mercoledì 31 agosto 2011

«La questione etica è grave e urgente»

Pubblichiamo oggi il testo dell'omelia pronunciata dal Cardinal Angelo Bagnasco, in occasione della solennità della Madonna della Guardia. Sono parole molto forti che cadono in un periodo davvero delicato considerando la grave questione morale che serpeggia tra i banchi del Parlamento e tra i membri del Governo e che si va aggravando a causa dell'iniquità di un'azione di governo che sembra voler spremere i ceti medio-bassi, salvando invece i ceti alti:


Carissimi Fratelli e Sorelle nel Signore

siamo qui per la solennità della Madonna della Guardia che dal 1490 guarda la nostra Città e dalla Città è guardata. Eleviamo gli occhi alla venerata effigie e chiediamo: che cosa hai da dirci quest'anno? Lei sembra volerci parlare della sua esperienza di Madre, Madre di quello straordinario Bimbo che è Figlio suo, ma che è anche il Figlio Eterno di Dio, il Verbo fatto carne nel suo grembo purissimo. Sembra che voglia parlarci del suo compito di crescere il piccolo Gesù che, in quanto vero uomo, ha avuto bisogno di tutto, anche di essere educato secondo la tradizione della sua famiglia, del suo villaggio, del suo popolo.
E quanto ci sia bisogno di educarci e di educare, tutti lo vediamo. Sentiamo il crescente bisogno di educatori, di punti di riferimento autentici. I due milioni di giovani giunti a Madrid per la Giornata Mondiale della Gioventù, sono una buona notizia per il mondo. Provenienti da ogni punto della Terra, stretti attorno a Benedetto XVI, in un intreccio d'anime tanto più cordiale ed vibrante quanto più battente era la pioggia, hanno manifestato a tutti il loro desiderio di esserci e di crescere nella verità esigente e nell'amore serio. Hanno visto nel Successore di Pietro il punto affidabile e vero, e hanno detto ai Potenti delle Nazioni di non avere pura di quell'uomo schivo, dalla parola mite, chiara e profonda. Ben consapevoli delle difficoltà dell'ora, essi non hanno ceduto alla sfiducia né alla rabbia che distrugge, ma hanno rinnovato la speranza in Cristo ascoltando il Papa, e vivendo la gioiosa appartenenza alla Chiesa. I giovani non vogliono essere ingannati: sanno che la vita non è di chi se la gode, di chi è più scaltro e forte, di chi ha la strada spianata; e che il successo del potere e dell'affermazione personale – anche a prezzo della propria onestà – non porta lontano. Nonostante turbolenze e cadute, il giovane sa che la strada della realizzazione e della gioia sta da un'altra parte, quella del dovere e del sacrificio, della famiglia stabile e feconda, di rapporti veri. Intuisce che nulla è così triste quanto una vita vuota e priva di senso. Di fronte a queste attese, il mondo degli adulti non può rimanere indifferente e inerte, tanto meno lo possiamo noi cristiani. Per questo i Vescovi italiani hanno messo al centro dell'impegno pastorale del decennio la sfida educativa, facendo riferimento al Signore Gesù. In Lui – cristiani o meno – troviamo il Pedagogo migliore, il paziente Maestro della nostra mai conclusa crescita. In Lui, alla sua inesauribile grazia, attingiamo la forza di non arrenderci alle nostre cadute sulla via del bene, alle intermittenze della nostra volontà, alle durezze del nostro cuore, alle ostinazioni delle nostre abitudini malate. Veramente Gesù è la verità, la via, la vita dell'uomo!

Ieri sera, nell'omelia, ho accennato alla famiglia, grembo della vita e prima scuola di umanità e di fede. Accanto ai genitori, si pone con discrezione e impegno la Chiesa, attingendo al patrimonio educativo della propria storia: basta pensare ai grandi Santi dell' educazione.
Ora, però, desidero accennare ad un altro grande soggetto che partecipa, a suo modo, all' opera educativa della gioventù: la società. Se i giovani cercano dei punti di riferimento veri ai quali poter guardare con fiducia e, in qualche misura, anche affidarsi davanti alla vita, comprendiamo quanto sia necessario e auspicabile che l'intero corpo sociale diventi un soggetto affidabile e vero: e cioè un ambiente di vita, un orizzonte di modelli, un clima respirabile di valori, un humus comune, dove l'apparenza, il raggiro, la corruzione non la spuntano, e la disonestà non è la regola esibita e compiaciuta. Sappiamo che il sentire profondo della gente non è così e reagisce: l'esempio della vita dura, onesta e dignitosa dei propri avi è ancora vivo. Questo mondo fatto di gente semplice e vera esiste, reagisce spesso disgustato, e resiste a fronte di stili non esemplari che, palesi e amplificati, sembrano rappresentare la norma. Purtroppo i messaggi, che giungono prepotenti e insistenti nell'anima dei ragazzi, ma anche degli adulti, lasciano il segno, creano reazioni e fragilità emotive, paure, illusioni, rancori. E allora? Se la scuola – come giustamente si dice – deve essere una comunità educante, anche tutta la società deve diventare una società educante. E' quanto auspicavo a Reggio Calabria all'inizio della Settimana Sociale dei Cattolici Italiani nell'ottobre dello scorso anno.

C'è bisogno, dunque, di una grande conversione culturale e sociale, e coloro che hanno particolari responsabilità rispetto alla vita pubblica – in qualunque forma e a qualunque livello – ma anche quanti hanno poteri e interessi economici, ne hanno il dovere impellente più degli altri, sapendo che, attraverso il loro operare, propongono modelli culturali destinati a diventare dominanti. Anche per questa ragione la questione morale in politica – come in tutti gli altri ambiti del vivere pubblico e privato - è grave e urgente, e non riguarda solo le persone ma anche le strutture e gli ordinamenti. Nessuno può negare l'impegno generoso e la rettitudine limpida di molti che operano nel mondo della politica e della pubblica amministrazione, dell' economia, della finanza e dell'impresa; a loro va rinnovata stima e fiducia. Ciò non di meno, la questione riguarda tutti come un problema non solo politico, ma culturale ed educativo. Non si tratta in primo luogo di fare diversamente, ma di pensare diversamente, in modo più vero e nobile se si vuole purificare l'aria, e i nostri giovani non siano avvelenati nello spirito. So bene che il compito è arduo perché si tratta di intaccare consuetudini e interessi vetusti, stili e prassi lontani dall'essenziale e dalla trasparenza, dal sacrificio e dal dovere, ma è possibile perché la gente lo chiede e perché è giusto.
E' noto anche che formare dei ragazzi senza ideali, e in preda ad un falso concetto di libertà – intesa come fare ciò che si vuole senza altra regola di ciò che piace e comoda, senza il gusto delle regole e dei limiti - significa farne degli insicuri, incapaci a giudicare le cose con criteri razionali, affidati solo alle emozioni. Ma quale tipo di società ne verrà fuori? E soprattutto, saranno loro felici? No di certo! Chi ha responsabilità pubbliche oggi e domani, ha questo primario dovere e onore: mettere in movimento delle decisioni puntuali perché la "cultura della vita facile" ed egoista ceda il passo alla "cultura della serietà". Lo dobbiamo a loro, ma anche e noi stessi. La Santa Vergine della Guardia ci benedica, e ci accompagni in questa impresa che non ammette ritardi e pigrizie.

Angelo Card. Bagnasco

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Esempio di dialogo interreligioso: in Indonesia i cristiani proteggono i mussulmani

Oggi pubblichiamo una notizia molto bella perché ci mostra come sia possibile instaurare il dialogo con altre religioni. Vediamo cosa voglia dire rispetto e amicizia attraverso l'articolo di Radio Vaticana che ci dà questa lieta notizia:


I giovani cristiani della Papua sono impegnati oggi come sentinelle per garantire sicurezza a tutte le comunità musulmane che pregano e digiunano per la fine del Ramadan e per far sì che i festeggiamenti dell’Eid, previsti oggi, si svolgano pacificamente. E’ quanto accade nella Papua (anche detta Irian Jaya), provincia indonesiana dove i cristiani sono oltre il 65% della popolazione, in maggioranza protestanti. Il gesto, all’insegna del dialogo e dell’amicizia interreligiosa, ricorda i servizi di vigilanza organizzati da gruppi musulmani moderati dopo attacchi o attentati alle chiese indonesiane, avvenuti negli anni passati. Come riferito all'agenzia Fides dalla Chiesa locale, i leader delle diverse comunità cristiane della Papua hanno chiesto ai giovani di manifestare rispetto e amicizia verso i fedeli musulmani (che sono, nel complesso, larga maggioranza in Indonesia), vigilando sull’osservanza della preghiera e del digiuno e sulla festa dell’Eid, che conclude il mese sacro del Ramadan. L’appello si è reso necessario a causa degli episodi di violenza e criminalità e del clima di tensione che ultimamente hanno turbato l’atmosfera nella società della Papua. I leader cristiani di Jayapura (capitale della provincia) hanno detto pubblicamente che “desiderano collaborare con le autorità e con i leader musulmani per avere una città sicura e tranquilla”, deplorando ogni atto violento, compiuto da elementi cristiani o musulmani, che minaccia l’armonia sociale. Come riferito da fonti cattoliche in Indonesia, momenti di condivisione, di festa, di scambio e di amicizia interreligiosa, in occasione dell’Eid, sono organizzati anche nell’arcidiocesi di Semarang e in quella di Giakarta. A Bekasi, sobborgo di Giakarta noto per la presenza di gruppi integralisti islamici e per episodi di tensione fra musulmani e cristiani, i fedeli cattolici della chiesa di San Bartolomeo hanno pregato per i credenti musulmani che celebrano l’Eid, nella speranza che l’Eid “possa portare benefici spirituali ai fratelli di religione islamica e ai rapporti fra credenti di fedi diverse”. (R.P.)
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martedì 30 agosto 2011

Cento anni dopo - Centesimus Annus - XVIIII parte

Torna l'appuntamento con la Lettera Enciclica del Beato Giovanni Paolo II, intitolata "Centesimus Annus" e promulgata nel centenario della Rerum Novarum. Proseguiamo la lettura del capitolo incentrato sull'universale destinazione dei beni. Oggi si tocca un tema spesso sottovalutato, quello dell'ecologia. Vediamo quanto sia importante salvaguardare la natura. Non solo l'uomo può meditare attraverso questo passo della Lettera che non è l'insaziabilità a salvarlo, ma dal suo essere trasfigurato dalla Luce di Cristo. Infatti, vedremo a breve, come l'insaziabilità delle cose materiali, danneggi l'ambiente, mettendo a rischio la salute degli uomini e anche quelle degli animali. Anche sugli animali il Beato Wojtyla mostra le sue preoccupazioni, in quanto ogni essere animale fa la sua parte nell'equilibro naturale. Dovremmo davvero guardare all'aspetto ecologico più spesso poiché la cura dell'ambiente non è soltanto un atto giusto, ma anche salutare per il prossimo e per noi stessi. Infine prestiamo attenzione alle ultime parole del passo che leggiamo quest'oggi: viviamo una società condizionata dalle cattive scelte di alcuni, scelte che inducono l'uomo verso il peccato qualora venga a contattato con quelle"strutture di peccato" come le definisce il Beato Giovanni Paolo II, probabilmente riferendosi a quei luoghi dove l'uomo si abbandona a vizi che gli impediscono di realizzare la sua vita spirituale:

37. Del pari preoccupante, accanto al problema del consumismo e con esso strettamente connessa, è la questione ecologica. L'uomo, preso dal desiderio di avere e di godere, più che di essere e di crescere, consuma in maniera eccessiva e disordinata le risorse della terra e la sua stessa vita. Alla radice dell'insensata distruzione dell'ambiente naturale c'è un errore antropologico, purtroppo diffuso nel nostro tempo. L'uomo, che scopre la sua capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro, dimentica che questo si svolge sempre sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio. Egli pensa di poter disporre arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma ed una destinazione anteriore datale da Dio, che l'uomo può, sì, sviluppare, ma non deve tradire. Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell'opera della creazione, l'uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui.76

Si avverte in ciò, prima di tutto, una povertà o meschinità dello sguardo dell'uomo, animato dal desiderio di possedere le cose anziché di riferirle alla verità, e privo di quell'atteggiamento disinteressato, gratuito, estetico che nasce dallo stupore per l'essere e per la bellezza, il quale fa leggere nelle cose visibili il messaggio del Dio invisibile che le ha create. Al riguardo, l'umanità di oggi deve essere conscia dei suoi doveri e compiti verso le generazioni future.



