domenica 31 luglio 2011

Il punto della settimana - La casta sempre più casta

C'era una volta il monarca: egli era colui che governava il regno su cui si estendeva la sua sovranità. Il re poteva aumentare il gettito delle imposte non solo per far fronte alle misere spese del regno, ma anche per assicurare a sé e alla corte, un "equo" benessere. Allora il popolo cominciò a non gradire il fatto di pagare le imposte non per ricevere qualcosa in cambio, ma per assicurare il benessere di pochi uomini. Sorsero le rivolte che portarono alle creazioni di parlamenti che avevano il compito di rappresentare il popolo, limitando così il potere monarchico. Ma anche in questi sistemi, i ricchi avevano in mano il controllo della situazione e quindi il popolo rimaneva sempre compresso senza ricevere molto in cambio. Ci furono rivolte e guerre e si giunse alla formazioni di stati democratici, dove la sovranità non apparteneva né al re né al parlamento, ma direttamente al popolo! Ed ecco la nostra era: la nostra Costituzione esplicitamente afferma che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nei modi e nei limiti della legge. Sembrerebbe che lo stato democratico sia il coronamento del sogno di avere una politica orientata al benessere collettivo e non ristretta al benessere delle caste. Purtroppo, la crisi economica che stiamo attraversando, ci ha fatto aprire gli occhi e ci ha mostrato una classe politica ancora chiusa su sé stessa, rannicchiata per difendere i propri interessi economici, a discapito del popolo. Basta guardare la manovra in corso e basta guardare all'indecente legge nota come processo lungo (non dovevano accorciarlo?). La manovra ha spremuto i redditi medio-bassi, lasciando immacolati i redditi medio-alti: come se questo non fosse necessario, la casta della politica ha pensato bene di non toccarsi minimamente le proprie indennità con annessi privilegi, facendo capire che non si è disposti a pagare la crisi. C'è stato anche una parlamentare che ha candidamente ammesso che i politici non navigano nell'oro e che hanno le spese da pagare: ci sarebbe piaciuto essere lì per rispondere a quest'onesta signora, ricordandole che anche gli operai hanno le spese da pagare e che i loro stipendi erano già ampiamente tartassati prima della manovra (figuriamoci ora...).
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha finalmente cominciato a dare l'esempio, rinunciando agli aumenti di contingenza e riducendo le spese del Quirinale: ora ci attendiamo che queste riduzioni di spesa e di indennità si estendano a tutto il ramo politico; ci attendiamo una riduzione delle indennità parlamentari e dei loro privilegi; ci attendiamo la riduzione degli stipendi dei membri del governo e il taglio delle province.
Ma invece di porre l'attenzione su questi importanti questioni, il governo sembra preoccupato dal fatto che i processi sono troppo brevi: per questo viene deciso di varare il processo lungo! Solo un anno fa si voleva introdurre il processo breve, ma stranamente ora si è deciso di provvedere all'introduzione del processo lungo. In cosa consiste? In parole povere esso comporta la possibilità di poter ascoltare tutti i testimoni che si hanno a disposizione, indipendentemente dalla loro attinenza al processo. La conseguenza di questo provvedimento è un allungamento dei tempi processuali che porteranno il processo direttamente in prescrizione! E così non potrà giungere a sentenza. Ovviamente il primo a beneficiarne sarà il Presidente del Consigli Silvio Berlusconi che, stranamente, risulta quasi sempre avvantaggiato dalle leggi emanate soprattutto in materia di giustizia.
In sostanza, questa legge dimostra l'attenzione egoistica e settoriale di un governo che non pone assolutamente attenzione ai problemi della società reale, perché troppo impegnata a proteggere i propri membri dai procedimenti giudiziari. Quando assisteremo alla nascita di una formazione statale capace davvero di perseguire il bene collettivo?
Leggi tutto...

Papa Benedetto XVI risponde... a Peter Seewald

Oggi, dietro segnalazione della nostra cara Enza, vi rendiamo noti alcuni spunti di dialogo tratti dal libro-intervista "Luce del mondo", di Peter Seewald, che ci mostrano alcune interessanti riflessioni di Papa Benedetto XVI:


Peter Seewald: Gli osservatori notano che nella curia Romana assumono sempre più ruoli di responsabilità gli appartenenti agli Ordini religiosi. Il quotidiano il Foglio ha parlato di una “svolta copernicana” della politica vaticana in questo senso. I critici invece parlano di “infiltrazioni di fondamentalisti”. La scelta di consacrati appartenenti agli Ordini che hanno fatto voto di povertà, castità e obbedienza vuole essere una sorta di antidoto al carrierismo e agli intrighi che non mancano nemmeno in Vaticano?

Benedetto XVI:  stati chiamati una serie di religiosi appartenenti agli Ordini, perché tra loro ci sono persone veramente valide che hanno grandi capacità e che sono persone pie. Cerco di trovare la persona giusta, che si tratti di un appartenente ad un ordine o di un sacerdote diocesano. Quello che è decisivo è che la persona abbia le qualità giuste, sia pia, veramente credente e soprattutto sia un uomo coraggioso.
Penso che il coraggio sia una delle principali qualità che un vescovo o un responsabile di Curia debbano possedere oggi. Significa anche non piegarsi al diktat delle opinioni dominanti ma agire per convinzione interiore, anche se si avranno delle difficoltà. E naturalmente deve trattarsi di persone dalle spiccate qualità intellettuali, professionali ed umane, capaci di guidare e di inserire gli altri in una comunità familiare. Ad esempio, quando ero Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ho giudicato molto importante che fossimo una comunità, che non litigassimo  ma fossimo una famiglia. Reputo molto importante questa capacità di avvicinare gli uni agli altri e di creare uno spirito di squadra.

Peter Seewald: un Papa parla anche con i gesti e con gli atteggiamenti, con i segni e con i simboli. Ha destato scalpore la scelta, quale copricapo invernale, dell’ormai famoso camauro, un berretto a punta indossato l’ultima volta da Giovanni XXIII. E’ solo un accessorio oppure mettendolo intendeva esprimere il ritorno nella Chiesa a forme antiche e consolidate?

Benedetto XVI: l’ho indossato una sola volta. Avevo semplicemente molto freddo e la testa per me è un punto molto sensibile. E mi sono detto: “Visto che c’è, mettiamo questo camauro”. Ma è stato solo il tentativo di difendermi dal freddo. Da allora non l’ho più indossato. Perché non nascessero altre, superflue interpretazioni.

LE ASSOCIAZIONI ATEE HANNO AVUTO LA SFRONTATEZZA E LA CATTIVERIA DI RAFFIGURARE, DISTORCENDO LA SUA IMMAGINE, UN PAPA COL VISO DA DEMONIO PROPRIO USANDO LE FOTO CON IL CAMAURO IN TESTA.   

DAL CAPITOLO 9: ECUMENE E DIALOGO CON L’ISLAM
Peter Seewald: Il Papa non considera i protestanti una vera Chiesa, ma, a differenza della Chiesa d’Oriente, soltanto una comunità ecclesiale. Da fuori appare come una definizione umiliante.

Benedetto XVI: l’espressione “comunità ecclesiale” è propria della terminologia del Concilio Vaticano II. Il Concilio segue una regola molto semplice: la Chiesa in senso proprio sta, secondo noi, là dove è conservato l’episcopato valido e la genuina ed integra sostanza del Mistero eucaristico, amministrato dai vescovi e dai sacerdoti.
Dove questo manca, c’è un’altra cosa, un nuovo modo di intendere la Chiesa che il Concilio Vaticano II ha definito “comunità ecclesiale”. Questa definizione indica che sono chiese in maniera diversa; che non sono, come esse stesse affermano, Chiese inserite nella grande tradizione antica, bensì scaturite da una nuova concezione secondo la quale la Chiesa non consiste in una istituzione, ma nella dinamica della Parola che riunisce le persone e le rende comunità.
Perciò questa terminologia rappresenta un tentativo di cogliere la particolarità della cristianità protestante e di esprimerla in positivo. E’ sempre possibile trovare parole migliori,  ma la differenza fondamentale è legittima. E’ data anche solo dal punto di vista storico. Inoltre, bisogna ancora una volta sottolineare che le situazioni ecclesiali delle singole comunità protestanti sono molto diverse fra loro. Anche tra loro si definiscono in modo molto differente, per cui non è possibile parlare della chiesa protestante. Si tratta semplicemente di capire che il Cristianesimo nel protestantesimo ha operato, per così dire, uno spostamento di accento che noi tentiamo di comprenderlo, di riconoscerci e, in quanto cristiani, di aiutarci reciprocamente.

Peter Seewald: e per quanto riguarda la definizione di ciò che è Chiesa, nemmeno un Papa può dire altro?

Benedetto XVI: no. Non è nella sua disponibilità. E’ vincolato dal Concilio Vaticano II.

Peter Seewald: l’impegno ecumenico della Santa Sede rispetto alle comunità ecclesiali in Occidente si è concentrato sugli Anglicani, sulla federazione Mondiale Luterana, sull’Alleanza Mondiale delle Chiese Riformate e sul Consiglio Metodista Mondiale. Le porte di Roma sono già aperte a quegli Anglicani che hanno espresso il desiderio di far parte della Chiesa cattolica. Con la Costituzione apostolica da Lei emanata su questo punto sorge per la prima volta una struttura giuridica e organizzativa per le Chiese particolari. Finora l’immagine dell’unità era legata a quella del ritorno alla Chiesa Latina. Si è creato un precedente per eventuali altri gruppi desiderosi di unirsi alla Chiesa Cattolica?

Benedetto XVI: e’ in ogni caso il tentativo di rispondere a una sfida specifica. L’iniziativa non è partita da noi, ma da vescovi Anglicani che hanno intrapreso un dialogo con la Congregazione per la Dottrine della Fede, cercando una forma che permettesse di venirsi incontro. Hanno affermato di condividere pienamente la fede definita nel catechismo della Chiesa Cattolica. E’ anche la loro fede. Ora bisogna vedere fino a che punto possono salvaguardare la propria tradizione, la forma di vita loro propria, con tutta la ricchezza che contiene.
Quindi è un progetto nato come una proposta. Non è ancora possibile affermare sino a che punto verrà utilizzato, sino a che punto verrà tradotto in realtà, quali sviluppi e quali variazioni avranno luogo. Tuttavia è sempre un segno di flessibilità da parte della Chiesa Cattolica. Non vogliamo creare nuove Chiese uniate, ma desideriamo offrire la possibilità alle tradizioni delle Chiese particolari, tradizioni che si sono sviluppate al di fuori della Chiesa Romana, di essere in comunione con il Papa e quindi di entrare nella comunità Cattolica.

Peter Seewald: il 12 settembre 2005, il Suo Discorso all’Università di Ratisbona ha scatenato un’accesa controversia. Ha citato un passo tratto da un antico libro che riportava il dialogo tra l’imperatore Bizantino e un erudito persiano su Cristianesimo e Islam. In seguito in alcuni paesi islamici, chiese vennero incendiate e i giornalisti occidentali scrissero articoli furenti. Quel discorso è stato poi catalogato come il primo errore del suo Pontificato. Lo fu veramente?

