domenica 30 ottobre 2011

Coerenza tra insegnamenti e condotta: così il Papa, che esprime vicinanza alle popolazioni di Thailandia e Italia colpite da alluvioni

Da: Radio Vaticana

“La buona dottrina va accolta, ma rischia di essere smentita da una condotta incoerente”: sono parole del Papa che all’Angelus ha parlato di coerenza e verità di insegnamenti ricordando che Cristo “pratica per primo il comandamento dell’amore, che insegna a tutti”. Benedetto XVI, ha rivolto un pensiero a quanti in Thailandia e in Italia sono stati colpiti in questi giorni dalle alluvioni e ha invitato tutti a confidare in Maria per seguire il cammino del Vangelo, ricordando che si conclude domani il mese del Rosario. Il servizio di Fausta Speranza:

“Legano fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito”: con queste parole di Gesù, Benedetto XVI, partendo dal Vangelo odierno, ricorda che Cristo ha rimproverato senza mezzi termini quanti “dicono ma non fanno”:

“Egli rimprovera gli scribi e i farisei, che avevano nella comunità un ruolo di maestri, perché la loro condotta era apertamente in contrasto con l’insegnamento che proponevano agli altri con rigore”
Non è in discussione l’insegnamento di “una buona condotta”, spiega il Papa ma c’è il rischio che venga smentita dall’incoerenza: 

“Gesù dice: «Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere» (Mt 23,3). L’atteggiamento di Gesù è esattamente l’opposto: Egli pratica per primo il comandamento dell’amore, che insegna a tutti, e può dire che esso è un peso leggero e soave proprio perché ci aiuta a portarlo insieme con Lui”. 
Benedetto XVI parla di incoerenza e ricorda che Cristo è “il nostro vero e unico Maestro”: il Figlio di Dio, il Verbo incarnato – dice - esprime la verità del suo insegnamento attraverso la fedeltà alla volontà del Padre, attraverso il dono di se stesso”. Cita San Bonaventura ricordando che bisogna riconoscere “l’autentico Maestro” e che ci sono “maestri che opprimono la libertà altrui in nome della propria autorità”. Poi chiarisce il posto che l’umiltà negli insegnamenti di Cristo: 

“Gesù condanna fermamente anche la vanagloria e osserva che operare «per essere ammirati dalla gente» (Mt 23,5) pone in balia dell’approvazione umana, insidiando i valori che fondano l’autenticità della persona.”
“Cari amici, - dice il Papa - il Signore Gesù si è presentato al mondo come servo, spogliando totalmente se stesso e abbassandosi fino a dare sulla croce la più eloquente lezione di umiltà e di amore.” Poi, dopo la preghiera mariana, il pensiero alle popolazioni colpite da forti piogge: 

“Vorrei esprimere la mia vicinanza alle popolazioni della Thailandia colpite da gravi inondazioni, come pure, in Italia, a quelle della Liguria e della Toscana, recentemente danneggiate dalle conseguenze di forti piogge. Assicuro per loro la mia preghiera”.
Nei saluti in varie lingue, in francese l’invito a guardare a Maria per essere sostenuti nel cammino sulla via del Vangelo: sostenuti nel vivere gli insegnamenti di Cristo e confortati nelle sofferenze. In inglese, l’invito a saper “coniugare umiltà e servizio caritatevole ai fratelli”, ad imitare il perfetto esempio di Cristo nella vita di ogni giorno. 
In tedesco il Papa ribadisce che il Signore è venuto, non per essere servito ma per servire e che “la vera dimensione umana si combina con l'atteggiamento di servizio”. 
In lingua spagnola l’invito a comportarsi sempre “con rettitudine di spirito”; in polacco un’affermazione forte: uno solo è il Maestro, Cristo, “per questo i principi morali provenienti dal Padre non possono essere oggetto di dubbio, di contrattazione, di discussione”. Con un invito a farci condurre dal Vangelo “alle opere concrete, nelle quali si manifesta l’amore che proviene da Dio Padre”. In italiano “un cordiale saluto alle Religiose Figlie di Cristo Re, insieme con i collaboratori laici che condividono il loro carisma e la loro missione”. Un saluto “con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli provenienti da Commessaggio, i ragazzi dell’Oratorio di Petosino, il gruppo di anziani di Brunello e gli alunni della Scuola “Settanni” di Rutigliano”. A tutti l’augurio di una buona domenica.
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sabato 29 ottobre 2011

Benedetto XVI ai vescovi di Angola e Sao Tomé: il Vangelo primo fattore di sviluppo, superare tribalismi e stregoneria

Da: Radio Vaticana


“Il primo e specifico contributo della Chiesa ai popoli d’Africa è la proclamazione del Vangelo di Cristo. Siamo perciò impegnati a continuare vigorosamente la proclamazione del Vangelo ai popoli d’ Africa, perché la vita in Cristo è il primo e principale fattore di sviluppo”. E’ quanto ha detto il Papa incontrando stamani i membri della Conferenza episcopale di Angola e Sao Tomé. Non si tratta - ha detto - di annunciare “una parola consolatoria, ma dirompente, che chiama a conversione”. Una Parola che “rende accessibile l’incontro con il Signore”. Benedetto XVI ha quindi ricordato con gioia il viaggio compiuto in Angola nel marzo 2009 e la prossima visita in Benin dal 18 al 20 novembre quando consegnerà al Popolo di Dio l'Esortazione apostolica, frutto del secondo Sinodo per l'Africa. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

Na esperança de ‘fazer brilhar’”…
“Con la speranza ‘di mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia ed il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo’ (Motu proprio Porta fidei)”, il Papa ricorda di aver deciso di proclamare un Anno delle fede, “perché la Chiesa intera possa offrire a tutti un volto più bello e credibile, riflesso più chiaro del volto del Signore”. I cristiani – sottolinea il Santo Padre - respirano lo spirito del loro tempo e subiscono la pressione dei costumi della società in cui vivono. E nel vivere quotidiano sono tre gli “scogli” sui quali naufragano molti cristiani di Angola e Sao Tomé:

“O primeiro é o chamado ‘amigamento’, que”…
Il primo scoglio è chiamato “amigamento”, ovvero una relazione tra uomo e donna, basata sulla convivenza e non fondata sul matrimonio, che contraddice il piano di Dio per la famiglia umana. Il limitato numero di matrimoni cattolici nelle comunità di Angola e Sao Tomé – aggiunge il Papa – è il segnale di “un’ipoteca” che grava sulla famiglia, “valore insostituibile per la stabilità" della società. Per questo bisogna aiutare le coppie ad acquisire la necessaria maturità umana e spirituale per rispondere responsabilmente alla loro missione d coniugi e genitori cristiani.

“Um segundo escolho na vossa obra de evangelização”…
Un secondo scoglio nella vostra opera di evangelizzazione – ricorda il Santo Padre rivolgendosi ai vescovi di Angola e Sao Tomé – riguarda una divisione lacerante: “il cuore dei battezzati – spiega il Papa - è ancora diviso tra cristianesimo e religioni tradizionali africane”. Il ricorso a pratiche incompatibili con la sequela di Cristo porta anche a conseguenze drammatiche, come l’esclusione sociale e anche l’assassinio di bambini e anziani, “condannati da falsi dettami della stregoneria”. Benedetto XVI, ricordando che “la vita umana è sacra in tutte le sue fasi”, esorta i vescovi dei due Paesi africani a continuare ad alzare la voce in favore delle vittime di queste pratiche.

"Por último, queria referir os resquícios de tribalismo étnico"…
Il Papa indica infine un altro scoglio, formato dai “resti del tribalismo etnico” che porta le comunità a chiudersi, a non accettare persone originarie di altre regioni del Paese. Nella Chiesa, come nuova famiglia di tutti coloro che credono in Cristo (cfr Mc 3, 31 -35), non c’è posto per alcun tipo di divisione: “Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida" – sottolinea il Papa ricordando le parole di Giovanni Paolo II nella Lettera “Novo millennio ineunte” - se vogliamo essere fedeli "al disegno di Dio e rispondere alle attese profonde del mondo”. Il legame di fraternità di credenti che condividono il Sangue e il Corpo di Cristo nell’Eucaristia – conclude il Papa – è più forte dei vincoli “delle nostre famiglie terrene e delle vostre tribù”.
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venerdì 28 ottobre 2011

Pacem in Terris - XVI

Continuiamo la lettura dell'ultima Enciclica pubblicata da papa Giovanni XXIII "Pacem in terris". Entriamo ormai nell'ultimo capitolo dell'opera dedicato ad alcuni importanti richiami pastorali che valgono anche per la nostra attuale situazione; oggi ne guardiamo alcuni mentre settimana prossima ne concluderemo l'analisi:



V

RICHIAMI PASTORALI

Dovere di partecipare alla vita pubblica

76. Ancora una volta ci permettiamo di richiamare i nostri figli al dovere che hanno di partecipare attivamente alla vita pubblica e di contribuire all’attuazione del bene comune della famiglia umana e della propria comunità politica; e di adoprarsi quindi, nella luce della fede e con la forza dell’amore, perché le istituzioni a finalità economiche, sociali, culturali e politiche, siano tali da non creare ostacoli, ma piuttosto facilitare o rendere meno arduo alle persone il loro perfezionamento: tanto nell’ordine naturale che in quello soprannaturale.

Competenza scientifica, capacità tecnica, esperienza professionale

77. Non basta essere illuminati dalla fede ed accesi dal desiderio del bene per penetrare di sani principi una civiltà e vivificarla nello spirito del Vangelo. A tale scopo è necessario inserirsi nelle sue istituzioni e operare validamente dal di dentro delle medesime. Però la nostra civiltà si contraddistingue soprattutto per i suoi contenuti scientifico-tecnici.

Per cui non ci si inserisce nelle sue istituzioni e non si opera con efficacia dal di dentro delle medesime se non si è scientificamente competenti, tecnicamente capaci, professionalmente esperti.

L’azione come sintesi di elementi scientifico-tecnico professionali e di valori spirituali

78. Amiamo pure richiamare all’attenzione che la competenza scientifica, la capacità tecnica, l’esperienza professionale, se sono necessarie, non sono però sufficienti per ricomporre i rapporti della convivenza in un ordine genuinamente umano; e cioè in un ordine, il cui fondamento è la verità, misura e obiettivo la giustizia, forza propulsiva l’amore, metodo di attuazione la libertà.

A tale scopo si richiede certamente che gli esseri umani svolgano le proprie attività a contenuto temporale, obbedendo alle leggi che sono ad esse immanenti, e seguendo metodi rispondenti alla loro natura; ma si richiede pure, nello stesso tempo, che svolgano quelle attività nell’ambito dell’ordine morale; e quindi come esercizio o rivendicazione di un diritto, come adempimento di un dovere e prestazione di un servizio; come risposta positiva al disegno provvidenziale di Dio mirante alla nostra salvezza; si richiede cioè che gli esseri umani, nell’interiorità di se stessi, vivano il loro operare a contenuto temporale come una sintesi di elementi scientifico-tecnico-professionali e di valori spirituali.