38. Oltre all'irrazionale distruzione dell'ambiente naturale è qui da ricordare quella, ancor più grave, dell'ambiente umano, a cui peraltro si è lontani dal prestare la necessaria attenzione. Mentre ci si preoccupa giustamente, anche se molto meno del necessario, di preservare gli «habitat» naturali delle diverse specie animali minacciate di estinzione, perché ci si rende conto che ciascuna di esse apporta un particolare contributo all'equilibrio generale della terra, ci si impegna troppo poco per salvaguardare le condizioni morali di un'autentica «ecologia umana». Non solo la terra è stata data da Dio all'uomo, che deve usarla rispettando l'intenzione originaria di bene, secondo la quale gli è stata donata; ma l'uomo è donato a se stesso da Dio e deve, perciò, rispettare la struttura naturale e morale, di cui è stato dotato. Sono da menzionare, in questo contesto, i gravi problemi della moderna urbanizzazione, la necessità di un urbanesimo preoccupato della vita delle persone, come anche la debita attenzione ad un'«ecologia sociale» del lavoro.

L'uomo riceve da Dio la sua essenziale dignità e con essa la capacità di trascendere ogni ordinamento della società verso la verità ed il bene. Egli, tuttavia, è anche condizionato dalla struttura sociale in cui vive, dall'educazione ricevuta e dall'ambiente. Questi elementi possono facilitare oppure ostacolare il suo vivere secondo verità. Le decisioni, grazie alle quali si costituisce un ambiente umano, possono creare specifiche strutture di peccato, impedendo la piena realizzazione di coloro che da esse sono variamente oppressi. Demolire tali strutture e sostituirle con più autentiche forme di convivenza è un compito che esige coraggio e pazienza.77

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Omelia di Sant'Agostino: La presenza di Cristo nel Vangelo

In questa giornata nell'Osservatorio, vogliamo dedicare la pagina a Sant'Agostino, con una sua omelia che ci parla della presenza di Cristo nel Vangelo:


Omelia di Sant'Agostino, Vescovo e Dottore della Chiesa


La presenza di Cristo nel Vangelo.

Ascoltiamo il Vangelo come se ascoltassimo Cristo in persona, e non stiamo a dire: beati quelli che poterono vederlo! IL Signore è in cielo, ma è anche qui con la sua verità. Il corpo in cui risuscitò è lassù, ma la sua verità è diffusa in ogni luogo.

1. Il brano del santo Vangelo, che è stato letto adesso, è la continuazione di quello che già abbiamo spiegato alla vostra Carità. Ascoltavano il Signore che parlava discepoli e Giudei; sentivano parlare la Verità uomini sinceri e uomini menzogneri; sentivano parlare la Carità amici e nemici; sentivano parlare il Buono buoni e cattivi. Ascoltavano gli uni e gli altri, ma egli sapeva distinguere gli uni dagli altri: vedeva e prevedeva chi erano quelli ai quali giovavano, o avrebbero giovato, le sue parole. Vedeva nell'animo di quelli che erano presenti allora e vedeva già in noi che saremmo venuti dopo. Cerchiamo di ascoltare il Vangelo come se il Signore fosse qui presente; e non diciamo: fortunati quelli che poterono vederlo! perché molti di quelli che lo videro lo uccisero; mentre molti tra noi, che non l'abbiamo visto, abbiamo creduto. Ogni parola, uscita dalla bocca del Signore, è stata affidata agli scritti per noi, e per noi come un tesoro è stata conservata, per noi viene proclamata e lo sarà anche per quelli che verranno dopo di noi, sino alla fine del mondo. Il Signore è lassù in cielo; ma come verità egli è anche qui. Il corpo del Signore nel quale egli risuscitò, può essere in un sol luogo; ma la sua verità è diffusa ovunque. Ascoltiamo, dunque, il Signore e comunichiamo agli altri la ricchezza che egli ci consente di attingere dalle sue parole.

2. Mosè non vi ha forse dato la legge? Ma nessuno di voi osserva la legge! Perché cercate di uccidermi? Per questo cercate di uccidermi, perché nessuno di voi osserva la legge; poiché se osservaste la legge, nella stessa Scrittura riconoscereste il Cristo, e non lo uccidereste ora che è presente. Essi gli risposero, o meglio, la folla gli rispose. Gli rispose come folla, non in maniera ordinata ma agitata: ecco la risposta di quella folla agitata: Tu sei indemoniato! Chi cerca di ucciderti? (Gv 7, 19-20). Come se dirgli indemoniato non fosse peggio che ucciderlo. E' chiamato indemoniato colui che scacciava i demoni. Che altro poteva dire una folla agitata? Quale altro odore poteva esalare un pantano smosso? Ma da che cosa era agitata la folla? Dalla verità. Il fulgore della luce turbava gli occhi malati della folla. Coloro infatti che hanno gli occhi malati non sopportano il fulgore della luce.

[La tranquillità della verità.]

3. Ma il Signore, per niente turbato, tranquillo nella sua verità, non rese male per male né insulto per insulto (cf. 1 Pt 3, 9). Se avesse detto loro: siete voi indemoniati, avrebbe senz'altro detto la verità. Essi infatti non avrebbero potuto insultare così la Verità se non fossero stati ispirati dalla falsità del diavolo. Che cosa rispose invece? Ascoltiamolo con calma e assaporiamo la sua calma: Un'opera sola ho compiuto e tutti ne siete stupiti (Gv 7, 21). Come a dire: che fareste se vedeste tutte le mie opere? Tutto ciò che vedevano nel mondo era opera sua, e non vedevano lui che tutto aveva fatto. Un'opera sola aveva compiuto, aveva cioè guarito un uomo di sabato, ed erano rimasti turbati. Come se, trattandosi di un malato guarito di sabato, lo avesse guarito una persona diversa da colui che li scandalizzò per aver guarito un uomo di sabato. Chi può guarire gli altri se non colui che è la salute stessa, e che dà anche agli animali la salute che ha dato a quest'uomo? Si trattava, infatti, della salute del corpo. Si ricupera la salute del corpo, e tuttavia poi si muore; quando si ricupera, si differisce la morte, non si elimina. Purtuttavia, o fratelli, anche questa salute proviene dal Signore, da chiunque venga procurata; chiunque sia a procurarla con cure e medicine, è dono di Dio, da cui viene ogni salute, e a cui è detto nel salmo: Salverai, o Signore, gli uomini e gli animali, così come hai moltiplicato, o Dio, la tua misericordia. Poiché tu sei Dio, l'abbondanza della tua misericordia si estende sia alla salute del corpo umano che alla salute degli animali che sono privi della parola. Però tu, che dai la salute fisica che è comune al corpo degli uomini e degli animali, non riservi forse una salute speciale agli uomini? Esiste certamente un'altra salute, che non solo non è comune agli uomini e agli animali, ma che neppure è comune a tutti gli uomini, buoni e cattivi. Sicché, dopo aver parlato di quella salute che indistintamente ricevono gli uomini e gli animali, ecco che cosa aggiunge il salmo a proposito di quella salute che devono sperare gli uomini, ma soltanto quelli buoni: I figli degli uomini, però, si rifugeranno all'ombra delle tue ali; si inebrieranno per l'abbondanza della tua casa, e tu li disseterai al torrente della tua dolcezza; perché presso di te è la fonte della vita, e nella tua luce vedremo la luce (Sal 35, 7-10). Questa è la salute riservata ai buoni, che il salmista chiama figli degli uomini, mentre prima aveva detto: Tu, o Signore, salverai gli uomini e gli animali. Ma come? quelli non sono figli degli uomini? Avendo parlato prima di uomini e poi di figli degli uomini, ha inteso dire che una cosa sono gli uomini e un'altra i figli degli uomini? Non credo, tuttavia, che lo Spirito Santo abbia fatto questa distinzione senza un motivo. Uomini si riferisce al primo Adamo, figli degli uomini al Cristo. E' probabile infatti che dicendo uomini voglia indicare gli appartenenti al primo uomo, e dicendo figli degli uomini, quelli che appartengono al Figlio dell'uomo.

4. Un'opera sola ho compiuto, e tutti ne fate le meraviglie. E soggiunge: Mosè vi ha dato la circoncisione. E' stato un privilegio aver ricevuto la circoncisione da Mosè. Non che essa venga da Mosè, ma dai Patriarchi (Gv 7, 22). Fu Abramo, infatti, il primo che ricevette la circoncisione dal Signore (cf. Gn 17, 10). E voi circoncidete un uomo di sabato. E' Mosè che ve lo dice. La legge vi prescrive di circoncidervi nell'ottavo giorno della nascita (cf. Lv 12, 3), e la legge vi prescrive di riposare nel settimo giorno (cf. Es 20, 10). Ora, se l'ottavo giorno dalla nascita coincide col settimo giorno, cioè col sabato, che fate? Riposate per osservare il sabato, oppure circoncidete per adempiere il precetto sacro dell'ottavo giorno? Io so - egli dice - che cosa fate.Circoncidete l'uomo di sabato. Perché? Perché la circoncisione appartiene ai segni della salute, e gli uomini non devono privarsi della salute in giorno di sabato. Dunque non vi adirate contro di me perché di sabato ho risanato un uomo intero, se l'uomo riceve di sabato la circoncisione per adempiere la legge di Mosè (Gv 7, 22-23). Se la circoncisione data per mezzo di Mosè, è un'istituzione che si riferisce alla salute, perché vi indignate contro di me che opero la salute in giorno di sabato?

5. Probabilmente la circoncisione era un segno che annunciava il Signore, contro cui si indignavano costoro perché guariva e salvava. Era prescritto che si praticasse la circoncisione nell'ottavo giorno. E che cos'è la circoncisione se non una spogliazione della carne? La circoncisione, quindi, significa spogliare il cuore delle cupidigie carnali, e non senza motivo fu stabilito di compierla su quel membro che è destinato alla procreazione dei mortali. Per mezzo di un solo uomo è venuta la morte, così come per mezzo di uno solo è venuta la risurrezione dei morti (cf. 1 Cor 15, 21); e a causa di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e mediante il peccato la morte (Rm 5, 12). Tutti nascono col prepuzio, perché tutti nascono col peccato d'origine; e Dio non ci libera, né dal peccato in cui nasciamo, né dai peccati che noi aggiungiamo vivendo male, se non per mezzo del coltello di pietra che è Cristo Signore: La pietra infatti era Cristo (1 Cor 10, 4). Circoncidevano con coltelli di pietra: la pietra era simbolo di Cristo, ma ora che egli era presente non lo riconoscevano, anzi, volevano ucciderlo. E perché la circoncisione doveva aver luogo nell'ottavo giorno, se non perché egli risorse dopo il settimo giorno della settimana, nel giorno detto del Signore? Dunque la risurrezione di Cristo, avvenuta nel terzo giorno dopo la passione, ottavo giorno della settimana, è la nostra circoncisione. Ascolta come l'Apostolo esorta quelli che sono stati circoncisi con la vera pietra: Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove Cristo sta assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra (Col 3, 1-2). Egli parla a dei circoncisi: Cristo è risorto, egli vi ha liberato dai desideri carnali, vi ha liberato dalle perverse concupiscenze, vi ha tolto quel superfluo con cui eravate nati e quanto di peggio avevate aggiunto vivendo male. Voi che siete stati circoncisi per mezzo della "pietra", perché avete ancora il gusto delle cose della terra? Insomma, dal momento che Mosè vi ha dato la legge, e dal momento che voi circoncidete un uomo anche di sabato, cercate di capire il significato di questa opera buona che io ho fatto risanando completamente un uomo di sabato: è stato guarito perché avesse la salute del corpo, e ha creduto per avere la salute dell'anima.