Benedetto XVI: avevo concepito quel discorso come una lezione strettamente accademica, senza rendermi conto che il discorso di un Papa non viene considerato dal punto di vista accademico, ma da quello politico. Da una prospettiva politica non si considerò il discorso prestando attenzione ai particolari; fu invece estrapolato un passo e dato ad esso un significato politico, che in realtà non aveva. Quel passo trattava di un antico dialogo che, ora come allora, considero di grande interesse.
L’Imperatore Manuele, di cui si parla, a quel tempo era già vassallo del Regno ottomano. Non poteva quindi scagliarsi contro i musulmani; ma, nell’ambito di un dialogo intellettuale, poteva porre domande vive.  Ma l’attuale comunicazione politica è tale da non permettere la comprensione di simili correlazioni. E tuttavia quell’episodio, dopo tutte le cose terribili accadute e per le quali non posso non addolorarmi molto, ha sortito effetti positivi. Durante la mia visita in Turchia ho potuto dimostrare di avere rispetto per l’Islam, che lo riconosco come una grande realtà religiosa, con la quale bisogna dialogare. E così da quella controversia è scaturito un dialogo veramente molto intenso. E’ risultato chiaro che nel dibattito pubblico l’Islam deve chiarire due questioni: quelle del suo rapporto con la violenza e con la ragione. Ha rappresentato un inizio veramente positivo il fatto che, proprio in ambito islamico, si sia ritenuto doveroso e necessario chiarire quelle due questioni e di conseguenza sia stata avviata una riflessione interna fra studiosi dell’Islam, una riflessione che poi è divenuta dialogo.
Leggi tutto...

sabato 30 luglio 2011

La Chiesa nel mondo contemporaneo - XXIX parte

Continuiamo il nostro cammino di lettura della Costituzione Pastorale "Gaudium et spes" di Papa Paolo VI. Proseguiamo la lettura del secondo capitolo iniziato settimana scorsa e incentrato sulla promozione della cultura: 


CAPITOLO II

LA PROMOZIONE DELLA CULTURA



56. Difficoltà e compiti

In queste condizioni non stupisce che l'uomo sentendosi responsabile del progresso della cultura, nutra grandi speranze, ma consideri pure con ansietà le molteplici antinomie esistenti ch'egli deve risolvere. Che cosa si deve fare affinché gli intensificati rapporti culturali, che dovrebbero condurre ad un vero e fruttuoso dialogo tra classi e nazioni diverse, non turbino la vita delle comunità, né sovvertano la sapienza dei padri, né mettano in pericolo il carattere proprio di ciascun popolo?

In qual modo promuovere il dinamismo e l'espansione della nuova cultura senza che si perda la viva fedeltà al patrimonio della tradizione? Questo problema si pone con particolare urgenza là dove la cultura, che nasce dal grande sviluppo scientifico e tecnico, si deve armonizzare con la cultura che, secondo le varie tradizioni, viene alimentata dagli studi classici.

In qual maniera conciliare una così rapida e crescente diversificazione delle scienze specializzate, con la necessità di farne la sintesi e di mantenere nell'uomo le facoltà della contemplazione e dell'ammirazione che conducono alla sapienza?

Che cosa fare affinché le moltitudini siano rese partecipi dei beni della cultura, proprio quando la cultura degli specialisti diviene sempre più alta e complessa?

Come, infine, riconoscere come legittima l'autonomia che la cultura rivendica a se stessa, senza giungere a un umanesimo puramente terrestre, anzi avverso alla religione?

In mezzo a queste antinomie, la cultura umana va oggi sviluppata in modo da perfezionare con giusto ordine la persona umana nella sua integrità e da aiutare gli uomini nell'esplicazione di quei compiti, al cui adempimento tutti, ma specialmente i cristiani fraternamente uniti in seno all'unica famiglia umana, sono chiamati.

Sezione 2: Alcuni principi riguardanti la retta promozione della cultura


57. Fede e cultura

I cristiani, in cammino verso la città celeste, devono ricercare e gustare le cose di lassù (125) questo tuttavia non diminuisce, anzi aumenta l'importanza del loro dovere di collaborare con tutti gli uomini per la costruzione di un mondo più umano. E in verità il mistero della fede cristiana offre loro eccellenti stimoli e aiuti per assolvere con maggiore impegno questo compito e specialmente per scoprire il pieno significato di quest'attività, mediante la quale la cultura umana acquista un posto importante nella vocazione integrale dell'uomo.

L'uomo infatti, quando coltiva la terra col lavoro delle sue braccia o con l'aiuto della tecnica, affinché essa produca frutto e diventi una dimora degna di tutta la famiglia umana, e quando partecipa consapevolmente alla vita dei gruppi sociali, attua il disegno di Dio, manifestato all'inizio dei tempi, di assoggettare la terra (126) e di perfezionare la creazione, e coltiva se stesso; nel medesimo tempo mette in pratica il grande comandamento di Cristo di prodigarsi al servizio dei fratelli.

L'uomo inoltre, applicandosi allo studio delle varie discipline, quali la filosofia, la storia, la matematica, le scienze naturali, e coltivando l'arte, può contribuire moltissimo ad elevare l'umana famiglia a più alti concetti del vero, del bene e del bello e a una visione delle cose di universale valore; in tal modo essa sarà più vivamente illuminata da quella mirabile Sapienza, che dall'eternità era con Dio, disponendo con lui ogni cosa, giocando sull'orbe terrestre e trovando le sue delizie nello stare con i figli degli uomini (127).

Per ciò stesso lo spirito umano, più libero dalla schiavitù delle cose, può innalzarsi con maggiore speditezza al culto ed alla contemplazione del Creatore. Anzi, sotto l'impulso della grazia si dispone a riconoscere il Verbo di Dio che, prima di farsi carne per tutto salvare e ricapitolare in se stesso, già era « nel mondo » come « luce vera che illumina ogni uomo » (Gv 1,9) (128).

Certo, l'odierno progresso delle scienze e della tecnica, che in forza del loro metodo non possono penetrare nelle intime ragioni delle cose, può favorire un certo fenomenismo e agnosticismo, quando il metodo di investigazione di cui fanno uso queste scienze viene a torto innalzato a norma suprema di ricerca della verità totale. Anzi, vi è il pericolo che l'uomo, fidandosi troppo delle odierne scoperte, pensi di bastare a se stesso e non cerchi più valori superiori.

Questi fatti deplorevoli però non scaturiscono necessariamente dalla odierna cultura, né debbono indurci nella tentazione di non riconoscere i suoi valori positivi. Fra questi si annoverano: il gusto per le scienze e la rigorosa fedeltà al vero nella indagine scientifica, la necessità di collaborare con gli altri nei gruppi tecnici specializzati, il senso della solidarietà internazionale, la coscienza sempre più viva della responsabilità degli esperti nell'aiutare e proteggere gli uomini, la volontà di rendere più felici le condizioni di vita per tutti, specialmente per coloro che soffrono per la privazione della responsabilità personale o per la povertà culturale. Tutti questi valori possono essere in qualche modo una preparazione a ricevere l'annunzio del Vangelo; preparazione che potrà essere portata a compimento dalla divina carità di colui che è venuto a salvare il mondo.

Leggi tutto...

In India si marcia per i diritti dei Dalit: tra i leader della protesta, l'arcivescovo di New Dehli

Le discriminazioni sono una ferita per l'intera società umana creata uguale in dignità e diritti, e diversa solo nei colori e nei carismi,  nelle culture e nell'arte. Purtroppo le discriminazioni sono ancora largamente presenti nella società mondiale, in particolare in India dove l'altro ieri si è tenuta una marcia di diecimila persone in piazza a Dehli per i diritti dei Dalit. Tra i leader della protesta vi è anche l'arcivescovo di New Dehli, mons. Vincent M. Concessao. A quanto pare questo tipo di discriminazione è presente in ogni paese, persino in Italia, anche se non lo si vuol fare apparire. Ma questa è tutta un'altra storia... ora lasciamo le parole a Radio Vaticana in un articolo di ieri:


Oltre diecimila persone hanno marciato ieri (l'altro ieri per chi legge - 28 luglio 2011 - n.d.r.nelle strade di Nuova Delhi per chiedere al governo di garantire e difendere i diritti di tutti i Dalit. Alla marcia, che è seguita a tre giorni di digiuno, hanno partecipato più di 50 arcivescovi e vescovi, insieme a migliaia di religiosi e laici, cristiani e musulmani. “Io sono un Dalit e soffro quello che voi soffrite”, ha dichiarato il cardinale Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai, presente alla manifestazione. Riferisce l'agenzia AsiaNews che il porporato ha chiesto al governo indiano di includere i Dalit cristiani e musulmani nella lista delle caste protette, al fine di evitare una “discriminazione clamorosa” e una violazione della costituzione indiana. Tra i leader della protesta c’era anche l’arcivescovo di New Delhi, mons. Vincent M. Concessao, che da trent’anni si occupa dei diritti dei Dalit. “La nostra causa, che ci ha portato insieme a Delhi da tutto il Paese, è una causa nazionale, ed è racchiusa chiaramente nel Preambolo della nostra costituzione che proclama la sua visione in termini di giustizia, eguaglianza libertà e fraternità”, ha detto il presule, “la giustizia è una causa dell’umanità. E’ la causa di Dio stesso, come ci dice la Bibbia. Di conseguenza coloro che si oppongono alla giustizia, attivamente, con l’inazione o con tattiche dilatorie, scavano la loro tomba. Non hanno bisogno di avversari che li sconfiggano. Non importa quanto siano potenti re e regni e partiti politici: quando compiono ingiustizie sulla gente inerme, cadono”, ha aggiunto mons. Concessao, “e’ già accaduto in passato, e sta accadendo ora e accadrà in futuro perché la giustizia è una richiesta basilare dell’umanità”. Secondo l’arcivescovo i partiti religiosi indù non accetteranno mai che sia fatta giustizia per i Dalit, ma quasi tutti gli altri partiti, sia nazionali che regionali, appoggeranno questa richiesta. “Se il governo fa orecchie da mercante alle lacrime dei Dalit, Dio non lo farà”, ha concluso il presule. (M.R.)
Leggi tutto...

venerdì 29 luglio 2011

Pacem in Terris - VII

 Continuiamo la lettura dell'ultima Enciclica pubblicata da papa Giovanni XXIII "Pacem in terris": e continuiamo l'analisi del capitolo relativo al rapporto tra gli esseri umani e le autorità che li governano. Oggi il tema inerisce non solo i poteri pubblici, ma anche i diritti e doveri della persona umana che devono, tra l'altro, esser promossi e garantiti dai poteri pubblici. Purtroppo la società odierna ancora non riesce a darci un ordinamento in grado di garantire e tutelare effettivamente i diritti della persona umana e la conseguenza è la presenza di numerose ingiustizie sociali che raggiungono un numero spropositato soprattutto nei Paesi in via di sviluppo (anche se in questa fase storica delicata anche i Paesi occidentali sembrano regredire, soprattutto in materia del lavoro e della famiglia): 
II

RAPPORTI TRA GLI ESSERI UMANI
E I POTERI PUBBLICI
ALL’INTERNO DELLE SINGOLE
 COMUNITÀ POLITICHE  

Compiti dei poteri pubblici e diritti e doveri della persona

36. Nell’epoca moderna l’attuazione del bene comune trova la sua indicazione di fondo nei diritti e nei doveri della persona. Per cui i compiti precipui dei poteri pubblici consistono, soprattutto, nel riconoscere, rispettare, comporre, tutelare e promuovere quei diritti; e nel contribuire, di conseguenza, a rendere più facile l’adempimento dei rispettivi doveri. "Tutelare l’intangibile campo dei diritti della persona umana e renderle agevole il compito dei suoi doveri vuol essere ufficio essenziale di ogni pubblico potere" [37].

Per cui ogni atto dei poteri pubblici, che sia od implichi un misconoscimento o una violazione di quei diritti, è un atto contrastante con la stessa loro ragione di essere e rimane per ciò stesso destituito d’ogni valore giuridico [38].