Ricomposizione unitaria nei credenti tra fede religiosa e attività a contenuto temporale

79. Nelle comunità nazionali di tradizione cristiana, le istituzioni dell’ordine temporale, nell’epoca moderna, mentre rivelano spesso un alto grado di perfezione scientifico-tecnica e di efficienza in ordine ai rispettivi fini specifici, nello stesso tempo si caratterizzano non di rado per la povertà di fermenti e di accenti cristiani.

È certo tuttavia che alla creazione di quelle istituzioni hanno contribuito e continuano a contribuire molti che si ritenevano e si ritengono cristiani; e non è dubbio che, in parte almeno, lo erano e lo sono. Come si spiega? Riteniamo che la spiegazione si trovi in una frattura nel loro animo fra la credenza religiosa e l’operare a contenuto temporale. È necessario quindi che in essi si ricomponga l’unità interiore; e nelle loro attività temporali sia pure presente la fede come faro che illumina e la carità come forza che vivifica.

Sviluppo integrale degli esseri umani in formazione

80. Ma pensiamo pure che l’accennata frattura nei credenti fra credenza religiosa e operare a contenuto temporale, è il risultato, in gran parte se non del tutto, di un difetto di solida formazione cristiana. Capita infatti, troppo spesso e in molti ambienti, che non vi sia proporzione fra istruzione scientifica e istruzione religiosa: l’istruzione scientifica continua ad estendersi fino ad attingere gradi superiori, mentre l’istruzione religiosa rimane di grado elementare. È perciò indispensabile che negli esseri umani in formazione, l’educazione sia integrale e ininterrotta; e cioè che in essi il culto dei valori religiosi e l’affinamento della coscienza morale procedano di pari passo con la continua sempre più ricca assimilazione di elementi scientifico-tecnici; ed è pure indispensabile che siano educati circa il metodo idoneo secondo cui svolgere in concreto i loro compiti [54].

Impegno costante

81. Riteniamo opportuno di fare presente come sia difficile cogliere, con sufficiente aderenza, il rapporto fra esigenze obiettive della giustizia e situazioni concrete; di individuare cioè i gradi e le forme secondo cui i principi e le direttive dottrinali devono tradursi nella realtà.

E l’individuazione di quei gradi e di quelle forme è tanto più difficile nell’epoca nostra, caratterizzata da un dinamismo accentuato. Per cui il problema dell’adeguazione della realtà sociale alle esigenze obiettive della giustizia è problema che non ammette mai una soluzione definitiva. I nostri figli pertanto devono vigilare su se stessi per non adagiarsi soddisfatti in obiettivi già raggiunti.

Anzi per tutti gli esseri umani è quasi un dovere pensare che quello che è stato realizzato è sempre poco rispetto a quello che resta ancora da compiere per adeguare gli organismi produttivi, le associazioni sindacali, le organizzazioni professionali, i sistemi assicurativi, gli ordinamenti giuridici, i regimi politici, le istituzioni a finalità culturali, sanitarie, ricreative e sportive alle dimensioni proprie dell’era dell’atomo e delle conquiste spaziali: era nella quale la famiglia umana è già entrata e ha iniziato il suo nuovo cammino con prospettive di un’ampiezza sconfinata.
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Assisi, il giorno dopo

Ieri vi è stato un grande momento di pace che ha unito più di trecento rappresentanti di tutte le fedi: è tempi di riflettere su quanto avvenuto affinché non si dimentichi il valore di questa giornata. Per questo pubblichiamo il pensiero di don Elio Bromuri che vuol far capire come far in modo che un incontro per la pace possa avere memoria e futuro:


ASSISI 2011, IL GIORNO DOPO

Tendere insieme la mano alla verità
Perché un incontro per la pace abbia memoria e futuro

Elio Bromuri

Durante la fase finale della celebrazione per la pace nella piazza antistante la basilica inferiore di san Francesco, illuminata da un tenero sole autunnale, una splendida colomba bianca si è posata su un membro della delegazione, il buddista che le ha teso la mano e l'ha a lungo mostrata innalzandola sopra all'assemblea. È sembrato un piccolo segno, non tanto del buddista, che la colomba non aveva mai visto, ma della mano tesa, aperta per l'appoggio. Chi ha partecipato a questa Giornata, prolungata nel prima e nel dopo da veglie di preghiera, ha percepito che la pace esiste nelle dichiarazioni, nelle aspirazioni, nelle proclamazioni, nelle speranze e anche nelle possibilità. Tutti i discorsi sono stati bellissime illustrazioni del significato della pace, del pellegrinaggio, della verità, e vi sono stati il riconoscimento e l'esplicita espressione di gratitudine verso Giovanni Paolo II, che con l'iniziativa di 25 anni fa ha indotto tutti a considerare la pace non come un problema pragmatico, ma teologico e antropologico, in tutta la ricchezza e profondità dei suoi significati.
Il tema della pace, pertanto, coinvolge il pellegrinaggio verso la verità, l'impegno per la giustizia, la conversione del cuore. Questi presupposti, in questi venticinque anni, sono stati oggetto di riflessione ovunque nel mondo da parte di uomini legati per fede e professione alle religioni, in studi, ricerche, dibattiti, seminari e convegni. Una letteratura di altissimo livello di cui i discorsi di Assisi possono essere un degno documento. Ciò che manca è la mano tesa del buddista. Altre colombe sono volate via lontano o si sono messe ferme a guardare lo spettacolo. Uomini disposti a tendere la mano e accogliere il dono dello "spirito di Assisi" è e dovrebbe essere il frutto della Giornata appena trascorsa.
Da molti è stata infelicemente chiamata di commemorazione della prima, del 1986, ma, pur prendendo occasione per fare memoria, ad Assisi si è fatta storia facendo proseguire e convalidando il dialogo già avviato e aprendo altri orizzonti di comune ricerca di verità e di pace, anche con altre componenti della famiglia umana, dando al tema un carattere di maggiore universalità senza esclusione di persone.
Onestamente si deve dire che di verità si è parlato poco. La parola è alta, stringente, impegnativa oltre ogni dire. Ma la prima verità che supporta ogni progetto di pace e che lega tutti i dialoganti non è quella delle parole o dei sentimenti, ma quella dell'essere. Siamo e dobbiamo essere uniti, considerandoci non gli uni contro gli altri e neppure soltanto gli uni accanto agli altri, ma gli uni insieme agli altri e per gli altri. Non tanto per quello che pensiamo e neppure per quello che crediamo, ma per quello che siamo, in quanto siamo. Creature di Dio, fatte a sua immagine e somiglianza. Il pellegrinaggio della verità deve essere interiore e convertire le menti e i cuori. Dalla consapevolezza del proprio essere nascono i pensieri e i sentimenti più forti e resistenti a ogni variazione di cultura e di situazione.
La pace non approda nelle piazze e non si annida nelle case degli uomini perché non si fa spazio ai sentimenti scaturiti dall'essere, ma dal potere, dal prestigio, dal dominio sugli altri. Un sentimento, che non affiora in modo rilevante nei testi letti nella basilica della Porziuncola di Santa Maria degli Angeli, mentre è esplicito e marcato dal tono della voce di Benedetto XVI, è la "vergogna". Nessun altro si deve vergognare per l'uso della forza, o per azioni violente, per ingiustizie e soprusi collettivi, persino per genocidi compiuti o tollerati in nome e per conto della religione? Finché le religioni e gli uomini che vogliono la pace, religiosi e atei, non si vergognano o almeno non verificano i limiti e le storture delle loro storie, non ci sarà spazio per la riconciliazione e neppure per le ragioni degli altri. Questo si chiama purificazione e riconciliazione delle memorie.
Una straordinaria occasione di unità, non dichiarata ma vissuta nella profondità delle essenze, è stata il minuto di preghiera muta dell'intera assemblea. Altro momento forte è stato il canto della preghiera semplice: "Signore, fa' di me uno strumento della tua pace". Un'invocazione, come tutti sanno, non uscita dalla penna di san Francesco, ma dalla sua anima interpretata da un pastore evangelico che l'ha stampata su un santino con l'immagine, appunto, di san Francesco. Una preghiera non solo semplice ma essenziale per la pace, se detta in verità e sincerità di cuore.

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giovedì 27 ottobre 2011

Benedetto XVI ad Assisi: la religione è sempre forza di pace, il 'no' a Dio produce crudeltà e violenza

Da: Radio Vaticana


Siamo animati dal comune desiderio di essere ‘pellegrini della verità, pellegrini della pace’”. Così Benedetto XVI nel suo intervento stamani nella Basilica di Santa Maria degli Angeli, per la Giornata di preghiera e di riflessione per la pace, a 25 anni dall’incontro promosso da Giovanni Paolo II nella città di San Francesco. Un incontro al quale per la prima volta ha voluto invitare anche non credenti: si tratta infatti – ha detto – “del ritrovarsi insieme in questo essere in cammino verso la verità, dell’impegno deciso per la dignità dell’uomo e del farsi carico insieme della causa della pace contro ogni specie di violenza distruttrice del diritto”. Il Papa ha ribadito che la religione vissuta rettamente “è una forza di pace”; ha parlato della strumentalizzazione del terrorismo “motivato religiosamente; ha ricordato che “nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna. Ma è assolutamente chiaro che questo è stato un utilizzo abusivo della fede cristiana, in evidente contrasto con la sua vera natura”; ha parlato della violenza di quanti pretendono la scomparsa della religione: “il ‘no’ a Dio ha prodotto crudeltà e una violenza senza misura, che è stata possibile solo perché l’uomo non riconosceva più alcuna norma e alcun giudice al di sopra di sé, ma prendeva come norma soltanto se stesso. Gli orrori dei campi di concentramento mostrano in tutta chiarezza le conseguenze dell’assenza di Dio”. "L'assenza di Dio porta al decadimento dell'uomo e dell'umanesimo".