[L'uomo nuovo.]

6. Non giudicate secondo le apparenze, ma con retto giudizio giudicate! (Gv 7, 24). Che vuol dire? Voi che in ossequio alla legge di Mosè circoncidete anche di sabato, non ve la prendete con Mosè; ve la prendete invece con me perché io ho guarito un uomo di sabato. Voi giudicate in modo soggettivo; cercate invece di tener conto della verità. Io non mi metto al di sopra di Mosè, dice il Signore che pure era anche il Signore di Mosè. Considerateci tutti e due semplicemente come due uomini e giudicate fra noi due, però giudicate secondo giustizia; non condannate lui per esaltare me, ma onorate me cercando di capire lui. A questo proposito in altra circostanza, egli disse ai Giudei: Se credete a Mosè, crederete a me, poiché di me egli ha scritto (Gv 5, 46). Adesso, qui, non vuole dire questo, ma sembra volersi porre al di sopra di loro, alla pari con Mosè. In ossequio alla legge di Mosè voi circoncidete anche di sabato, e volete che di sabato io mi astenga da un'azione benefica come è quella di guarire un uomo? Il Signore della circoncisione e Signore del sabato, è l'autore della salvezza. Vi è stato comandato di astenervi dalle opere servili di sabato; ma se avete ben capito, astenersi dalle opere servili vuol dire non peccare. Chi, infatti, commette peccato è servo del peccato (Gv 8, 34). E' forse un'opera servile guarire un uomo di sabato? Voi mangiate e bevete (dico questo parafrasando le parole di nostro Signore Gesù Cristo), e perché mangiate e bevete in giorno di sabato, se non perché queste sono azioni necessarie alla salute? Con ciò dimostrate che in giorno di sabato assolutamente non si devono tralasciare le opere della salute. Dunque non giudicate secondo le apparenze, ma con retto giudizio giudicate! Considerate me e Mosè come uomini: giudicate secondo verità, non condannerete né Mosè né me; e, riconoscendo la verità, riconoscerete me, perché io sono la verità (Gv 14, 6).

7. E' molto difficile, fratelli, evitare in questo mondo il difetto qui segnalato dal Signore: quello di giudicare secondo le apparenze, invece che con retto giudizio. Il monito che il Signore ha rivolto ai Giudei, vale anche per noi: condannando loro ha ammonito noi; rimproverando loro, ha voluto mettere in guardia noi. Non crediamo che questo non sia stato detto per noi solo perché noi non eravamo là allora. E' stato scritto, lo si legge, lo abbiamo ascoltato ma lo abbiamo ascoltato come rivolto ai Giudei: non teniamoci troppo indietro, come chi deve soltanto assistere al rimprovero rivolto ai nemici, e guardiamoci da ciò che la Verità potrebbe rimproverarci. E' vero, i Giudei giudicavano secondo le apparenze, ma appunto per questo non appartengono al Nuovo Testamento, né hanno in Cristo il regno dei cieli, né entrano a far parte della società dei santi angeli. Essi cercavano dal Signore le cose della terra, la terra promessa, la vittoria sui nemici, la fecondità della sposa, figli numerosi e frutti abbondanti: tutte cose che ad essi aveva promesso il Dio vero e buono, ma come ad esseri ancora carnali, e che erano legati all'economia del Vecchio Testamento. Cos'è il Vecchio Testamento? E' come un'eredità appartenente all'uomo vecchio. Noi siamo stati rinnovati, siamo diventati un uomo nuovo, perché è venuto l'Uomo nuovo. C'è novità più grande che nascere da una vergine? Non essendoci in lui niente che il precetto dovesse rinnovare, perché egli non aveva alcun peccato, gli fu concessa una nuova maniera di nascere. Alla sua nuova nascita corrisponde in noi l'uomo nuovo. In che consiste l'uomo nuovo? E' l'uomo rinnovato da tutto ciò che è vecchio. A qual fine è stato rinnovato? Per desiderare le cose celesti, anelare alle cose eterne, per aspirare alla patria che sta su in alto e non teme nemici; dove non si perde l'amico e non si deve temere il nemico; dove si vive in perfetta concordia senza alcuna privazione; dove nessuno nasce perché nessuno muore; dove nessuno deve progredire e nessuno vien meno; dove non si ha fame né sete, perché si è saziati dall'immortalità e nutriti dalla verità. Avendo tali promesse, e appartenendo al Nuovo Testamento, ed essendo diventati eredi della nuova eredità e coeredi del Signore stesso, abbiamo una nuova e più sicura speranza; non giudichiamoci, quindi, secondo le apparenze, ma con retto giudizio.

8. Chi è che non giudica secondo le apparenze? Colui che ama tutti ugualmente. L'amore universale non fa distinzione di persone. Non è parzialità onorare le persone in modo diverso a seconda delle loro funzioni ma si rischia di cadere in parzialità quando si giudica tra due persone, e in modo particolare fra due che sono parenti, quando addirittura si deve giudicare tra padre e figlio. Ecco, ad esempio che, il padre si lagna perché il figlio è cattivo, e il figlio si lagna della durezza del padre. Salviamo il rispetto che il figlio deve al padre; distinguiamo, quanto a rispetto, il padre dal figlio ma diamo ragione al figlio se il figlio ha ragione. Consideriamo uguali nella verità il figlio e il padre, rendendo al padre l'onore che gli è dovuto, senza che ne scapiti la giustizia. Questo significa far tesoro delle parole del Signore che con la sua grazia ci aiuta a fare nuovi progressi.
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lunedì 29 agosto 2011

Un nuovo cammino - La Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica - XXXV

Continua il percorso di studio della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica: un valore importantissimo e valido per tutti gli uomini di buona volontà, il che lo rende molto trasversale e utile alla causa generale. Siamo ancora all'interno del capitolo dedicato al bene comune ed oggi ci ritroviamo a scoprire un principio fondamentale in questa materia: il principio della destinazione universale dei beni: 

 CAPITOLO QUARTO

I PRINCIPI DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

III. LA DESTINAZIONE UNIVERSALE DEI BENI

a) Origine e significato

171 Tra le molteplici implicazioni del bene comune, immediato rilievo assume il principio della destinazione universale dei beni: « Dio ha destinato la terra con tutto quello che in essa è contenuto all'uso di tutti gli uomini e popoli, sicché i beni creati devono pervenire a tutti con equo criterio, avendo per guida la giustizia e per compagna la carità ».360 Tale principio si basa sul fatto che « la prima origine di tutto ciò che è bene è l'atto stesso di Dio che ha creato la terra e l'uomo, ed all'uomo ha dato la terra perché la domini col suo lavoro e ne goda i frutti (cfr. Gen 1,28-29). Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno. È qui la radice dell'universale destinazione dei beni della terra. Questa, in ragione della sua stessa fecondità e capacità di soddisfare i bisogni dell'uomo, è il primo dono di Dio per il sostentamento della vita umana ».361 La persona, infatti, non può fare a meno dei beni materiali che rispondono ai suoi bisogni primari e costituiscono le condizioni basilari per la sua esistenza; questi beni le sono assolutamente indispensabili per alimentarsi e crescere, per comunicare, per associarsi e per poter conseguire le più alte finalità cui è chiamata.362

172 Il principio della destinazione universale dei beni della terra è alla base del diritto universale all'uso dei beni. Ogni uomo deve avere la possibilità di usufruire del benessere necessario al suo pieno sviluppo: il principio dell'uso comune dei beni è il « primo principio di tutto l'ordinamento etico-sociale » 363 e « principio tipico della dottrina sociale cristiana ».364 Per questa ragione la Chiesa ha ritenuto doveroso precisarne la natura e le caratteristiche. Si tratta innanzi tutto di un diritto naturale, inscritto nella natura dell'uomo, e non di un diritto solo positivo, legato alla contingenza storica; inoltre, tale diritto è « originario ».365 Esso inerisce alla singola persona, ad ogni persona, ed è prioritario rispetto a qualunque intervento umano sui beni, a qualunque ordinamento giuridico degli stessi, a qualunque sistema e metodo economico-sociale: « Tutti gli altri diritti, di qualunque genere, ivi compresi quelli della proprietà e del libero commercio, sono subordinati ad essa [destinazione universale dei beni]: non devono quindi intralciarne, bensì al contrario facilitarne la realizzazione, ed è un dovere sociale grave e urgente restituirli alla loro finalità originaria ».366

173 L'attuazione concreta del principio della destinazione universale dei beni, secondo i differenti contesti culturali e sociali, implica una precisa definizione dei modi, dei limiti, degli oggetti. Destinazione ed uso universale non significano che tutto sia a disposizione di ognuno o di tutti, e neppure che la stessa cosa serva o appartenga ad ognuno o a tutti. Se è vero che tutti nascono con il diritto all'uso dei beni, è altrettanto vero che, per assicurarne un esercizio equo e ordinato, sono necessari interventi regolamentati, frutto di accordi nazionali e internazionali, ed un ordinamento giuridico che determini e specifichi tale esercizio.

174 Il principio della destinazione universale dei beni invita a coltivare una visione dell'economia ispirata a valori morali che permettano di non perdere mai di vista né l'origine, né la finalità di tali beni, in modo da realizzare un mondo equo e solidale, in cui la formazione della ricchezza possa assumere una funzione positiva. La ricchezza, in effetti, presenta questa valenza nella molteplicità delle forme che possono esprimerla come il risultato di un processo produttivo di elaborazione tecnico-economica delle risorse disponibili, naturali e derivate, guidato dall'inventiva, dalla capacità progettuale, dal lavoro degli uomini, e impiegato come mezzo utile per promuovere il benessere degli uomini e dei popoli e per contrastare la loro esclusione e il loro sfruttamento.

175 La destinazione universale dei beni comporta uno sforzo comune teso ad ottenere per ogni persona e per tutti i popoli le condizioni necessarie allo sviluppo integrale, così che tutti possano contribuire alla promozione di un mondo più umano, « in cui ciascuno possa dare e ricevere, ed in cui il progresso degli uni non sarà un ostacolo allo sviluppo degli altri, né un pretesto per il loro assoggettamento ».367 Questo principio corrisponde all'appello incessantemente rivolto dal Vangelo alle persone e alle società di ogni tempo, sempre esposte alle tentazioni della brama del possesso, a cui lo stesso Signore Gesù ha voluto sottoporsi (cfr. Mc 1,12-13; Mt 4,1-11; Lc 4,1-13) per insegnarci la via per superarle con la Sua grazia.