Armonica composizione ed efficace tutela dei diritti e doveri della persona

37. È quindi compito fondamentale dei poteri pubblici disciplinare e comporre armonicamente i rapporti tra gli esseri umani in maniera che l’esercizio dei diritti negli uni non costituisca un ostacolo o una minaccia per l’esercizio degli stessi diritti negli altri, e si accompagni all’adempimento dei rispettivi doveri; ed è ancora compito loro tutelare efficacemente o ripristinare l’esercizio di tali diritti [39].

Dovere di promuovere i diritti della persona

38. È inoltre un’esigenza del bene comune che i poteri pubblici contribuiscano positivamente alla creazione di un ambiente umano nel quale a tutti i membri del corpo sociale sia reso possibile e facilitato l’effettivo esercizio degli accennati diritti, come pure l’adempimento dei rispettivi doveri. Infatti l’esperienza attesta che qualora manchi una appropriata azione dei poteri pubblici, gli squilibri economici, sociali e culturali tra gli esseri umani tendono, soprattutto nell’epoca nostra, ad accentuarsi; di conseguenza i fondamentali diritti della persona rischiano di rimanere privi di contenuto; e viene compromesso l’adempimento dei rispettivi doveri.

39. È perciò indispensabile che i poteri pubblici si adoperino perché allo sviluppo economico si adegui il progresso sociale; e quindi perché siano sviluppati, in proporzione dell’efficienza dei sistemi produttivi, i servizi essenziali, quali: la viabilità, i trasporti, le comunicazioni, l’acqua potabile, l’abitazione, l’assistenza sanitaria, l’istruzione, condizioni idonee per la vita religiosa, i mezzi ricreativi. E devono anche provvedere a che si dia vita a sistemi assicurativi in maniera che, al verificarsi di eventi negativi o di eventi che comportino maggiori responsabilità familiari, ad ogni essere umano non vengano meno i mezzi necessari ad un tenore di vita dignitoso; come pure affinché a quanti sono in grado di lavorare sia offerta una occupazione rispondente alle loro capacità; la rimunerazione del lavoro sia determinata secondo criteri di giustizia e di equità; ai lavoratori, nei complessi produttivi, sia acconsentito svolgere le proprie attività in attitudine di responsabilità; sia facilitata la istituzione dei corpi intermedi che rendono più articolata e più feconda la vita sociale; sia resa accessibile a tutti, nei modi e gradi opportuni, la partecipazione ai beni della cultura.

Equilibrio fra le due forme di intervento dei poteri pubblici

40. Il bene comune esige che i poteri pubblici, nei confronti dei diritti della persona, svolgano una duplice azione: l’una diretta a comporre e tutelare quei diritti, l’altra a promuoverli. In materia però va posta la più vigilante attenzione perché le due azioni siano saggiamente contemperate. Si deve quindi evitare che, attraverso la preferenza data alla tutela dei diritti di alcuni individui o gruppi sociali, si creino posizioni di privilegio; e si deve pure evitare che, nell’intento di promuovere gli accennati diritti, si arrivi all’assurdo risultato di ridurre eccessivamente o renderne impossibile il genuino esercizio. "Dev’essere sempre riaffermato il principio che la presenza dello Stato in campo economico non va attuata per ridurre sempre più la sfera di libertà della iniziativa personale dei singoli cittadini, ma per garantire a quella sfera la maggiore ampiezza possibile, nell’effettiva tutela, per tutti e per ciascuno, dei diritti essenziali della persona" [40].

Allo stesso principio devono ispirarsi i poteri pubblici nello svolgimento della loro multiforme azione diretta a promuovere l’esercizio di diritti e a renderne meno arduo l’adempimento di doveri in tutti i settori della vita sociale.

Struttura e funzionamento dei poteri pubblici

41. Non si può stabilire, una volta per sempre, qual è la struttura migliore secondo cui devono organizzarsi i poteri pubblici, come pure il modo più idoneo secondo il quale devono svolgere le loro specifiche funzioni, e cioè la funzione legislativa, amministrativa, giudiziaria.

Giacché la struttura e il funzionamento dei poteri pubblici non possono non essere in relazione con le situazioni storiche delle rispettive comunità politiche: situazioni che variano nello spazio e mutano nel tempo. Però riteniamo rispondente ad esigenze insite nella stessa natura degli uomini l’organizzazione giuridico-politica della comunità umana, fondata su una conveniente divisione dei poteri in corrispondenza alle tre specifiche funzioni dell’autorità pubblica. In essa infatti la sfera di competenza e il funzionamento dei poteri pubblici sono definiti in termini giuridici; e in termini giuridici sono pure disciplinati i rapporti fra semplici cittadini e funzionari. Ciò costituisce un elemento di garanzia a favore dei cittadini nell’esercizio dei loro diritti e nell’adempimento dei loro doveri.

42. Però affinché l’accennata organizzazione giuridica-politica delle comunità umane arrechi i vantaggi che le sono propri, è indispensabile che i poteri pubblici si adeguino nei metodi e nei mezzi alla natura e complessità dei problemi che sono chiamati a risolvere nell’ambiente in cui operano; ed è pure indispensabile che ognuno di essi svolga la propria funzione in modo pertinente. Ciò comporta che il potere legislativo si muova nell’ambito dell’ordine morale e della norma costituzionale, e interpreti obiettivamente le esigenze del bene comune nell’incessante evolversi delle situazioni; che il potere esecutivo applichi le leggi con saggezza nella piena conoscenza delle medesime e in una valutazione serena dei casi concreti; che il potere giudiziario amministri la giustizia con umana imparzialità, inflessibile di fronte alle pressioni di qualsivoglia interesse di parte, e comporta pure che i singoli cittadini e i corpi intermedi, nell’esercizio dei loro doveri, godano di una tutela giuridica efficace tanto nei loro vicendevoli rapporti che nei confronti dei funzionari pubblici [41].

Leggi tutto...

Forte intervento dell'arcivescovo Chullikatt in seno all'ONU

In seno all'ONU, in questi giorni, la Santa Sede sta dando battaglia con una serie di interventi che cercano di risvegliare la coscienza dell'organismo internazionale. In particolare ci colpiscono i due discorsi dell'arcivescovo Francis Chullikatt che si è soffermato prima sui giovani e sulla famiglia (ribadendo che i genitori hanno il DIRITTO di insegnare la sessualità ai propri figli) e poi sui poveri e sulla dignità della persona umana. I due servizi che seguono sono tratti da Radio Vaticana che ci aggiorna sul contenuto sintetizzato di questi importanti interventi internazionali:

“Ogni giovane deve avere la possibilità di crescere libero da violenze e discordie”: è quanto sottolineato dall’arcivescovo Francis Chullikat che, parlando al Palazzo di Vetro, ha messo l’accento sull’importanza per i giovani di “un ambiente familiare in cui regni un’atmosfera di gioia, amore e comprensione”. Il presule ha ricordato che la stessa Dichiarazione Onu per i diritti umani riconosce che la famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, va salvaguardata dalla società e dagli Stati. Quindi, ha rimarcato che molti giovani nutrono il “desiderio di vivere relazioni personali contraddistinte dalla verità e dalla solidarietà” e vogliono che la propria famiglia “rimanga unita”.

I giovani, ha soggiunto l’Osservatore vaticano, “rappresentano il futuro dell’umanità". Per questo, ha avvertito, hanno bisogno di una “corretta educazione che permetta loro di distinguere tra il bene e il male”. Mons. Chullikatt ha quindi messo l’accento sullo sforzo necessario per eliminare ogni forma di violenza contro i giovani, riaffermando che i diritti dei bambini e dei ragazzi devono essere garantiti “in piena conformità con le norme dell’ordine morale naturale”. Ha così osservato che la “mentalità relativista” che ritiene ugualmente valide tutte le cose “non porta alla libertà autentica ma piuttosto all’instabilità e alla confusione”. Nel suo intervento, mons. Chullikatt non ha mancato di rammentare l’ormai imminente Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid. Un'occasione, ha detto, per “celebrare l’importanza della dimensione spirituale radicata in ogni persona umana”.

***

I poveri sono una risorsa, non un problema: è quanto sottolineato dall’arcivescovo Francis Chullikatt nel suo intervento alla Commissione Popolazione e Sviluppo del Consiglio Economico e Sociale dell’Onu di New York. L’Osservatore permanente della Santa Sede al Palazzo di Vetro ha criticato quella visione distorta di sviluppo che per eliminare la povertà vorrebbe eliminare i poveri.

Il presule ha dunque esortato i governi a rispettare sempre la dignità della persona e in particolare il diritto dei genitori ad avere dei figli, liberi da qualsiasi tipo di coercizione.
Ancora oggi, ha avvertito mons. Chullikatt, quando si parla di salute riproduttiva e sviluppo, la discussione è guidata dalla “falsa convinzione che in un contesto di crescita della popolazione”, l’atto di donare la vita vada visto con timore piuttosto che essere incoraggiato. Questa corrente di pensiero, ha osservato il presule, è basata “su un individualismo radicale che considera la riproduzione umana come un bene che deve essere regolato” per rendere l’economia di mercato più efficiente. Una visione, ha affermato l’arcivescovo Chullikatt, che non può corrispondere agli obiettivi delle Nazioni Unite. Queste interpretazioni sbagliate, ha quindi proseguito, “conducono ad una visione distorta” secondo cui la crescita della popolazione, soprattutto dei poveri, dovrebbe ridursi così da contrastare la povertà, l’analfabetismo e la malnutrizione. Al contempo, si afferma la teoria senza prove che l’aumento della popolazione devasterebbe l’ambiente e porterebbe ad uno scontro per l’utilizzo delle risorse.

“Queste preoccupazioni – ha avvertito – contribuiscono al diffondersi di forme di tecniche riproduttive che denigrano la natura della sessualità umana”. Tali concezioni sbagliate, ha soggiunto, “hanno portato alcuni governi nazionali ad adottare leggi e politiche che scoraggiano i genitori dall’esercitare il loro fondamentale e inderogabile diritto ad avere figli, liberi da coercizioni”. Politiche che, in alcuni casi, “rendono addirittura illegale per una madre dare la vita e per un bambino avere un fratello o una sorella”. Mons. Chullikatt ha dunque criticato con forza la teoria secondo cui "se ci fossero meno donne povere che partoriscono ci sarebbero tassi più limitati di mortalità materna" e, ancora, se nascessero "meno persone affamate sarebbe più facile distribuire le risorse per lo sviluppo". Questa visione distorta, è la denuncia del presule, “considera i poveri un problema” da affrontare come se si trattasse di “oggetti senza importanza” piuttosto che di “persone con un’innata dignità” meritevole di un sostegno pieno della comunità internazionale.

Del resto, ha constatato, in alcune aree del mondo, il calo dei tassi di fertilità ha portato all’invecchiamento della popolazione con problemi per lo sviluppo e il necessario sostegno agli anziani. Il presule ha così riaffermato la necessità di uno sviluppo umano integrale che tenga conto degli aspetti politici, culturali e spirituali della persona, della famiglia e della società. Di qui, il richiamo alla comunità internazionale ad un rispetto della dignità di ogni persona, che sia alla base di “una nuova etica per lo sviluppo”. In particolare, ha ribadito il presule, la Santa Sede chiede alla comunità internazionale di aumentare il proprio sostegno alla famiglia e all’accoglimento della vita. Invece di concentrarsi su politiche volte a ridurre il numero di persone povere, con metodi che attaccano il matrimonio e la famiglia, ha concluso, bisognerebbe concentrare le risorse in favore di quel miliardo di essere umani sottonutriti e lavorare affinché sia garantita l’educazione primaria ai 69 milioni di bambini che rischiano di divenire un’altra generazione di analfabeti.
Leggi tutto...

