Carolis:

R. – Nelle società africane oggi si sta radicando sempre di più la consapevolezza del bene comune e questo attraverso la società civile, che non riguarda solo associazioni e movimenti ma anche le comunità cristiane. Per cui, il contributo che la Chiesa cattolica in questo senso può dare è estremamente importante. Anche perché questo è un modo per andare davvero al di là di quella solita contrapposizione tra terzomondisti, da una parte – che tengono sempre il dito puntato sulle responsabilità dei Paesi industrializzati o neo colonialisti – e quella dei detrattori nei confronti dell'Africa, i reazionari che dicono che se l’Africa va male è colpa degli africani. Quello che mi ha colpito – anche se gli aspetti importanti del documento sono davvero tanti – è il fatto che il Santo Padre sia riuscito a cogliere alcune questioni davvero nevralgiche: per esempio, lo sfruttamento delle materie prime. Purtroppo, le risorse di questo continente sono oggi, di fatto, svendute. Ecco perché è importante che si riaffermi il primato della politica. In fondo, il Papa nell’Esortazione Apostolica parla di buon governo degli Stati, che si esprime nel rispetto delle Ccostituzioni, delle libere elezioni, di amministrazioni trasparenti e non tentate dunque dalla corruzione: troppe volte le classi dirigenti, invece di servire le classi medie, che rappresentano la maggioranza del continente, hanno piuttosto fatto gli interessi di poteri stranieri.

D. – I campi d’azione individuati dal documento del Papa, nei quali specie la Chiesa è chiamata a lavorare per radicare questa giustizia, sono tanti e noti: famiglia, donne, bambini, vita. Per l’Africa, tutto questo è però legato anche a un’offerta di solidarietà. E Benedetto XVI parla ancora di "globalizzazione della solidarietà": ma che cosa questo significa per l’Africa?

R. – Globalizzazione della solidarietà significa innanzitutto imparare a capire e comprendere che abbiamo un destino comune e questa è una coscienza che deve partire innanzitutto e soprattutto nel contesto delle comunità cristiane. Viviamo in un mondo villaggio globale. Quindi, il destino delle Afriche è intimamente legato, connesso a quello di altre nazioni, a quello di altri continenti. E a pensarci bene, in questo senso, l’evangelizzazione viene proposta proprio come globalizzazione perspicace, intelligente, di Dio.

D. – Da troppe generazioni, l’Africa rappresenta, per l’Occidente in particolare, lo stereotipo di ciò che non funziona, che è misero, che è instabile e, in definitiva, irredimibile. Colpisce allora la convinzione di Benedetto XVI, che parla invece di Africa come di un continente dai valori positivi, in cui la speranza è possibile...

R. – L’Africa, certamente, deve andare al di là dell’autocommiserazione, perché possiede al proprio interno le risorse per farcela. E questo in che maniera? Affermando quella che è la Dottrina sociale della Chiesa. E è una sfida che riguarda certamente anche i cosiddetti donatori, i “donors”, che devono andare al di là di un atteggiamento all’insegna dell’assistenzialismo. Ma è soprattutto importante che siano le culture africane a prendare consapevolezza del patrimonio ancestrale rappresentato dai loro avi. A me, quello che ha colpito molto, leggendo l’Esortazione Apostolica, ma anche seguendo i vari interventi del Papa, è questa attenzione alle culture africane, che rappresentano una grande risorsa. E allora, a partire proprio da questo vissuto – da un senso molte volte di fraternità – ci sono state in questi anni bellissime testimonianze: pensiamo alla Chiesa sierraleonese, piccolo gregge che è riuscito a essere un segno di contraddizione tra gli opposti schieramenti, promuovendo la pace. Pensiamo al ruolo delle donne nella Repubblica Democratica del Congo in favore della giustizia. Ci sono tante belle testimonianze di cristiani impegnati, che a partire anche dalla propria esperienza culturale hanno capito che, in fondo, la vita va rispettata sempre e comunque. La Chiesa, da questo punto di vista, ha il compito di promuovere un senso di rispetto e di fratellanza a livello continentale, proprio perché gli africani, con il cuore e con la mente, comprendano a fondo, anche proprio grazie alla fede, che hanno insieme un destino comune. (ap)
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lunedì 21 novembre 2011

ACS Italia sulle condizioni nelle carceri in Pakistan

Pubblichiamo oggi un nuovo comunicato di ACS - Aiuto alla Chiesa che soffre*: tale comunicato si sofferma sulle difficili condizioni dei cristiani detenuti nelle carceri pachistane, a dimostrazione di come la discriminazione religiosa sia ancora una triste e sofferente realtà che però viene costantemente ignorata dai media e dalla comunità internazionale. Il testo contiene alcune dichiarazioni dell’avvocato cattolico Moazzam Aslam Bhatti ad alcuni membri di ACS in questi giorni in visita a Faisalabad:


Aiuto alla Chiesa che Soffre
Opera di diritto pontificio

PAKISTAN: PER I CRISTIANI DETENUTI (SPESSO INGIUSTAMENTE)
DISCRIMINAZIONI ANCHE IN CARCERE

«I cristiani sono discriminati ed emarginati in tutto il Pakistan, ma per quelli in carcere la situazione è insostenibile». È quanto dichiara l’avvocato cattolico Moazzam Aslam Bhatti ad alcuni membri di Aiuto alla Chiesa che Soffre in questi giorni in visita a Faisalabad.  

Bhatti ha studiato in Gran Bretagna e, conseguita la laurea, è tornato immediatamente in Pakistan per sostenere i suoi connazionali: «Anziché accettare convenienti offerte di lavoro all’estero – spiega ad ACSho preferito rientrare in patria e fare il possibile per aiutare la mia gente. I nostri fratelli nella fede hanno bisogno di maggiore aiuto e assistenza legale ed io sono orgoglioso di poter contribuire ad alleviare le loro sofferenze in una parte del mondo in cui sono oppressi e lasciati ai margini della società».
I cristiani detenuti nelle carceri pachistane vivono in condizioni inaccettabili e sono discriminati perfino nella distribuzione di viveri, medicine e vestiario. La loro sofferenza è grande e non può essere alleviata dalla preghiera: chi non è musulmano non ha diritto a praticare la propria religione in prigione.