Ha quindi affermato che, “nel mondo in espansione dell’agnosticismo” esiste “anche un altro orientamento di fondo: persone alle quali non è stato dato il dono del poter credere e che tuttavia cercano la verità, sono alla ricerca di Dio”. Sono “pellegrini della verità, pellegrini della pace” che “pongono domande sia all’una che all’altra parte. Tolgono agli atei combattivi la loro falsa certezza, con la quale pretendono di sapere che non c’è un Dio, e li invitano a diventare, invece che polemici, persone in ricerca, che non perdono la speranza che la verità esista e che noi possiamo e dobbiamo vivere in funzione di essa. Ma chiamano in causa anche gli aderenti alle religioni, perché non considerino Dio come una proprietà che appartiene a loro così da sentirsi autorizzati alla violenza nei confronti degli altri. Queste persone cercano la verità, cercano il vero Dio, la cui immagine nelle religioni, a causa del modo nel quale non di rado sono praticate, è non raramente nascosta. Che essi non riescano a trovare Dio dipende anche dai credenti con la loro immagine ridotta o anche travisata di Dio. Così la loro lotta interiore e il loro interrogarsi è anche un richiamo per i credenti a purificare la propria fede, affinché Dio – il vero Dio – diventi accessibile”. Di seguito il testo integrale dell’intervento del Papa:


Cari fratelli e sorelle,
distinti Capi e rappresentanti delle Chiese e Comunità ecclesiali e delle religioni del mondo,
cari amici,

sono passati venticinque anni da quando il beato Papa Giovanni Paolo II invitò per la prima volta rappresentanti delle religioni del mondo ad Assisi per una preghiera per la pace. Che cosa è avvenuto da allora? A che punto è oggi la causa della pace? Allora la grande minaccia per la pace nel mondo derivava dalla divisione del pianeta in due blocchi contrastanti tra loro. Il simbolo vistoso di questa divisione era il muro di Berlino che, passando in mezzo alla città, tracciava il confine tra due mondi. Nel 1989, tre anni dopo Assisi, il muro cadde – senza spargimento di sangue. All’improvviso, gli enormi arsenali, che stavano dietro al muro, non avevano più alcun significato. Avevano perso la loro capacità di terrorizzare. La volontà dei popoli di essere liberi era più forte degli arsenali della violenza. La questione delle cause di tale rovesciamento è complessa e non può trovare una risposta in semplici formule. Ma accanto ai fattori economici e politici, la causa più profonda di tale evento è di carattere spirituale: dietro il potere materiale non c’era più alcuna convinzione spirituale. La volontà di essere liberi fu alla fine più forte della paura di fronte alla violenza che non aveva più alcuna copertura spirituale. Siamo riconoscenti per questa vittoria della libertà, che fu soprattutto anche una vittoria della pace. E bisogna aggiungere che in questo contesto si trattava non solamente, e forse neppure primariamente, della libertà di credere, ma anche di essa. Per questo possiamo collegare tutto ciò in qualche modo anche con la preghiera per la pace.

Ma che cosa è avvenuto in seguito? Purtroppo non possiamo dire che da allora la situazione sia caratterizzata da libertà e pace. Anche se la minaccia della grande guerra non è in vista, tuttavia il mondo, purtroppo, è pieno di discordia. Non è soltanto il fatto che qua e là ripetutamente si combattono guerre – la violenza come tale è potenzialmente sempre presente e caratterizza la condizione del nostro mondo. La libertà è un grande bene. Ma il mondo della libertà si è rivelato in gran parte senza orientamento, e da non pochi la libertà viene fraintesa anche come libertà per la violenza. La discordia assume nuovi e spaventosi volti e la lotta per la pace deve stimolare in modo nuovo tutti noi. 
Cerchiamo di identificare un po’ più da vicino i nuovi volti della violenza e della discordia. A grandi linee – a mio parere – si possono individuare due differenti tipologie di nuove forme di violenza che sono diametralmente opposte nella loro motivazione e manifestano poi nei particolari molte varianti. Anzitutto c’è il terrorismo, nel quale, al posto di una grande guerra, vi sono attacchi ben mirati che devono colpire in punti importanti l’avversario in modo distruttivo, senza alcun riguardo per le vite umane innocenti che con ciò vengono crudelmente uccise o ferite. Agli occhi dei responsabili, la grande causa del danneggiamento del nemico giustifica ogni forma di crudeltà. Viene messo fuori gioco tutto ciò che nel diritto internazionale era comunemente riconosciuto e sanzionato come limite alla violenza. Sappiamo che spesso il terrorismo è motivato religiosamente e che proprio il carattere religioso degli attacchi serve come giustificazione per la crudeltà spietata, che crede di poter accantonare le regole del diritto a motivo del “bene” perseguito. La religione qui non è a servizio della pace, ma della giustificazione della violenza.

La critica della religione, a partire dall’illuminismo, ha ripetutamente sostenuto che la religione fosse causa di violenza e con ciò ha fomentato l’ostilità contro le religioni. Che qui la religione motivi di fatto la violenza è cosa che, in quanto persone religiose, ci deve preoccupare profondamente. In un modo più sottile, ma sempre crudele, vediamo la religione come causa di violenza anche là dove la violenza viene esercitata da difensori di una religione contro gli altri. I rappresentanti delle religioni convenuti nel 1986 ad Assisi intendevano dire – e noi lo ripetiamo con forza e grande fermezza: questa non è la vera natura della religione. È invece il suo travisamento e contribuisce alla sua distruzione. Contro ciò si obietta: ma da dove sapete quale sia la vera natura della religione? La vostra pretesa non deriva forse dal fatto che tra voi la forza della religione si è spenta? Ed altri obietteranno: ma esiste veramente una natura comune della religione, che si esprime in tutte le religioni ed è pertanto valida per tutte? Queste domande le dobbiamo affrontare se vogliamo contrastare in modo realistico e credibile il ricorso alla violenza per motivi religiosi. Qui si colloca un compito fondamentale del dialogo interreligioso – un compito che da questo incontro deve essere nuovamente sottolineato. Come cristiano, vorrei dire a questo punto: sì, nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna. Ma è assolutamente chiaro che questo è stato un utilizzo abusivo della fede cristiana, in evidente contrasto con la sua vera natura. Il Dio in cui noi cristiani crediamo è il Creatore e Padre di tutti gli uomini, a partire dal quale tutte le persone sono tra loro fratelli e sorelle e costituiscono un’unica famiglia. La Croce di Cristo è per noi il segno del Dio che, al posto della violenza, pone il soffrire con l’altro e l’amare con l’altro. Il suo nome è “Dio dell’amore e della pace” (2 Cor 13,11). È compito di tutti coloro che portano una qualche responsabilità per la fede cristiana purificare continuamente la religione dei cristiani a partire dal suo centro interiore, affinché – nonostante la debolezza dell’uomo – sia veramente strumento della pace di Dio nel mondo.

Se una tipologia fondamentale di violenza viene oggi motivata religiosamente, ponendo con ciò le religioni di fronte alla questione circa la loro natura e costringendo tutti noi ad una purificazione, una seconda tipologia di violenza dall’aspetto multiforme ha una motivazione esattamente opposta: è la conseguenza dell’assenza di Dio, della sua negazione e della perdita di umanità che va di pari passo con ciò. I nemici della religione – come abbiamo detto – vedono in questa una fonte primaria di violenza nella storia dell’umanità e pretendono quindi la scomparsa della religione. Ma il “no” a Dio ha prodotto crudeltà e una violenza senza misura, che è stata possibile solo perché l’uomo non riconosceva più alcuna norma e alcun giudice al di sopra di sé, ma prendeva come norma soltanto se stesso. Gli orrori dei campi di concentramento mostrano in tutta chiarezza le conseguenze dell’assenza di Dio.

Qui non vorrei però soffermarmi sull’ateismo prescritto dallo Stato; vorrei piuttosto parlare della “decadenza” dell’uomo, in conseguenza della quale si realizza in modo silenzioso, e quindi più pericoloso, un cambiamento del clima spirituale. L’adorazione di mammona, dell’avere e del potere, si rivela una contro-religione, in cui non conta più l’uomo, ma solo il vantaggio personale. Il desiderio di felicità degenera, ad esempio, in una brama sfrenata e disumana quale si manifesta nel dominio della droga con le sue diverse forme. Vi sono i grandi, che con essa fanno i loro affari, e poi i tanti che da essa vengono sedotti e rovinati sia nel corpo che nell’animo. La violenza diventa una cosa normale e minaccia di distruggere in alcune parti del mondo la nostra gioventù. Poiché la violenza diventa cosa normale, la pace è distrutta e in questa mancanza di pace l’uomo distrugge se stesso.
L’assenza di Dio porta al decadimento dell’uomo e dell’umanesimo. Ma dov’è Dio? Lo conosciamo e possiamo mostrarLo nuovamente all’umanità per fondare una vera pace? Riassumiamo anzitutto brevemente le nostre riflessioni fatte finora. Ho detto che esiste una concezione e un uso della religione attraverso il quale essa diventa fonte di violenza, mentre l’orientamento dell’uomo verso Dio, vissuto rettamente, è una forza di pace. In tale contesto ho rimandato alla necessità del dialogo, e parlato della purificazione, sempre necessaria, della religione vissuta. Dall’altra parte, ho affermato che la negazione di Dio corrompe l’uomo, lo priva di misure e lo conduce alla violenza.

Accanto alle due realtà di religione e anti-religione esiste, nel mondo in espansione dell’agnosticismo, anche un altro orientamento di fondo: persone alle quali non è stato dato il dono del poter credere e che tuttavia cercano la verità, sono alla ricerca di Dio. Persone del genere non affermano semplicemente: “Non esiste alcun Dio”. Esse soffrono a motivo della sua assenza e, cercando il vero e il buono, sono interiormente in cammino verso di Lui. Sono “pellegrini della verità, pellegrini della pace”. Pongono domande sia all’una che all’altra parte. Tolgono agli atei combattivi la loro falsa certezza, con la quale pretendono di sapere che non c’è un Dio, e li invitano a diventare, invece che polemici, persone in ricerca, che non perdono la speranza che la verità esista e che noi possiamo e dobbiamo vivere in funzione di essa. Ma chiamano in causa anche gli aderenti alle religioni, perché non considerino Dio come una proprietà che appartiene a loro così da sentirsi autorizzati alla violenza nei confronti degli altri. Queste persone cercano la verità, cercano il vero Dio, la cui immagine nelle religioni, a causa del modo nel quale non di rado sono praticate, è non raramente nascosta. Che essi non riescano a trovare Dio dipende anche dai credenti con la loro immagine ridotta o anche travisata di Dio. Così la loro lotta interiore e il loro interrogarsi è anche un richiamo per i credenti a purificare la propria fede, affinché Dio – il vero Dio – diventi accessibile. Per questo ho appositamente invitato rappresentanti di questo terzo gruppo al nostro incontro ad Assisi, che non raduna solamente rappresentanti di istituzioni religiose. Si tratta piuttosto del ritrovarsi insieme in questo essere in cammino verso la verità, dell’impegno deciso per la dignità dell’uomo e del farsi carico insieme della causa della pace contro ogni specie di violenza distruttrice del diritto. In conclusione, vorrei assicurarvi che la Chiesa cattolica non desisterà dalla lotta contro la violenza, dal suo impegno per la pace nel mondo. Siamo animati dal comune desiderio di essere “pellegrini della verità, pellegrini della pace”.
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mercoledì 26 ottobre 2011