La gioventù per crescere sana ha bisogno di amore: così, il Papa in un messaggio all'Ordine dei Padri Somaschi

Da: Radio Vaticana

“Le prove, a livello sia personale sia istituzionale, servono per accrescere la fede”, “Dio ha i suoi piani, anche quando non riusciamo a comprendere le sue disposizioni”. E’ quanto scrive Benedetto XVI nel messaggio indirizzato al preposito generale dei chierici regolari Somaschi, padre Franco Moscone, in occasione dell’anno giubilare indetto dall’Ordine nel 500.mo anniversario della prodigiosa liberazione dal carcere del fondatore, San Girolamo Emiliani, patrono degli orfani e della gioventù abbandonata. Le celebrazioni si apriranno a Venezia il prossimo 25 settembre, con la Messa nella Basilica di San Marco, e si protrarranno fino al 30 settembre del 2012 con una serie di convegni storici ed eventi dedicati alla figura di San Girolamo. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

Nel messaggio, Benedetto XVI ricorda l’evento prodigioso che modificò il “corso di una vicenda umana e diede inizio ad un’esperienza di vita consacrata assai significativa per la storia della Chiesa”. E’ la notte del 27 settembre del 1511 e durante la guerra tra la Repubblica Veneta e gli Stati della Lega di Cambrai il giovane soldato della Repubblica di Venezia, Girolamo Emiliani, viene fatto prigioniero e rinchiuso nei sotterranei nella fortezza di Castelnuovo con catene ai piedi e alle mani. Si rivolge alla Madonna, facendo voto di cambiare condotta di vita, e per intercessione della Madre di Dio viene liberato dai ceppi della prigionia.

Per intervento divino fu liberato – scrive il Papa nel messaggio – “dai lacci dell’egoismo, dell’orgoglio, della ricerca dell’affermazione personale, cosicché la sua esistenza, prima rivolta prevalentemente alle cose temporali, si orientò unicamente a Dio, amato e servito in modo particolare nella gioventù orfana, malata e abbandonata”. Girolamo – aggiunge il Santo Padre - “maturò l’idea che la gioventù, soprattutto quella disagiata, non può essere lasciata sola, ma per crescere sana ha bisogno di un requisito essenziale: l’amore”.

E l’attenzione alla gioventù e alla sua educazione umana e cristiana, che contraddistingue il carisma dei padri Somaschi, continua ad essere un impegno della Chiesa. È necessario - sottolinea Benedetto XVI - che “la crescita delle nuove generazioni venga alimentata non solo da nozioni culturali e tecniche, ma soprattutto dall’amore, che vince individualismo ed egoismo” e rende attenti alle necessità di ogni persona, “anche quando non ci può essere contraccambio, anzi, specialmente allora”. L’esempio luminoso di San Girolamo Emiliani - conclude il Papa - aiuta a prendere a cuore “ogni povertà della nostra gioventù, morale, fisica, esistenziale, e innanzitutto la povertà di amore, radice di ogni serio problema umano”.
Leggi tutto...

giovedì 28 luglio 2011

E' venuto a mancare mons. Pietro Sambi, nunzio apostolico a Washington

Negli ultimi giorni abbiamo annunciato spesso questo tipo di notizie. Oggi purtroppo dobbiamo farlo di nuovo: è venuto a mancare nella serata di ieri a Baltimora, negli Stati Uniti, il nunzio apostolico a Washington, mons. Pietro Sambi, a seguito di un aggravamento delle sue condizioni dopo un intervento chirurgico ai polmoni. Attraverso il servizio di Sergio Centofanti di Radio Vaticana, conosciamo meglio la figura di mons. Sambi e del suo operato come nunzio apostolico in vari paesi del mondo, in particolare in Terra Santa:


Mons. Sambi era nato 73 anni fa a Sogliano al Rubicone, diocesi di Rimini. Ordinato sacerdote nel 1964, entra nel servizio diplomatico della Santa Sede, prestando servizio in Camerun, Gerusalemme, Cuba, Algeria, Nicaragua, Belgio e India. Il 10 ottobre 1985 viene nominato arcivescovo titolare di Belcastro e pro-nunzio apostolico in Burundi; il cardinale Jozef Tomko lo consacra vescovo il 9 novembre dello stesso anno. Nel 1991 viene nominato nunzio in Indonesia e successivamente, nel 1998, assume l'incarico di rappresentante pontificio a Cipro e in Israele, nonché quello di delegato apostolico per Gerusalemme e la Palestina. Dal 17 dicembre 2005 è stato nunzio apostolico per gli Stati Uniti d'America e osservatore permanente presso l'Organizzazione degli Stati Americani. Come nunzio in Israele e delegato apostolico per la Palestina ha svolto un’intensa opera a sostegno dei cristiani di Terra Santa. Tra l’altro ha contribuito a risolvere l'assedio alla Basilica della Natività. Chiedeva la solidarietà di tutta la Chiesa invitando i pellegrini a recarsi nei luoghi di Gesù senza farsi scoraggiare dalla paura. Ai nostri microfoni, più volte era intervenuto per rassicurare sulla sicurezza dei pellegrinaggi:

“Credo che quelli che devono rassicurare sono soprattutto i pellegrini che fanno il pellegrinaggio senza problemi particolari. Sono loro che, al ritorno, devono testimoniare che si può fare il pellegrinaggio in tutta serenità, perché i problemi qui ci sono, ma non sono sul cammino dei pellegrini. E i pellegrini devono anche dare testimonianza di questa esperienza unica che hanno fatto, camminando sui passi di Gesù”. (Radio Vaticana, 25 marzo 2005)

Mons. Sambi ha seguito da vicino il difficile processo di pace in Terra Santa. “E’ una situazione dominata dalla paura, da entrambe le parti – sottolineava – ciascuna parte si attribuisce tutti i diritti e attribuisce tutti i torti all’altra parte”. Non parlava di ottimismo, ma di speranza cristiana, una speranza basata sulla fede e anche sul sentire della gente comune:

“Quello che mi pare evidente è che i due popoli, israeliano e palestinese, siano estremamente stanchi di questa situazione di conflitto, di questo vivere quotidiano nella paura, dell’incertezza del futuro e della miseria, che sta bussando a tutte le porte, sia in Israele che in Palestina. E’ mia impressione, dai contatti numerosissimi che ho avuto, sia con il popolo palestinese che con il popolo israeliano, che la volontà popolare sia che finalmente il passo sia celere e si arrivi alla pace”. (Radio Vaticana, 24 gennaio 2006)

Giunto negli Stati Uniti, in una intervista alla Radio Vaticana gli fu chiesto quale fosse il suo ricordo di Gerusalemme. Questa la risposta di mons. Sambi:

“Ma vede, Gerusalemme è una città, per quanto lei possa fare per Gerusalemme, che le darà sempre molto di più di quanto lei potrà dare. Il ricordo è stato quello di essere vissuto anche con i problemi di ogni giorno, alla sorgente della nostra identità cristiana, alla fonte della nostra fede, della nostra speranza e della nostra carità. Non sono ricordi quelli che porto, sono modi di vivere la propria fede, la propria speranza e la propria carità, che nella preghiera quasi quotidiana al Santo Sepolcro, al Calvario, al Getsemani, all’Ascensione, diventano parte integrante del proprio modo di essere, di pensare, di pregare e di parlare”. (Radio Vaticana, 24 gennaio 2006)

Grande il cordoglio in Terra Santa per la sua scomparsa. Il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, intervistato dall’agenzia Sir, ha detto: “Ha molto amato la Terra Santa e la Terra Santa ha molto amato lui”.
Leggi tutto...

mercoledì 27 luglio 2011

Carità e Verità: Caritas in Veritate - XXXII

Proseguiamo la lettura della Lettera Enciclica del Santo Padre Benedetto XVI, "Caritas in Veritate": La Carità nella Verità". Leggiamo l'ultima parte del capitolo conclusivo che abbiamo visto soffermarsi sullo sviluppo dei popoli e sui problemi creati da un eccessivo affidamento alla tecnica. Oggi il discorso viene a conclusione con un'interessante riflessione anche sulla psicologia umana che sta sminuendo ogni problema legato all'interiorità della persona. Questo è particolarmente noto a tutti, ma in questo modo si rischia di perdere di vista la componente spirituale dell'uomo che abbisogna di un unico medico e cioè Gesù Cristo:

CAPITOLO SESTO

LO SVILUPPO DEI POPOLI
E LA TECNICA 

76. Uno degli aspetti del moderno spirito tecnicistico è riscontrabile nella propensione a considerare i problemi e i moti legati alla vita interiore soltanto da un punto di vista psicologico, fino al riduzionismo neurologico. L'interiorità dell'uomo viene così svuotata e la consapevolezza della consistenza ontologica dell'anima umana, con le profondità che i Santi hanno saputo scandagliare, progressivamente si perde. Il problema dello sviluppo è strettamente collegato anche alla nostra concezione dell'anima dell'uomo, dal momento che il nostro io viene spesso ridotto alla psiche e la salute dell'anima è confusa con il benessere emotivo. Queste riduzioni hanno alla loro base una profonda incomprensione della vita spirituale e portano a disconoscere che lo sviluppo dell'uomo e dei popoli, invece, dipende anche dalla soluzione di problemi di carattere spirituale. Lo sviluppo deve comprendere una crescita spirituale oltre che materiale, perché la persona umana è un'« unità di anima e corpo » [156], nata dall'amore creatore di Dio e destinata a vivere eternamente. L'essere umano si sviluppa quando cresce nello spirito, quando la sua anima conosce se stessa e le verità che Dio vi ha germinalmente impresso, quando dialoga con se stesso e con il suo Creatore. Lontano da Dio, l'uomo è inquieto e malato. L'alienazione sociale e psicologica e le tante nevrosi che caratterizzano le società opulente rimandano anche a cause di ordine spirituale. Una società del benessere, materialmente sviluppata, ma opprimente per l'anima, non è di per sé orientata all'autentico sviluppo. Le nuove forme di schiavitù della droga e la disperazione in cui cadono tante persone trovano una spiegazione non solo sociologica e psicologica, ma essenzialmente spirituale. Il vuoto in cui l'anima si sente abbandonata, pur in presenza di tante terapie per il corpo e per la psiche, produce sofferenza. Non ci sono sviluppo plenario e bene comune universale senza il bene spirituale e morale delle persone, considerate nella loro interezza di anima e corpo.

77. L'assolutismo della tecnica tende a produrre un'incapacità di percepire ciò che non si spiega con la semplice materia. Eppure tutti gli uomini sperimentano i tanti aspetti immateriali e spirituali della loro vita. Conoscere non è un atto solo materiale, perché il conosciuto nasconde sempre qualcosa che va al di là del dato empirico. Ogni nostra conoscenza, anche la più semplice, è sempre un piccolo prodigio, perché non si spiega mai completamente con gli strumenti materiali che adoperiamo. In ogni verità c'è più di quanto noi stessi ci saremmo aspettati, nell'amore che riceviamo c'è sempre qualcosa che ci sorprende. Non dovremmo mai cessare di stupirci davanti a questi prodigi. In ogni conoscenza e in ogni atto d'amore l'anima dell'uomo sperimenta un « di più » che assomiglia molto a un dono ricevuto, ad un'altezza a cui ci sentiamo elevati. Anche lo sviluppo dell'uomo e dei popoli si colloca a una simile altezza, se consideriamo la dimensione spirituale che deve connotare necessariamente tale sviluppo perché possa essere autentico. Esso richiede occhi nuovi e un cuore nuovo, in grado di superare la visione materialistica degli avvenimenti umani e di intravedere nello sviluppo un “oltre” che la tecnica non può dare. Su questa via sarà possibile perseguire quello sviluppo umano integrale che ha il suo criterio orientatore nella forza propulsiva della carità nella verità.

