martedì 12 luglio 2011

La secolarizzazione del cristianesimo in Italia

 Oggi il nostro Osservatorio vuole riflettere con le parole di Costantino Esposito, pubblicate sul sussidiario.net, che fa un meraviglioso ritratto del cattolicesimo in Italia. Tutti noi abbiamo infatti visto il declino del cristianesimo che si è fin troppo diluito per restare solo una specie di compitino settimanale; e Costantino intuisce che il problema di questo declino ha le sue origini proprio nell'errata considerazione del cristianesimo:

Ma l’Italia è ancora un paese cattolico? Forse fino a cinquant’anni fa era ancora innegabile la permanenza di una sorta di sentimento comune, o meglio “maggioritario”, di appartenenza a una certa storia familiare e sociale, a certi “valori” veicolati dalle istituzioni e dalle pratiche del cattolicesimo diffuso nella nostra nazione, percepiti ancora, poco o tanto, come essenziali alla nostra cultura (la famiglia, il lavoro, l’onestà, la generosità, la solidarietà ecc.). E questo, naturalmente, a prescindere dal fatto che tali riferimenti costituissero ancora, o piuttosto non costituissero più, il contenuto di un’esperienza personale di fede. Che cosa è successo da cinquant’anni a questa parte? Tali riferimenti non sono spariti, è vero; essi rappresentano come un’eredità che non si nega, anche perché per molti essa ha coinciso (e continua a coincidere) con un segmento importante della propria biografia - quello dell’adolescenza -, ma è come se essi avessero perso la loro funzione operativa nel determinare la mentalità e le azioni delle persone, e conservassero un peso residuale, ridotto ad una serie di regole di comportamento che ci si deve sforzare di realizzare.
Ma, come è noto, tutte le volte in cui una cultura o una tradizione o una religione assumono la fisionomia di un obbligo morale e la forma di un astratto dover essere, di fatto esse cominciano a indebolirsi come fattori costitutivi o generativi della personalità umana e della vita sociale. Possono continuare a lungo, anche molto a lungo, a dettare ciò che si deve e ciò che non si deve fare; possono contribuire a forgiare il nostro super-Io (ossia il nostro codice interiorizzato di divieti e di comandi) e con ciò ad alimentare i nostri sensi di colpa - cose, queste, più volte imputate alla Chiesa cattolica -; ma di fatto è già iniziato il loro declino. Se quei valori determinano ciò che l’io deve essere e deve fare, essi prima o poi (come aveva ben visto Nietzsche) saranno percepiti come staccati, e poi opposti, e infine nemici della vita degli uomini. Non essendo capaci di realizzare quello che essi devono, gli uomini finiscono inevitabilmente nel decidere arbitrariamente quello che possono e, in definitiva, quello che “sono”.
In questa traiettoria, dispiegata chiaramente nelle vicende della cultura italiana e più ampiamente occidentale degli ultimi decenni, resta comunque come fattore non del tutto assimilabile quello del cristianesimo. Non del tutto, dicevo, per un motivo preciso: esso infatti è stato inteso più volte, e ancora continua ad esserlo - fuori, ma anche dentro la Chiesa - come un deposito di valori o (in maniera più politicamente corretta) come una modellistica etica, e da questo punto di vista è innegabile che essa abbia condiviso e stia ampiamente condividendo la triste sorte delle agenzie del “dover essere” nella nostra società: diventare una pratica virtuosa o ispirare il comportamento morale di una minoranza sempre più ristretta, e cessare di essere una proposta ideale per tutti.

[...] Sappiamo quanto ambivalente (e ambigua) possa essere tale concezione della religione: in alcuni casi considerata come un fattore di emancipazione socio-economica (il celebre effetto “calvinista” nella storia del capitalismo moderno), in altri come espressione di arretratezza e conformismo. Ma per quanto possa cambiare di segno (e di confessione: protestantesimo e/o cattolicesimo), lo schema di lettura rischia di mancare il suo oggetto. La secolarizzazione, infatti, non è solo o tanto l’abbandono di una cultura religiosa e di una società fondata su basi “sacrali”, ma è un processo tutto interno alla stessa riduzione morale del cristianesimo. Il secolarismo comincia nel cristianesimo, allorquando esso viene concepito come un codice di comportamento, e lo indebolisce proprio perché non ne riconosce l’origine e lo appiattisce, misurandolo, sulle conseguenze.

Non è un caso che anche nello studio citato si parli della minoranza cattolica nell’Italia secolarizzata come un fattore di notevole rilievo (nonostante le percentuali numeriche) per la coesione, la compattezza di appartenenza, il ruolo di ispirazione e condizionamento - comunque lo si voglia giudicare - nei confronti della società civile e della politica. Ma anche rispetto a questa minoranza creativa, chiamiamola così, il gioco resta tutto aperto, e anche ambiguo: una minoranza infatti può essere vista dall’esterno (e soprattutto dall’interno) come una lobby, cioè come un mezzo per la conquista del consenso e la gestione del potere, oppure come un inizio, un nuovo, permanente inizio nell’esperienza personale e sociale del cristianesimo. Il “dato” sociologico di questo inizio ha un suo peso reale molto meno misurabile, perché è un peso che porta dentro qualcosa di imponderabile: qualcosa cioè che non è prevedibile nelle logiche dell’appartenenza di gruppo o di schieramento, ma ha a che fare con la “conversione”, cioè l’imprevisto cambiamento di mentalità (di conoscenza, e quindi di azione) che in maniera magari non immediatamente apparente, comincia a cambiare o a rinnovare un ambiente e una consuetudine omologata. In fondo è stato questo uno dei fattori più concreti e determinanti che hanno cambiato il volto dell’Impero romano, arrivando a ricostruire un terreno sociale dalla sua dissoluzione.

ARTICOLO INTERO

 Come avrete potuto leggere, si tratta di una perfetta rappresentazione della situazione attuale; ci preme sottolineare questo passaggio in particolare: Il secolarismo comincia nel cristianesimo, allorquando esso viene concepito come un codice di comportamento, e lo indebolisce proprio perché non ne riconosce l’origine e lo appiattisce, misurandolo, sulle conseguenze. 
Ed è proprio vero: dobbiamo ammettere che vi è stata la perdita di entusiasmo per la fede. Oggi nominare Gesù o nominare il Catechismo della Chiesa Cattolica equivale a ricordare solo l'aspetto punitivo, ma quasi mai si associa Gesù a ciò che Egli rappresenta realmente e cioè la Via, la Verità e la Vita. Solo cambiando registro, tornando a mostrare Gesù come Egli si è mostrato attraverso il Vangelo (tornando quindi ad essere testimoni credibili che sanno vivere e trasmettere amore), riusciremo a combattere questa forte tendenza alla secolarizzazione che purtroppo sta coinvolgendo sempre più strati della popolazione italiana (e non solo!)
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