Con padre Iftikhar Moon, responsabile della pastorale carceraria, ed altri religiosi domenicani della diocesi, il giovane avvocato visita regolarmente gli oltre 5mila carcerati di Faisalabad e fornisce gratuitamente assistenza legale. I circa 100 cristiani detenuti – tutti di umile estrazione sociale – sono troppo poveri per permettersela: «Molti sono stati condannati per reati minori e verrebbero immediatamente scarcerati se solo potessero pagare le ammende stabilite dal giudice». Dietro le sbarre, anche tanti bambini costretti a vivere nelle celle in cui sono rinchiuse le madri.
Nella prigione centrale di Faisalabad sono reclusi quasi 100 cristiani, alcuni perché accusati di blasfemia: tra loro, Imran Masih, commerciante di 26 anni, accusato d’aver bruciato delle pagine del Corano; arrestato il primo luglio del 2009, Masih si è sempre dichiarato innocente, ma nel gennaio del 2010, il tribunale lo ha condannato all’ergastolo.

Tale situazione ha una ricaduta drammatica anche sulle famiglie: per questo, Aiuto alla Chiesa che Soffre – da molti anni sostenitrice della Chiesa locale – nel luglio scorso ha stanziato 20mila euro proprio per quelle dei cristiani accusati ingiustamente di blasfemia e vittime di intimidazioni, rapimenti, conversioni e matrimoni forzati. Attraverso il vescovo di Faisalabad, monsignor Joseph Coutts – che da anni collabora con l’Opera – sono stati anche devoluti alla Commissione Nazionale di Giustizia e Pace 10mila euro a sostegno della pastorale.

Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS), Opera di diritto pontificio fondata nel 1947 da padre Werenfried van Straaten, si contraddistingue come l’unica organizzazione che realizza progetti per sostenere la pastorale della Chiesa laddove essa è perseguitata o priva di mezzi per adempiere la sua missione. Nel 2010 ha raccolto oltre 65 milioni di dollari nei 17 Paesi dove è presente con Sedi Nazionali e ha realizzato oltre 5.500 progetti in 153 nazioni.  
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L'auspicio del Papa nel congedo dal Benin: possano gli Africani vivere riconciliati nella pace e nella giustizia!

Da: Radio Vaticana


“Possano gli africani vivere riconciliati nella pace e nella giustizia!”: con questo auspicio il Papa ha concluso ieri il suo viaggio apostolico in Benin. Tre giorni intensi, caratterizzati dall’accoglienza straordinaria del popolo beninese. La cerimonia di congedo, ieri pomeriggio, all’aeroporto internazionale “Cardinale Bernardin Gantin” di Cotonou. In serata il rientro del Papa in Vaticano. Il servizio del nostro inviato, Massimiliano Menichetti:

Tra gli applausi della folla festante che ha accompagnato costantemente con preghiere, canti e balli questo viaggio apostolico in Benin, il Papa ha lasciato il Paese non senza ricambiare il calore che ha contraddistinto questo pellegrinaggio di tre giorni:
“Mon voyage apostolique en terre africaine s’achève. …
Il mio viaggio apostolico in terra africana volge al termine. Sono riconoscente a Dio per questi giorni trascorsi con voi nella gioia e nella cordialità“.
Ho desiderato visitare di nuovo questo Continente – ha detto - per il quale ho una stima ed un affetto particolari, perché ho l’intima convinzione che è una terra di speranza. Ed è proprio l’esortazione alla speranza, alla conformazione al Salvatore e al rinnovato slancio al dialogo ecumenico ed interreligioso e alla missione che hanno scandito questo pellegrinaggio del Successore di Pietro:
“D’authentiques valeurs, capables d’instruire le monde, se trouvent ici …
Autentici valori, capaci di ammaestrare il mondo, si trovano qui e non chiedono che di sbocciare con l’aiuto di Dio e la determinazione degli Africani“.
E affidando a tutti i fedeli l’Esortazione apostolica post-sinodale Africae munus, ha precisato che “essa apre prospettive pastorali e che susciterà interessanti iniziative” tradotte in “azioni concrete” nella “vita quotidiana”. Il Papa ha affidato l’accompagnamento, per l’attuazione” del documento, al cardinale Gantin, definito “eminente figlio del Benin” e alla cui tomba ha reso omaggio a Ouidah.
“Durant cette visite, j’ai pu rencontrer diverses composantes de la société …
Durante questa visita, ho potuto incontrare diverse componenti della società del Benin, e membri della Chiesa. Questi numerosi incontri, così diversi nella loro natura, testimoniano la possibilità di una coesistenza armoniosa in seno alla Nazione, e tra la Chiesa e lo Stato”.
“La buona volontà e il rispetto reciproco – ha aggiunto - aiutano non solamente il dialogo, ma sono essenziali per costruire l’unità tra le persone, le etnie e i popoli”:
Vivre ensemble en frères, malgré de légitimes différences, ...
Vivere insieme da fratelli, nonostante le legittime differenze, non è un’utopia“.
Poi ha esortato l’Africa “ad indicare al resto del mondo la strada da prendere per vivere una fraternità autentica nella giustizia fondandosi sulla grandezza della famiglia e del lavoro”:
“Puissent les Africains vivre réconciliés dans la paix et la justice! ...
Possano gli Africani vivere riconciliati nella pace e nella giustizia! Ecco l’augurio che formulo con fiducia e speranza prima di lasciare il Benin e il Continente africano”.
Quindi prima della benedizione in lingua fon l’incoraggiamento per l’intero Continente a essere sempre di più sale della terra e luce del mondo.
ACƐ MAWU TƆN NI KƆN DO BENIN TO Ɔ BI JI
Dio benedica il Benin!“.
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domenica 20 novembre 2011

Il Papa nella Messa a Cotonou: l'amore di Cristo ci spinge a rispondere al grido dei poveri e dei deboli

Da: Radio Vaticana


“Siate sale e luce di Cristo nella terra africana”. E’ il mandato missionario affidato da Benedetto XVI e ricevuto con entusiasmo nello “Stadio dell’Amicizia” di Cotonou, dove il Papa ha presieduto la Santa Messa per la consegna, a tutti i vescovi del Continente, dell’Esortazione post-sinodale “Africae munus”. Nella Solennità di Cristo Re dell’Universo, Benedetto XVI ha invitato con forza ad ascoltare il grido dei poveri e dei deboli. Il servizio del nostro inviato Massimiliano Menichetti:

(canti) 

80 mila persone, 30 mila nello Stadio, circa 50 mila dai maxischermi, hanno aspettato il Papa nel principale anfiteatro della città di Cotonou, lo “Stadio de l’Amitié”, trasformandolo in un’enorme arena di preghiera, canti e balli di ringraziamento a Dio. 