Il Papa alla vigilia dell’incontro di Assisi: i cristiani non diventino lupi tra i lupi, ma lavorino per il regno della pace di Cristo

Da: Radio Vaticana


I cristiani non cedano mai alla tentazione “di diventare lupi tra i lupi”: è il monito di Benedetto XVI, alla Liturgia della Parola svoltasi stamani in Aula Paolo VI, in preparazione all’incontro interreligioso per la pace di domani ad Assisi. All’evento, che è stato introdotto dal cardinale vicario Agostino Vallini, hanno partecipato i fedeli della diocesi di Roma, oltre a gruppi di pellegrini di tutto il mondo. Il Papa ha auspicato che i cristiani siano strumenti di pace in un mondo lacerato dalle guerre e dagli egoismi. Prima del momento di preghiera, il Pontefice si era recato nella Basilica di San Pietro, dove ha salutato le migliaia di fedeli che non avevano trovato posto in Aula Paolo VI. Il maltempo ha, infatti, costretto a spostare l’udienza generale inizialmente programmata in Piazza San Pietro, come avviene tradizionalmente il mercoledì. Il servizio di Alessandro Gisotti:

“Tu es Petrus”
“Concedi all’umanità inquieta il dono della vera pace”: alla vigilia della Giornata di Assisi, il Papa prega per la pace e la giustizia nel mondo. E sottolinea che “chi è in cammino verso Dio non può non trasmettere pace” e chi “costruisce pace non può non avvicinarsi a Dio”. Ecco perché nell’incontro di Assisi, spiega, vi saranno non solo membri di diverse religione ma anche uomini non credenti. Nell’omelia, il Papa si è soffermato in particolare sulla prima lettura, tratta dal libro di Zaccaria, che annuncia l’avvento di un re umile, un re che spezzerà gli archi di battaglia e annuncerà la pace alle nazioni:

“Gesù è re povero tra i poveri, mite tra coloro che vogliono essere miti. In questo modo egli è re di pace, grazie alla potenza di Dio, che è la potenza del bene, la potenza dell’amore”. 

E’ un re, soggiunge il Papa, che “realizza la pace sulla Croce, congiungendo la terra e il cielo e gettando un ponte fraterno fra tutti gli uomini”:

“La Croce è il nuovo arco di pace, segno e strumento di riconciliazione, di perdono, di comprensione, segno che l’amore è più forte di ogni violenza e di ogni oppressione, più forte della morte: il male si vince con il bene, con l’amore”.

L’orizzonte di questo re, osserva ancora il Papa, “non è quello di un territorio, di uno Stato, ma sono i confini del mondo”. E sottolinea che vediamo compiere questa comunione, questa unità nell’Eucaristia. E’ lì, afferma, che il Signore ci toglie dai nostri individualismi “per formare di noi un solo corpo, un solo regno di pace in un mondo diviso”:

“Dappertutto, in ogni realtà, in ogni cultura, dalle grandi città con i loro palazzi, fino ai piccoli villaggi con le umili dimore, dalle possenti cattedrali alla piccole cappelle, Egli viene, si rende presente; e nell’entrare in comunione con Lui anche gli uomini sono uniti tra di loro in un unico corpo, superando divisioni, rivalità, rancori”.

Ecco allora che chi vuole essere “discepolo del Signore”, deve essere pronto “anche alla passione e al martirio, a perdere la propria vita per Lui, perché nel mondo trionfino il bene, l’amore, la pace”:

“I cristiani non devono mai cedere alla tentazione di diventare lupi tra i lupi; non è con il potere, con la forza, con la violenza che il regno di pace di Cristo si estende, ma con il dono di sé, con l’amore portato all’estremo, anche verso i nemici. Gesù non vince il mondo con la forza delle armi, ma con la forza della Croce, che è la vera garanzia della vittoria”.

Come San Paolo, osserva il Papa, “dobbiamo essere disposti a pagare di persona, a soffrire in prima persona l’incomprensione, il rifiuto, la persecuzione”. E avverte che “non è la spada del conquistatore che costruisce la pace, ma la spada del sofferente di chi sa donare la propria vita”. Di qui l’invocazione affinché i cristiani diventino “strumenti” di pace “in un mondo ancora lacerato da odio, da divisioni, da egoismi, da guerre”:

“Vogliamo chiedergli che l’incontro di domani ad Assisi, favorisca il dialogo tra persone di diversa appartenenza religiosa e porti un raggio di luce capace di illuminare la mente e il cuore di tutti gli uomini, perché il rancore ceda il posto al perdono, la divisione alla riconciliazione, l’odio all’amore, la violenza alla mitezza e nel mondo regni la pace”.

Nella sua introduzione, il cardinale Agostino Vallini ha lanciato un appello affinché il nome di Dio non sia “più strumentalizzato per giustificare le guerre e le violenze, ma al contrario sia la sorgente che favorisce il reciproco riconoscimento e il rispetto fra i popoli e le nazioni”. In più lingue, le intenzioni di preghiera, dall’arabo al cinese. In spagnolo si è pregato affinché i cristiani “riscoprano la via dell’unità e diventino un segno della pace, per la quale Cristo ha dato la sua vita”.

Canti
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martedì 25 ottobre 2011

Cento anni dopo - Centesimus Annus - XXIII parte

Torna l'appuntamento con la Lettera Enciclica del Beato Giovanni Paolo II, intitolata "Centesimus Annus" e promulgata nel centenario della Rerum Novarum. Continuano le osservazione del Papa polacco sul come gli Stati si dovrebbero organizzare ed agire nella vita pubblica; alcune di queste considerazioni sono poi un auspicio per quei Paesi che stanno vivendo la cosiddetta primavera araba: molte democrazie sono in fase di costruzione e quindi è indispensabile che chi si trova nella posizione di poter influire sulle scelte costituzionali, tenga presente innanzitutto l'importanza fondamentale del riconoscimento dei diritti e delle libertà fondamentali. Ovviamente questo discorso vale anche per le nostre democrazie che troppo spesso tendono a rinchiudersi verso forme repressive e lesive di diritti riconosciuti universalmente: basti vedere all'Italia e alla situazione che si è creata in rapporto agli immigrati (l'introduzione del reato di clandestinità è un tipico esempio di come una democrazia possa commettere abusi irrazionali e basati su paure a cui si cerca di rispondere con vane propagande) o alla libertà di stampa ecc... Un pensiero del Papa si sofferma anche sul problema dell' "assistenzialismo" statale...:


V - Stato e Cultura

47. Dopo il crollo del totalitarismo comunista e di molti altri regimi totalitari e «di sicurezza nazionale», si assiste oggi al prevalere, non senza contrasti, dell'ideale democratico, unitamente ad una viva attenzione e preoccupazione per i diritti umani. Ma proprio per questo è necessario che i popoli che stanno riformando i loro ordinamenti diano alla democrazia un autentico e solido fondamento mediante l'esplicito riconoscimento di questi diritti.96 Tra i principali sono da ricordare: il diritto alla vita, di cui è parte integrante il diritto a crescere sotto il cuore della madre dopo essere stati generati; il diritto a vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo sviluppo della propria personalità; il diritto a maturare la propria intelligenza e la propria libertà nella ricerca e nella conoscenza della verità; il diritto a partecipare al lavoro per valorizzare i beni della terra ed a ricavare da esso il sostentamento proprio e dei propri cari; il diritto a fondare liberamente una famiglia ed a accogliere e educare i figli, esercitando responsabilmente la propria sessualità. Fonte e sintesi di questi diritti è, in un certo senso, la libertà religiosa, intesa come diritto a vivere nella verità della propria fede ed in conformità alla trascendente dignità della propria persona.97

Anche nei Paesi dove vigono forme di governo democratico non sempre questi diritti sono del tutto rispettati. Né ci si riferisce soltanto allo scandalo dell'aborto, ma anche a diversi aspetti di una crisi dei sistemi democratici, che talvolta sembra abbiano smarrito la capacità di decidere secondo il bene comune. Le domande che si levano dalla società a volte non sono esaminate secondo criteri di giustizia e di moralità, ma piuttosto secondo la forza elettorale o finanziaria dei gruppi che le sostengono. Simili deviazioni del costume politico col tempo generano sfiducia ed apatia con la conseguente diminuzione della partecipazione politica e dello spirito civico in seno alla popolazione, che si sente danneggiata e delusa. Ne risulta la crescente incapacità di inquadrare gli interessi particolari in una coerente visione del bene comune. Questo, infatti, non è la semplice somma degli interessi particolari, ma implica la loro valutazione e composizione fatta in base ad un'equilibrata gerarchia di valori e, in ultima analisi, ad un'esatta comprensione della dignità e dei diritti della persona.98

La Chiesa rispetta la legittima autonomia dell'ordine democratico e non ha titolo per esprimere preferenze per l'una o l'altra soluzione istituzionale o costituzionale. Il contributo, che essa offre a tale ordine, è proprio quella visione della dignità della persona, la quale si manifesta in tutta la sua pienezza nel mistero del Verbo incarnato.99

48. Queste considerazioni generali si riflettono anche sul ruolo dello Stato nel settore dell'economia. L'attività economica, in particolare quella dell'economia di mercato, non può svolgersi in un vuoto istituzionale, giuridico e politico. Essa suppone, al contrario, sicurezza circa le garanzie della libertà individuale e della proprietà, oltre che una moneta stabile e servizi pubblici efficienti. Il principale compito dello Stato, pertanto, è quello di garantire questa sicurezza, di modo che chi lavora e produce possa godere i frutti del proprio lavoro e, quindi, si senta stimolato a compierlo con efficienza e onestà. La mancanza di sicurezza, accompagnata dalla corruzione dei pubblici poteri e dalla diffusione di improprie fonti di arricchimento e di facili profitti, fondati su attività illegali o puramente speculative, è uno degli ostacoli principali per lo sviluppo e per l'ordine economico.

Altro compito dello Stato è quello di sorvegliare e guidare l'esercizio dei diritti umani nel settore economico; ma in questo campo la prima responsabilità non è dello Stato, bensì dei singoli e dei diversi gruppi e associazioni in cui si articola la società. Non potrebbe lo Stato assicurare direttamente il diritto al lavoro di tutti i cittadini senza irreggimentare l'intera vita economica e mortificare la libera iniziativa dei singoli. Ciò, tuttavia, non significa che esso non abbia alcuna competenza in questo ambito, come hanno affermato i sostenitori di un'assenza di regole nella sfera economica. Lo Stato, anzi, ha il dovere di assecondare l'attività delle imprese, creando condizioni che assicurino occasioni di lavoro, stimolandola ove essa risulti insufficiente o sostenendola nei momenti di crisi.

