sabato 31 dicembre 2011

Domani Giornata mondiale della pace. Benedetto XVI: dono da invocare e obiettivo da perseguire senza stancarsi

Da: Radio Vaticana


Domani si celebra la 45.ma Giornata Mondiale della Pace sul tema “Educare i giovani alla giustizia e alla pace”. Il Papa, in questa occasione e nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio, presiederà la Santa Messa alle 9.30 nella Basilica Vaticana. In un mondo che conclude il 2011 con un “senso di frustrazione” per la crisi “che sta assillando la società il mondo del lavoro e l’economia” - scrive Benedetto XVI nel suo Messaggio per la Giornata - l’attenzione di tutti deve essere posta ai giovani, “nella convinzione che essi con il loro entusiasmo e la loro spinta ideale possono offrire una nuova speranza al mondo”. Queste parole sono le ultime in ordine di tempo di un itinerario di riflessioni spirituali e appelli concreti, costruito in questi anni da Benedetto XVI. Alessandro De Carolis lo ripercorre in questo servizio:

Verità, persona, famiglia, creato, libertà. I pilastri solidi sui quali incardinare quel valore assoluto e precario che è la pace. La road map tracciata finora dal Papa non per salvaguardare la stabilità in una singola nazione, né per disinnescare un conflitto in un’area del mondo, ma per il bene di tutta l’umanità. Un percorso a tappe rintracciabile nelle parole dedicate da Benedetto XVI alla pace ad ogni primo gennaio, a partire dal 2006, dalla prima Messa presieduta nelle vesti di Pontefice. “Nella verità, la pace” è il titolo del Messaggio di quell’anno e il Papa pianta con esso la pietra miliare di quello che sarà il suo viaggio. “Per accogliere il dono della pace”, afferma, dobbiamo guardare a Cristo, “il quale ci ha insegnato il ‘contenuto’ e insieme il ‘metodo’ della pace, cioè l’amore”. Ma pace e amore hanno bisogno di braccia e gambe. Hanno bisogno della “persona umana” che – recita il titolo del Messaggio – è il “cuore della pace”:

“Di fronte alle minacce alla pace, purtroppo sempre presenti, dinanzi alle situazioni di ingiustizia e di violenza, che continuano a persistere in diverse regioni della terra, davanti al permanere di conflitti armati, spesso dimenticati dalla vasta opinione pubblica, e al pericolo del terrorismo che turba la serenità dei popoli, diventa più che mai necessario operare insieme per la pace. Questa, ho ricordato nel Messaggio, è ‘insieme un dono e un compito’ (n. 3): dono da invocare con la preghiera, compito da realizzare con coraggio senza mai stancarsi”. (Omelia primo gennaio 2007)
Dunque, la pace non può essere il nobile intento di qualche eroe solitario, ma un obiettivo da costruire insieme, come corpo, come famiglia. E “famiglia umana, comunità di pace” è il titolo del Messaggio 2008 e all’omelia del primo gennaio Benedetto XVI ribadisce:

“Chi anche inconsapevolmente osteggia l’istituto familiare (…) rende fragile la pace nell’intera comunità, nazionale e internazionale, perché indebolisce quella che, di fatto, è la principale ‘agenzia’ di pace”. (Omelia primo gennaio 2008)

Individuati i protagonisti, e l’ideale che li anima, bisogna rimboccarsi le maniche. “Combattere la povertà, costruire la pace”, intitola il Papa il Messaggio per il 2009. C’è – osserva – una povertà scelta da Dio, che per un misterioso disegno fa nascere suo Figlio in una stalla, è c’è “un’indigenza che Dio non vuole e che va combattuta”. Quella delle mille miserie sparse sul pianeta, che aspetta l’avvento di una “umanità nuova, capace, sempre e solo con la grazia di Dio, di operare una ‘rivoluzione pacifica”:

“Una rivoluzione non ideologica ma spirituale, non utopistica ma reale, e per questo bisognosa di infinita pazienza, di tempi talora lunghissimi, evitando qualunque scorciatoia e percorrendo la via più difficile: la via della maturazione della responsabilità nelle coscienze.” (Omelia primo gennaio 2009)