(canti) 

Il popolo del Benin e dell’intera Africa si è riunito attorno a Benedetto XVI, col cuore aperto all’ascolto della Parola di Dio e alla gioia dell’incontro con Cristo negli occhi. Una festa della fede di tre giorni, culminata nella grande Messa di oggi che ha visto la consegna, a tutti i vescovi del Continente, dell’Esortazione post-sinodale “Africae munus”. 

(canti all’arrivo del Papa) 

E i suoni dell’Africa sono letteralmente esplosi all’arrivo della papamobile, animati dai coloratissimi vestiti locali: quelli creati per i 150 anni di evangelizzazione del Paese e per la venuta del Successore di Pietro; abiti gialli e bianchi con croci, uomini e monumenti stilizzati in rosso, viola e verde. 

(canti) 

“Siate testimoni ardenti della fede che avete ricevuto!”: così il Papa nell’Omelia. Nella solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo, il Papa ha dato mandato missionario a tutta l’Africa nella risposta totale di sé a Cristo. Ha mostrato la luce del Signore, morto sulla croce per l’umanità intera e che si è fatto servo dei più piccoli, prendendo il “volto di quanti hanno fame, sete, degli stranieri, di quanti sono nudi, malati o prigionieri”:

“Sans doute cela peut nous paraître déconcertant ! Aujourd’hui encore, …
Indubbiamente questo ci può sembrare sconcertante! Ancor oggi, come 2000 anni fa, abituati a vedere i segni della regalità nel successo, nella potenza, nel denaro o nel potere, facciamo fatica ad accettare un simile re, un re che si fa servo dei più piccoli, dei più umili, un re il cui trono è una croce”.

“Ma è lì - ha aggiunto - che si manifesta la gloria di Cristo: è nell’umiltà della sua esistenza terrena che Egli trova il potere di giudicare il mondo”. “Cristo ha vinto la morte e ci trascina dietro di Sé nella sua risurrezione – ha sottolineato Benedetto XVI – e ci introduce in un mondo nuovo”, spezzando “il mondo vecchio” e “tante paure” che “ci tengono prigionieri e ci impediscono di vivere liberi e lieti”:

“Laissez le Christ nous libérer de ce monde ancien !
Lasciate che Cristo ci liberi da questo mondo vecchio! La nostra fede in Lui, che è vincitore di tutte le nostre paure, di ogni nostra miseria, ci fa entrare in un mondo nuovo, un mondo in cui la giustizia e la verità non sono una parodia, un mondo di libertà interiore e di pace con noi stessi, con gli altri e con Dio. Ecco il dono che Dio ci ha fatto nel Battesimo!"

Quindi il Papa si è rivolto a tutte le persone che “soffrono, ai malati, a quanti sono colpiti dall’Aids o da altre malattie, a tutti i dimenticati della società”: 
“Gardez courage ! Le Pape vous est proche par la prière et la pensée. …
Abbiate coraggio! Il Papa vi è vicino con la preghiera e con il ricordo. Abbiate coraggio! Gesù ha voluto identificarsi con i piccoli, con i malati; ha voluto condividere la vostra sofferenza e riconoscere in voi dei fratelli e delle sorelle, per liberarli da ogni male, da ogni sofferenza! Ogni malato, ogni povero merita il nostro rispetto e il nostro amore, perché attraverso di lui Dio ci indica la via verso il cielo”.

Il Papa ha poi ricordato i 150 anni di evangelizzazione nel Paese e ha reso grazie ai missionari che “piantarono la Croce di Cristo” in Benin. Salutando “la memoria del venerato cardinale Bernardin Gantin” lo ha indicato quale “esempio di fede e di sapienza per il Benin e per tutto il continente africano!”

(applausi)

Quindi l’invito ad essere testimoni autentici di Cristo sulle orme dei missionari:

“Après 150 ans, nombreux sont ceux qui n’ont pas encore entendu …
Dopo 150 anni, molti sono coloro che non hanno ancora udito il messaggio della salvezza di Cristo!”.

Ha parlato di coloro che fanno resistenza ad aprire il proprio cuore di chi è debole nella fede e chi nel modo di vivere ignora la realtà del Vangelo, vivendo esclusivamente nella ricerca di un benessere egoista:

“Faites resplendir en tous lieux le visage aimant du Sauveur
Fate risplendere in ogni luogo il volto amorevole del Salvatore, in particolare davanti ai giovani alla ricerca di ragioni di vita e di speranza in un mondo difficile!”.

(applausi)

Il Santo Padre ha rimarcato che il “cristiano è un costruttore instancabile di comunione, di pace e di solidarietà”:

“Chers frères et sœurs, je vous engage donc à affermir votre foi …
Cari fratelli e sorelle, vi invito perciò a rafforzare la vostra fede in Gesù Cristo, operando un’autentica conversione alla sua persona. Soltanto Lui ci dà la vera vita e ci può liberare da tutte le nostre paure e lentezze, da ogni nostra angoscia".

“Ritrovate le radici della vostra esistenza nel Battesimo”, ha detto, auspicando una fervida testimonianza di forza nella fede “da trasmettere alle nuove generazioni” 

“AKLUNƆ NI KƆN FƐNU TƆN LƐ DO MI JI
Che il Signore vi colmi delle sue grazie”, ha detto in lingua fon. 
Poi proseguendo in inglese ha rimarcato che è Cristo a rimuovere “tutto ciò che ostacola la riconciliazione, la giustizia e la pace”, ha sottolineato che la vera regalità non consiste in una dimostrazione di potenza, ma nell’umiltà del servizio, non consiste nell’oppressione dei deboli, ma nella capacità di proteggerli e condurli alla vita in abbondanza:

“Christ reigns from the Cross and, with his arms open wide, …
Cristo regna dalla Croce e, con le sue braccia aperte, abbraccia tutti i popoli della terra e li attira verso l’unità. Mediante la Croce, abbatte i muri della divisione, ci riconcilia gli uni con gli altri e con il Padre. Preghiamo oggi per i popoli dell’Africa, affinché tutti possano essere capaci di vivere nella giustizia, nella pace e nella gioia del Regno di Dio”. 