Leggi tutto...

Corea del Nord in ginocchio: interviene la Caritas

Un altro fatto analogo, seppur nelle proporzioni minimo a quello della Somalia, sta accadendo in Corea del Nord. Non parliamo di siccità vera e propria quanto invece di siccità del cuore. Infatti il regime presente nella Corea del Nord da anni sta piegando la popolazione fino allo stremo. Sono atti gravissimi e intollerabili quelli del regime nordcoreano per il quale auspichiamo al più presto possibile la fine. Oggi Radio Vaticana ha trasmesso una notizia agghiacciante su quanto accade in quella regione spossata dagli sforzi imposti dal regime di Pyongyang. La popolazione di quel Paese tanto martoriato dal regime demoniaco è arrivata al punto da non avere più nulla, tanto che la Caritas ha approfittato del lasciapassare di Seoul che prevede l'intervento di cinque organizzazioni non governative per portare aiuti di tipo alimentare in Corea del Nord. Leggiamo cosa sta accadendo attraverso l'articolo di Radio Vaticana:


La situazione in Corea del Nord “peggiora di giorno in giorno. Noi sappiamo che non si deve aiutare il regime, ma come cattolici ed esseri umani non possiamo rimanere a guardare mentre i nostri fratelli al di là del confine muoiono di fame. Ecco perché abbiamo deciso l’invio di 100 tonnellate di farina, che distribuiremo direttamente nelle mani degli abitanti”. Lo dice all'agenzia AsiaNews una fonte cattolica della Corea del Sud per spiegare l’invio di un carico di aiuti oltre confine. Dopo la ripresa degli esperimenti nucleari e i due attacchi contro postazioni sudcoreane da parte del regime di Pyongyang, il governo di Seoul ha fermato tutti i programmi di aiuto alla Corea del Nord. All’inizio dell’estate, tuttavia, la situazione è peggiorata talmente tanto che la “Casa Blu” - la residenza del presidente sudcoreano - ha autorizzato cinque Organizzazioni non governative a portare aiuti esclusivamente di tipo alimentare. E la Caritas ne ha approfittato per inviare la farina. Il carico è stato raccolto dalla Caritas Korea International, diretta da padre Francesco Saverio Ahn Myeong-ok. I fondi per l’acquisto della farina - consegnata via terra - sono stati raccolti durante la “Messa per la pace nella Penisola coreana”, la grande funzione che si è svolta il 17 luglio scorso a Imjingak. I pacchi saranno consegnati direttamente nelle mani dei cittadini della provincia settentrionale di Hwanghe. Il padre Simeone Lee Jong-keon, direttore esecutivo della Caritas Korea, ha visitato la parte nord della penisola nel giugno scorso. Secondo il sacerdote “la situazione è terribile. Visitando gli ospedali della provincia ci siamo resi conto che non hanno più assolutamente nulla”. Secondo la fonte di AsiaNews, “neanche i soldati mangiano più. E questo è l’ultimo passo verso la fine del regime, ma anche di tantissime vite umane”. (R.P.)



Quello della Corea del Nord è un fatto che deve far molto riflettere le popolazioni all'insorgere di un nuovo regime perché possano fin da subito ostacolarne la crescita. Infatti cosa ha portato il regime di Pyongyang in tutto questo tempo? I regimi promettono libertà con inganno per poi sfruttare la buona fede della gente per ribaltare negativamente la situazione della nazione vittima di questo parassita quale è appunto un regime. Da questa cattiva esperienza possiamo imparare come odio e violenza non portano a nulla, se non alla distruzione. Infatti come abbiamo letto, persino i soldati non hanno più nulla da mangiare. Preghiamo il Signore Gesù Cristo, il Dio della speranza e della pace, di mettere finalmente la parola fine a questo vergognoso modo di fare politica.
Leggi tutto...

martedì 26 luglio 2011

Nel giorno dei Santi Gioacchino e Anna, riflettiamo sul'importanza dei nonni

Anche per questa settimana saltiamo l'appuntamento con Centesimus Annus che tornerà il prossimo martedì. Oggi vogliamo dedicare spazio ai nonni nel giorno dei Santi nonni di Cristo, Gioacchino e Anna. Lo facciamo riflettendo attraverso le parole del Santo Padre Benedetto XVI pronunciate nel Discorso del 5 Aprile 2008 al termine dell'Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia dove si è soffermato sulla figura dei nonni e sulla loro importanza nelle famiglie, come pure nella società:



DISCORSO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI 
AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA PLENARIA 
DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA

Sala Clementina
Sabato, 5 aprile 2008



Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di incontrarvi al termine della XVIII Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia, che ha avuto per tema: "I nonni: la loro testimonianza e presenza nella famiglia". Vi ringrazio per aver accolto la mia proposta di Valencia, dove dissi: "Mai, per nessuna ragione, i nonni siano esclusi dall’ambito familiare. Essi sono un tesoro che non possiamo strappare alle nuove generazioni, soprattutto quando danno testimonianza di fede". Saluto in particolare il Cardinale Ricardo Vidal, Arcivescovo di Cebu, membro del Comitato di Presidenza, che si è fatto interprete dei sentimenti di tutti voi, e rivolgo un affettuoso pensiero al caro Cardinale Alfonso López Trujillo, che da 18 anni guida il Dicastero con passione e competenza. Sentiamo la sua mancanza in mezzo a noi. A lui il nostro augurio di pronta guarigione e la nostra preghiera.

Il tema che avete affrontato è a tutti molto familiare. Chi non ricorda i suoi nonni? Chi può dimenticare la loro presenza e la loro testimonianza nel focolare domestico? Quanti tra di noi ne portano il nome in segno di continuità e di riconoscenza! E’ consuetudine nelle famiglie, dopo la loro dipartita, ricordarne l’anniversario con la celebrazione della Messa in loro suffragio e, se possibile, con una visita al cimitero. Questi ed altri gesti di amore e di fede sono la manifestazione della nostra gratitudine nei loro confronti. Essi per noi si sono donati, si sono sacrificati, in certi casi si sono anche immolati.

La Chiesa ha sempre avuto nei riguardi dei nonni un’attenzione particolare, riconoscendo loro una grande ricchezza sotto il profilo umano e sociale, come pure sotto quello religioso e spirituale. I miei venerati Predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II – di quest’ultimo abbiamo appena celebrato il terzo anniversario della morte – sono intervenuti più volte sottolineando la considerazione che la comunità ecclesiale ha per gli anziani, per la loro dedizione e la loro spiritualità. In particolare, Giovanni Paolo II, durante il Giubileo dell’Anno 2000, convocò nel settembre in Piazza San Pietro il mondo della "terza età" e in quella circostanza ebbe a dire: "Nonostante le limitazioni sopraggiunte con l’età, conservo il gusto della vita. Ne ringrazio il Signore. E’ bello potersi spendere fino alla fine per la causa del Regno di Dio". Sono parole contenute nel messaggio che circa un anno prima, nell’ottobre del 1999, egli aveva indirizzato agli anziani e che conserva intatta la sua attualità umana, sociale e culturale.

La vostra Assemblea Plenaria ha affrontato il tema della presenza dei nonni nella famiglia, nella Chiesa e nella società, con uno sguardo capace di comprendere il passato, il presente e il futuro. Analizziamo brevemente questi tre momenti. In passato i nonni avevano un ruolo importante nella vita e nella crescita della famiglia. Anche quando l’età avanzava, essi continuavano ad essere presenti con i loro figli, con i nipoti e magari i pronipoti, dando viva testimonianza di premura, di sacrificio e di un quotidiano donarsi senza riserve. Erano testimoni di una storia personale e comunitaria che continuava a vivere nei loro ricordi e nella loro saggezza. Oggi, l’evoluzione economica e sociale ha portato profonde trasformazioni nella vita delle famiglie. Gli anziani, tra cui molti nonni, si sono trovati in una sorta di "zona di parcheggio": alcuni si accorgono di essere un peso in famiglia e preferiscono vivere soli o in case di riposo, con tutte le conseguenze che queste scelte comportano.

Da più parti poi sembra purtroppo avanzare la "cultura della morte", che insidia anche la stagione della terza età. Con crescente insistenza si giunge persino a proporre l’eutanasia come soluzione per risolvere certe situazioni difficili. La vecchiaia, con i suoi problemi legati anche ai nuovi contesti familiari e sociali a causa dello sviluppo moderno, va valutata con attenzione e sempre alla luce della verità sull’uomo, sulla famiglia e sulla comunità. Occorre sempre reagire con forza a ciò che disumanizza la società. Le comunità parrocchiali e diocesane sono fortemente interpellate da queste problematiche e stanno cercando di venire incontro alle moderne esigenze degli anziani. Ci sono associazioni e movimenti ecclesiali che hanno abbracciato questa causa importante e urgente. Occorre unirsi per sconfiggere insieme ogni emarginazione, perché ad essere travolti dalla mentalità individualistica non sono solo loro – i nonni, le nonne, gli anziani – ma tutti. Se i nonni, come spesso e da più parti si dice, costituiscono una preziosa risorsa, occorre mettere in atto scelte coerenti che permettano di valorizzarla al meglio.

Ritornino i nonni ad essere presenza viva nella famiglia, nella Chiesa e nella società. Per quanto riguarda la famiglia, i nonni continuino ad essere testimoni di unità, di valori fondati sulla fedeltà ad un unico amore che genera la fede e la gioia di vivere. I cosiddetti nuovi modelli di famiglia ed il relativismo dilagante hanno indebolito questi valori fondamentali del nucleo familiare. I mali della nostra società – come giustamente avete osservato nel corso dei vostri lavori – hanno bisogno di urgenti rimedi. Di fronte alla crisi della famiglia non si potrebbe forse proprio ripartire dalla presenza e dalla testimonianza di coloro – i nonni – che hanno una maggiore robustezza di valori e di progetti? Non si può, infatti, progettare il futuro senza rifarsi ad un passato carico di esperienze significative e di punti di riferimento spirituale e morale. Pensando ai nonni, alla loro testimonianza di amore e di fedeltà alla vita, vengono in mente le figure bibliche di Abramo e Sara, di Elisabetta e Zaccaria, di Gioacchino e Anna, come pure gli anziani Simeone e Anna, o anche Nicodemo: tutti costoro ci ricordano come in ogni età il Signore chiede a ciascuno l’apporto dei propri talenti.

Rivolgiamo ora lo sguardo verso il VI Incontro Mondiale delle Famiglie, che si celebrerà in Messico nel gennaio del 2009. Saluto e ringrazio il Cardinale Norberto Rivera Carrera, Arcivescovo di México, qui presente, per quanto ha già realizzato in questi mesi di preparazione insieme con i suoi collaboratori. Tutte le famiglie cristiane del mondo guardano a questa nazione "sempre fedele" alla Chiesa, che aprirà le porte a tutte le famiglie del mondo. Invito le comunità ecclesiali, specialmente i gruppi familiari, i movimenti e le associazioni di famiglie, a preparasi spiritualmente a questo evento di grazia. Venerati e cari Fratelli, vi ringrazio di nuovo per la vostra visita e per il lavoro svolto in questi giorni; vi assicuro il mio ricordo nella preghiera e di cuore imparto a voi e ai vostri cari la Benedizione Apostolica.

© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana

Leggi tutto...

Card. Angelo Comastri: Nonni custodi della continuità, presenza continua dell'affetto

Oggi L'Osservatorio pubblica un secondo post per dedicare spazio alle Sante figure di Anna e Gioacchino, genitori di Maria, nonni di Gesù, sposi innamorati della Parola di Dio, offrendo anche una possibilità di riflessione attraverso le parole del cardinale Angelo Comastri, vicario generale del Santo Padre per lo Stato della Città del Vaticano, il quale ha presieduto questa mattina la Santa Messa in occasione delle celebrazioni dei Santi genitori della Beata Vergine Maria. Il cardinale Comastri si è soffermato sul tema della famiglia, oggi diventata in molti luoghi non più chiesa domestica di preghiera, ma palestra dove sono insegnate superficialità. In particolar modo ha posato lo sguardo sui nonni, pilastri della famiglia e sui nipoti e cioè i giovani i quali - ha definito - più che lontani dalla fede, allontanati o non avvicinati dagli adulti, invitando a riflettere molto sullo sbandamento dei ragazzi e ragazze, causato dall'assenza dell'educazione. Ogni adulto dovrebbe porsi delle domande guardando al disordine giovanile, sentendosi un po' responsabile di quanto accade. Ed è a questo che invita il cardinale Comastri, a riflettere per intervenire nel modo giusto per aiutare le nuove generazioni a percorrere la strada della moralità e della fede. Leggiamo ora le parole del cardinale Comastri pronunciate al microfono di Tiziana Campisi di Radio Vaticana:



R. - Noi abbiamo pochissime notizie su Sant’Anna, come anche su San Gioacchino. Le uniche notizie che si hanno le possiamo ricavare dalla figlia, Maria. Ecco, allora, la proposta che io faccio: entriamo nella piccola casa di Nazareth ed ascoltiamo Maria mentre risponde all’Angelo: “Eccomi”. Com’è sbocciato questo “Eccomi”? Evidentemente, in quell’ “Eccomi”, c’è la grazia di Dio, c’è la libertà docile di Maria, ma c’è anche l’educazione che ha ricevuto in famiglia. C’è l’educazione all’ascolto della voce di Dio, che Maria ha preso da Sant’Anna e da San Gioacchino. In quell’ “Eccomi” meraviglioso c’è, in qualche modo, il profumo della vita e della testimonianza di famiglia che Maria ha respirato accanto a Sant’Anna ed accanto a San Gioacchino.


D. - La figura di Sant’Anna ci porta dunque all’immagine della famiglia. In che modo, oggi, riaccostarsi ai valori della famiglia, guardando alla figura di Sant’Anna ma anche a quella di San Gioacchino?


R. - Oggi la famiglia è diventata un deserto. Possiamo dire che molti figli crescono in case atee, dove non si respira affatto la presenza di Dio. E quando manca Dio, manca la pace, l’armonia. Quando manca Dio, manca la fedeltà ed anche una precisa scala di valori. L’esempio di San Gioacchino e di Sant’Anna deve stimolare le famiglie di oggi a ritrovare la sorgente della gioia, della pace, della bellezza della famiglia. Se la famiglia non ritrova Dio, se non ritrova quella pienezza di Dio che si respirava nella casa di San Gioacchino e di Sant’Anna, non potrà dare nulla ai figli. Potrà assicurare un po’ di benessere, che però non risolve il problema del senso della vita, della gioia del cuore. I figli hanno bisogno di una testimonianza di valori e di ideali autentici, ma prima di tutto hanno bisogno della testimonianza del valore di Dio, che è la roccia su cui si può costruire la vita.


D. - Famiglie e generazioni che si succedono. Se la famiglia è un po’ la base della società, hanno un’importanza fondamentale i nonni…


R. - I nonni sono i custodi della continuità, sono la presenza continua dell’affetto. Trasmettono la lampada della sapienza della famiglia, la lampada dei valori della famiglia, dell’educazione che si deve ricevere in famiglia. E se i nonni sono persone ricche della sapienza di Dio, possono veramente trasmettere ai figli il segreto della vita ed anche la mappa della vita che devono percorrere. Se noi vogliamo trasmettere ai figli e ai nipoti la luce che illumina la vita, bisogna averla dentro e gli adulti devono porsi la domanda: “Che responsabilità abbiamo noi, oggi, di fronte allo sbandamento dei figli, dei giovani?”. Molto spesso, i giovani, più che lontani dalla fede sono allontanati o non avvicinati. Questo è un esame di coscienza che dobbiamo fare tutti noi adulti. (vv)
Leggi tutto...

Corno d'Africa: continuiamo a parlarne...

Anche nella giornata di oggi continuiamo a parlare della grave crisi che sta colpendo il Corno d'Africa.  Pubblichiamo per intero l'articolo da Radio Vaticana per seguire questa situazione insostenibile per le popolazioni del continente nero:


Da: Radio Vaticana



Fame nel Corno d’Africa: si sta spegnendo un'intera generazione di somali

Si aggrava di ora in ora la situazione nel Corno d’Africa messo in ginocchio da una delle peggiori siccità degli ultimi decenni. L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur) stima che nel mese di luglio oltre mille persone al giorno hanno raggiunto la capitale somala Mogadiscio per fuggire dalla carestia. Un’emergenza di fronte alla quale deve aumentare la mobilitazione internazionale, come chiesto ieri dal direttore generale della Fao, Jacques Diouf, nella riunione straordinaria dell’agenzia Onu svoltasi ieri a Roma. Il servizio di Marco Guerra:

“Nell'ultimo mese, circa 40mila sfollati dalla siccità e la carestia sono giunti a Mogadiscio in cerca di cibo, acqua, rifugio ed altre forme di assistenza. Altri 30mila sono arrivati in campi a 50 km dal centro della città. E in tutto, si stima che la capitale somala ha ricevuto fino a 100mila sfollati interni negli ultimi due mesi, con arrivi quotidiani di mille al giorno in luglio”. I numeri drammatici dell’emergenza in Somalia sono stati aggiornati oggi dalla portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Vivian Tan. Tuttavia si tratta solo di una piccola parte di quei 12 milioni di persone a rischio in tutto il Corno d’Africa stimati dalle Nazioni Unite. Situazione approfondita nella riunione d’emergenza della Fao di ieri. Il Paese più colpito resta la Somalia con 3,7 milioni di persone coinvolte, ma si contano milioni in difficoltà anche in Kenya, Gibuti, Etiopia e Uganda. Durante il vertice è stata esortata la mobilitazione di tutta la comunità internazionale e la creazione immediata di corridoi umanitari per distribuire gli aiuti. Si è parlato anche di fondi: a otto mesi dall'allarme lanciato dall’Onu è stato raccolto un miliardo di dollari, ma ne mancano altrettanti per affrontare l'emergenza. La Banca Mondiale ha promesso più di 500 milioni che saranno investiti in progetti di lungo periodo destinati agli allevatori della regione, mentre 12 milioni verranno spesi per l'assistenza immediata. Intanto il Programma Alimentare Mondiale ha avviato già oggi un ponte aereo per la distribuzione di aiuti su Mogadiscio, nella città etiope di Dolo e a Wajir, nel nord del Kenya. Al via anche una campagna di vaccinazione dell’Oms nel campo profughi di Dadaab nel nord del Kenya. Ma in quali condizioni si trovano gli sfollati che cercano di raggiungere i campi profughi? Antonella Palermo ne ha parlato con Laura Boldrini, portavoce in Italia dell’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati: 


Molte di queste persone soffrono di malnutrizione acuta, il 50 per cento dei bambini che arriva soffre di malnutrizione acuta e questa è una percentuale elevatissima, veramente preoccupante. Inoltre stanno aumentando i decessi nei campi di rifugiati perché purtroppo, specialmente i bambini, nelle 48 ore successive che vengono messi in terapia alimentare, non riescono a superare la crisi e muoiono. Quindi è una situazione i cui numeri sono spaventosi, che merita tutta l’attenzione da parte del mondo, perché veramente stiamo vedendo un’intera generazione di giovani somali che si sta spegnendo e bisogna assolutamente intervenire prima che sia troppo tardi.


D. – E’ vero che come è stato detto è la crisi umanitaria in questa regione più grave negli ultimi 60 anni?


R. – E’ sempre molto antipatico fare una graduatoria nelle crisi umanitarie più disperate, perché per chi le vive ognuna di queste crisi è la peggiore. Sicuramente quella somala oggi è la crisi umanitaria più grave nella storia del Paese, su questo purtroppo non ci sono dubbi. Io ricordo che il Kenya e l’Etiopia stanno ricevendo ogni giorno 1.500 persone. Bisogna sostenere lo sforzo di questi Paesi, che ottemperino agli obblighi internazionali lasciando le frontiere aperte, ma non possono essere lasciati soli a gestire questa situazione. (bf)
Leggi tutto...

lunedì 25 luglio 2011

Un nuovo cammino - La Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica - XXX

Continua il percorso di studio della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica: un valore importantissimo e valido per tutti gli uomini di buona volontà, il che lo rende molto trasversale e utile alla causa generale. Oggi scopriamo un nuovo importante profilo della persona umana è cioè la sua socialità e l'autore ci ricorda come essa assume molteplici espressioni:

III. LA PERSONA UMANA
E I SUOI MOLTI PROFILI  

E) LA SOCIALITÀ UMANA

149 La persona è costitutivamente un essere sociale,294 perché così l'ha voluta Dio che l'ha creata.295 La natura dell'uomo si manifesta, infatti, come natura di un essere che risponde ai propri bisogni sulla base di una soggettività relazionale, ossia alla maniera di un essere libero e responsabile, il quale riconosce la necessità di integrarsi e di collaborare con i propri simili ed è capace di comunione con loro nell'ordine della conoscenza e dell'amore: « Una società è un insieme di persone legate in modo organico da un principio di unità che supera ognuna di loro. Assemblea insieme visibile e spirituale, una società dura nel tempo: è erede del passato e prepara l'avvenire ».296

Occorre pertanto sottolineare che la vita comunitaria è una caratteristica naturale che distingue l'uomo dal resto delle creature terrene. L'agire sociale porta su di sé un particolare segno dell'uomo e dell'umanità, quello di una persona operante in una comunità di persone: questo segno determina la sua qualifica interiore e costituisce, in un certo senso, la stessa sua natura.297 Tale caratteristica relazionale acquista, alla luce della fede, un senso più profondo e stabile. Fatta a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gen 1,26), e costituita nell'universo visibile per vivere in società (cfr. Gen 2,20.23) e dominare la terra (cfr. Gen 1,26.28-30), la persona umana è perciò sin dall'inizio chiamata alla vita sociale: « Dio non ha creato l'uomo come un “essere solitario”, ma lo ha voluto come un “essere sociale”. La vita sociale non è, dunque, estrinseca all'uomo: egli non può crescere né realizzare la sua vocazione se non in relazione con gli altri ».298

150 La socialità umana non sfocia automaticamente verso la comunione delle persone, verso il dono di sé. A causa della superbia e dell'egoismo, l'uomo scopre in se stesso germi di asocialità, di chiusura individualistica e di sopraffazione dell'altro.299 Ogni società, degna di tal nome, può ritenersi nella verità quando ogni suo membro, grazie alla propria capacità di conoscere il bene, lo persegue per sé e per gli altri. È per amore del proprio e dell'altrui bene che ci si unisce in gruppi stabili, aventi come fine il raggiungimento di un bene comune. Anche le varie società devono entrare in relazioni di solidarietà, di comunicazione e di collaborazione, a servizio dell'uomo e del bene comune.300

151 La socialità umana non è uniforme, ma assume molteplici espressioni. Il bene comune dipende, infatti, da un sano pluralismo sociale. Le molteplici società sono chiamate a costituire un tessuto unitario ed armonico, al cui interno sia possibile ad ognuna conservare e sviluppare la propria fisionomia e autonomia. Alcune società, come la famiglia, la comunità civile e la comunità religiosa sono più immediatamente rispondenti all'intima natura dell'uomo, altre procedono piuttosto dalla libera volontà: « Al fine di favorire la partecipazione del maggior numero possibile di persone alla vita sociale, si deve incoraggiare la creazione di associazioni e di istituzioni “a scopi economici, culturali, sociali, sportivi, ricreativi, professionali, politici, tanto all'interno delle comunità politiche, quanto sul piano mondiale”. Tale “socializzazione” esprime parimenti la tendenza naturale che spinge gli esseri umani ad associarsi, al fine di conseguire obiettivi che superano le capacità individuali. Essa sviluppa le doti della persona, in particolare, il suo spirito di iniziativa e il suo senso di responsabilità. Concorre a tutelare i suoi diritti ».301
Leggi tutto...