Ma voler estirpare la povertà dalla terra, senza preoccuparsi di proteggere la terra stessa è un controsenso. “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”, scrive Benedetto XVI nel 2010. E per rendere incisivo il suo discorso chiede a chi lo ascolta di guardare a chi la terra la gestirà dopo di noi, ricevendola in condizioni spesso drammatiche, i bambini:

“Di fronte alla loro condizione inerme, crollano tutte le false giustificazioni della guerra e della violenza. Dobbiamo semplicemente convertirci a progetti di pace, deporre le armi di ogni tipo e impegnarci tutti insieme a costruire un mondo più degno dell’uomo”. (Omelia primo gennaio 2010)

E un mondo più degno dell’uomo lo è se a quell’uomo è permesso di esprimere senza costrizioni la propria fede. La “libertà religiosa” è “via per la pace”, ribadisce il Papa nel Messaggio di quest’anno. E all’omelia del primo gennaio spiega:

“Là dove si riconosce effettivamente la libertà religiosa, la dignità della persona umana è rispettata nella sua radice e, attraverso una sincera ricerca del vero e del bene, si consolida la coscienza morale e si rafforzano le stesse istituzioni e la convivenza civile. Per questo la libertà religiosa è via privilegiata per costruire la pace”. (Omelia primo gennaio 2011)
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venerdì 30 dicembre 2011

Festa della Santa Famiglia di Nazareth. Le parole di Benedetto XVI sulla famiglia, via della Chiesa

Da: Radio Vaticana


La Chiesa festeggia oggi la Santa Famiglia di Nazareth, modello per tutte le coppie cristiane. “La famiglia – ha detto il Papa nell’ultima udienza generale di quest’anno – è Chiesa domestica e deve essere la prima scuola di preghiera”. Alla bellezza della famiglia e alla centralità della sua testimonianza per una rinnovata evangelizzazione, il Papa ha dedicato numerose riflessioni in questo anno che si va chiudendo. Ne riproponiamo alcune nel servizio di Alessandro Gisotti:

La famiglia è “via della Chiesa”: è la bella e forte immagine che Benedetto XVI ha utilizzato nel discorso alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia, tenutosi lo scorso primo dicembre. Come fin dai primi passi del suo Pontificato, anche quest’anno il Papa ha dedicato una particolare attenzione all’istituto familiare, piccola chiesa domestica chiamata ad impegnarsi nella nuova evangelizzazione:

“Nel nostro tempo, come già in epoche passate, l’eclissi di Dio, la diffusione di ideologie contrarie alla famiglia e il degrado dell’etica sessuale appaiono collegati tra loro. E come sono in relazione l’eclissi di Dio e la crisi della famiglia, così la nuova evangelizzazione è inseparabile dalla famiglia cristiana”. (Discorso al Pontificio Consiglio per la Famiglia, 1 dicembre 2011)

Nell’anno in cui si è celebrato il 30.mo anniversario della Familiaris Consortio del Beato Karol Wojtyla, il Papa ha dunque ribadito che la famiglia è chiamata ad un nuovo protagonismo nella vita della Chiesa e della famiglia:

“La famiglia cristiana, nella misura in cui, attraverso un cammino di conversione permanente sostenuto dalla grazia di Dio, riesce a vivere l’amore come comunione e servizio, come dono reciproco e apertura verso tutti, riflette nel mondo lo splendore di Cristo e la bellezza della Trinità divina”. (Discorso al Pontificio Consiglio per la Famiglia, 1 dicembre 2011)

La Chiesa, ha ricordato il Papa, si prepara al grande Incontro mondiale delle Famiglie, in programma il prossimo anno a Milano. E, intanto, il Pontefice ha vissuto quasi un anticipo di questo grande evento ecclesiale, con la visita a Zagabria per la Giornata mondiale delle famiglie cattoliche croate, nel giugno scorso. In tale occasione, il Papa ha esortato le famiglie a difendere la vita e a mostrare la bellezza dell’amore coniugale:

“Care famiglie, gioite per la paternità e la maternità! L’apertura alla vita è segno di apertura al futuro, di fiducia nel futuro, così come il rispetto della morale naturale libera la persona, anziché mortificarla! Il bene della famiglia è anche il bene della Chiesa”. (Messa a Zagabria, 5 giugno 2011)

E il Papa si è soffermato, quest'anno, anche sulla teologia del corpo nella vita della coppia cristiana. Ricevendo i membri del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per la Famiglia, il Pontefice ha sottolineato che il vero fascino della sessualità nasce dalla grandezza degli orizzonti schiusi dall’amore di Dio:

“E’ nella famiglia che l’uomo scopre la sua relazionalità, non come individuo autonomo che si autorealizza, ma come figlio, sposo, genitore, la cui identità si fonda nell’essere chiamato all’amore, a riceversi da altri e a donarsi ad altri”. (Discorso all’Istituto Giovanni Paolo II per la Famiglia, 13 maggio 2011)
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giovedì 29 dicembre 2011

A gennaio, il Papa chiede preghiere per l'aiuto spirituale e materiale alle vittime dei disastri naturali

Da: Radio Vaticana


“Perché le vittime dei disastri naturali ricevano il conforto spirituale e materiale necessario per ricostruire la loro vita”: è l’intenzione generale di preghiera del Papa per il mese di gennaio. Sull’importanza del binomio spirituale-materiale nelle situazioni di emergenza umanitaria, Alessandro Gisotti ha intervistato Paolo Beccegato, responsabile dell’area internazionale di Caritas Italia:

R. – L’esperienza che abbiamo maturato in quarant’anni, in Italia e all’estero, ci dice come l’aiuto umanitario sia necessario – la ricostruzione delle opere, delle case – e dunque come di fronte a un disastro, a una qualsiasi calamità, ma anche a una questione più limitata, sia fondamentale non solo l’essere vicini con delle cose – interventi pratici concreti che sono fondamentali – ma come tutto ciò sia assolutamente insufficiente se non c’è anche un affiancamento, un accompagnamento alla persona nella sua complessità.

D. – Può raccontarci anche un fatto che l’ha particolarmente colpita proprio in questo senso di ricostruzione di una vita?

R. – Per quanto riguarda l'Italia, ho in mente – perché ho vissuto sul posto tutta la fase del dopo-alluvioni del Piemonte del ’94, ma anche di quelle recentissime in Liguria – quell’espressione emblematica riferita ai volontari: gli "angeli del fango”, cioè quelle persone che arrivano sul posto e magari compiono un’opera molto semplice: quella di aiutare le persone colpite a spalare il fango, a ripulire le cose... Non è che risolva il problema, ma ne velocizza la risoluzione. Questa vicinanza fa sì che, mentre si spala, si parla con le persone, si piange, ci sono momenti emotivamente molto forti. Il volontariato giovanile, come anche ogni forma di vicinanza, veramente restituisce speranza alle persone, che vedono nel volontario un motivo per ricominciare.

D. – La forza della natura è impressionante ma è ancora più impressionante la forza della persona e delle persone, dunque…

R. – La forza della natura è impressionante: è sempre più impressionante. Sappiamo come il tema dei cambiamenti climatici, o comunque dei fenomeni meteorologici estremi che si abbattono in Italia e all’estero con maggior frequenza e maggiore intensità, sia un tema fortissimo ed è molto positivo che il Papa torni su questo. Era stato il primo a levare la voce sul tema della siccità – ricordiamo il Corno d’Africa a luglio di quest’anno – e per fortuna poi si è mobilitata tutta la comunità internazionale. Allo stesso modo ora: iniziare così l’anno nuovo è una profezia che in qualche modo va ascoltata molto attentamente, soprattutto per prevenire situazioni simili. (bi)
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mercoledì 28 dicembre 2011

Il 2011 di Benedetto XVI. Il bilancio di padre Lombardi: anno intenso e sereno, di grandi messaggi che ci fanno guardare in avanti