Lo Stato, ancora, ha il diritto di intervenire quando situazioni particolari di monopolio creino remore o ostacoli per lo sviluppo. Ma, oltre a questi compiti di armonizzazione e di guida dello sviluppo, esso può svolgere funzioni di supplenza in situazioni eccezionali, quando settori sociali o sistemi di imprese, troppo deboli o in via di formazione, sono inadeguati al loro compito. Simili interventi di supplenza, giustificati da urgenti ragioni attinenti al bene comune, devono essere, per quanto possibile, limitati nel tempo, per non sottrarre stabilmente a detti settori e sistemi di imprese le competenze che sono loro proprie e per non dilatare eccessivamente l'ambito dell'intervento statale in modo pregiudizievole per la libertà sia economica che civile.

Si è assistito negli ultimi anni ad un vasto ampliamento di tale sfera di intervento, che ha portato a costituire, in qualche modo, uno Stato di tipo nuovo: lo «Stato del benessere». Questi sviluppi si sono avuti in alcuni Stati per rispondere in modo più adeguato a molte necessità e bisogni, ponendo rimedio a forme di povertà e di privazione indegne della persona umana. Non sono, però, mancati eccessi ed abusi che hanno provocato, specialmente negli anni più recenti, dure critiche allo Stato del benessere, qualificato come «Stato assistenziale». Disfunzioni e difetti nello Stato assistenziale derivano da un'inadeguata comprensione dei compiti propri dello Stato. Anche in questo ambito deve essere rispettato il principio di sussidiarietà: una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità ed aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune.100

Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l'aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese. Sembra, infatti, che conosce meglio il bisogno e riesce meglio a soddisfarlo chi è ad esso più vicino e si fa prossimo al bisognoso. Si aggiunga che spesso un certo tipo di bisogni richiede una risposta che non sia solo materiale, ma che ne sappia cogliere la domanda umana più profonda. Si pensi anche alla condizione dei profughi, degli immigrati, degli anziani o dei malati ed a tutte le svariate forme che richiedono assistenza, come nel caso dei tossico-dipendenti: persone tutte che possono essere efficacemente aiutate solo da chi offre loro, oltre alle necessarie cure, un sostegno sinceramente fraterno.
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"Migrazioni e nuova evangelizzazione"

Ieri vi abbiamo mostrato il messaggio di Papa Benedetto XVI per la Giornata Missionaria Mondiale che si è celebrata la scorsa Domenica. Oggi il Papa ha reso noto la data di celebrazione della novantottesima Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che sarà celebrata il 15 gennaio 2012 e che ha dedicato a "Migrazioni e nuova evangelizzazione”. Per questo motivo vi rendiamo noto il contenuto del messaggio scritto dal Pontefice per quest'importante occasione che ci porterà a riflettere sul delicato tema dell'immigrazione in rapporto all'evangelizzazione:


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
PER LA GIORNATA MONDIALE
DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO (2012)

"Migrazioni e nuova evangelizzazione"

Cari Fratelli e Sorelle!

Annunciare Gesù Cristo unico Salvatore del mondo “costituisce la missione essenziale della Chiesa, compito e missione che i vasti e profondi mutamenti della - società attuale non rendono meno urgenti” (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 14). Anzi, oggi avvertiamo l’urgenza di promuovere, con nuova forza e rinnovate modalità, l’opera di evangelizzazione in un mondo in cui l’abbattimento delle frontiere e i nuovi processi di globalizzazione rendono ancora più vicine le persone e i popoli, sia per lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, sia per la frequenza e la facilità con cui sono resi possibili spostamenti di singoli e di gruppi. In questa nuova situazione dobbiamo risvegliare in ognuno di noi l’entusiasmo e il coraggio che mossero le prime comunità cristiane ad essere intrepide annunciatrici della novità evangelica, facendo risuonare nel nostro cuore le parole di san Paolo: “Annunciare il Vangelo non è per me un vanto; perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!” (1Cor 9,16).

Il tema che ho scelto quest’anno per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato – “Migrazioni e nuova evangelizzazione” – nasce da questa realtà. L’ora presente, infatti, chiama la Chiesa a compiere una nuova evangelizzazione anche nel vasto e complesso fenomeno della mobilità umana, intensificando l’azione missionaria sia nelle regioni di primo annuncio, sia nei Paesi di tradizione cristiana.

Il Beato Giovanni Paolo II ci invitava a “nutrirci della Parola, per essere «servi della Parola» nell’impegno dell’evangelizzazione ..., [in una situazione] che si fa sempre più varia e impegnativa, nel contesto della globalizzazione e del nuovo e mutevole intreccio di popoli e culture che la caratterizza” (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 40). Le migrazioni interne o internazionali, infatti, come sbocco per la ricerca di migliori condizioni di vita o per fuggire dalla minaccia di persecuzioni, guerre, violenza, fame e catastrofi naturali, hanno prodotto una mescolanza di persone e di popoli senza precedenti, con problematiche nuove non solo da un punto di vista umano, ma anche etico, religioso e spirituale. Le attuali ed evidenti conseguenze della secolarizzazione, l’emergere di nuovi movimenti settari, una diffusa insensibilità nei confronti della fede cristiana, una marcata tendenza alla frammentarietà, rendono difficile focalizzare un riferimento unificante che incoraggi la formazione di “una sola famiglia di fratelli e sorelle in società che si fanno sempre più multietniche e interculturali, dove anche le persone di varie religioni sono spinte al dialogo, perché si possa trovare una serena e fruttuosa convivenza nel rispetto delle legittime differenze”, come scrivevo nel Messaggio dello scorso anno per questa Giornata Mondiale. Il nostro tempo è segnato da tentativi di cancellare Dio e l’insegnamento della Chiesa dall’orizzonte della vita, mentre si fanno strada il dubbio, lo scetticismo e l’indifferenza, che vorrebbero eliminare persino ogni visibilità sociale e simbolica della fede cristiana.

In tale contesto, i migranti che hanno conosciuto Cristo e l’hanno accolto non di rado sono spinti a non ritenerlo più rilevante nella propria vita, a perdere il senso della fede, a non riconoscersi più come parte della Chiesa e spesso conducono un’esistenza non più segnata da Cristo e dal suo Vangelo. Cresciuti in seno a popoli marcati dalla fede cristiana, spesso emigrano verso Paesi in cui i cristiani sono una minoranza o dove l’antica tradizione di fede non è più convinzione personale, né confessione comunitaria, ma è ridotta ad un fatto culturale. Qui la Chiesa è posta di fronte alla sfida di aiutare i migranti a mantenere salda la fede, anche quando manca l’appoggio culturale che esisteva nel Paese d’origine, individuando anche nuove strategie pastorali, come pure metodi e linguaggi per un’accoglienza sempre vitale della Parola di Dio. In alcuni casi si tratta di un’occasione per proclamare che in Gesù Cristo l’umanità è resa partecipe del mistero di Dio e della sua vita di amore, viene aperta ad un orizzonte di speranza e di pace, anche attraverso il dialogo rispettoso e la testimonianza concreta della solidarietà, mentre in altri casi c’è la possibilità di risvegliare la coscienza cristiana assopita, attraverso un rinnovato annuncio della Buona Novella e una vita cristiana più coerente, in modo da far riscoprire la bellezza dell’incontro con Cristo, che chiama il cristiano alla santità dovunque si trovi, anche in terra straniera.

L’odierno fenomeno migratorio è anche un’opportunità provvidenziale per l’annuncio del Vangelo nel mondo contemporaneo. Uomini e donne provenienti da varie regioni della terra, che non hanno ancora incontrato Gesù Cristo o lo conoscono soltanto in maniera parziale, chiedono di essere accolti in Paesi di antica tradizione cristiana. Nei loro confronti è necessario trovare adeguate modalità perché possano incontrare e conoscere Gesù Cristo e sperimentare il dono inestimabile della salvezza, che per tutti è sorgente di “vita in abbondanza” (cfr Gv 10,10); gli stessi migranti hanno un ruolo prezioso a questo riguardo poiché possono a loro volta diventare “annunciatori della Parola di Dio e testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo” (Esort. ap. Verbum Domini, 105).

Nell’impegnativo itinerario della nuova evangelizzazione, in ambito migratorio, assumono un ruolo decisivo gli Operatori pastorali – sacerdoti, religiosi e laici – che si trovano a lavorare sempre più in un contesto pluralista: in comunione con i loro Ordinari, attingendo al Magistero della Chiesa, li invito a cercare vie di fraterna condivisione e di rispettoso annuncio, superando contrapposizioni e nazionalismi. Da parte loro, le Chiese d’origine, quelle di transito e quelle d’accoglienza dei flussi migratori sappiano intensificare la loro cooperazione, a beneficio sia di chi parte sia di chi arriva e, in ogni caso, di chi ha bisogno di incontrare sul suo cammino il volto misericordioso di Cristo nell’accoglienza del prossimo. Per realizzare una fruttuosa pastorale di comunione, potrà essere utile aggiornare le tradizionali strutture di attenzione ai migranti e ai rifugiati, affiancandole a modelli che rispondano meglio alle mutate situazioni in cui si trovano a interagire culture e popoli diversi.

I rifugiati che chiedono asilo, fuggiti da persecuzioni, violenze e situazioni che mettono in pericolo la loro vita, hanno bisogno della nostra comprensione e accoglienza, del rispetto della loro dignità umana e dei loro diritti, nonché della consapevolezza dei loro doveri. La loro sofferenza invoca dai singoli Stati e dalla comunità internazionale che vi siano atteggiamenti di mutua accoglienza, superando timori ed evitando forme di discriminazione e che si provveda a rendere concreta la solidarietà anche mediante adeguate strutture di ospitalità e programmi di reinsediamento. Tutto ciò comporta un vicendevole aiuto tra le regioni che soffrono e quelle che già da anni accolgono un gran numero di persone in fuga e una maggiore condivisione delle responsabilità tra gli Stati.

La stampa e gli altri mezzi di comunicazione hanno un ruolo importante nel far conoscere, con correttezza, oggettività e onestà, la situazione di chi ha dovuto forzatamente lasciare la propria patria e i propri affetti e desidera iniziare a costruirsi una nuova esistenza.

Le comunità cristiane riservino particolare attenzione per i lavoratori migranti e le loro famiglie, attraverso l’accompagnamento della preghiera, della solidarietà e della carità cristiana; la valorizzazione di ciò che reciprocamente arricchisce, come pure la promozione di nuove progettualità politiche, economiche e sociali, che favoriscano il rispetto della dignità di ogni persona umana, la tutela della famiglia, l’accesso ad una dignitosa sistemazione, al lavoro e all’assistenza.