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La Madonna delle Lacrime di Siracusa

In questi giorni si ricorda un meraviglioso evento che ha visto protagonista la nostra amata Mamma Celeste e noi vogliamo scoprirlo insieme a voi, attraverso la biografia tratta dal noto sito "Santi & Beati". E' un evento straordinario che ha superato ogni analisi scientifica e che ha conquistato il cuore non solo dei siracusani, ma dei fedeli di ogni parte del mondo:


Lungo i secoli del Cristianesimo, Maria è apparsa varie volte, di tanto in tanto, quasi ad accompagnare l’umanità, che gli fu affidata da Gesù sulla Croce, nel cammino faticoso della vita di ognuno e delle Nazioni.
Le apparizioni più conosciute e riconosciute dalla Chiesa, sono quella di Guadalupe in Messico all’indio Juan Diego nel 1548; quella del 1830 a Parigi, alla suora Figlia della Carità s. Caterina Labouré; quella di La Salette in Francia nel settembre 1846, ai due pastorelli Maximin Giraud e Mélanie Calvat; quella di Lourdes nel 1858 all’umile Bernadetta Soubirous, quella di Castelpetroso (Isernia) nel 1888, alle due contadine Serafina e Bibiana; quella di Fatima nel 1917 a tre pastorelli Lucia Dos Santos, Giacinta e Francesco Marto.
E man mano in tempi più vicini ed in attesa della conferma ufficiale della Chiesa, a Medjugorje in Bosnia nel 1981 a sei veggenti e la recente lacrimazione di una statuetta a Civitavecchia.
Fra tutte queste apparizioni e manifestazioni prodigiose, bisogna inserire la lacrimazione della Madonna a Siracusa, avvenuta nel 1953. Non c’era ancora la televisione, ma la radio, i cinegiornali e la stampa, diedero molto risalto al prodigio miracoloso, diffondendolo in tutta Italia e nel mondo.
Raccontiamo in breve ciò che accadde. Due giovani coniugi, Angelo Iannuso e Antonina Lucia Giusti, sposatisi il 21 marzo del 1953, abitavano in una modesta casa in Via degli orti di S. Giorgio a Siracusa.
La signora Antonina era in attesa del primo bambino, ma la gravidanza però si presentava difficile, al punto che a volte le procurava l’abbassamento della vista; il 29 agosto verso le 3 di notte, quel disturbo si acuì a tal punto, da renderla completamente priva di vista.
Lo scoraggiamento fu totale, procurandole molta sofferenza, ma inaspettatamente verso le 8,30 del mattino, la vista tornò come prima e alzando lo sguardo verso il quadretto di gesso attaccato a capo del letto, incredula e meravigliata vide grosse lacrime scendere sul viso della Madonnina.
Immediatamente richiamò l’attenzione del marito gridando: “La Madonnina piange”. Come era da aspettarselo, la notizia si sparse velocemente in tutta Siracusa e da lì nel mondo, suscitando enorme scalpore; la casa dei coniugi Iannuso si trasformò in meta di pellegrinaggio, che le foto dell’epoca documentano, perché tutti volevano vedere la “Madonnina che piange”.
La statuetta-quadretto era un mezzo busto di gesso, raffigurante il Cuore Immacolato di Maria ed era un regalo di nozze, ricevuto dai giovani sposi. La misteriosa lacrimazione si protrasse a più riprese dal 29 agosto al 1° settembre; l’atteggiamento della Chiesa in questo frangente, fu di opportuna prudenza; il parroco di allora don Giuseppe Bruno, con il permesso della Curia arcivescovile di Siracusa, si recò il 1° settembre verso le 11 in casa Iannuso, con alcuni dottori del Laboratorio di Igiene e Profilassi della Provincia.
Questi esperti, tra cui il dottor Michele Cassola, dichiaratamente ateo, e che in seguito presiederà la Commissione scientifica, una volta sul luogo, divennero testimoni oculari della lacrimazione; gli occhi di Maria si manifestarono gonfi di lacrime come di una persona presa da forte emozione, che presero a scendere rigando il delicato volto, andando a raccogliersi nel cavo della mano.
Anche se alcuni presenti riuscirono ad assorbire con del cotone qualche lacrima, come già nei giorni precedenti, i chimici con la loro provetta, riuscirono ugualmente a raccoglierne una parte di circa un centimetro cubo.
Dopo questo prelievo la Madonna non pianse più; quasi aspettasse questa raccolta ufficiale. Il quadro fu poi nei giorni seguenti sottoposto all’esame di una Commissione scientifica, che ne diede un’ampia relazione; riportiamo solo alcuni punti salienti; la parte di apparente maiolica dell’effige della Vergine, fu staccata dal vetro nero di supporto e si poté constatare che era costituita da uno spessore di gesso da 1 a 2 cm ca. e che al momento dell’esame era completamente asciutta; poi il liquido raccolto venne sottoposto ad una serie di analisi chimico-fisico-biologiche, che confrontate con il secreto lacrimale di un adulto e di un bambino di due anni e sette mesi, facevano riscontrare la stessa composizione e le stesse sostanze escretorie del tipo di lacrime umane; la relazione porta la firma dei componenti e dello stesso presidente della Commissione, dottor Cassola, il quale pur essendo ateo e non credente, non sapeva spiegarsi scientificamente il fenomeno; la data è del 9 settembre 1953.
Dopo la pubblicazione di questo documento, tre mesi dopo, il 12 dicembre 1953, l’episcopato della Sicilia, unanimemente dichiarò autentica e senza dubbio la lacrimazione prodigiosa. Un anno dopo papa Pio XII, il 17 ottobre 1954 diffuse nel mondo un radiomessaggio, dicendo tra l’altro: “Comprenderanno gli uomini l’arcano linguaggio di quelle lacrime? Oh, le lacrime di Maria!”. (Si era in pieno periodo della cortina di ferro sovietica e della Chiesa del silenzio, perseguitata).
Il 19 settembre 1953, il quadro ripristinato nella sua interezza, fu sistemato in una stele di pietra bianca in Piazza Euripide; il grande culto sviluppatosi, fece accorrere negli anni milioni di fedeli e si rese necessario nel tempo la costruzione di un degno Santuario.
Il quadretto rimase a Piazza Euripide fino al 1968, quando fu spostato sull’altare della cripta dell’erigendo Santuario; qui rimase dal 1968 al 1987 e dal 1° maggio 1994 al 4 novembre 1994.
Il nuovo tempio fu iniziato nel 1989, magnifico nella struttura e alto circa 103 metri; l’ardita realizzazione è opera degli architetti francesi Andrault e Parat, la sua forma sembra indicare una lacrima caduta dal cielo; ha la capienza di 11.000 posti in piedi e 6.000 a sedere, con 16 cappelle; la cripta ha 18 ingressi e una capienza di 3.000 posti.
Il santuario venne consacrato con solennità da papa Giovanni Paolo II il 6 novembre 1994; dal suo discorso pronunciato in quell’occasione riportiamo: “….Le lacrime della Madonna appartengono all’ordine dei segni: esse testimoniano la presenza della Madre nella Chiesa e nel mondo. Piange una madre quando vede i suoi figli minacciati da qualche male, spirituale o fisico”.
Le lacrime sono state raccolte in un artistico e prezioso reliquiario, opera del prof. Biagio Poidimani di Siracusa, è a tre ripiani sovrapposti e alla base, ai quattro angoli, vi sono le statuine di s. Lucia, patrona di Siracusa, s. Marziano, primo vescovo della città e quelle dei santi apostoli Pietro e Paolo.
E questo reliquiario fu richiesto sul letto di morte nel 1973, dal dottor Cassola, il quale se lo strinse al petto e dopo un po’ singhiozzando, chiese un confessore, dicendo: “Prima, vedevo davanti a me come una muraglia invalicabile. Ora quella muraglia, grazie al pianto della Madonna, è crollata”.
Il nuovo santuario accoglie circa un milione di pellegrini all’anno, provenienti da tutto il mondo. Il prodigio miracoloso di Siracusa si distingue da tutti gli altri eventi eccezionali, che hanno visto la Madonna come protagonista e stimolatrice dell’umanità.
Per prima cosa Ella non ha parlato, come del resto anche nelle apparizioni di Guadalupe e di Castelpetroso, ma in questo caso a Siracusa ha pianto, ma nessuna parola poteva superare l’eloquenza del suo silenzio unito al pianto.
Bisogna dire che le apparizioni della Madonna, non l’hanno vista mai ridere o sorridere allegra, ma sempre mesta, addolorata e a La Salette anche piangente, sempre in colloqui ed esortazioni a convertirsi, a non offendere più con il peccato e l’oltraggio il Cuore di suo Figlio; avvertendo dell’approssimarsi di sconvolgimenti mondiali e ideologici.
Ma se a Fatima, Lourdes, Parigi, La Salette, ha fatto conoscere il suo dolore e la sua esortazione al pentimento, attraverso veggenti e umili ragazzi; qui a Siracusa parlò con il suo pianto, a migliaia di persone e quasi a confermare il prodigio, affinché fosse creduto, si è sottoposta a fredde analisi scientifiche e da laboratorio, perché a differenza di tutte le altre visioni e apparizioni, il prodigio di Siracusa resta comprovato dalla scienza.
In un suo studio, il teologo Stefano De Fiores diceva nel 1978: “Maria piange per lanciare alla società, un ultimo monito a non rifiutare il regno di Dio e a non respingere ostinatamente i messaggi profetici dei suoi umili veggenti. Il suo è un pianto estremamente serio, saturo di tristi presagi, un richiamo a non respingere gli inviti divini, onde non incorrere nella rovina”.


Autore: Antonio Borrelli
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domenica 28 agosto 2011

La Chiesa celebra Sant'Agostino. Padre Casciano: Sant'Agostino ai giovani: cercate Gesù, la verità, la gioia nella comunità cristiana

Oggi la Chiesa Cattolica celebra uno dei più grandi santi, Vescovo e Dottore della Chiesa: Agostino d'Ippona. Appena ieri la Chiesa ha fatto memoria della madre di Sant'Agostino, Santa Monica. Leggiamo attraverso un articolo di Radio Vaticana, una bellissima intervista di Tiziana Campisi a Padre Giustino Casciano, molto significativa anche e soprattutto per i giovani:


Il 28 agosto del 430 moriva ad Ippona, in Algeria, il vescovo Agostino; oggi la Chiesa lo ricorda come padre e dottore della Chiesa. Tra i più grandi pensatori cristiani, Sant’Agostino ha scritto 93 trattati, circa 500 sermoni ed oltre 300 lettere. Assai note leConfessioni, opera tra le più lette al mondo, in cui il vescovo di Ippona si racconta come in un diario, ripercorrendo la sua adolescenza e il cammino che lo ha condotto a consacrarsi a Dio. Le spoglie di Sant’Agostino sono custodite a Pavia, nella Basilica di San Pietro in Ciel d’Oro, dove, dopo la visita del Papa, il 22 aprile del 2007, sono fiorite iniziative culturali e religiose divulgate sul sito . Ma che cosa apprende chi oggi si avvicina a Sant’Agostino?


L'intervista:


R. – Penso che la prima cosa che apprende chi si avvicina oggi a Sant’Agostino è che esiste una vita interiore. Non esiste solo la vita esteriore del benessere fisico, della ricerca delle soddisfazioni materiali, ma esiste anche una vita interiore. Agostino ci dice di tornare al nostro cuore perché è dentro il nostro cuore che possiamo trovare la gioia, la verità, la felicità che cerchiamo. Lo dice al mondo di oggi proprio attraverso la sua esperienza, perché da giovane ha fatto questo cammino: prima dedicandosi completamente alla carriera, alle soddisfazioni esteriori, dove però non ha trovato la vera gioia, poi, attraverso la lettura dell’Ortensio di Cicerone e di altri libri, dopo aver cercato invano la verità in diverse filosofie e dopo varie esperienze di vita, ha capito che esiste una vita interiore, una vita profonda. Quindi credo che la cosa più immediata che si apprende da Agostino è proprio questa ricerca che va al di là di ciò che è soltanto sensibile ed esteriore: una ricerca che tocca il cuore, che tocca le profondità della psiche, le profondità dell’anima, della persona.

D. - La scoperta dell’interiorità a cosa conduce con Agostino?

R. – Porta a scoprire la Parola di Dio, a scoprire testimoni della Parola di Dio che hanno vissuto prima di noi. Credo che l’incontro con Agostino ci porti a scoprire il valore dell’amicizia, però in Dio. Il suo cammino è durato molti anni e lui dice che anche quando già si è trovata la verità la si deve cercare ancora. Anche quando ha già trovato la gioia, Agostino la continua a cercare, perché – dice lo stesso Agostino – la gioia è qualcosa che sazia ma non sazia mai in maniera totale e completa.

