Quella del sacerdote è una “carriera” al contrario: il massimo dell’onore sta nell’essere servo, la massima espressione della libertà personale nel fare spazio alle idee di un Altro. Una missione impossibile, secondo gli standard umani della scalata al potere. E infatti il potere, in questo caso, viene da Dio, attraverso le insondabili strade che portano il sussurro della Sua voce a rapire un’intelligenza e a incendiare un’anima. Questa è una missione possibile, possibile per Dio, che – afferma in una occasione Benedetto XVI – non ha paura di far passare la ricchezza del suoi doni dalle mani di un povero amministratore:
“Questa audacia di Dio, che ad esseri umani affida se stesso; che, pur conoscendo le nostre debolezze, ritiene degli uomini capaci di agire e di essere presenti in vece sua – questa audacia di Dio è la cosa veramente grande che si nasconde nella parola ‘sacerdozio’. Che Dio ci ritenga capaci di questo; che Egli in tal modo chiami uomini al suo servizio e così dal di dentro si leghi ad essi”. (Omelia per la conclusione Anno sacerdotale, 11 giugno 2010)
La missione del sacerdote, dunque, arriva direttamente dal cielo, da dove proviene anche il sacerdote per eccellenza, Gesù. Come Lui, ripete il Papa, un sacerdote è autentico quando si fa “ponte” tra l’umanità a Dio. Un ruolo altissimo, dietro il quale – mette in guardia Benedetto XVI – potrebbe tuttavia annidarsi l’antichissima tentazione di sentirsi non il portatore di una lieta notizia, ma l’autore della notizia stessa:
“Il sacerdote non insegna proprie idee, una filosofia che lui stesso ha inventato, ha trovato o che gli piace; il sacerdote non parla da sé, non parla per sé, per crearsi forse ammiratori o un proprio partito; non dice cose proprie, proprie invenzioni, ma, nella confusione di tutte le filosofie, il sacerdote insegna in nome di Cristo presente, propone la verità che è Cristo stesso, la sua parola, il suo modo di vivere e di andare avanti”. (Udienza generale, 14 aprile 2010)
Nella Lettera con la quale il 16 giugno 2009 indice l’Anno sacerdotale, il Papa indica un modello di riferimento, San Giovanni Maria Vianney. Un modello di un’altra epoca, certo, scomparso 150 anni prima. In che modo, si chiede allora, potrebbe “imitarlo un sacerdote oggi, in un mondo tanto cambiato?”:
“A ben vedere, ciò che ha reso santo il Curato d’Ars è l’essere innamorato di Cristo. Il vero segreto del suo successo pastorale è stato l’amore che nutriva per il Mistero eucaristico annunciato, celebrato e vissuto, e che è diventato amore delle pecore di Cristo, delle persone che cercano Dio”. (Udienza generale, 5 agosto 2009)
La cronaca dell’Anno sacerdotale racconta che mentre Benedetto XVI trovi di volta in volta espressioni profonde per rendere evidente la grandezza e l’importanza del ministero consacrato, proprio negli stessi mesi lo scandalo della pedofilia nel clero si scateni con forza, oscurando e infangando laddove il Papa cerca di illuminare e purificare. L’11 giugno del 2010, in una Piazza San Pietro imbiancata dalle talari di migliaia di sacerdoti, le parole di Benedetto XVI risuonano con particolare intensità:
“Era da aspettarsi che al ‘nemico’ questo nuovo brillare del sacerdozio non sarebbe piaciuto; egli avrebbe preferito vederlo scomparire, perché in fin dei conti Dio fosse spinto fuori dal mondo. (applausi) E così è successo che, proprio in questo anno di gioia per il sacramento del sacerdozio, siano venuti alla luce i peccati di sacerdoti – soprattutto l’abuso nei confronti dei piccoli, nel quale il sacerdozio come compito della premura di Dio a vantaggio dell’uomo viene volto nel suo contrario”. (Omelia per la conclusione Anno sacerdotale, 11 giugno 2010)
E tuttavia, anche se per le sue debolezze – o per l’indifferenza tante volte manifestata dall’uomo contemporaneo verso tutto ciò che è religioso – quella del sacerdote potrebbe “non di rado” sembrare, aveva detto il Papa qualche settimana prima, “voce di uno che grida nel deserto”, ciò non toglie nulla alla sua forza profetica della sua vocazione:
“Preghiamo realmente il Signore, perché ci aiuti a (...) raccogliere l’essere umano e portarlo – con il nostro esempio, con la nostra umiltà, con la nostra preghiera, con la nostra azione pastorale – nella comunione con Dio”. (Incontro con clero romano, 18 febbraio 2010)
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