Sacerdoti, religiosi e religiose, laici e, soprattutto, giovani uomini e donne siano sensibili nell’offrire sostegno a tante sorelle e fratelli che, fuggiti dalla violenza, devono confrontarsi con nuovi stili di vita e difficoltà di integrazione. L’annuncio della salvezza in Gesù Cristo sarà fonte di sollievo, speranza e “gioia piena” (cfr Gv 15,11).

Desidero infine ricordare la situazione di numerosi studenti internazionali che affrontano problemi di inserimento, difficoltà burocratiche, disagi nella ricerca di alloggio e di strutture di accoglienza. In modo particolare le comunità cristiane siano sensibili verso tanti ragazzi e ragazze che, proprio per la loro giovane età, oltre alla crescita culturale, hanno bisogno di punti di riferimento e coltivano nel loro cuore una profonda sete di verità e il desiderio di incontrare Dio. In modo speciale, le Università di ispirazione cristiana siano luogo di testimonianza e d’irradiazione della nuova evangelizzazione, seriamente impegnate a contribuire, nell’ambiente accademico, al progresso sociale, culturale e umano, oltre che a promuovere il dialogo fra le culture, valorizzando l’apporto che possono dare gli studenti internazionali. Questi saranno spinti a diventare essi stessi attori della nuova evangelizzazione se incontreranno autentici testimoni del Vangelo ed esempi di vita cristiana.

Cari amici, invochiamo l’intercessione di Maria, “Madonna del cammino”, perché l’annuncio gioioso della salvezza di Gesù Cristo porti speranza nel cuore di coloro che, lungo le strade del mondo, si trovano in condizioni di mobilità. A tutti assicuro la mia preghiera e imparto la Benedizione Apostolica.
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lunedì 24 ottobre 2011

Un nuovo cammino - La Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica - XL

Continua il percorso di studio della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica: un valore importantissimo e valido per tutti gli uomini di buona volontà, il che lo rende molto trasversale e utile alla causa generale. Dopo aver riflettuto su come si estrinseca il principio del bene comune, della sussidiarietà e della partecipazione, ci soffermiamo sull'altrettanto importante principio di solidarietà:


VI. IL PRINCIPIO DI SOLIDARIETÀ

a) Significato e valore

192 La solidarietà conferisce particolare risalto all' intrinseca socialità della persona umana, all'uguaglianza di tutti in dignità e diritti, al comune cammino degli uomini e dei popoli verso una sempre più convinta unità. Mai come oggi c'è stata una consapevolezza tanto diffusa del legame di interdipendenza tra gli uomini e i popoli, che si manifesta a qualsiasi livello.413
Il rapidissimo moltiplicarsi delle vie e dei mezzi di comunicazione « in tempo reale », quali sono quelli telematici, gli straordinari progressi dell'informatica, l'accresciuto volume degli scambi commerciali e delle informazioni, stanno a testimoniare che, per la prima volta dall'inizio della storia dell'umanità, è ormai possibile, almeno tecnicamente, stabilire relazioni anche tra persone lontanissime o sconosciute.

A fronte del fenomeno dell'interdipendenza e del suo costante dilatarsi, persistono, d'altra parte, in tutto il mondo, fortissime disuguaglianze tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo, alimentate anche da diverse forme di sfruttamento, di oppressione e di corruzione che influiscono negativamente sulla vita interna e internazionale di molti Stati. Il processo di accelerazione dell'interdipendenza tra le persone e i popoli deve essere accompagnato da un impegno sul piano etico-sociale altrettanto intensificato, per evitare le nefaste conseguenze di una situazione di ingiustizia di dimensioni planetarie, destinata a ripercuotersi assai negativamente anche negli stessi Paesi attualmente più favoriti.414

b) La solidarietà come principio sociale e come virtù morale

193 Le nuove relazioni di interdipendenza tra uomini e popoli, che sono, di fatto, forme di solidarietà, devono trasformarsi in relazioni tese ad una vera e propria solidarietà etico-sociale, che è l'esigenza morale insita in tutte le relazioni umane. La solidarietà si presenta, dunque, sotto due aspetti complementari: quello di principio sociale 415 e quello di virtù morale.416

La solidarietà deve essere colta, innanzi tutto, nel suo valore di principio sociale ordinatore delle istituzioni, in base al quale le « strutture di peccato »,417 che dominano i rapporti tra le persone e i popoli, devono essere superate e trasformate in strutture di solidarietà, mediante la creazione o l'opportuna modifica di leggi, regole del mercato, ordinamenti.

La solidarietà è anche una vera e propria virtù morale, non un « sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti ».418 La solidarietà assurge al rango di virtù sociale fondamentale poiché si colloca nella dimensione della giustizia, virtù orientata per eccellenza al bene comune, e nell'« impegno per il bene del prossimo con la disponibilità, in senso evangelico, a “perdersi” a favore dell'altro invece di sfruttarlo, e a “servirlo” invece di opprimerlo per il proprio tornaconto (cf. Mt 10,40-42; 20,25; Mc 10,42-45; Lc 22,25-27) ».419

c) Solidarietà e crescita comune degli uomini

194 Il messaggio della dottrina sociale circa la solidarietà mette in evidenza il fatto che esistono stretti vincoli tra solidarietà e bene comune, solidarietà e destinazione universale dei beni, solidarietà e uguaglianza tra gli uomini e i popoli, solidarietà e pace nel mondo.420 Il termine « solidarietà », ampiamente impiegato dal Magistero,421 esprime in sintesi l'esigenza di riconoscere nell'insieme dei legami che uniscono gli uomini e i gruppi sociali tra loro, lo spazio offerto alla libertà umana per provvedere alla crescita comune, condivisa da tutti. L'impegno in questa direzione si traduce nell'apporto positivo da non far mancare alla causa comune e nella ricerca dei punti di possibile intesa anche là dove prevale una logica di spartizione e frammentazione, nella disponibilità a spendersi per il bene dell'altro al di là di ogni individualismo e particolarismo.422

195 Il principio della solidarietà comporta che gli uomini del nostro tempo coltivino maggiormente la consapevolezza del debito che hanno nei confronti della società entro la quale sono inseriti: sono debitori di quelle condizioni che rendono vivibile l'umana esistenza, come pure di quel patrimonio, indivisibile e indispensabile, costituito dalla cultura, dalla conoscenza scientifica e tecnologica, dai beni materiali e immateriali, da tutto ciò che la vicenda umana ha prodotto. Un simile debito va onorato nelle varie manifestazioni dell'agire sociale, così che il cammino degli uomini non si interrompa, ma resti aperto alle generazioni presenti e a quelle future, chiamate insieme, le une e le altre, a condividere, nella solidarietà, lo stesso dono.

d) La solidarietà nella vita e nel messaggio di Gesù Cristo

196 Il vertice insuperabile della prospettiva indicata è la vita di Gesù di Nazaret, l'Uomo nuovo, solidale con l'umanità fino alla « morte di croce » (Fil 2,8): in Lui è sempre possibile riconoscere il Segno vivente di quell'amore incommensurabile e trascendente del Dio-con-noi, che si fa carico delle infermità del Suo popolo, cammina con esso, lo salva e lo costituisce in unità.423 In Lui, e grazie a Lui, anche la vita sociale può essere riscoperta, pur con tutte le sue contraddizioni e ambiguità, come luogo di vita e di speranza, in quanto segno di una Grazia che di continuo è a tutti offerta e che invita alle forme più alte e coinvolgenti di condivisione.

Gesù di Nazaret fa risplendere dinanzi agli occhi di tutti gli uomini il nesso tra solidarietà e carità, illuminandone l'intero significato: 424 « Alla luce della fede, la solidarietà tende a superare se stessa, a rivestire le dimensioni specificamente cristiane della gratuità totale, del perdono e della riconciliazione. Allora il prossimo non è soltanto un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale eguaglianza davanti a tutti, ma diviene la viva immagine di Dio Padre, riscattata dal sangue di Gesù Cristo e posta sotto l'azione permanente dello Spirito Santo. Egli, pertanto, deve essere amato, anche se nemico, con lo stesso amore con cui lo ama il Signore, e per lui bisogna essere disposti al sacrificio, anche supremo: “Dare la vita per i propri fratelli” (cfr. 1 Gv 3,16) ».425
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Messaggio di Papa Benedetto XVI per la Giornata Missionaria Mondiale

Nella giornata di ieri la Chiesa Cattolica non ha solo celebrato la proclamazione di tre nuovi Santi, ma ha anche celebrato la Giornata Missionaria Mondiale del 2011. Per questo oggi pubblichiamo il messaggio integrale scritto da Papa Benedetto XVI per l'occasione:


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
 PER LA GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE 2011

«Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20,21)

In occasione del Giubileo del 2000, il Venerabile Giovanni Paolo II, all’inizio di un nuovo millennio dell’era cristiana, ha ribadito con forza la necessità di rinnovare l’impegno di portare a tutti l’annuncio del Vangelo «con lo stesso slancio dei cristiani della prima ora» (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 58). È il servizio più prezioso che la Chiesa può rendere all’umanità e ad ogni singola persona alla ricerca delle ragioni profonde per vivere in pienezza la propria esistenza. Perciò quello stesso invito risuona ogni anno nella celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale. L’incessante annuncio del Vangelo, infatti, vivifica anche la Chiesa, il suo fervore, il suo spirito apostolico, rinnova i suoi metodi pastorali perché siano sempre più appropriati alle nuove situazioni - anche quelle che richiedono una nuova evangelizzazione - e animati dallo slancio missionario: «La missione rinnova la Chiesa, rinvigorisce la fede e l’identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni. La fede si rafforza donandola! La nuova evangelizzazione dei popoli cristiani troverà ispirazione e sostegno nell’impegno per la missione universale» (Giovanni Paolo II, Enc. Redemptoris missio, 2).

Andate e annunciate

Questo obiettivo viene continuamente ravvivato dalla celebrazione della liturgia, specialmente dell’Eucaristia, che si conclude sempre riecheggiando il mandato di Gesù risorto agli Apostoli: “Andate…” (Mt 28,19). La liturgia è sempre una chiamata ‘dal mondo’ e un nuovo invio ‘nel mondo’ per testimoniare ciò che si è sperimentato: la potenza salvifica della Parola di Dio, la potenza salvifica del Mistero Pasquale di Cristo. Tutti coloro che hanno incontrato il Signore risorto hanno sentito il bisogno di darne l’annuncio ad altri, come fecero i due discepoli di Emmaus. Essi, dopo aver riconosciuto il Signore nello spezzare il pane, «partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme dove trovarono riuniti gli Undici» e riferirono ciò che era accaduto loro lungo la strada (Lc 24,33-34). Il Papa Giovanni Paolo II esortava ad essere “vigili e pronti a riconoscere il suo volto e correre dai nostri fratelli a portare il grande annunzio: “Abbiamo visto il Signore!”» (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 59).