D. – I giovani possono trovare attuale Sant’Agostino?

R. - Direi proprio di sì. Primo perché nel suo libro più famoso, le “Confessioni”, ci descrive la sua adolescenza, la sua giovinezza, ci descrive la sua ricerca della felicità nell’amore umano, gli errori che ha commesso… Quindi i giovani, nella descrizione dell’interiorità di Agostino e delle sue esperienze, possono trovare un vero amico e poi una grande attualità perché Agostino ha trovato le risposte alle sue inquietudini e ce le offre in un linguaggio estremamente moderno.

D. – Appena otto giorni fa si è svolta la Giornata Mondiale della Gioventù a Madrid. In che modo Agostino può accompagnare il cammino di quanti vi hanno preso parte?

R. – Credo che Agostino possa dire ai giovani di cercare Gesù, cercare la verità, la gioia, rimanendo uniti alla comunità cristiana; di non separare mai Gesù dalla Chiesa, ma di cercare il Signore proprio nella realtà ecclesiale. Certamente nella comunità cristiana ci possono essere anche difetti che possono essere messi in luce per essere corretti, ma la cosa più importante che Agostino ci insegna è che la Chiesa è la nostra madre, è il nostro rifugio, la colonna della verità e della luce, che ci consola e guida verso il futuro. (bf)
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sabato 27 agosto 2011

La Chiesa nel mondo contemporaneo - XXXIII parte


Continuiamo il nostro cammino di lettura della Costituzione Pastorale "Gaudium et Spes" di Papa Paolo VI. Come già anticipato la scorsa settimana, oggi entriamo in nuovo capitolo incentrato sulla vita economico-sociale. Cominciamo leggendo le considerazioni dell'autore sulla vita economica e i suoi aspetti e sullo sviluppo economico a servizio dell'uomo:

CAPITOLO III

VITA ECONOMICO-SOCIALE


63. La vita economica e alcuni aspetti caratteristici contemporanei

Anche nella vita economico-sociale sono da tenere in massimo rilievo e da promuovere la dignità della persona umana, la sua vocazione integrale e il bene dell'intera società. L'uomo infatti è l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale.

L'economia contemporanea, come ogni altro campo della vita sociale, è caratterizzata da un dominio crescente dell'uomo sulla natura, dalla moltiplicazione e dalla intensificazione dei rapporti e dalla interdipendenza tra cittadini, gruppi e popoli, come pure da un più intenso intervento dei pubblici poteri. Nello stesso tempo, il progresso nella efficienza produttiva e nella migliore organizzazione degli scambi e servizi hanno reso l'economia strumento adatto a meglio soddisfare i bisogni accresciuti della famiglia umana.

Tuttavia non mancano motivi di preoccupazione. Molti uomini, soprattutto nelle regioni economicamente sviluppate, appaiono quasi unicamente retti dalle esigenze dell'economia, cosicché quasi tutta la loro vita personale e sociale viene permeata da una mentalità economicistica, e ciò si diffonde sia nei paesi ad economia collettivistica che negli altri. In un tempo in cui lo sviluppo della vita economica, orientata e coordinata in una maniera razionale e umana, potrebbe permettere una attenuazione delle disparità sociali, troppo spesso essa si tramuta in una causa del loro aggravamento o, in alcuni luoghi, perfino nel regresso delle condizioni sociali dei deboli e nel disprezzo dei poveri. Mentre folle immense mancano dello stretto necessario, alcuni, anche nei paesi meno sviluppati, vivono nell'opulenza o dissipano i beni. Il lusso si accompagna alla miseria. E, mentre pochi uomini dispongono di un assai ampio potere di decisione, molti mancano quasi totalmente della possibilità di agire di propria iniziativa o sotto la propria responsabilità, spesso permanendo in condizioni di vita e di lavoro indegne di una persona umana.

Simili squilibri economici e sociali si avvertono tra l'agricoltura, l'industria e il settore dei servizi, come pure tra le diverse regioni di uno stesso paese. Una contrapposizione, che può mettere in pericolo la pace del mondo intero, si fa ogni giorno più grave tra le nazioni economicamente più progredite e le altre.

Gli uomini del nostro tempo reagiscono con coscienza sempre più sensibile di fronte a tali disparità: essi sono profondamente convinti che le più ampie possibilità tecniche ed economiche, proprie del mondo contemporaneo, potrebbero e dovrebbero correggere questo funesto stato di cose. Ma per questo si richiedono molte riforme nelle strutture della vita economico-sociale; è necessario anche da parte di tutti un mutamento di mentalità e di abitudini di vita. In vista di ciò la Chiesa, lungo lo svolgersi della storia, ha formulato nella luce del Vangelo e, soprattutto in questi ultimi tempi, ha largamente insegnato i principi di giustizia e di equità richiesti dalla retta ragione umana e validi sia per la vita individuale o sociale che per la vita internazionale. Il sacro Concilio, tenuto conto delle caratteristiche del tempo presente, intende riconfermare tali principi e formulare alcuni orientamenti, con particolare riguardo alle esigenze dello sviluppo economico (139).

Sezione 1: Sviluppo economico


64. Lo sviluppo economico a servizio dell'uomo

Oggi più che mai, per far fronte all'aumento della popolazione e per rispondere alle crescenti aspirazioni del genere umano, giustamente si tende ad incrementare la produzione di beni nell'agricoltura e nell'industria e la prestazione dei servizi. Perciò sono da favorire il progresso tecnico, lo spirito di innovazione, la creazione di nuove imprese e il loro ampliamento, l'adattamento nei metodi dell'attività produttiva e dello sforzo sostenuto da tutti quelli che partecipano alla produzione, in una parola tutto ciò che possa contribuire a questo sviluppo (140). Ma il fine ultimo e fondamentale di tale sviluppo non consiste nel solo aumento dei beni prodotti, né nella sola ricerca del profitto o del predominio economico, bensì nel servizio dell'uomo: dell'uomo integralmente considerato, tenendo cioè conto della gerarchia dei suoi bisogni materiali e delle esigenze della sua vita intellettuale, morale, spirituale e religiosa; di ogni uomo, diciamo, e di ogni gruppo umano, di qualsiasi razza o continente. Pertanto l'attività economica deve essere condotta secondo le leggi e i metodi propri dell'economia, ma nell'ambito dell'ordine morale (141), in modo che così risponda al disegno di Dio sull'uomo (142).

65. Lo sviluppo economico sotto il controllo dell'uomo

Lo sviluppo economico deve rimanere sotto il controllo dell'uomo. Non deve essere abbandonato all'arbitrio di pochi uomini o gruppi che abbiano in mano un eccessivo potere economico, né della sola comunità politica, né di alcune nazioni più potenti. Conviene, al contrario, che il maggior numero possibile di uomini, a tutti i livelli e, quando si tratta dei rapporti internazionali, tutte le nazioni possano partecipare attivamente al suo orientamento. È necessario egualmente che le iniziative spontanee dei singoli e delle loro libere associazioni siano coordinate e armonizzate in modo conveniente ed organico con la molteplice azione delle pubbliche autorità.

Lo sviluppo economico non può essere abbandonato né al solo gioco quasi meccanico della attività economica dei singoli, né alla sola decisione della pubblica autorità. Per questo, bisogna denunciare gli errori tanto delle dottrine che, in nome di un falso concetto di libertà, si oppongono alle riforme necessarie, quanto delle dottrine che sacrificano i diritti fondamentali delle singole persone e dei gruppi all'organizzazione collettiva della produzione (143).

Si ricordino, d'altra parte, tutti i cittadini che essi hanno il diritto e il dovere - e il potere civile lo deve riconoscere loro - di contribuire secondo le loro capacità al progresso della loro propria comunità. Specialmente nelle regioni economicamente meno progredite, dove si impone d'urgenza l'impiego di tutte le risorse ivi esistenti, danneggiano gravemente il bene comune coloro che tengono inutilizzate le proprie ricchezze o coloro che - salvo il diritto personale di migrazione - privano la propria comunità dei mezzi materiali e spirituali di cui essa ha bisogno.


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Attentato alla sede ONU: il cordoglio del Papa

Da: Radio Vaticana

Profondo cordoglio di Benedetto XVI per le vittime dell’attentato kamikaze alla sede Onu di Abuja in Nigeria, che ieri ha provocato almeno 19 morti e decine di feriti. In un duplice telegramma indirizzato al presidente nigeriano, Goodluck Jonathan, e al segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, il Papa si dice addolorato per la “terribile perdita di vite sia tra i cittadini che tra gli impiegati delle Nazioni Unite”. Quindi, rinnova l’appello “a quanti hanno scelto la morte e la violenza” ad “abbracciare invece la vita e il dialogo”. Nei telegrammi, a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, il Pontefice assicura infine le sue preghiere per quanti hanno perso la vita così drammaticamente e invoca il Signore affinché dia forza e coraggio ai feriti e a quanti piangono i propri cari. L’attentato è stato rivendicato dal “Boko Haram”, gruppo terroristico di matrice islamica che si batte per la diffusione della Sharia nel Paese. Dal canto suo, l’Oci, Organizzazione per la cooperazione islamica ha condannato l’attentato. Su questo terribile attacco, Alessandro Gisotti ha intervistato l’arcivescovo di Abuja, mons. John Olorunfemi Onaiyekan:

R. – Per me è stata veramente una grande sorpresa, perché anche se questo gruppo di terroristi ha già colpito prima, non si pensava potesse arrivare addirittura fino alle Nazioni Unite. Inoltre, hanno usato un sistema completamente nuovo, con macchine piene di esplosivi, come succede nei Paesi in cui il terrorismo è dilagante. Il gruppo responsabile di questi atti in Nigeria ha dei contatti con i terroristi che agiscono al di fuori del Paese e questo potrebbe forse spiegare l’attacco agli uffici delle Nazioni Unite.

D. – La gravità di questo attentato desta preoccupazione per tutta la popolazione...

R. – Gli attacchi suicidi sono una cosa del tutto nuova per la Nigeria. Non riusciamo a capire, è davvero molto difficile riuscire a difenderci da gruppi come questi.

D. – Il Papa, in un telegramma al presidente nigeriano e al segretario generale dell’Onu, fa appello a queste persone affinché abbandonino la via della violenza ed abbraccino quella della pace e del dialogo...