Messaggio per la GMG 2011

 Mentre ci avviciniamo sempre più alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù, riproponiamo il messaggio di Papa Benedetto XVI che è molto vicino a questa meravigliosa manifestazione: 

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
PER LA XXVI GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ
2011 

 "Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede" (cfr. Col 2,7) 
 
Cari amici,

ripenso spesso alla Giornata Mondiale della Gioventù di Sydney del 2008. Là abbiamo vissuto una grande festa della fede, durante la quale lo Spirito di Dio ha agito con forza, creando un’intensa comunione tra i partecipanti, venuti da ogni parte del mondo. Quel raduno, come i precedenti, ha portato frutti abbondanti nella vita di numerosi giovani e della Chiesa intera. Ora, il nostro sguardo si rivolge alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù, che avrà luogo a Madrid nell’agosto 2011. Già nel 1989, qualche mese prima della storica caduta del Muro di Berlino, il pellegrinaggio dei giovani fece tappa in Spagna, a Santiago de Compostela. Adesso, in un momento in cui l’Europa ha grande bisogno di ritrovare le sue radici cristiane, ci siamo dati appuntamento a Madrid, con il tema: “Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede” (cfr Col 2,7). Vi invito pertanto a questo evento così importante per la Chiesa in Europa e per la Chiesa universale. E vorrei che tutti i giovani, sia coloro che condividono la nostra fede in Gesù Cristo, sia quanti esitano, sono dubbiosi o non credono in Lui, potessero vivere questa esperienza, che può essere decisiva per la vita: l’esperienza del Signore Gesù risorto e vivo e del suo amore per ciascuno di noi.

1. Alle sorgenti delle vostre più grandi aspirazioni

In ogni epoca, anche ai nostri giorni, numerosi giovani sentono il profondo desiderio che le relazioni tra le persone siano vissute nella verità e nella solidarietà. Molti manifestano l’aspirazione a costruire rapporti autentici di amicizia, a conoscere il vero amore, a fondare una famiglia unita, a raggiungere una stabilità personale e una reale sicurezza, che possano garantire un futuro sereno e felice. Certamente, ricordando la mia giovinezza, so che stabilità e sicurezza non sono le questioni che occupano di più la mente dei giovani. Sì, la domanda del posto di lavoro e con ciò quella di avere un terreno sicuro sotto i piedi è un problema grande e pressante, ma allo stesso tempo la gioventù rimane comunque l’età in cui si è alla ricerca della vita più grande. Se penso ai miei anni di allora: semplicemente non volevamo perderci nella normalità della vita borghese. Volevamo ciò che è grande, nuovo. Volevamo trovare la vita stessa nella sua vastità e bellezza. Certamente, ciò dipendeva anche dalla nostra situazione. Durante la dittatura nazionalsocialista e nella guerra noi siamo stati, per così dire, “rinchiusi” dal potere dominante. Quindi, volevamo uscire all’aperto per entrare nell’ampiezza delle possibilità dell’essere uomo. Ma credo che, in un certo senso, questo impulso di andare oltre all’abituale ci sia in ogni generazione. È parte dell’essere giovane desiderare qualcosa di più della quotidianità regolare di un impiego sicuro e sentire l’anelito per ciò che è realmente grande. Si tratta solo di un sogno vuoto che svanisce quando si diventa adulti? No, l’uomo è veramente creato per ciò che è grande, per l’infinito. Qualsiasi altra cosa è insufficiente. Sant’Agostino aveva ragione: il nostro cuore è inquieto sino a quando non riposa in Te. Il desiderio della vita più grande è un segno del fatto che ci ha creati Lui, che portiamo la sua “impronta”. Dio è vita, e per questo ogni creatura tende alla vita; in modo unico e speciale la persona umana, fatta ad immagine di Dio, aspira all’amore, alla gioia e alla pace. Allora comprendiamo che è un controsenso pretendere di eliminare Dio per far vivere l’uomo! Dio è la sorgente della vita; eliminarlo equivale a separarsi da questa fonte e, inevitabilmente, privarsi della pienezza e della gioia: “la creatura, infatti, senza il Creatore svanisce” (Con. Ecum. Vat. II, Cost. Gaudium et spes, 36). La cultura attuale, in alcune aree del mondo, soprattutto in Occidente, tende ad escludere Dio, o a considerare la fede come un fatto privato, senza alcuna rilevanza nella vita sociale. Mentre l’insieme dei valori che sono alla base della società proviene dal Vangelo – come il senso della dignità della persona, della solidarietà, del lavoro e della famiglia –, si constata una sorta di “eclissi di Dio”, una certa amnesia, se non un vero rifiuto del Cristianesimo e una negazione del tesoro della fede ricevuta, col rischio di perdere la propria identità profonda.

Per questo motivo, cari amici, vi invito a intensificare il vostro cammino di fede in Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo. Voi siete il futuro della società e della Chiesa! Come scriveva l’apostolo Paolo ai cristiani della città di Colossi, è vitale avere delle radici, delle basi solide! E questo è particolarmente vero oggi, quando molti non hanno punti di riferimento stabili per costruire la loro vita, diventando così profondamente insicuri. Il relativismo diffuso, secondo il quale tutto si equivale e non esiste alcuna verità, né alcun punto di riferimento assoluto, non genera la vera libertà, ma instabilità, smarrimento, conformismo alle mode del momento. Voi giovani avete il diritto di ricevere dalle generazioni che vi precedono punti fermi per fare le vostre scelte e costruire la vostra vita, come una giovane pianta ha bisogno di un solido sostegno finché crescono le radici, per diventare, poi, un albero robusto, capace di portare frutto.

2. Radicati e fondati in Cristo

Per mettere in luce l’importanza della fede nella vita dei credenti, vorrei soffermarmi su ciascuno dei tre termini che san Paolo utilizza in questa sua espressione: “Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede” (cfr Col 2,7). Vi possiamo scorgere tre immagini: “radicato” evoca l’albero e le radici che lo alimentano; “fondato” si riferisce alla costruzione di una casa; “saldo” rimanda alla crescita della forza fisica o morale. Si tratta di immagini molto eloquenti. Prima di commentarle, va notato semplicemente che nel testo originale i tre termini, dal punto di vista grammaticale, sono dei passivi: ciò significa che è Cristo stesso che prende l’iniziativa di radicare, fondare e rendere saldi i credenti.

La prima immagine è quella dell’albero, fermamente piantato al suolo tramite le radici, che lo rendono stabile e lo alimentano. Senza radici, sarebbe trascinato via dal vento, e morirebbe. Quali sono le nostre radici? Naturalmente i genitori, la famiglia e la cultura del nostro Paese, che sono una componente molto importante della nostra identità. La Bibbia ne svela un’altra. Il profeta Geremia scrive: “Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. È come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell’anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti” (Ger 17,7-8). Stendere le radici, per il profeta, significa riporre la propria fiducia in Dio. Da Lui attingiamo la nostra vita; senza di Lui non potremmo vivere veramente. “Dio ci ha donato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio” (1 Gv 5,11). Gesù stesso si presenta come nostra vita (cfr Gv 14,6). Perciò la fede cristiana non è solo credere a delle verità, ma è anzitutto una relazione personale con Gesù Cristo, è l’incontro con il Figlio di Dio, che dà a tutta l’esistenza un dinamismo nuovo. Quando entriamo in rapporto personale con Lui, Cristo ci rivela la nostra identità, e, nella sua amicizia, la vita cresce e si realizza in pienezza. C’è un momento, da giovani, in cui ognuno di noi si domanda: che senso ha la mia vita, quale scopo, quale direzione dovrei darle? E’ una fase fondamentale, che può turbare l’animo, a volte anche a lungo. Si pensa al tipo di lavoro da intraprendere, a quali relazioni sociali stabilire, a quali affetti sviluppare… In questo contesto, ripenso alla mia giovinezza. In qualche modo ho avuto ben presto la consapevolezza che il Signore mi voleva sacerdote. Ma poi, dopo la Guerra, quando in seminario e all’università ero in cammino verso questa meta, ho dovuto riconquistare questa certezza. Ho dovuto chiedermi: è questa veramente la mia strada? È veramente questa la volontà del Signore per me? Sarò capace di rimanere fedele a Lui e di essere totalmente disponibile per Lui, al Suo servizio? Una tale decisione deve anche essere sofferta. Non può essere diversamente. Ma poi è sorta la certezza: è bene così! Sì, il Signore mi vuole, pertanto mi darà anche la forza. Nell’ascoltarLo, nell’andare insieme con Lui divento veramente me stesso. Non conta la realizzazione dei miei propri desideri, ma la Sua volontà. Così la vita diventa autentica.

Come le radici dell’albero lo tengono saldamente piantato nel terreno, così le fondamenta danno alla casa una stabilità duratura. Mediante la fede, noi siamo fondati in Cristo (cfr Col 2,7), come una casa è costruita sulle fondamenta. Nella storia sacra abbiamo numerosi esempi di santi che hanno edificato la loro vita sulla Parola di Dio. Il primo è Abramo. Il nostro padre nella fede obbedì a Dio che gli chiedeva di lasciare la casa paterna per incamminarsi verso un Paese sconosciuto. “Abramo credette a Dio e gli fu accreditato come giustizia, ed egli fu chiamato amico di Dio” (Gc 2,23). Essere fondati in Cristo significa rispondere concretamente alla chiamata di Dio, fidandosi di Lui e mettendo in pratica la sua Parola. Gesù stesso ammonisce i suoi discepoli: “Perché mi invocate: «Signore, Signore!» e non fate quello che dico?” (Lc 6,46). E, ricorrendo all’immagine della costruzione della casa, aggiunge: “Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica… è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene” (Lc 6,47-48).

