Di seguito come anticipato, l'articolo di Radio Vaticana i cui testi e immagini appartengono alla stessa:
Fame e siccità in Somalia. Mons. Bertin: la più grande catastrofe umanitaria del mondo


R. – Penso che realmente questo disastro, come dice l’Onu, sia il più grande disastro attuale, nel mondo. La situazione della siccità in Somalia è particolarmente aggravata dal fatto che sono 20 anni che manca un’autorità, manca lo Stato, soprattutto nella Somalia del centro-sud. Ecco perché gli effetti della siccità, che stanno colpendo anche alcune parti dei Paesi vicini - l’Etiopia, il Kenya, Gibuti stesso, dove mi trovo - non sono così devastanti, come nella Somalia del centro-sud, perché là c’è mancanza di sicurezza e continui combattimenti fra diversi gruppi. Le popolazioni più colpite dalla siccità si stanno dirigendo in questo momento verso i campi profughi in Kenya e verso l’Etiopia del Sud.
D. – Quali aiuti hanno questi profughi?
R. – E’ difficile far pervenire gli aiuti nella Somalia del centro-sud, a causa della mancanza di sicurezza. Anche se ultimamente il gruppo che controllava in gran parte questa zona, gli Shabab, hanno detto che qualsiasi ong è benvenuta, purché rispetti la cultura e la religione del posto.
D. – Le principali vittime in questa situazione così critica sono i bambini…
R. – Chiaramente i bambini sono le persone più fragili, senza dimenticare gli anziani. Il nostro progetto nel basso Juba comprende i bambini al di sotto dei 10 anni, e anche un certo numero di persone anziane, che si trovano senza un sostegno familiare.
D. – Si parla di mezzo milione di bambini in pericolo di vita…
R. – Sì, queste cifre sono realistiche.
D. – In questo contesto, che cosa fa la comunità internazionale?
R. – La comunità internazionale si sta mobilitando. Ma c’è bisogno di un grande coordinamento.
D. – La Chiesa sta portando i suoi aiuti anche attraverso la Caritas e i partner della Caritas. Qual è la situazione della Chiesa in Somalia?
R. – In Somalia la Chiesa, la struttura ecclesiastica, è già stata distrutta 20 anni fa. Abbiamo continuato, però, una certa opera attraverso la Caritas. In modo particolare, in questi ultimi tempi, visto che non abbiamo lì presente il nostro personale, lavoriamo con dei partner locali, dunque per interposta persona.
D. – Quali sono le speranze per la Somalia, perché ritorni ad essere uno Stato?
R. – Io dico che bisogna sempre sperare, bisogna insistere e presto o tardi si arriverà a questo obiettivo. Forse anche questa grande siccità può essere l'occasione per rilanciare nuovi tentativi per una ricostruzione dello Stato. (ap)
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