A tutti

Destinatari dell’annuncio del Vangelo sono tutti i popoli. La Chiesa, «per sua natura è missionaria, in quanto essa trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo, secondo il disegno di Dio Padre» (Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Ad gentes, 2). Questa è «la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare» (Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 14). Di conseguenza, non può mai chiudersi in se stessa. Si radica in determinati luoghi per andare oltre. La sua azione, in adesione alla parola di Cristo e sotto l’influsso della sua grazia e della sua carità, si fa pienamente e attualmente presente a tutti gli uomini e a tutti i popoli per condurli alla fede in Cristo (cfr Ad gentes, 5).

Questo compito non ha perso la sua urgenza. Anzi, «la missione di Cristo redentore, affidata alla Chiesa, è ancora ben lontana dal suo compimento … Uno sguardo d’insieme all’umanità dimostra che tale missione è ancora agli inizi e che dobbiamo impegnarci con tutte le forze al suo servizio» (Giovanni Paolo II, Enc. Redemptoris missio, 1). Non possiamo rimanere tranquilli al pensiero che, dopo duemila anni, ci sono ancora popoli che non conoscono Cristo e non hanno ancora ascoltato il suo Messaggio di salvezza.

Non solo; ma si allarga la schiera di coloro che, pur avendo ricevuto l’annuncio del Vangelo, lo hanno dimenticato e abbandonato, non si riconoscono più nella Chiesa; e molti ambienti, anche in società tradizionalmente cristiane, sono oggi refrattari ad aprirsi alla parola della fede. È in atto un cambiamento culturale, alimentato anche dalla globalizzazione, da movimenti di pensiero e dall’imperante relativismo, un cambiamento che porta ad una mentalità e ad uno stile di vita che prescindono dal Messaggio evangelico, come se Dio non esistesse, e che esaltano la ricerca del benessere, del guadagno facile, della carriera e del successo come scopo della vita, anche a scapito dei valori morali.

Corresponsabilità di tutti

La missione universale coinvolge tutti, tutto e sempre. Il Vangelo non è un bene esclusivo di chi lo ha ricevuto, ma è un dono da condividere, una bella notizia da comunicare. E questo dono-impegno è affidato non soltanto ad alcuni, bensì a tutti i battezzati, i quali sono «stirpe eletta, … gente santa, popolo che Dio si è acquistato” (1Pt 2,9), perché proclami le sue opere meravigliose.

Ne sono coinvolte pure tutte le attività. L’attenzione e la cooperazione all’opera evangelizzatrice della Chiesa nel mondo non possono essere limitate ad alcuni momenti e occasioni particolari, e non possono neppure essere considerate come una delle tante attività pastorali: la dimensione missionaria della Chiesa è essenziale, e pertanto va tenuta sempre presente. E’ importante che sia i singoli battezzati e sia le comunità ecclesiali siano interessati non in modo sporadico e saltuario alla missione, ma in modo costante, come forma della vita cristiana. La stessa Giornata Missionaria non è un momento isolato nel corso dell’anno, ma è una preziosa occasione per fermarsi a riflettere se e come rispondiamo alla vocazione missionaria; una risposta essenziale per la vita della Chiesa.

Evangelizzazione globale

L’evangelizzazione è un processo complesso e comprende vari elementi. Tra questi, un’attenzione peculiare da parte dell’animazione missionaria è stata sempre data alla solidarietà. Questo è anche uno degli obiettivi della Giornata Missionaria Mondiale, che, attraverso le Pontificie Opere Missionarie, sollecita l’aiuto per lo svolgimento dei compiti di evangelizzazione nei territori di missione. Si tratta di sostenere istituzioni necessarie per stabilire e consolidare la Chiesa mediante i catechisti, i seminari, i sacerdoti; e anche di dare il proprio contributo al miglioramento delle condizioni di vita delle persone in Paesi nei quali più gravi sono i fenomeni di povertà, malnutrizione soprattutto infantile, malattie, carenza di servizi sanitari e per l'istruzione. Anche questo rientra nella missione della Chiesa. Annunciando il Vangelo, essa si prende a cuore la vita umana in senso pieno. Non è accettabile, ribadiva il Servo di Dio Paolo VI, che nell’evangelizzazione si trascurino i temi riguardanti la promozione umana, la giustizia, la liberazione da ogni forma di oppressione, ovviamente nel rispetto dell’autonomia della sfera politica. Disinteressarsi dei problemi temporali dell’umanità significherebbe «dimenticare la lezione che viene dal Vangelo sull’amore del prossimo sofferente e bisognoso» (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 31.34); non sarebbe in sintonia con il comportamento di Gesù, il quale “percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e infermità” (Mt 9,35).

Così, attraverso la partecipazione corresponsabile alla missione della Chiesa, il cristiano diventa costruttore della comunione, della pace, della solidarietà che Cristo ci ha donato, e collabora alla realizzazione del piano salvifico di Dio per tutta l’umanità. Le sfide che questa incontra, chiamano i cristiani a camminare insieme agli altri, e la missione è parte integrante di questo cammino con tutti. In essa noi portiamo, seppure in vasi di creta, la nostra vocazione cristiana, il tesoro inestimabile del Vangelo, la testimonianza viva di Gesù morto e risorto, incontrato e creduto nella Chiesa.

La Giornata Missionaria ravvivi in ciascuno il desiderio e la gioia di “andare” incontro all’umanità portando a tutti Cristo. Nel suo nome vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica, in particolare a quanti maggiormente faticano e soffrono per il Vangelo.

Dal Vaticano, 6 gennaio 2011, Solennità dell’Epifania del Signore


BENEDICTUS PP. XVI

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana
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domenica 23 ottobre 2011

Il Papa ha proclamato tre nuovi Santi

Questa mattina in Piazza San Pietro, il Santo Padre Benedetto XVI ha proclamato tre nuovi Santi, segno della costante presenza di Dio in mezzo al popolo. Questi tre nuovi Santi ci dicono che la Santità non è una cosa di altri tempi, ma è l'Eterno Amore che continua a diffondersi in ogni tempo attraverso uomini generosi e innamorati del Vangelo. Il progresso con tutti i suoi molteplici volti non può e non potrà mai arrestare l'Amore di Dio che viene riversato in ogni tempo, anche quando tutto sembra perduto.

Questi nuovi Santi ci ottengano la forza di lavorare ogni giorno per raggiungere quella santità che hanno loro raggiunto. Di seguito pubblichiamo la notizia di Radio Vaticana che ci parla di questo lieto momento della Chiesa Cattolica:



Benedetto XVI proclama Santi mons. Conforti, don Guanella e suor Bonifacia de Castro. All'Angelus il Papa prega per l'incontro di Assisi


Trasformati in modelli da imitare dalla più grande legge del Vangelo: quella dell’amore a Dio e ai fratelli. Così questa mattina – nel giorno in cui la Chiesa ricorda i missionari in tutto il mondo – Benedetto XVI ha presentato alle circa 50 mila persone giunte in Piazza San Pietro i tre nuovi Santi canonizzati durante una solenne liturgia eucaristica: mons. Guido Maria Conforti, don Luigi Guanella e suor Bonifacia Rodríguez de Castro. Al termine della Messa, il Papa ha invocato all’Angelus preghiere per il raduno interconfessionale e interreligioso convocato ad Assisi per il prossimo 27 ottobre. Il servizio di Alessandro De Carolis:

(musica)

La santità non ha una forma uguale per tutti, ma quelle mille che l’amore di Dio suggerisce a un cuore capace di amare gli altri. Può avere la creatività di un fine intelletto o i calli alle mani di un umile lavoratore. Può manifestarsi tra gli operai di una fabbrica o creare oasi di accoglienza per gente in miseria o gravemente malata. È questo che raccontano le storie della donna e dei due uomini i cui volti sereni – perché la carità è sacrificio ma non tristezza – hanno giganteggiato dal balcone della loggia centrale della Basilica vaticana davanti alle decine di migliaia di persone presenti alla Messa in Piazza San Pietro. Prima di tratteggiare all’omelia qualcosa delle vite di Guido Maria Conforti, Luigi Guanella e Bonifacia Rodríguez de Castro, di come la loro umanità sia giunta alla santità, Benedetto XVI è partito dalla risposta, riferita dal Vangelo appena letto, che Gesù indirizza al suo insidioso interlocutore: qual è il più grande comandamento? L’amore pieno e totale a Dio, quello di cui sono capaci i Santi:


“L’esigenza principale per ognuno di noi è che Dio sia presente nella nostra vita. Egli deve, come dice la Scrittura, penetrare tutti gli strati del nostro essere e riempirli completamente: il cuore deve sapere di Lui e lasciarsi toccare da Lui; e così anche l’anima, le energie del nostro volere e decidere, come pure l’intelligenza e il pensiero”.


Il cuore di un cristiano vero “deve sapere” di Cristo, averne quasi l’odore e il sapore: un’immagine forte e perfettamente calzante per il primo dei tre nuovi Santi ricordati dal Papa. Guido Maria Conforti fonda a soli trent’anni una famiglia religiosa ed è a 37 vescovo di Ravenna e poi di Parma. Una sorta di enfant prodige del servizio al Vangelo, al quale dedica anche le forze che il suo fisico debole non avrebbe. Vive nella sua città facendo il bene e intanto forma missionari da inviare nelle Chiese di frontiera:


“In ogni circostanza, anche nelle sconfitte più mortificanti, seppe riconoscere il disegno di Dio, che lo guidava ad edificare il suo Regno soprattutto nella rinuncia a sé stesso e nell’accettazione quotidiana della sua volontà, con un abbandono confidente sempre più pieno (...) San Guido Maria Conforti tenne fisso il suo sguardo interiore sulla Croce, che dolcemente lo attirava a sé; nel contemplarla (…) scorgeva l’’urgente’ desiderio, nascosto nel cuore di ogni uomo, di ricevere e di accogliere l’annuncio dell’unico amore che salva”.


Don Luigi Guanella è stato un monumento di generosità verso il prossimo. Benedetto XVI lo ha definito “compagno e maestro, conforto e sollievo dei più poveri e dei più deboli”. Credette con “coraggio e determinazione” a quel “grande comandamento” ribadito e ampliato da Gesù nella sua risposta al dottore della legge, quando afferma che il secondo comandamento, l’amore al prossimo, è simile al primo:


“Vogliamo oggi lodare e ringraziare il Signore perché in San Luigi Guanella ci ha dato un profeta e un apostolo della carità. Nella sua testimonianza, così carica di umanità e di attenzione agli ultimi, riconosciamo un segno luminoso della presenza e dell’azione benefica di Dio (…) Questo nuovo Santo della carità sia per tutti, in particolare per i membri delle Congregazioni da lui fondate, modello di profonda e feconda sintesi tra contemplazione e azione, così come egli stesso l’ha vissuta e messa in atto”.