Volgendosi all’Africa lusofona ha esortato alla sequela di Cristo per diventare costruttori del Suo regno di riconciliazione, di giustizia e di pace:

“Aqui Deus cruza-se com a nossa liberdade. ...
Qui Dio si incontra con la nostra libertà. Noi – e soltanto noi – possiamo impedirgli di regnare su noi stessi e, di conseguenza, rendere difficile la sua signoria sulla famiglia, sulla società e sulla storia. A causa di Cristo, numerosi uomini e donne si sono vittoriosamente opposti alle tentazioni del mondo per vivere fedelmente la propria fede, talvolta sino al martirio. Cari Pastori e fedeli, siate, sul loro esempio, sale e luce di Cristo nella terra africana!”.

(canto)

Poi la consegna dell’Esortazione apostolica post-sinodale "Africae munus" a tutte le Chiese particolari, tramite i vescovi presenti:

“Ce texte désire promouvoir, encourager et consolider les différentes …
Questo testo intende promuovere, incoraggiare e consolidare le diverse iniziative locali già esistenti. Intende altresì ispirarne altre per la Chiesa cattolica in Africa”.

Benedetto XVI è tornato ad evidenziare che una “delle prime missioni della Chiesa è l’annuncio di Gesù Cristo e del suo Vangelo ad gentes, ossia l’evangelizzazione di coloro che, in un modo o nell’altro, sono lontani dalla Chiesa”. “Cara Chiesa in Africa, sii sempre più il sale della terra”:

“Sê o sal da terra africana, abençoada pelo sangue de tantos mártires
Sii il sale della terra africana, benedetta dal sangue di tanti martiri, uomini, donne e bambini, testimoni della fede cristiana fino al dono supremo della loro vita! Sii luce del mondo, luce dell’Africa che spesso, attraverso le prove, cerca la via della pace e della giustizia per tutti i suoi abitanti. La tua luce è Gesù Cristo, “Luce del mondo” (Gv 8,12). Dio ti benedica, cara Africa”.

(applausi) 

Al termine della Messa prima della preghiera dell’Angelus il Papa ha affidato alla Vergine Maria, Nostra Signora d’Africa, la sfida della nuova evangelizzazione nel Continente e la protezione delle famiglie:

“Chers frères et sœurs … 
Cari fratelli e sorelle dell’Africa, terra ospitale per la Santa Famiglia, continuate a coltivare i valori familiari cristiani. Mentre tante famiglie sono divise, esiliate, funestate da conflitti senza fine, siate gli artefici della riconciliazione e della speranza. Con Maria, la Vergine del Magnificat, possiate sempre rimanere nella gioia. Questa gioia sia al cuore delle vostre famiglie e dei vostri Paesi!"
(canto)
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venerdì 18 novembre 2011

Il Papa verso il Benin. Il saluto di Monti a Fiumicino

Da: Radio Vaticana


Il Papa, dunque, ha iniziato il suo viaggio in Benin. A salutarlo stamani, all'aeroporto di Fiumicino, il nuovo presidente del Consiglio italiano Mario Monti. L’arrivo alle 15.00 circa nell’aeroporto internazionale “Cardinale Bernardin Gantin” di Cotonou. Il 22.mo viaggio apostolico di Benedetto XVII, il secondo in terra africana, si inserisce nei festeggiamenti per i 150 anni dell’evangelizzazione del Paese. Tra gli eventi principali, la consegna dell’Esortazione apostolica che raccoglie quanto emerso nel secondo Sinodo dei Vescovi per l'Africa. Il servizio del nostro inviato, Massimiliano Menichetti:


Il caldo africano e un cielo che nasconde a tratti il sole offrono il loro benvenuto al Papa. Qui a Cotonou c’è chi ancora lavora per aggiustare strade sconnesse, sistemare transenne; si stendono striscioni soprattutto nei luoghi che visiterà il Santo Padre, si distribuiscono bandierine bianche e gialle. Secondo i quotidiani locali, circa 60mila pellegrini si sono aggiunti alla popolazione della capitale economica del Paese. Ad abbracciare il Papa lungo il percorso che va dall’aeroporto internazionale “Cardinale Bernardin Gantin” alla cattedrale, l’affetto della popolazione e tanti bambini, che dicono di voler vedere “l’uomo vestito di bianco che porta la pace”. Il tragitto è stato studiato in modo tale che tutti i distretti di Cotonou potranno beneficiare del passaggio di Benedetto XVI. 

Bloccati per tre giorni i mezzi pesanti in città, per motivi di sicurezza e di transito; a centinaia di venditori ambulanti e proprietari di chioschi è stato chiesto di non occupare aree. Continuano ad imperversare invece i fumosi e spericolati zemidjan, i motorini di Cotonou, principale mezzo di spostamento. La papamobile compie un doppio percorso, attraverso i due ponti sul canale tra la laguna Nokoué e l’Oceano Atlantico, per arrivare alla cattedrale di Nostra Signora della Misericordia, che spicca con le sue linee rosse e bianche: ad attenderlo, oltre 800 persone. Qui, il saluto dell’arcivescovo di Cotonou e presidente della Conferenza episcopale del Benin, mons. Antoine Ganyé, e il secondo discorso odierno del Papa dopo quello di arrivo in aeroporto. Ad accogliere Benedetto XVI, le scritte di benvenuto in francese e nelle lingue locali, lungo le strade, sui muri. Vicino al palazzo presidenziale anche quattro piccoli manifesti in lingua italiana che gridano “Viva il Papa”.

Per 46 ore Benedetto XVI si immergerà nei colori e sapori di un popolo povero economicamente, ma con la speranza nel cuore e la voglia di alzarsi, proprio come l’invito che fece il Papa al secondo Sinodo per l’Africa, due anni fa. Grande è l’attesa per la consegna dell’Esortazione post-sinodale, a Ouidah, che segue i lavori del Sinodo e che incarna i valori di riconciliazione, giustizia e pace, esortando l’Africa a seguire Cristo per vincere ogni sfida. La preghiera, la gioia e i suoni della “Grande Africa” accompagnano il Santo Padre in questo pellegrinaggio di speranza.
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giovedì 17 novembre 2011