R. – Speriamo che l’appello del Santo Padre venga ascoltato. In Nigeria il capo dei musulmani – il sultano di Sokoto - ha fatto un appello simile, esortando queste persone a smetterla di compiere tali atti ed ha condannato il gesto compiuto ieri. Tutto il popolo nigeriano, sia i cristiani sia i musulmani, è d’accordo nel condannare questi gesti. Non ho ancora trovato alcun gruppo nigeriano che appoggi queste persone. E’ difficile anche sapere con chi parlare: se una persona vuole intraprendere la via del dialogo, con chi si può dialogare? Non lo sappiamo. Lo scopo che è stato dichiarato dai terroristi è chiaramente irraggiungibile: vogliono che l’intera Nigeria diventi un Paese di talebani. Ma come si può arrivare a ciò se qui il 50 per cento delle persone sono cristiane e l’altro 50 per cento musulmane? I musulmani, poi, non vogliono questo tipo di Islam. Come possiamo allora difenderci da loro? Secondo me, attraverso l’unione di tutte le forze politiche e religiose. (vv)
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venerdì 26 agosto 2011

Pacem in Terris - X

Continuiamo la lettura dell'ultima Enciclica pubblicata da papa Giovanni XXIII "Pacem in terris": continuiamo a vedere come dovrebbero essere regolati i rapporti fra le comunità politiche. In particolare, oggi vediamo due aspetti fondamentali: il no al razzismo e il rispetto reciproco di diritti e doveri. Il primo aspetto è fondamentale perché abbiamo visto a cosa ha portato il pensiero della superiorità di una razza rispetto all'altra: la guerra mondiale e l'orrore dell'Olocausto. Per questo è fondamentale che nessun stato o comunità politica costruisca rapporti sul principio di superiorità, ma sul principio di eguaglianza: così come Dio ha creato ogni uomo con pari dignità così anche le istituzioni che rappresentano gli uomini sono eguali aventi pari dignità. Il secondo aspetto concerne il mondo dei diritti e doveri che regolano i rapporti e qui ci soffermiamo soprattutto sul loro reciproco riconoscimento:


III

RAPPORTI FRA LE
COMUNITÀ POLITICHE


Nella verità

49. I rapporti fra le comunità politiche vanno regolati nella verità. La quale esige anzitutto che da quei rapporti venga eliminata ogni traccia di razzismo; e venga quindi riconosciuto il principio che tutte le comunità politiche sono uguali per dignità di natura; per cui ognuna di esse ha il diritto all’esistenza, al proprio sviluppo, ai mezzi idonei per attuarlo, ad essere la prima responsabile nell’attuazione del medesimo; e ha pure il diritto alla buona reputazione e ai dovuti onori.

Fra gli esseri umani molto spesso sussistono differenze, anche spiccate, nel sapere, nella virtù, nelle capacità inventive, nel possesso di beni materiali. Ma ciò non può mai giustificare il proposito di far pesare la propria superiorità sugli altri; piuttosto costituisce una sorgente di maggiore responsabilità nell’apporto che ognuno e tutti devono addurre alla vicendevole elevazione.

Così le comunità politiche possono differire tra loro nel grado di cultura e di civiltà o di sviluppo economico; però ciò non può mai giustificare il fatto che le une facciano valere ingiustamente la loro superiorità sulle altre; piuttosto può costituire un motivo perché si sentano più impegnate nell’opera per la comune ascesa.

50. Non ci sono esseri umani superiori per natura ed esseri umani inferiori per natura; ma tutti gli esseri umani sono uguali per dignità naturale. Di conseguenza non ci sono neppure comunità politiche superiori per natura e comunità politiche inferiori per natura: tutte le comunità politiche sono uguali per dignità naturale, essendo esse dei corpi le cui membra sono gli stessi esseri umani. Né va quindi dimenticato che i popoli, a ragione, sono sensibilissimi in materia di dignità e di onore.

Inoltre la verità esige che nelle molteplici iniziative rese possibili dai progressi moderni nei mezzi espressivi — iniziative attraverso le quali si diffonde la mutua conoscenza fra i popoli — ci si ispiri a serena obiettività: il che non esclude che sia legittima nei popoli una preferenza di far conoscere gli aspetti positivi della loro vita. Vanno però respinti i metodi di informazione con i quali, venendo meno alla verità, si lede ingiustamente la riputazione di questo o di quel popolo [44].

Secondo giustizia

51. I rapporti fra le comunità politiche vanno inoltre regolati secondo giustizia: il che comporta, oltre che il riconoscimento dei vicendevoli diritti, l’adempimento dei rispettivi doveri.

Le comunità politiche hanno il diritto all’esistenza, al proprio sviluppo, ai mezzi idonei per attuarlo: ad essere le prime artefici nell’attuazione del medesimo; ed hanno pure il diritto alla buona riputazione e ai debiti onori: di conseguenza e simultaneamente le stesse comunità politiche hanno pure il dovere di rispettare ognuno di quei diritti; e di evitare quindi le azioni che ne costituiscono una violazione. Come nei rapporti tra i singoli esseri umani, agli uni non è lecito perseguire i propri interessi a danno degli altri, così nei rapporti fra le comunità politiche, alle une non è lecito sviluppare se stesse comprimendo od opprimendo le altre. Cade qui opportuno il detto di sant’Agostino: "Abbandonata la giustizia, a che si riducono i regni, se non a grandi latrocini?" [45].

Certo, anche tra le comunità politiche possono sorgere e di fatto sorgono contrasti di interessi; però i contrasti vanno superati e le rispettive controversie risolte, non con il ricorso alla forza, con la frode o con l’inganno, ma, come si addice agli esseri umani, con la reciproca comprensione, attraverso valutazioni serenamente obiettive e l’equa composizione.

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Il Papa: Anche la donazione più piccola può fare la differenza

In Argentina come ogni anno, Domenica 11 Settembre, si terrà in tutte le Chiese la colletta "Mas por Menos" in aiuto delle famiglie più povere. Leggiamo attraverso il servizio di Cecilia Seppia di Radio Vaticana, le parole del Santo Padre sulla bellissima iniziativa, giunta alla 42ma edizione:


Dare di più a chi ha di meno superando la rassegnazione e l’indifferenza, essere uniti per eliminare la piaga della povertà. E’ questo lo spirito che anima la tradizionale colletta "Mas por Menos" in Argentina che quest’anno si svolge sul tema “Con il tuo aiuto scegli la vita” e i cui frutti verranno distribuiti tra 25 diocesi, dove la gente vive senza casa, senza cibo, né accesso all’acqua potabile. In questa donazione - afferma il Papa nel messaggio inviato a suo nome dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone a mons. Adolfo Uriona, vescovo di Añatuya e presidente della Commissione episcopale di Aiuto alla Regioni più bisognose,- deve trovarsi quella "carità divina che è capace di staccarsi anche dal necessario per soccorrere il fratello, quella carità – prosegue il Pontefice - che non si mostra solo in alcune occasioni isolate, ma deve penetrare profondamente nella vita del cristiano, conformandolo al Dio dell’amore di cui siamo chiamati ad essere immagine e testimonianza”. Benedetto XVI esorta dunque all’unione dei fratelli che è segno della più forte e intima unità con Dio, e ad una risposta generosa, concreta ed efficace, certi come ci insegna il Signore nel Vangelo che anche la donazione più piccola può fare la differenza. Quindi Benedetto XVI ha raccomandato il buon esito dell’iniziativa a Nostra Signora di Luján, patrona del popolo argentino, supplicandola di sostenere con la sua amorosa protezione tutti coloro che vi partecipano. L’invito alla solidarietà arriva dai vescovi argentini che parlano della colletta Mas por Menos come di uno spazio creato per compensare la mancanza di equità sociale, nonostante i numerosi piani sociali e governativi. D'altra parte la povertà, come è emerso dal Primo Congresso Nazionale della Dottrina Sociale della Chiesa che si è svolto a maggio a Rosario, resta la sfida più importante in Argentina, così come il dialogo tra le parti, necessario per superare la frammentazione e promuovere lo sviluppo integrale della persona. Lo scorso anno la campagna ha raccolto poco meno di 11 milioni di pesos, circa 2 miliardi di euro che sono serviti per costruire abitazioni, mense comunitarie e microimprese.
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giovedì 25 agosto 2011

Forti disagi per i cattolici in Cina: arrestati ecclesiastici e fedeli

Dolorose notizie giungono dalla Cina riguardo la Chiesa Cattolica. Diamo subito uno sguardo alla notizia pubblicata da Radio Vaticana:


Nuovi arresti di sacerdoti e fedeli cattolici in Cina. Ne dà notizia l’Agenzia missionaria AsiaNews. Si tratta di membri della comunità cattolica di Tianshui, nelle regioni centro-settentrionali del Paese, arrestati dalla pubblica sicurezza lo scorso fine settimana. Fra essi vi sono l’amministratore della diocesi, il vescovo emerito, molti sacerdoti e decine di responsabili laici. Il vescovo e due sacerdoti sono fratelli: sono detenuti in luoghi diversi e vengono sottoposti a sessioni di rieducazione politica. Finora la diocesi di Tianshui, che conta circa 20 mila cattolici, aveva mantenuto un rapporto tranquillo con la polizia e le autorità di governo. Secondo quanto riferisce AsiaNews, gli arresti di questi giorni servirebbero a convincere la comunità cattolica ad accettare un candidato vescovo gradito a Pechino. Nei mesi scorsi erano stati arrestati altri due sacerdoti, possibili candidati all’episcopato, per cercare di convincerli con la violenza a rinnegare la fedeltà al Papa. I cattolici della diocesi di Tianshui hanno lanciato una campagna di preghiere per la liberazione dei loro sacerdoti e fedeli. Il 18 maggio scorso il Papa, durante l’udienza generale, aveva rivolto una preghiera speciale per la Chiesa in Cina. Con toni accorati Benedetto XVI ha chiesto a tutti i fedeli del mondo di ricordare le sofferenze dei cattolici in questo Paese e sostenere la loro fede: “pregare per la Chiesa che è in Cina – aveva detto - deve essere un impegno: quei fedeli hanno diritto alla nostra preghiera, hanno bisogno della nostra preghiera”. Se i cattolici cinesi hanno detto molte volte di volere “l’unità con la Chiesa universale”, e “con il Successore di Pietro”, pregando – aveva sollecitato il Papa - possiamo ottenere “per la Chiesa in Cina di rimanere una, santa e cattolica, fedele e ferma nella dottrina e nella disciplina ecclesiale”.


I pastori della Chiesa sono qui in terra non per soddisfare i comodi dei cattivi governanti, ma per fare la volontà di Dio: portare la pace nel mondo intero e condurre a salvezza i popoli. Proprio oggi nel giorno di San Ludovico Re, regnante pacifico e colmo di amore e fede verso Dio, dispiace vedere popoli soppressi da governanti malati di odio e avidità.

Su invito del Santo Padre, preghiamo per la Chiesa Cattolica in Cina perché il Signore aiuti questi nostri cari fratelli per intercessione di San Ludovico Re.
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mercoledì 24 agosto 2011

Testimonianza cristiana di Nick Vujicic

Carissimi, oggi vi vogliamo mostrare un video che ci trasmette una forza ed una fede molto forte. Si tratta di un video che ci mostra la testimonianza di Nick Vujicic, un uomo purtroppo disabile, privo delle gambe e delle braccia. Qualsiasi uomo si sarebbe lasciato prendere dalla disperazione e sarebbe stato preda della depressione più cupa; ma Nick ha posto la speranza in Gesù Cristo e questo gli ha dato la forza di andare avanti, continuando ad amare la vita e divenendo strumento delle mani di Dio. E' un esempio di fede per tutti noi che ci abbattiamo facilmente e che ce la prendiamo con il Signore quando le cose cominciano a girar male: invece, Nick ci ricorda che il Signore ci ama e questo è già la cosa più grande che un uomo possa desiderare. In più, dobbiamo davvero lasciare che si compi la Volontà dell'Altissimo, qualunque essa sia, anche quando è incomprensibile agli occhi umani perchè solo Lui sa ciò che è bene per noi, non in senso materiale o terreno, ma spirituale ed eterno:

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Burundi: vescovi preoccupati per l’insicurezza nel Paese

Oggi pubblichiamo un articolo di Radio Vaticana che ci immerge nelle problematiche dei Paesi africani, in particolare del Burundi nel quale nonostante i rapporti tra Chiesa e Stato siano buoni, ci sono motivi di preoccupazione per il clero locale, preoccupazione espressa da parte dei vescovi al Presidente della Repubblica Burundese:

Apprezzamento per le buone relazioni tra Stato e Chiesa è stato espresso, in un messaggio, dalla Conferenza episcopale del Burundi (Cecab) che si è tuttavia detta preoccupata per l’insicurezza che si vive in diverse aree del Paese. Lo riferisce L’Osservatore Romano. Nei giorni scorsi il presidente della Conferenza episcopale, monsignor Gervais Banshimiyubusa, vescovo di Ngozi, ha incontrato, insieme ai vescovi, il capo dello Stato, Pierre Nkurunziza, al quale ha presentato il messaggio preparato per l’occasione dalla Cecab. Ogni presule ha avuto l’opportunità di intervenire per integrare o rinforzare il contenuto del documento. I vescovi del Burundi hanno dunque ringraziato il presidente della Repubblica per le buone relazioni di collaborazione tra Chiesa e Stato, per le politiche intraprese al fine di rendere stabile la democrazia, rafforzare il processo di pace e aiutare la popolazione a uscire dalla povertà. Ma i presuli hanno anche fatto presente al capo dello Stato le loro preoccupazioni sulla vita socio-politica del Paese. In particolare, le condizioni di insicurezza che affliggono alcune aree del Burundi, nonostante il Governo continui ad assicurare che tutto è tranquillo e questo atteggiamento, hanno sottolineato i vescovi, può minare il processo democratico. Un’altra questione sollevata dai vescovi riguarda la povertà che colpisce pesantemente la popolazione. I membri della Cecab hanno anche parlato della commissione «Verità e riconciliazione», i cui risultati rischiano di essere compromessi dall’insicurezza e dalla diffidenza che prevale tra i politici. I vescovi hanno auspicato un vero dialogo inclusivo tra i vari protagonisti della vita nazionale per evitare nuove violenze e si sono detti pronti a continuare a fornire il loro contributo alla pace e allo sviluppo umano e sociale, attraverso la preghiera per la pace, la proclamazione della Parola di Dio, i sinodi diocesani che impegnano i cristiani nella costruzione di una cultura di pace e di riconciliazione, le opere sociali, educative e di sviluppo, nonché l’invito costante a tutti i burundesi a lasciare la via della violenza e a imparare a risolvere le loro divergenze attraverso il dialogo. Nella risposta al messaggio il presidente della Repubblica ha ringraziato la Chiesa cattolica per il suo contributo.
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martedì 23 agosto 2011

Cento anni dopo - Centesimus Annus - XVII parte

Torna l'appuntamento con la Lettera Enciclica del Beato Giovanni Paolo II, intitolata "Centesimus Annus" e promulgata nel centenario della Rerum Novarum. Restiamo nel quarto capitolo incentrato sulla proprietà privata e l'universale destinazione dei beni.Oggi l'occhio si sofferma però su alcune situazioni disdicevoli presenti nelle economie avanzate: in queste economie si creano infatti situazioni caratterizzate da un forte materialismo ed egoismo. Questo si traduce in un consumo sfrenato, in un aumento del superfluo che appesantisce le vite degli uomini: infatti, quando si vive per avere sempre di più, non si vive più liberi, ma oppressi dalla voglia del possesso. Giovanni Paolo II ci tiene a sottolineare che i consumi e gli investimenti non sono un male di per sé, ma bisogna vedere come essi sono orientati, a cosa conducono e perché si pongono in essere. Ad esempio, un fruitore di droghe o pornografia chiaramente dimostra di orientare i suoi consumi solo per poter colmare un vuoto spirituale che non si riesce a colmare per varie ragioni, molte delle quali legate alla solitudine, vera bestia di questo secolo: 

36. Conviene ora rivolgere l'attenzione agli specifici problemi ed alle minacce, che insorgono all'interno delle economie più avanzate e sono connesse con le loro peculiari caratteristiche. Nelle precedenti fasi dello sviluppo, l'uomo è sempre vissuto sotto il peso della necessità: i suoi bisogni erano pochi, fissati in qualche modo già nelle strutture oggettive della sua costituzione corporea, e l'attività economica era orientata a soddisfarli. È chiaro che oggi il problema non è solo di offrirgli una quantità di beni sufficienti, ma è quello di rispondere ad una domanda di qualità: qualità delle merci da produrre e da consumare; qualità dei servizi di cui usufruire; qualità dell'ambiente e della vita in generale.

La domanda di un'esistenza qualitativamente più soddisfacente e più ricca è in sé cosa legittima; ma non si possono non sottolineare le nuove responsabilità ed i pericoli connessi con questa fase storica. Nel modo in cui insorgono e sono definiti i nuovi bisogni, è sempre operante una concezione più o meno adeguata dell'uomo e del suo vero bene: attraverso le scelte di produzione e di consumo si manifesta una determinata cultura, come concezione globale della vita. È qui che sorge il fenomeno del consumismo. Individuando nuovi bisogni e nuove modalità per il loro soddisfacimento, è necessario lasciarsi guidare da un'immagine integrale dell'uomo, che rispetti tutte le dimensioni del suo essere e subordini quelle materiali e istintive a quelle interiori e spirituali. Al contrario, rivolgendosi direttamente ai suoi istinti e prescindendo in diverso modo dalla sua realtà personale cosciente e libera, si possono creare abitudini di consumo e stili di vita oggettivamente illeciti e spesso dannosi per la sua salute fisica e spirituale. Il sistema economico non possiede al suo interno criteri che consentano di distinguere correttamente le forme nuove e più elevate di soddisfacimento dei bisogni umani dai nuovi bisogni indotti, che ostacolano la formazione di una matura personalità. È, perciò, necessaria ed urgente una grande opera educativa e culturale, la quale comprenda l'educazione dei consumatori ad un uso responsabile del loro potere di scelta, la formazione di un alto senso di responsabilità nei produttori e, soprattutto, nei professionisti delle comunicazioni di massa, oltre che il necessario intervento delle pubbliche Autorità.

Un esempio vistoso di consumo artificiale, contrario alla salute e alla dignità dell'uomo e certo non facile a controllare, è quello della droga. La sua diffusione è indice di una grave disfunzione del sistema sociale e sottintende anch'essa una «lettura» materialistica e, in un certo senso, distruttiva dei bisogni umani. Così la capacità innovativa dell'economia libera finisce con l'attuarsi in modo unilaterale ed inadeguato. La droga come anche la pornografia ed altre forme di consumismo, sfruttando la fragilità dei deboli, tentano di riempire il vuoto spirituale che si è venuto a creare.

Non è male desiderare di viver meglio, ma è sbagliato lo stile di vita che si presume esser migliore, quando è orientato all'avere e non all'essere e vuole avere di più non per essere di più, ma per consumare l'esistenza in un godimento fine a se stesso.75 È necessario, perciò, adoperarsi per costruire stili di vita, nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti. In proposito, non posso ricordare solo il dovere della carità, cioè il dovere di sovvenire col proprio «superfluo» e, talvolta, anche col proprio «necessario» per dare ciò che è indispensabile alla vita del povero. Alludo al fatto che anche la scelta di investire in un luogo piuttosto che in un altro, in un settore produttivo piuttosto che in un altro, è sempre una scelta morale e culturale. Poste certe condizioni economiche e di stabilità politica assolutamente imprescindibili, la decisione di investire, cioè di offrire ad un popolo l'occasione di valorizzare il proprio lavoro, è anche determinata da un atteggiamento di simpatia e dalla fiducia nella Provvidenza, che rivelano la qualità umana di colui che decide.

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Il prodigio che sconvolge il pregiudizio

Carissimi, vogliamo oggi riproporvi la testimonianza pubblicata appena ieri sera nel nostro forum. Si tratta di  una testimonianza tratta dal nuovo libro di Antonio Socci "La guerra contro Gesù" che ci mostra come dinanzi al prodigio operato da Dio anche un intellettuale ateo convinto si deve arrendere:

Fin dall'inizio (1856) a Lourdes si verificarono guarigioni straordinarie e i giornali dell'epoca riportarono notizie impressionanti. Un caso particolarmente clamoroso fu quello di Caroline Esserteau, una povera donna che da undici anni era ammalata di mielite cronica. Da Niort, dove viveva in ospizio, venne in pellegrinaggio a Lourdes il 2 luglio 1873 e si trovò guarita all'improvviso, inspiegabilmente, subito dopo essere stata immersa nella piscina del santuario. L'anno successivo, il 6 agosto 1874, fu un vescovo russo, monsignor George Casimir Iwszewicz, ad avere una guarigione istantanea e definitiva dall'idropisia «molto violenta e mortale» che l'affliggeva. Casi di questo genere continuavano a essere riferiti sui giornali e irritavano non poco i cosiddetti liberi pensatori che continuavano a riversare valanghe di sarcasmi e disprezzo su Lourdes e sui cattolici «creduloni», ma senza mai sapere o poter sbugiardare quei miracoli. Ci volle provare un uomo di medicina di idee positiviste come Alexis Carrel (1873-1944), uno straordinario ingegno che nel 1912, a 39
anni, si guadagnerà addirittura il Premio Nobel per le sue ricerche e scoperte mediche. Carrel riteneva che i miracoli non esistessero e che i presunti miracoli di Lourdes fossero semplicemente dei fenomeni di autosuggestione. Anche per Carrel le convinzioni religiose della fanciullezza erano state spazzate via dagli studi scientifici e soprattutto dalla lettura di «filosofia ed esegesi» che ricordava come «ore di inquietudine e di angoscia», finché nella sua mente «tutto s'era placato» in una rassegnata «infelicità», accettando e abbracciando una visione atea della vita, le cui sole certezze - riteneva - erano quelle fornite dalla scienza.415 Quando, nel 1903, un collega medico, dovette rinunciare all'ultimo momento ad accompagnare i malati al santuario dei Pirenei, chiedendo a lui di sostituirlo, Alexis colse l'occasione al volo per andare di persona a rendersi conto della situazione, proprio per applicare quel metodo sperimentale che aveva imparato e che era diventato una filosofia di vita, legata alla concreta analisi dei fatti. Seguiamo il resoconto che lui stesso ha fatto in Viaggio a Lourdes. Durante il viaggio in treno gli fu assegnato in qualità di medico il doloroso caso di Marie Bailly (nel libro di Carrel chiamata Marie Ferrand), una ventenne di Bordeaux ammalata di peritonite tubercolare all'ultimo stadio. Entrambi i genitori erano morti di quella patologia e la fanciulla, ammalata dall'età di 17 anni, era ritenuta ormai spacciata dal chirurgo che si era rifiutato di operarla e dai suoi medici curanti i quali ritenevano perfino che non sarebbe arrivata viva a Lourdes. In effetti Carrel deve sudare sette camicie per farla arrivare viva a destinazione. La povera ragazza distesa su un letto e immobilizzata, con un ventre enormemente gonfio, veniva costantemente tenuta sotto controllo da lui che - arrivato a Lourdes - incontra un suo vecchio collega e si lascia andare a una sincera confidenza sulla vita e sulle proprie convinzioni. Visto il luogo in cui si trovavano fu inevitabile parlare delle questioni di fede e dei tanti miracoli di cui tutti discutevano.
Carrel espose le sue convinzioni e - interrogato dall'amico - spiegò che poteva convincersi di un miracolo solo se personalmente si fosse trovato davanti alla «guarigione improvvisa di una malattia organica» come «un cancro scomparso. [...] Se mi fosse concesso di vedere un fenomeno tanto interessante, tanto nuovo, sacrificherei tutte le teorie e le ipotesi del mondo. Ma non ho il minimo timore di dover arrivare a questo». Con un sorriso sarcastico concluse: «Ti assicuro [...] che se vedessi anche soltanto una piaga chiudersi istantaneamente sotto i miei occhi, o diventerei un credente fanatico, o impazzirei».416 L'interlocutore provò a fornirgli un'ampia casistica, ma Carrel - da bravo positivista - non si lasciò scalfire nelle sue certezze. Poteva arrendersi solo davanti all'evidenza sperimentale, constatata con i suoi stessi occhi. Quasi come una sfida implicita a Dio, disse: «C'è anche una giovinetta, Marie Ferrand, presso la quale mi hanno chiamato forse dieci volte e che è in pericolo [...] di vita. [...] Questa disgraziata ha una peritonite tubercolare, all'ultimo stadio. Tutti i suoi parenti sono morti di tubercolosi; la ragazza ha avuto piaghe tubercolose, caverne polmonari e, dopo qualche mese, una peritonite, diagnosticata da un medico e da Bromilloux, il notissimo chirurgo di Bordeaux. Ora è in uno stato pietoso. [...] Temo che mi muoia tra le mani. Se guarisse quest'ammalata, sarebbe veramente un miracolo. Io crederei a tutto e mi farei frate!».417
Deve essere davvero molto sicuro di sé il medico Carrel per spingersi a lanciare una sfida così impegnativa. Non a caso viene raggiunto dalla notizia di un ulteriore aggravamento della ragazza che gli fa prevedere il suo sicuro decesso entro poche ore.