Da: Radio Vaticana


Anche il 2011 è stato un anno molto intenso per Benedetto XVI. Con il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi tracciamo un primo bilancio di quest’anno a partire dai viaggi internazionali. L’intervista è di Sergio Centofanti:

R. – E’ giusto, perché i viaggi internazionali sono sempre punti di riferimento, nell’agenda del Papa di un anno. Vorrei incominciare a ricordare i due viaggi del centro dell’anno, cioè quello in Germania e quello in Spagna. Quello in Germania, anzitutto perché dice proprio la preoccupazione del Papa di parlare di Dio e di fare riferimento al primato di Dio nella società, anche in via di secolarizzazione di oggi, nel contesto europeo in particolare, nel suo Paese. Era un viaggio atteso, intensissimo, estremamente importante e credo che il discorso del Papa al Parlamento a Berlino rimanga uno dei grandi discorsi del Pontificato, facendo capire ad un uditorio molto ampio l’importanza del riferimento a Dio come saldo fondamento e punto di riferimento della convivenza umana dei valori fondamentali della convivenza e della tutela della dignità dell’uomo. Questo tema del primato di Dio ha un po’ dominato il viaggio in Germania, però nel contesto della secolarizzazione. Mentre in Spagna, nella Giornata mondiale della gioventù, che aveva preceduto il viaggio in Germania, c’è stata la grande esperienza della vitalità della fede, del suo futuro. Il Papa ha riletto con molta profondità questo viaggio in Spagna nell’ultimo discorso che ha fatto alla Curia, poco prima di Natale. E ha indicato, nelle sue riflessioni, che cosa annunciare e come annunciare per un modo nuovo e vitale di essere cristiani. Quindi, dalla Giornata mondiale della gioventù il Papa ha colto le indicazioni vive per la nuova evangelizzazione del mondo. Quindi, mentre la Germania mi è sembrato un ammonimento a conservare i valori fondamentali di riferimento in un tempo, in un mondo che è in fase di secolarizzazione, la Giornata mondiale della gioventù e la Spagna hanno indicato il lato positivo della presenza annunciante e viva della Chiesa nel mondo di oggi.

D. – C’è stato poi il viaggio in Benin …

R. – Sì, il viaggio in Benin è stato uno degli appuntamenti fondamentali di quest’anno, anche perché coincideva con la presentazione al Continente africano del documento finale del Sinodo per l’Africa. Un documento che è bellissimo, chiaro e semplice. Diversi commentatori – anche non cattolici – lo hanno indicato come uno dei più bei documenti che esistono, oggi, per il Continente africano: trattando con ampiezza di orizzonti i suoi problemi, e indicando con fiducia motivi di speranza realistica con cui andare incontro al futuro, riconoscendo la dignità degli africani. E questo è stato anche il clima in cui si è svolto il viaggio. Il Papa è stato molto colpito dalla gioia, dalla vitalità di questo popolo che lo ha accolto. Un popolo che vive in difficoltà, che è povero, che ha certamente delle sofferenze e dei grandi problemi ma che manifesta una capacità di guardare in avanti e di gustare la gioia del vivere. Quindi, questo viaggio ha indicato molto efficacemente la capacità della Chiesa cattolica oggi di parlare al continente africano essendone parte, cioè una Chiesa non estranea all’Africa: non che parla per l’Africa dall’Europa, ma che parla all’Africa nell’Africa e dall’Africa. Questo senso di solidarietà, di accoglienza, di gioia, di partecipazione che il Papa ha vissuto in mezzo agli africani, ha espresso molto bene quello che si manifesta nell’impostazione del documento. Quindi, direi che questo è uno dei segni di speranza per il futuro dell’Africa e per il futuro della Chiesa in Africa e del suo servizio per il Continente.