Il Papa in Benin per rilanciare la speranza in Africa

Da: Radio Vaticana


Il Benin si prepara ad accogliere il Papa che domani pomeriggio giungerà nell’aeroporto internazionale di Cotonou “Cardinale Bernardin Gantin”. Il 22.mo viaggio apostolico di Benedetto XVI, il secondo in terra africana, si inserisce nei festeggiamenti per i 150 anni dell’evangelizzazione del Paese. Tra gli eventi principali, la consegna dell’Esortazione apostolica che raccoglie quanto emerso nel secondo Sinodo dei Vescovi per l'Africa; l’omaggio alla tomba del cardinale Gantin nella Basilica di Ouidah e la visita al seminario della città, il primo dell’Africa Occidentale. Da Cotonou, il servizio del nostro inviato Massimiliano Menichetti:

E’ il Benin degli abiti colorati, delle ceste di frutta portate con fierezza sulla testa dalle donne; dei fumosi e intrepidi zemidjan, i motorini di Cotonou, capitale economica del Paese, che si appresta ad abbracciare il Papa. Un Paese povero, dove le bancarelle in lamiera e legno scorrono senza soluzione di continuità sotto le palme che collegano il tragitto che farà il Papa in questi giorni, da Cotonou a Ouidah, capitale religiosa dello Stato, e dove le zuppe sono vendute sul ciglio della strada, vicino a bottiglie di benzina non regolare a basso costo, banane, spezie, copertoni, ananas, papaya persino divani e bare. In queste ore, nonostante il caldo e la forte umidità, si lavora senza sosta per pitturare, tappare buche, asfaltare, abbellire il più possibile. “Arriva il Santo Padre” è la frase ricorrente, anche di chi non è cattolico, che vuole comunque ascoltare la voce di un “Capo importante”, rimarcano. Tutte le testate del Paese scrivono della imminente venuta del Successore di Pietro: il quotidiano “La Nation” apre con una foto-notizia del Papa e la didascalia: “L’Africa è un Continente da esplorare”. Il quotidiano ha anche realizzato uno speciale sulla visita di circa 80 pagine. “Fraternité” scrive come la capitale si stia facendo bella. Benedetto XVI arriverà a Cotonou, prima tappa di un viaggio di tre giorni, attraversando entrambi i lati della città. Vedrà i grandi cartelloni che ritraggono il suo volto con scritto “Kwabo” “Ekabo Wezon, Nakayo” – “Benvenuto” nelle lingue locali. Soprattutto vedrà e respirerà l’accoglienza di un intero popolo che nella sua semplicità, povertà, e diversità di culti attende con amore filiale le parole di riconciliazione, giustizia e pace che porterà con sé. Ascoltiamo alcune voci:

R. – La visite du Pape d’abord c’est une grâce que Dieu nous donne…
La visita del Papa è una grazia che Dio ci fa, quella di ricevere qui il Santo Padre qui, nella nostra terra africana. Il messaggio che egli ci porta è un messaggio per la riconciliazione, la giustizia e la pace.

R. – Je crois que c’est un honneur pour le Bénin d’abord, pour l’Afrique ensuite …
Credo che sia un onore intanto per il Benin, e poi per l’Africa e per il mondo intero: il Benin è stato scelto tra tanti altri Paesi che avrebbero voluto accogliere il Papa! Penso che questo favorirà il messaggio che il Santo Padre ci porta in cui parla di riconciliazione, di giustizia e di pace. Questo messaggio non riguarda soltanto i cattolici: è un messaggio che riguarda tutto il mondo. Penso che questa visita contribuirà a rinsaldare i cuori, soprattutto in questo periodo di crisi economica. Penso che questa visita porterà grandi frutti!

D. – Cosa si aspetta da questa visita?

R. – Da questa visita, io mi aspetto una conversione da parte del nostro popolo. Auguro che questa visita del Papa ci porti la conversione e tanto amore per Cristo.

D. – Di che cosa ha bisogno il Benin, secondo lei?

R. – Di un po’ di maturità spirituale. E’ vero che siamo ferventi, però c’è da lavorare ancora … (gf)
Il Papa visiterà la cattedrale di Cotonou; a Ouidah renderà omaggio alla tomba del cardinale Gantin, nel più antico e importante seminario di tutta l’Africa Occidentale. Proprio a Ouidah convergono la memoria della deportazione degli schiavi e la rinascita: in quel luogo, 150 anni fa i missionari SMA (Società delle Missioni Africane) impiantarono quella che oggi è diventata la florida Chiesa beninese che tanto ha inciso nel passaggio dal regime marxista-leninista alla democratizzazione. Tutto il Benin cattolico (alcune fonti parlano di un 17% su una popolazione di circa 7 milioni di abitanti) è già in festa: nelle chiese, nelle parrocchie si provano i canti che accompagneranno il Papa, si prega per sostenerlo, perché ogni cuore sappia ascoltare. Grande è l’attesa per la consegna dell’Esortazione post-sinodale che sarà sintesi delle 57 Proposizioni finali del secondo Sinodo speciale per l’Africa di due anni fa: un documento guardato come fonte per un nuovo slancio nella fede. Centrale sarà anche la Santa Messa di domenica, Solennità di Gesù Cristo Re dell’universo, nello “Stadio dell’Amicizia” di Cotonou, dove il Papa con oltre 200 vescovi si stringerà in preghiera con tutta l’Africa.
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martedì 15 novembre 2011

Un ponte tra Est ed Ovest

Pubblichiamo oggi un nuovo comunicato di ACS - Aiuto alla Chiesa che soffre*: tale comunicato contiene alcune dichiarazioni dell’arcivescovo di Belgrado, monsignor Stanislav Hočevar, sull’unità dei cristiani:


Aiuto alla Chiesa che Soffre
Opera di diritto pontificio

UN PONTE TRA EST E OVEST

«Possiamo costruire ponti tra Est e Ovest». In visita alla Sede internazionale di Aiuto alla Chiesa che Soffre a Konigstein, l’arcivescovo di Belgrado, monsignor Stanislav Hočevar, ha richiamato all’unità dei cristiani. Vescovo dal 2001 e membro della Conferenza episcopale internazionale dei Ss. Cirillo e Metodio che comprende i vescovi cattolici di Serbia, Montenegro, Macedonia e Kosovo, Hočevar ha insistito sulla necessità di una maggiore conoscenza reciproca della storia, della cultura e delle tradizioni. «Dobbiamo imparare a conoscerci meglio» ha affermato.
Nell’epoca della globalizzazione la scarsa unità dei cristiani orientali e occidentali è da considerarsi ancor più grave, specialmente nell’ottica di una sempre maggiore integrazione europea. «Una piena comprensione potrà aiutarci ad essere più uniti» ha ribadito monsignor  Hočevar, portando ad esempio le relazioni tra Stato e Chiesa. Un rapporto nell’Europa dell’Est da sempre molto stretto – spesso definito come «sinfonia» – che è però difficilmente comprensibile in Occidente. Un tratto tipico dell’Europa Orientale è la moltitudine di Chiese nazionali e aderire alla Chiesa ortodossa è considerato parte dell’identità nazionale. «Così come – ha spiegato ad ACS l’arcivescovo – la condotta delle nazioni occidentali viene spesso identificata con la posizione della Chiesa cattolica: molti, infatti, non capiscono, oppure ignorano, la tradizionale separazione occidentale tra Stato e Chiesa».
In merito alla questione kosovara, l’arcivescovo Hočevar, originario della Slovenia e appartenente all’Ordine Salesiano, ha auspicato una maggiore apertura nei confronti della posizione di Belgrado perché l’indipendenza del Kosovo – sostenuta dall’Occidente – è di difficile comprensione per i serbi. «Per loro il Kosovo è un simbolo e la posizione dell0’Occidente è considerata un’ingiustificata, unilaterale espressione di solidarietà verso i musulmani», ha affermato. «Entrambe le parti però – ha aggiunto – farebbero bene a risolvere il problema in maniera pacifica e armandosi di grande pazienza. Perché popoli che soltanto recentemente hanno rovesciato dei regimi totalitari, hanno bisogno di tempo per imparare i rudimenti del processo democratico».
Per l’arcivescovo di Belgrado, in un contesto come questo, le Chiese devono saper giocare un ruolo di grande rilevanza: «Possiamo e dobbiamo costruire ponti tra Est e Ovest», ha concluso.


“Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS), Opera di diritto pontificio fondata nel 1947 da padre Werenfried van Straaten, si contraddistingue come l’unica organizzazione che realizza progetti per sostenere la pastorale della Chiesa laddove essa è perseguitata o priva di mezzi per adempiere la sua missione. Nel 2010 ha raccolto oltre 65 milioni di dollari nei 17 Paesi dove è presente con Sedi Nazionali e ha realizzato oltre 5.500 progetti in 153 nazioni.  
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lunedì 14 novembre 2011

Messaggio del Papa per il 50.mo della proclamazione della Vergine dei Trentatré a Patrona dell’Uruguay

Da: Radio Vaticana

Una giornata di festa per tutto l’Uruguay, strettosi attorno alla Vergine dei Trentatré, nel 50.mo dell’incoronazione e proclamazione a Patrona dell’Uruguay da parte di Giovanni XXIII. Per l’occasione, Benedetto XVI ha inviato un messaggio, a firma del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, nel quale sottolinea il particolare legame del popolo uruguayano con la Madre di Dio. Il servizio di Alessandro Gisotti:

“Madre, con te coroniamo le speranze del nostro popolo”: all’insegna di questo motto e affidamento, una moltitudine di pellegrini si è raccolta ieri al Santuario della Vergine dei Trentatré, nella cittadina di Florida per celebrare il 50.mo anniversario della proclamazione della Madonna a Patrona dell’Uruguay. La piccola statua di legno, alta solo 36 centimetri, veglia però da ben più di mezzo secolo sul popolo uruguayano: la tradizione vuole infatti che provenga dalle missioni dei padri gesuiti; già alla fine del XVIII secolo fu eretta una cappella per custodire l’immagine sacra. Per questo evento giubilare, Benedetto XVI ha inviato un messaggio al presidente della Conferenza episcopale uruguayana e vescovo di Mercedes, mons. Carlos Maria Collazzi Irazábal. Un messaggio letto durante la celebrazione nel Santuario gremito di fedeli:

“El Sumo Pontifice les exhorta a acrecenter…”
“Il Sommo Pontefice – sottolinea il messaggio – esorta gli uruguayani ad accrescere la devozione alla Madre di Dio, così intensamente viva nel seno delle famiglie e delle comunità cristiane” della “benedetta” terra dell’Uruguay. Seguendo l’esempio della Regina del Cielo, scrive ancora il Papa, i fedeli sono chiamati ad accogliere “con docilità il Vangelo e a dedicarsi assiduamente alla preghiera”:

“De este modo, encontrarán fuerzas…”
“In questo modo – è l’esortazione del Papa – riceveranno forza dall’essere autentici discepoli e missionari di Gesù Cristo” rimanendo radicati nella fede, forti nell’amore per la Chiesa e “sempre disponibili a collaborare con tutti nella costruzione di una società sempre più giusta, fraterna e solidale”. Nella sua omelia, mons. Collazzi ha ricordato la recente pubblicazione della Lettera Pastorale che, ha detto, vuole essere un contributo di “speranza” per tutto il popolo dell’Uruguay. In particolare, il presule ha messo l’accento sulla difesa della dignità della persona umana, sulla ricerca della verità e sulla promozione della famiglia e dell’educazione.
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domenica 13 novembre 2011

All’Angelus il Papa ricorda la parabola dei talenti: “Sarebbe da stolti pensare che questi doni siano dovuti, così come rinunciare ad impiegarli sarebbe un venir meno allo scopo della propria esistenza”

Da: Radio Vaticana



Nel Vangelo di oggi, la parabola dei talenti, Gesù ci invita a riflettere sui doni che abbiamo ricevuto e a come usarli per la crescita del Regno di Dio. E’ quanto ha sottolineato stamani Benedetto XVI all’Angelus aggiungendo che la Parola di Dio ci esorta alla sobrietà, alla vigilanza e ad una vita cristiana attiva e diligente. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

Nella celebre parabola dei talenti - ricorda il Papa - Gesù racconta di tre servi ai quali il padrone, prima di partire per un lungo viaggio, affida le proprie sostanze. Due di loro fanno fruttare i beni ricevuti. Il terzo servo, invece, nasconde il denaro in una buca. Tornato a casa, il padrone si compiace dei primi due servitori e rimane deluso del terzo:
“Quel servo, infatti, che ha tenuto nascosto il talento senza valorizzarlo, ha fatto male i suoi conti: si è comportato come se il suo padrone non dovesse più tornare, come se non ci fosse un giorno in cui gli avrebbe chiesto conto del suo operato”. 