Con le ultime residue forze che le restano Marie riesce però a sussurrare il suo estremo desiderio: andare alle piscine e alla Grotta. La cosa provoca un alterco fra Carrel - assolutamente contrario - e la ragazza che assiste l'ammalata, che ritiene crudele non esaudire questa sua ultima volontà. Marie, viste le sue condizioni gravissime, non potrà essere immersa nelle piscine. E quando viene portata davanti alla Grotta, sulla sua lettiga, accanto a centinaia di altri ammalati, secondo Carrel è ormai in agonia. Nel frattempo comincia una liturgia di preghiera per gli ammalati. Il medico naturalmente se ne disinteressa e non perde d'occhio la giovane, convinto che stia per spirare. Sennonché, verso le 14.40 - è lui stesso a prendere nota di tutto quanto sta avvenendo - si verifica qualcosa di assolutamente imprevisto e impensabile. Il volto cadaverico di Marie ritrova d'improvviso il suo colorito, i suoi occhi sono fissi alla Grotta, il respiro si fa più vigoroso, il battito riprende. Carrel stupito le prende il polso, la scruta e cerca di capire cosa sta accadendo: «Il viso di Marie [...] continuava a modificarsi, i suoi occhi erano volti, brillanti ed estasiati, verso la grotta. Un miglioramento importante si era verificato. [...] D'un tratto Lerrac [Carrel, N.d.A.] si sentì impallidire. Vedeva, verso la cintura, la coperta abbassarsi a poco a poco a livello del ventre».418 Alle ore 15 «la tumefazione del ventre sembrava completamente scomparsa». Carrel, davanti a questo inaudito fenomeno, è sconvolto: «Io credo di stare impazzendo davvero».419 Stupefatto chiede alla ragazza come si sente e lei sorridendo gli dice: «Benissimo; non sono molto in forze, ma sento che sono guarita».420 Non era affatto un'impressione. Di lì a qualche minuto Carrel vede la ragazza sollevarsi su un fianco (cosa impensabile poco prima) e bere una tazza di latte. Carrel «turbato, incapace di riflettere
[...] non parlava più; non pensava più. Il fatto inatteso era talmente contrario a tutte le sue previsioni, che egli credeva di sognare! [...]
Quel ch'era accaduto era la cosa impossibile, la cosa inattesa, il miracolo!».421 Sono circa le ore 16. Ammutolito, il medico si alza e attraversa le file delle barelle. In clinica, con gli altri medici, constaterà l'avvenuta guarigione, istantanea e inspiegabile, della ragazza. Incredulo tasterà quel ventre piatto e sano della ex ammalata che poco prima era orrendamente gonfio: «Rimase muto, la trasformazione era prodigiosa. [...] Provava la sensazione di aver ricevuto un pugno sulla testa».422 Mentre la ragazza, che non aveva mai smesso di confidare nella misericordia divina, «era raggiante. La gioia [...] di lei sembrava comunicarsi a tutti».423 Sarà una guarigione definitiva, infatti Marie, tornata a casa, sceglierà di farsi suora tra le Figlie della Carità e dedicare la sua vita agli ammalati. Ma anche per Carrel sarà l'inizio della «guarigione» dalla sua malattia, che non era fisica, ma assai più mortale: l'assenza di fede e la disperazione. Quel giorno stesso, sconvolto e commosso, si ritroverà davanti alla statua della Vergine, nella Basilica, a sussurrarle queste parole: «Vergine dolce, che soccorrete gli infelici, che vi implorano umilmente, proteggetemi. Io credo in Voi».424 Era l'inizio di un cammino che lo porterà ad abbracciare la fede cattolica. Ma è interessante registrare cosa accadde in quelle ore quando per caso incontrò di nuovo il suo amico: «Sei convinto, ora, filosofo incredulo?», gli domandò sottovoce quello. Carrel rispose da positivista, facendo parlare i fatti: «Una giovane molto malata [...] è stata guarita in pochi istanti sotto i miei occhi. È una cosa meravigliosa, è un miracolo. [...] Bisogna dunque constatare i fatti».425 C'è una lealtà profonda in queste parole che forse sfuggì all'interlocutore, più interessato a ironizzare sulla sua precedente scommessa relativa al «farsi frate». È una lealtà rispetto alla ragione e agli eventi. Carrel dopo questa sconvolgente esperienza rivede tutte le sue idee e annota: «L'impossibilità a definire una cosa non ne determina l'inesistenza». Infine formula un pensiero che è una critica metodologica al pregiudizio razionalista: «Poca osservazione e molto ragionamento conducono all'errore; molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità». A Lourdes - come in altri santuari e non solo - continuano a verificarsi avvenimenti che la scienza definisce del tutto inspiegabili e che manifestano la presenza di Qualcuno che ha un potere superiore alla natura. Oggi come cento anni fa. Come duemila anni fa, fra le strade della Galilea e della Giudea.
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lunedì 22 agosto 2011

Un nuovo cammino - La Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica - XXXIV

Continua il percorso di studio della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica: un valore importantissimo e valido per tutti gli uomini di buona volontà, il che lo rende molto trasversale e utile alla causa generale. Siamo giunti al paragrafo II del quarto capitolo, incentrato sul principio del bene comune, sul suo significato, sulle responsabilità per conseguirlo e sui compiti della comunità politica:

CAPITOLO QUARTO

I PRINCIPI DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA



II. IL PRINCIPIO DEL BENE COMUNE


a) Significato e principali implicazioni

164 Dalla dignità, unità e uguaglianza di tutte le persone deriva innanzi tutto il principio del bene comune, al quale ogni aspetto della vita sociale deve riferirsi per trovare pienezza di senso. Secondo una prima e vasta accezione, per bene comune s'intende « l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente ».346

Il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro. Come l'agire morale del singolo si realizza nel compiere il bene, così l'agire sociale giunge a pienezza realizzando il bene comune. Il bene comune, infatti, può essere inteso come la dimensione sociale e comunitaria del bene morale.

165 Una società che, a tutti i livelli, vuole intenzionalmente rimanere al servizio dell'essere umano è quella che si propone come meta prioritaria il bene comune, in quanto bene di tutti gli uomini e di tutto l'uomo.347 La persona non può trovare compimento solo in se stessa, a prescindere cioè dal suo essere « con » e « per » gli altri. Tale verità le impone non una semplice convivenza ai vari livelli della vita sociale e relazionale, ma la ricerca senza posa, in forma pratica e non soltanto ideale, del bene ovvero del senso e della verità rintracciabili nelle forme di vita sociale esistenti. Nessuna forma espressiva della socialità — dalla famiglia, al gruppo sociale intermedio, all'associazione, all'impresa di carattere economico, alla città, alla regione, allo Stato, fino alla comunità dei popoli e delle Nazioni — può eludere l'interrogativo circa il proprio bene comune, che è costitutivo del suo significato e autentica ragion d'essere della sua stessa sussistenza.348

b) La responsabilità di tutti per il bene comune

166 Le esigenze del bene comune derivano dalle condizioni sociali di ogni epoca e sono strettamente connesse al rispetto e alla promozione integrale della persona e dei suoi diritti fondamentali.349 Tali esigenze riguardano anzitutto l'impegno per la pace, l'organizzazione dei poteri dello Stato, un solido ordinamento giuridico, la salvaguardia dell'ambiente, la prestazione di quei servizi essenziali delle persone, alcuni dei quali sono al tempo stesso diritti dell'uomo: alimentazione, abitazione, lavoro, educazione e accesso alla cultura, trasporti, salute, libera circolazione delle informazioni e tutela della libertà religiosa.350 Non va dimenticato l'apporto che ogni Nazione è in dovere di dare per una vera cooperazione internazionale, in vista del bene comune dell'intera umanità, anche per le generazioni future.351

167 Il bene comune impegna tutti i membri della società: nessuno è esentato dal collaborare, a seconda delle proprie capacità, al suo raggiungimento e al suo sviluppo.352 Il bene comune esige di essere servito pienamente, non secondo visioni riduttive subordinate ai vantaggi di parte che se ne possono ricavare, ma in base a una logica che tende alla più larga assunzione di responsabilità. Il bene comune è conseguente alle più elevate inclinazioni dell'uomo,353 ma è un bene arduo da raggiungere, perché richiede la capacità e la ricerca costante del bene altrui come se fosse proprio.

Tutti hanno anche il diritto di fruire delle condizioni di vita sociale che risultano dalla ricerca del bene comune. Suona ancora attuale l'insegnamento di Pio XI: « Bisogna procurare che la distribuzione dei beni creati, la quale ognuno vede quanto ora sia causa di disagio, per il grande squilibrio fra i pochi straricchi e gli innumerevoli indigenti, venga ricondotta alla conformità con le norme del bene comune e della giustizia sociale ».354

c) I compiti della comunità politica

168 La responsabilità di conseguire il bene comune compete, oltre che alle singole persone, anche allo Stato, poiché il bene comune è la ragion d'essere dell'autorità politica.355 Lo Stato, infatti, deve garantire coesione, unitarietà e organizzazione alla società civile di cui è espressione,356 in modo che il bene comune possa essere conseguito con il contributo di tutti i cittadini. L'uomo singolo, la famiglia, i corpi intermedi non sono in grado di pervenire da se stessi al loro pieno sviluppo; da ciò deriva la necessità di istituzioni politiche, la cui finalità è quella di rendere accessibili alle persone i beni necessari — materiali, culturali, morali, spirituali — per condurre una vita veramente umana. Il fine della vita sociale è il bene comune storicamente realizzabile.357

169 Per assicurare il bene comune, il governo di ogni Paese ha il compito specifico di armonizzare con giustizia i diversi interessi settoriali.358 La corretta conciliazione dei beni particolari di gruppi e di individui è una delle funzioni più delicate del potere pubblico. Non va dimenticato, inoltre, che nello Stato democratico, in cui le decisioni sono solitamente assunte a maggioranza dai rappresentanti della volontà popolare, coloro ai quali compete la responsabilità di governo sono tenuti ad interpretare il bene comune del loro Paese non soltanto secondo gli orientamenti della maggioranza, ma nella prospettiva del bene effettivo di tutti i membri della comunità civile, compresi quelli in posizione di minoranza.

170 Il bene comune della società non è un fine a sé stante; esso ha valore solo in riferimento al raggiungimento dei fini ultimi della persona e al bene comune universale dell'intera creazione. Dio è il fine ultimo delle sue creature e per nessun motivo si può privare il bene comune della sua dimensione trascendente, che eccede ma anche dà compimento a quella storica.359 Questa prospettiva raggiunge la sua pienezza in forza della fede nella Pasqua di Gesù, che offre piena luce circa la realizzazione del vero bene comune dell'umanità. La nostra storia — lo sforzo personale e collettivo di elevare la condizione umana — comincia e culmina in Gesù: grazie a Lui, per mezzo di Lui e in vista di Lui, ogni realtà, compresa la società umana, può essere condotta al suo Bene sommo, al suo compimento. Una visione puramente storica e materialistica finirebbe per trasformare il bene comune in semplice benessere socio-economico, privo di ogni finalizzazione trascendente ovvero della sua più profonda ragion d'essere.

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