Luminosa è anche la storia di suor Bonifacia Rodríguez de Castro, spagnola di Salamanca. La sua è una santità che nasce dal lavoro manuale di cordonaia. Una semplice artigiana all’esterno con il fuoco di Dio dentro, che sceglie di portare Cristo tra i telai e le macchine da cucire, tra donne che potrebbero essere vittime di sfruttamento e che con lei e le suore dell’Istituto che fonda, trovano invece lavoro, sicurezza e fede. Afferma, in spagnolo, il Papa:


“La nueva Santa se non presenta…
La nuova Santa si presenta a noi come un modello perfetto nel quale risuona il lavoro di Dio, un'eco che chiama le sue figlie, le Suore di San Giuseppe e tutti noi, ad accettare la sua testimonianza con la gioia dello Spirito Santo, senza la paura della delusione, diffondendo ovunque la buona novella del Regno dei Cieli”.


All’Angelus che ha concluso la celebrazione, Benedetto XVI ha voluto salutare in cinque lingue i pellegrini che hanno gremito Piazza San Pietro, ricordando al termine l’atteso appuntamento di giovedì prossimo ad Assisi e affidandolo alla protezione della Vergine:


“Alla sua intercessione affidiamo anche la Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo: un pellegrinaggio ad Assisi, a 25 anni da quello convocato dal Beato Giovanni Paolo II”.
(musica)


E c’è una nota di cronaca da riferire a margine della celebrazione di questa mattina. Mentre la cerimonia era ancora in corso di svolgimento, un uomo è riuscito a raggiungere il cornicione della Loggia delle Dame, situato a destra per chi guarda la facciata di San Pietro, fermandosi all’esterno della balaustrata. In quella posizione – ha informato il direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi – “è rimasto per più di mezz’ora fino al termine della celebrazione. Ha attirato l’attenzione su di sé e ha bruciato una Bibbia. Si tratta evidentemente di una persona squilibrata. Parlando con i responsabili della Gendarmeria vaticana e con un funzionario dell’ambasciata rumena, che erano accorsi, ha detto di avere dei messaggi da comunicare al mondo, in particolare per la lotta contro il terrorismo. E’ stato identificato: si tratta di un cittadino rumeno, Iulian Jugarean. Dopo il fatto è stato trattenuto in arresto presso la Gendarmeria Vaticana”.
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sabato 22 ottobre 2011

Memoria del Beato Wojtyla. Il postulatore, mons. Oder: tanti bimbi festeggiano oggi il loro primo onomastico

Da: Radio Vaticana


Si celebra oggi, per la prima volta, la memoria liturgica del Beato Giovanni Paolo II. Numerose le iniziative di preghiera in tutto il mondo per celebrare l’evento, in particolare a Roma e in Polonia. Oggi pomeriggio, alle 16.30, i giovani romani sono convocati a Piazza San Giovanni per una Veglia, con meditazioni di don Fabio Rosini, a cui seguirà la Messa presieduta, in Basilica, dal cardinale vicario Agostino Vallini. Intervistato daAlessandro Gisotti, il postulatore della Causa di Beatificazione e Canonizzazione di Karol Wojtyla, mons. Slawomir Oder, si sofferma su un aspetto particolare di questa giornata:R. – Sicuramente, sarà una celebrazione molto particolare perché è la prima, tanto desiderata dai fedeli, dal popolo di Dio praticamente fin dal giorno della sua morte. Io penso che, per quanto riguarda Giovanni Paolo II, c’è un aspetto molto particolare. Dopo la sua morte, molte persone hanno chiesto la sua intercessione per ottenere la grazia della paternità, della maternità e avendo ottenuto questa grazia hanno voluto commemorarla con il nome che hanno dato ai loro figli. E per questo, la memoria liturgica sarà per molti piccoli Karol, Carolina, Giovanni Paolo nati a seguito di queste preghiere il primo onomastico celebrato in compagnia del loro Santo Patrono.D. – Questo è un frutto tangibile della Beatificazione di Karol Wojtyla. Ce ne sono altri che le vengono alla mente?

R. – La figura del Beato Giovanni Paolo II è la figura che ha ispirato diverse iniziative di natura sociale: fondazioni di beneficienza, apertura di scuole, asili nido, ospedali a lui intitolati in diverse parti del mondo; sono già state create parrocchie a lui intitolate…

D. – Le reliquie del Beato Wojtyla hanno fatto tappa in molti luoghi, in questi mesi: dalla Gmg di Madrid alla Polonia al Messico. Come sono stati accolti questi momenti dai fedeli?

R. – Io ho avuto occasione di partecipare a diversi di questi momenti. Mi viene in mente in modo particolare l’esperienza vissuta in Messico. E’ stata un’esperienza straordinaria di manifestazione della fede – della fede semplice, della fede popolare, sì, ma di una fede che diventa un amore vivente per la figura di Giovanni Paolo II. Sicuramente, l’accoglienza delle reliquie ha significato l’afflusso di tantissime persone: migliaia, centinaia di migliaia di persone, che hanno affrontato ore di attesa per poter pregare dinanzi alla reliquia di Giovanni Paolo II. Ho visto scene molto toccanti, come quella dell’affidamento di bambini malati, di persone anziane all’intercessione di Giovanni Paolo II. Una situazione in cui la sua presenza diventava – attraverso la reliquia – quasi tangibile.

D. – Dopo la Beatificazione, qual è la testimonianza che più l’ha colpita tra le innumerevoli che avete ricevuto, alla Postulazione?

R. – Mi ha colpito in particolar modo la guarigione da una situazione quasi disperata di una bambina, e un’altra testimonianza molto toccante riguarda la guarigione di un sacerdote. Forse sono significative, queste testimonianze, perché in qualche modo indicano due poli di attenzione in vita, ma anche un’attenzione particolare del Beato, adesso, che può intercedere direttamente presso Dio in nostro favore. C’è la sfera della vita e la sfera dell’amore per il sacerdozio.

D. – In molti si chiedono quanto tempo ci vorrà per la canonizzazione del Beato Karol Wojtyla…

R. – Il vero protagonista, che senz’altro ci indicherà il momento più opportuno, è Dio stesso che vorrà darci un segno che la Chiesa potrà prendere in considerazione per riconoscere un eventuale nuovo miracolo. Io posso dire soltanto che al momento ho ricevuto diverse testimonianze molto significative e sono in attesa della documentazione completa per poter eventualmente fare un serio discernimento sull’opportunità di promuovere il nuovo processo. Comunque, le grazie ottenute sono tantissime… (gf)
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venerdì 21 ottobre 2011

Benedetto XVI all'ambasciatore dei Paesi Bassi: né calcoli o interessi, la forza della Chiesa sta nella fede in Cristo

Da: Radio Vaticana


La forza disarmata dei princìpi che scaturiscono dalla sua fede in Cristo. Poggia su questa base l’autorevolezza della Chiesa in ambito internazionale. Benedetto XVI lo ha riaffermato nell’udienza al nuovo ambasciatore dei Paesi Bassi presso la Santa Sede, Joseph Weterings, ricevuto stamattina in Vaticano per la presentazione delle Lettere credenziali. Il Papa ha apprezzato gli sforzi delle autorità olandesi in difesa della libertà di credo, minacciata – ha detto – da una diffusa mentalità antireligiosa anche in nazioni dove essa è tutelata dalle leggi. Il servizio di Alessandro De Carolis:


Libera dai calcoli legati alla conquista del consenso elettorale o dalle sudditanze che il denaro crea nelle relazioni fra Stati poveri e Stati ricchi. L’influenza che la Santa Sede esercita nel mondo vola più alto, sulle ali del messaggio del Vangelo e dei valori cristiani, calati dovunque nel vissuto dell’umanità, specie di quella più debole. La Chiesa ha vissuto e vive così la sua missione, anche se qualcuno per debolezza ogni tanto la tradisce. Con vigore e la consueta trasparenza, il Papa sceglie di impostare il suo discorso al nuovo ambasciatore olandese accreditato in Vaticano partendo da una constatazione spesso sottolineata in queste circostanze. “La Santa Sede – afferma – non è una potenza economica o militare”. E spiega:



“Its contribution to international diplomacy…

Il suo contributo alla diplomazia internazionale è costituito in gran parte nell’articolazione di quei principi etici che dovrebbero sostenere l’ordine sociale e politico e nel richiamare l’attenzione sulla necessità di intervenire per rimediare alle violazioni di tali principi (…) Di qui, il dialogo diplomatico che impegna la Santa Sede viene condotto né in modo confessionale né per ragioni pragmatiche, ma sulla base dei principi universalmente applicabili, reali tanto quanto lo sono gli elementi fisici dell'ambiente naturale”.



Quella della Chiesa, e in particolare della Santa Sede – prosegue Benedetto XVI – è la voce forte di chi non può farsi udire perché indifeso, povero, ammalato, anziano, in minoranza o perché semplicemente non è ancora nato. “La Chiesa – incalza – cerca sempre di promuovere la giustizia naturale come è suo diritto e dovere di fare”. Quindi, con schiettezza, aggiunge:



“While recognizing with humility…

Pur riconoscendo con umiltà che i suoi stessi membri non sono sempre all'altezza degli elevati standard morali che essa propone, la Chiesa non può far altro che continuare a esortare tutte le persone, inclusi i suoi stessi membri, a cercare di fare tutto ciò che è in accordo con la giustizia e la retta ragione e a opporsi a ciò che è loro contrario”.



Spostando l’asse del discorso ai Paesi Bassi, Benedetto XVI sottolinea con interesse un passaggio del discorso del diplomatico olandese, che poco prima aveva parlato della necessità di promuovere la pace globale attraverso la risoluzione dei conflitti e di opporsi alla proliferazione delle armi di distruzione di massa. E apprezzamento suscita nel Papa anche il l'accento dell'ambasciatore “alla necessità di difendere la dignità umana”. Riferendosi al contrasto messo in campo dal governo olandese nei confronti dell’abuso di droga e della prostituzione, il Pontefice osserva che “la libertà degli individui di compiere le proprie scelte”, sempre sostenuta dall’Olanda, venga bilanciata dalla presa di coscienza per cui tali scelte non devono “nuocere a se stessi o agli altri” per il “bene della società”. E un altro motivo di conforto Benedetto XVI lo individua nelle intenzioni del governo olandese “di promuovere la libertà di religione”:



“As you know, is a matter…

Come sapete, è una questione di particolare interesse per la Santa Sede in questo momento. È minacciata non solo da vincoli di legge in alcune parti del mondo, ma da una mentalità anti-religiosa all'interno di molte società, anche in quelle in cui la libertà di religione gode della protezione del diritto. È quindi vivamente auspicabile che il suo governo vigili in modo che la libertà di religione e la libertà di culto continueranno a essere tutelate e promosse, sia in patria che all'estero”.
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