Il talento – aggiunge il Papa - non può essere disgiunto dalla missione da compiere affidata dal Signore ad ogni persona:

“Con questa parabola, Gesù vuole insegnare ai discepoli ad usare bene i suoi doni: Dio chiama ogni uomo alla vita e gli consegna dei talenti, affidandogli nel contempo una missione da compiere. Sarebbe da stolti pensare che questi doni siano dovuti, così come rinunciare ad impiegarli sarebbe un venir meno allo scopo della propria esistenza”.

Il Santo Padre ricorda il commento alla pagina evangelica dei talenti da parte di San Gregorio Magno:

“Egli scrive: È perciò necessario, fratelli miei, che poniate ogni cura nella custodia della carità, in ogni azione che dovete compiere” (Omelie sui Vangeli 9,6). E dopo aver precisato che la vera carità consiste nell’amare tanto gli amici quanto i nemici, aggiunge: se uno manca di questa virtù, perde ogni bene che ha, è privato del talento ricevuto e viene buttato fuori, nelle tenebre”.

“La carità – osserva il Papa - è il bene fondamentale che nessuno può mancare di mettere a frutto e senza il quale ogni altro dono è vano”. “Solo praticando la carità, anche noi potremo prendere parte alla gioia del nostro Signore”. La Parola di Dio di questa domenica – afferma il Santo Padre - “ci ammonisce circa la provvisorietà dell’esistenza terrena e ci invita a viverla come un pellegrinaggio”, tenendo lo sguardo rivolto alla meta, “a quel Dio che ci ha creato e, poiché ci ha fatto per sé (cfr S. Agostino, Conf. 1,1), è il nostro destino ultimo e il senso del nostro vivere”.

“Passaggio obbligato per giungere a tale realtà definitiva è la morte, seguita dal giudizio finale. L’apostolo Paolo ricorda che 'il giorno del Signore verrà come un ladro di notte' (1 Ts 5,2), cioè senza preavviso. La consapevolezza del ritorno glorioso del Signore Gesù ci sprona a vivere in un atteggiamento di vigilanza, attendendo la sua manifestazione nella costante memoria della sua prima venuta”. 

Dopo la recita dell'Angelus, salutando i pellegrini di lingua francese, Benedetto XVI ha affidato alla preghiera dei fedeli il viaggio che da venerdì a domenica prossimi lo porterà in Benin, in Africa, e anche gli sforzi di chi, in quel Continente, opera per la sicurezza delle popolazioni, la riconciliazione e la pace. Il Santo Padre ha anche ricordato che oggi ricorre la Giornata Mondiale del Diabete, malattia cronica che affligge molte persone. “Prego per tutti questi fratelli e sorelle – ha detto il Papa - e per quanti condividono ogni giorno la loro fatica”. Il Pontefice ha infine rammentato che oggi la Chiesa italiana celebra la Giornata del Ringraziamento: 

“Guardando ai frutti della terra che anche quest’anno il Signore ci ha donato, riconosciamo che il lavoro dell’uomo sarebbe vano se Lui non lo rendesse fecondo. ‘Solo con Dio c’è futuro nelle nostre campagne’. Mentre rendiamo grazie, impegniamoci a rispettare la terra, che Dio ci ha affidato”.
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sabato 12 novembre 2011

Benedetto XVI sulle staminali embrionali: nessuna promessa di salute vale la distruzione di una vita umana

Da: Radio Vaticana


Chi persegue la ricerca sulle cellule staminali embrionali, distruggendole nel nome del progresso della medicina, commette una “grave violazione del diritto alla vita di ogni essere umano”. È l’affermazione cardine del discorso che Benedetto XVI ha rivolto questa mattina ricevendo in udienza in Vaticano i partecipanti alla Conferenza internazionale incentrata sullo studio delle cellule staminali adulte. Il loro utilizzo, ha affermato invece il Papa, non solleva problemi etici e permette alla scienza di essere realmente al servizio del bene dell’umanità. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Una certa ricerca scientifica non vorrebbe avere barriere etiche, in nome della promessa di migliore salute che dice di poter offrire – promessa, certo, di grande presa pubblica – ma anche in nome dei notevoli guadagni privati che tale ricerca può comportare. La Chiesa, che considera la vita un dono sacro di Dio, ha sempre rifiutato questa mentalità perché, ha asserito questa mattina il Papa, il progresso senza regole ha “costi umani inaccettabili”. La ricerca sulle cellule staminali embrionali e quella sulle cellule staminali adulte delinea in modo netto questa diversità di visione, sulla quale Benedetto XVI è tornato a pronunciarsi. Anzitutto, il Pontefice ha messo in chiaro le bellezza della scienza in quanto capacità dell’ingegno umano di “esplorare le meraviglie dell'universo, la complessità della natura e la bellezza peculiare della vita, compresa la vita umana”. Tuttavia, ha obiettato:

“Since human beings are endowed…
Dal momento che gli esseri umani sono dotati di anima immortale e sono creati ad immagine e somiglianza di Dio, ci sono dimensioni dell'esistenza umana che si trovano oltre i limiti di ciò che le scienze naturali sono competenti a determinare. Se tali limiti vengono violati, c'è il serio rischio che la dignità unica e inviolabile della vita umana possa essere subordinata a considerazioni meramente utilitaristiche”.

“La mentalità pragmatica che spesso influenza le decisioni nel mondo di oggi – ha incalzato Benedetto XVI – è fin troppo pronta a usare tutti i mezzi disponibili per raggiungere il fine desiderato, nonostante l’ampia prova delle conseguenze disastrose indotte da un tale pensiero”. Quando, ha osservato, la fine è in vista al punto che non c‘è niente di più “altamente auspicabile” come la scoperta di una cura per le malattie degenerative, ciò rappresenta una tentazione per “gli scienziati e i responsabili politici a spazzare via le obiezioni etiche e a procedere con qualsiasi ricerca che paia offrire la prospettiva di una svolta”: 

“Those who advocate research on embryonic stem cells…
Coloro che sostengono la ricerca sulle cellule staminali embrionali nella speranza di raggiungere un tale risultato commettono il grave errore di negare il diritto inalienabile alla vita di ogni essere umano, dal momento del concepimento alla morte naturale. La distruzione anche di una sola vita umana non può mai essere giustificata nei termini del beneficio che essa un giorno potrebbe portare a un altro”. 
Sul versante opposto, la ricerca sulle cellule staminali adulte rispetta i limiti etici ed è immagine di una scienza che “può dare un contributo davvero notevole alla promozione e alla salvaguardia della dignità dell'uomo”. Per questo anche i progressi in questo settore, ha affermato il Papa, possono ritenersi “molto considerevoli” poiché la possibilità di guarigione delle malattie degenerative croniche non è fatta a scapito degli embrioni umani ma, ha ricordato, “utilizzando tessuti di un organismo adulto, il sangue del cordone ombelicale al momento della nascita, o tessuti di feti morti di morte naturale”:

“The improvement that such theapies…
Il miglioramento che tali terapie promettono costituirebbe un significativo passo in avanti nella scienza medica, portando nuova speranza ai malati e alle loro famiglie. Per questo motivo, la Chiesa offre naturalmente il suo incoraggiamento a coloro che sono impegnati nel condurre e sostenere la ricerca di questo tipo, sempre a condizione che sia effettuata nel rispetto per il bene integrale della persona umana e il bene comune della società”.
Ne deriva, ha soggiunto, “che il dialogo tra scienza ed etica è della massima importanza al fine di garantire che i progressi della medicina non siano mai ottenuti al prezzo di costi umani inaccettabili”. E poi, oltre a “considerazioni puramente etiche”, ci sono – ha precisato Benedetto XVI – questioni di natura sociale, economica e politica che devono essere affrontati per garantire che i progressi della scienza medica vadano di pari passo con una giusta ed equa disponibilità di servizi sanitari":
“The Church thinks not only of the unborn…
La Chiesa non pensa solo al nascituro, ma anche a coloro che non hanno facile accesso a costose cure mediche. La malattia non fa eccezione fra le persone e giustizia vuole che ogni sforzo sia fatto per mettere i frutti della ricerca scientifica a disposizione di tutti coloro che ne trarranno beneficio, indipendentemente dai loro mezzi”.
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venerdì 11 novembre 2011

Ancora violenze e scontri in Nigeria

Pubblichiamo oggi un nuovo comunicato di ACS - Aiuto alla Chiesa che soffre*: tale comunicato si sofferma sulle recenti violenze nel Nord della Nigeria. Il testo contiene dichiarazioni del vescovo di Maiduguri, monsignor Oliver Dashe Doeme, e del nunzio apostolico monsignor Augustine Kasujja:


Aiuto alla Chiesa che Soffre
Opera di diritto pontificio

POLITICI CORROTTI ISTIGANO ALL’ODIO RELIGIOSO E SFRUTTANO I BOKO HARAM 
«I veri responsabili delle violenze e degli spargimenti di sangue nel Nord della Nigeria sono alcuni politici corrotti che istigano all’odio religioso». A dichiararlo ad Aiuto alla Chiesa che Soffre è monsignor Oliver Dashe Doeme, vescovo di Maiduguri, capitale dello Stato nigeriano del Borno, che punta il dito anche contro le forze dell’ordine, «incapaci di difendere i cittadini».

In una conversazione telefonica con ACS, il presule ha accusato le autorità locali di sfruttare le divisioni religiose interne per destabilizzare il clima e spodestare il governo. «L’amministrazione locale ha fortemente deluso la popolazione – racconta – consentendo gravi violazioni e minando la sicurezza stessa dei cittadini».

Nell’ultimo fine settimana, la serie di attentati del gruppo islamista «Boko Haram» ha provocato più di 100 morti. Epicentro delle violenze sono state la città di Damaturu e il vicino villaggio di Patiskum, in cui gli estremisti si sono scontrati con la polizia e hanno fatto esplodere numerosi ordigni in diverse moschee e chiese. Tra queste, quella di S. Mary a Damaturu, che venerdì è stata colpita da una bomba e ridotta in macerie. Il parroco e il vice-parroco, don James John e don Allan, hanno raccontato a monsignor Doeme di essersi messi in salvo appena prima dell’esplosione. «Era una delle chiese più grandi della nostra diocesi – ha detto il presule - capace di contenere migliaia di persone. Ed ora  è rimasta solo la cenere». Domenica scorsa la comunità si è dovuta riunire per la Messa in una sala parrocchiale.

Quella di S. Mary è il quinto edificio religioso colpito in soli otto mesi. Ad aprile è stata attaccata la cattedrale di Maiduguri e tre mesi dopo alcuni uffici della curia e l’alloggio dei sacerdoti. Il quarto episodio tre settimane quando una chiesa è stata incendiata da alcuni giovani.
«I giovani della regione sono reclutati con facilità dai gruppi estremisti – spiega il vescovo ad ACS - a causa della grave condizione di povertà e di disoccupazione e del basso livello d’istruzione».
Molti estremisti riescono ad infiltrarsi anche nei corpi di polizia, aggravando la criticità della situazione. «Se le forze dell’ordine fossero intervenute prima, molte persone avrebbero potuto salvarsi – afferma monsignor Dome – ma molti degli attentatori erano proprio membri della sicurezza». Il presule chiama in causa la responsabilità di alcuni politici – «di cui non posso fare i nomi» – che si servono dei Boko Haram per perseguire i propri interessi.  «Le autorità permettono ai fondamentalisti islamici di comprare le armi e fomentano l’odio interconfessionale. La religione – conclude – è un argomento molto delicato in Nigeria ed è molto facile scatenare nuove tensioni». Secondo il presule, il fine ultimo è quello di cacciare i cristiani dal Paese – oppure convertirli con la forza – per riuscire a imporre la legge coranica.

Dopo gli scontri dei giorni scorsi e le minacce di nuovi attentati da parte dei Boko Haram, la Chiesa chiede al Governo maggiore sicurezza.  E il nunzio apostolico, monsignor Augustine Kasujja, in una recente intervista ha espresso ad ACS-Italia estrema preoccupazione per le violazioni alla libertà religiosa che si verificano frequentemente in Nigeria, specie nel Nord del Paese. «La comunità internazionale – ha detto il rappresentante pontificio –  deve incoraggiare il governo nigeriano ad accogliere nell’ordinamento interno le norme e le convenzioni internazionali, facendole aderire alla Costituzione».

Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS), Opera di diritto pontificio fondata nel 1947 da padre Werenfried van Straaten, si contraddistingue come l’unica organizzazione che realizza progetti per sostenere la pastorale della Chiesa laddove essa è perseguitata o priva di mezzi per adempiere la sua missione. Nel 2010 ha raccolto oltre 65 milioni di dollari nei 17 Paesi dove è presente con Sedi Nazionali e ha realizzato oltre 5.500 progetti in 153 nazioni.  
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