Cari amici, costruite la vostra casa sulla roccia, come l’uomo che “ha scavato molto profondo”. Cercate anche voi, tutti i giorni, di seguire la Parola di Cristo. Sentitelo come il vero Amico con cui condividere il cammino della vostra vita. Con Lui accanto sarete capaci di affrontare con coraggio e speranza le difficoltà, i problemi, anche le delusioni e le sconfitte. Vi vengono presentate continuamente proposte più facili, ma voi stessi vi accorgete che si rivelano ingannevoli, non vi danno serenità e gioia. Solo la Parola di Dio ci indica la via autentica, solo la fede che ci è stata trasmessa è la luce che illumina il cammino. Accogliete con gratitudine questo dono spirituale che avete ricevuto dalle vostre famiglie e impegnatevi a rispondere con responsabilità alla chiamata di Dio, diventando adulti nella fede. Non credete a coloro che vi dicono che non avete bisogno degli altri per costruire la vostra vita! Appoggiatevi, invece, alla fede dei vostri cari, alla fede della Chiesa, e ringraziate il Signore di averla ricevuta e di averla fatta vostra!

3. Saldi nella fede

Siate “radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede” (cfr Col 2,7). La Lettera da cui è tratto questo invito, è stata scritta da san Paolo per rispondere a un bisogno preciso dei cristiani della città di Colossi. Quella comunità, infatti, era minacciata dall’influsso di certe tendenze culturali dell’epoca, che distoglievano i fedeli dal Vangelo. Il nostro contesto culturale, cari giovani, ha numerose analogie con quello dei Colossesi di allora. Infatti, c’è una forte corrente di pensiero laicista che vuole emarginare Dio dalla vita delle persone e della società, prospettando e tentando di creare un “paradiso” senza di Lui. Ma l’esperienza insegna che il mondo senza Dio diventa un “inferno”: prevalgono gli egoismi, le divisioni nelle famiglie, l’odio tra le persone e tra i popoli, la mancanza di amore, di gioia e di speranza. Al contrario, là dove le persone e i popoli accolgono la presenza di Dio, lo adorano nella verità e ascoltano la sua voce, si costruisce concretamente la civiltà dell’amore, in cui ciascuno viene rispettato nella sua dignità, cresce la comunione, con i frutti che essa porta. Vi sono però dei cristiani che si lasciano sedurre dal modo di pensare laicista, oppure sono attratti da correnti religiose che allontanano dalla fede in Gesù Cristo. Altri, senza aderire a questi richiami, hanno semplicemente lasciato raffreddare la loro fede, con inevitabili conseguenze negative sul piano morale.

Ai fratelli contagiati da idee estranee al Vangelo, l’apostolo Paolo ricorda la potenza di Cristo morto e risorto. Questo mistero è il fondamento della nostra vita, il centro della fede cristiana. Tutte le filosofie che lo ignorano, considerandolo “stoltezza” (1 Cor 1,23), mostrano i loro limiti davanti alle grandi domande che abitano il cuore dell’uomo. Per questo anch’io, come Successore dell’apostolo Pietro, desidero confermarvi nella fede (cfr Lc 22,32). Noi crediamo fermamente che Gesù Cristo si è offerto sulla Croce per donarci il suo amore; nella sua passione, ha portato le nostre sofferenze, ha preso su di sé i nostri peccati, ci ha ottenuto il perdono e ci ha riconciliati con Dio Padre, aprendoci la via della vita eterna. In questo modo siamo stati liberati da ciò che più intralcia la nostra vita: la schiavitù del peccato, e possiamo amare tutti, persino i nemici, e condividere questo amore con i fratelli più poveri e in difficoltà.

Cari amici, spesso la Croce ci fa paura, perché sembra essere la negazione della vita. In realtà, è il contrario! Essa è il “sì” di Dio all’uomo, l’espressione massima del suo amore e la sorgente da cui sgorga la vita eterna. Infatti, dal cuore di Gesù aperto sulla croce è sgorgata questa vita divina, sempre disponibile per chi accetta di alzare gli occhi verso il Crocifisso. Dunque, non posso che invitarvi ad accogliere la Croce di Gesù, segno dell’amore di Dio, come fonte di vita nuova. Al di fuori di Cristo morto e risorto, non vi è salvezza! Lui solo può liberare il mondo dal male e far crescere il Regno di giustizia, di pace e di amore al quale tutti aspiriamo.

4. Credere in Gesù Cristo senza vederlo

Nel Vangelo ci viene descritta l’esperienza di fede dell’apostolo Tommaso nell’accogliere il mistero della Croce e Risurrezione di Cristo. Tommaso fa parte dei Dodici apostoli; ha seguito Gesù; è testimone diretto delle sue guarigioni, dei miracoli; ha ascoltato le sue parole; ha vissuto lo smarrimento davanti alla sua morte. La sera di Pasqua il Signore appare ai discepoli, ma Tommaso non è presente, e quando gli viene riferito che Gesù è vivo e si è mostrato, dichiara: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo” (Gv 20,25).

Noi pure vorremmo poter vedere Gesù, poter parlare con Lui, sentire ancora più fortemente la sua presenza. Oggi per molti, l’accesso a Gesù si è fatto difficile. Circolano così tante immagini di Gesù che si spacciano per scientifiche e Gli tolgono la sua grandezza, la singolarità della Sua persona. Pertanto, durante lunghi anni di studio e meditazione, maturò in me il pensiero di trasmettere un po’ del mio personale incontro con Gesù in un libro: quasi per aiutare a vedere, udire, toccare il Signore, nel quale Dio ci è venuto incontro per farsi conoscere. Gesù stesso, infatti, apparendo nuovamente dopo otto giorni ai discepoli, dice a Tommaso: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!” (Gv 20,27). Anche a noi è possibile avere un contatto sensibile con Gesù, mettere, per così dire, la mano sui segni della sua Passione, i segni del suo amore: nei Sacramenti Egli si fa particolarmente vicino a noi, si dona a noi. Cari giovani, imparate a “vedere”, a “incontrare” Gesù nell’Eucaristia, dove è presente e vicino fino a farsi cibo per il nostro cammino; nel Sacramento della Penitenza, in cui il Signore manifesta la sua misericordia nell’offrirci sempre il suo perdono. Riconoscete e servite Gesù anche nei poveri, nei malati, nei fratelli che sono in difficoltà e hanno bisogno di aiuto.

Aprite e coltivate un dialogo personale con Gesù Cristo, nella fede. Conoscetelo mediante la lettura dei Vangeli e del Catechismo della Chiesa Cattolica; entrate in colloquio con Lui nella preghiera, dategli la vostra fiducia: non la tradirà mai! “La fede è innanzitutto un’adesione personale dell’uomo a Dio; al tempo stesso ed inseparabilmente, è l’assenso libero a tutta la verità che Dio ha rivelato” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 150). Così potrete acquisire una fede matura, solida, che non sarà fondata unicamente su un sentimento religioso o su un vago ricordo del catechismo della vostra infanzia. Potrete conoscere Dio e vivere autenticamente di Lui, come l’apostolo Tommaso, quando manifesta con forza la sua fede in Gesù: “Mio Signore e mio Dio!”.

5. Sorretti dalla fede della Chiesa, per essere testimoni

In quel momento Gesù esclama: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Gv 20,29). Egli pensa al cammino della Chiesa, fondata sulla fede dei testimoni oculari: gli Apostoli. Comprendiamo allora che la nostra fede personale in Cristo, nata dal dialogo con Lui, è legata alla fede della Chiesa: non siamo credenti isolati, ma, mediante il Battesimo, siamo membri di questa grande famiglia, ed è la fede professata dalla Chiesa che dona sicurezza alla nostra fede personale. Il Credo che proclamiamo nella Messa domenicale ci protegge proprio dal pericolo di credere in un Dio che non è quello che Gesù ci ha rivelato: “Ogni credente è come un anello nella grande catena dei credenti. Io non posso credere senza essere sorretto dalla fede degli altri, e, con la mia fede, contribuisco a sostenere la fede degli altri” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 166). Ringraziamo sempre il Signore per il dono della Chiesa; essa ci fa progredire con sicurezza nella fede, che ci dà la vera vita (cfr Gv 20,31).

Nella storia della Chiesa, i santi e i martiri hanno attinto dalla Croce gloriosa di Cristo la forza per essere fedeli a Dio fino al dono di se stessi; nella fede hanno trovato la forza per vincere le proprie debolezze e superare ogni avversità. Infatti, come dice l’apostolo Giovanni, “chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?” (1 Gv 5,5). E la vittoria che nasce dalla fede è quella dell’amore. Quanti cristiani sono stati e sono una testimonianza vivente della forza della fede che si esprime nella carità: sono stati artigiani di pace, promotori di giustizia, animatori di un mondo più umano, un mondo secondo Dio; si sono impegnati nei vari ambiti della vita sociale, con competenza e professionalità, contribuendo efficacemente al bene di tutti. La carità che scaturisce dalla fede li ha condotti ad una testimonianza molto concreta, negli atti e nelle parole: Cristo non è un bene solo per noi stessi, è il bene più prezioso che abbiamo da condividere con gli altri. Nell’era della globalizzazione, siate testimoni della speranza cristiana nel mondo intero: sono molti coloro che desiderano ricevere questa speranza! Davanti al sepolcro dell’amico Lazzaro, morto da quattro giorni, Gesù, prima di richiamarlo alla vita, disse a sua sorella Marta: “Se crederai, vedrai la gloria di Dio” (cfr Gv 11,40). Anche voi, se crederete, se saprete vivere e testimoniare la vostra fede ogni giorno, diventerete strumento per far ritrovare ad altri giovani come voi il senso e la gioia della vita, che nasce dall’incontro con Cristo!

6. Verso la Giornata Mondiale di Madrid

Cari amici, vi rinnovo l’invito a venire alla Giornata Mondiale della Gioventù a Madrid. Con gioia profonda, attendo ciascuno di voi personalmente: Cristo vuole rendervi saldi nella fede mediante la Chiesa. La scelta di credere in Cristo e di seguirlo non è facile; è ostacolata dalle nostre infedeltà personali e da tante voci che indicano vie più facili. Non lasciatevi scoraggiare, cercate piuttosto il sostegno della Comunità cristiana, il sostegno della Chiesa! Nel corso di quest’anno preparatevi intensamente all’appuntamento di Madrid con i vostri Vescovi, i vostri sacerdoti e i responsabili di pastorale giovanile nelle diocesi, nelle comunità parrocchiali, nelle associazioni e nei movimenti. La qualità del nostro incontro dipenderà soprattutto dalla preparazione spirituale, dalla preghiera, dall’ascolto comune della Parola di Dio e dal sostegno reciproco.

Cari giovani, la Chiesa conta su di voi! Ha bisogno della vostra fede viva, della vostra carità creativa e del dinamismo della vostra speranza. La vostra presenza rinnova la Chiesa, la ringiovanisce e le dona nuovo slancio. Per questo le Giornate Mondiali della Gioventù sono una grazia non solo per voi, ma per tutto il Popolo di Dio. La Chiesa in Spagna si sta preparando attivamente per accogliervi e vivere insieme l’esperienza gioiosa della fede. Ringrazio le diocesi, le parrocchie, i santuari, le comunità religiose, le associazioni e i movimenti ecclesiali, che lavorano con generosità alla preparazione di questo evento. Il Signore non mancherà di benedirli. La Vergine Maria accompagni questo cammino di preparazione. Ella, all’annuncio dell’Angelo, accolse con fede la Parola di Dio; con fede acconsentì all’opera che Dio stava compiendo in lei. Pronunciando il suo “fiat”, il suo “sì”, ricevette il dono di una carità immensa, che la spinse a donare tutta se stessa a Dio. Interceda per ciascuno e ciascuna di voi, affinché nella prossima Giornata Mondiale possiate crescere nella fede e nell’amore. Vi assicuro il mio paterno ricordo nella preghiera e vi benedico di cuore.
Leggi tutto...