D. – Ad Assisi, il Papa ha rilanciato con forza il tema del dialogo …

R. – Sì. Questo incontro di Assisi era molto atteso. Sappiamo che da tempo si dubitava se il Papa Benedetto XVI avrebbe ripreso i messaggi di Assisi del suo predecessore, se non avrebbe fatto dei passi indietro … In realtà, non è stata una semplice ripetizione degli incontri del passato ad Assisi, ma è stato un passo avanti, l’apertura di un nuovo orizzonte, perché il Papa ha colto – secondo il suo metodo di tornare ai punti fondamentali – il tema della ricerca della verità come unificante, e in questo ha potuto invitare ad Assisi non solo i rappresentanti delle altre confessioni cristiane o delle altre religioni, ma anche i sinceri ricercatori della verità, anche se non riconoscono un Dio. E questo è stato un elemento molto importante, che ha fatto sentire la comunione che già c’è tra coloro che si riferiscono a un Dio personale, ma ha fatto sentire a loro agio anche coloro che cercano – onestamente – la verità. E questo è stato un messaggio estremamente bello che si è posto in continuità anche con il tema del “Cortile dei Gentili” che il Papa aveva lanciato precedentemente e che viene portato avanti con impegno anche nella Chiesa. Quindi, anche se uno non guarda solo agli appuntamenti del Papa ma a quelli ecclesiali, il tema del “Cortile dei Gentili” e i suoi eventi è stato uno dei punti importanti della vita della Chiesa in quest’anno. Faccio anche notare che il Papa ha avuto anche altri importantissimi momenti di carattere ecumenico ed interreligioso: pensiamo agli incontri con i luterani in Germania, centrati sul primato di Dio; o pensiamo al grande discorso in Benin alle autorità del Paese, in cui il tema del dialogo interreligioso è stato toccato con profondità, molto direttamente.

D. – Tra i documenti del 2011 spicca il Motu Proprio “Porta fidei” con cui il Papa ha indetto l’Anno della Fede a partire dall’ottobre 2012: quindi un tema che si ricollega alla nuova evangelizzazione. Qui ricordiamo anche la Messa per l’America Latina …

R. – Sì: abbiamo infatti in questo anno degli agganci che ci fanno già guardare in avanti, verso l’anno prossimo. La Lettera di indizione dell’Anno della Fede è uno di questi: si collega a questo grande tema, che è uno dei temi del Pontificato – la nuova evangelizzazione – e al Sinodo che avverrà l’anno prossimo e quindi a questo contesto anche più ampio che il Papa vuole creare con il tema dell’Anno della Fede. In tempo breve noi avremo anche il sussidio preparato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, di suggerimenti pastorali per prepararsi all’Anno della Fede. Quindi dobbiamo vedere un cammino di preparazione che avrà poi un momento molto forte nel Sinodo del prossimo autunno. Anche l’altro evento che hai ricordato – la Messa per il bicentenario della indipendenza dei Paesi dell’America Latina – è stato collegato dal Papa con il suo prossimo viaggio, con l’annuncio atteso e comunque estremamente emozionante del suo desiderio di viaggiare verso Cuba e il Messico nella primavera prossima: sarà certamente uno degli appuntamenti-chiave dei prossimi mesi.

D. – Tra le visite significative, invece, ricordiamo quella recente al carcere di Rebibbia …

R. – Sì. Nel tempo natalizio, ogni anno, il Papa compie delle visite di solidarietà, delle visite di carità. Anche negli anni passati, ci sono state visite ai malati terminali, con i bambini ricoverati e così via. Quest’anno è stata la visita al carcere, che è stata estremamente importante ed emozionante e anche estremamente spontanea, con il dialogo tra il Papa e i carcerati, che ha toccato molto profondamente. Qui si vede come la Chiesa, anche lasciando alla società civile tutte le responsabilità di carattere legislativo, organizzativo di problemi drammatici come quello della giustizia e del carcere, però può dare un messaggio molto forte, molto vivo e profondo nel senso della riconciliazione, nel senso della speranza di un reinserimento anche di chi ha mancato nella società. Questo è un punto di cui credo che il mondo di oggi abbia un estremo bisogno: essere invitato a ricordarsi che anche chi ha sbagliato non dev’essere emarginato o eliminato dalla società, ma la vera grande giustizia si compie quando il male è superato nella riconciliazione, nel ritorno pieno alla convivenza pacifica di tutti coloro che hanno sbagliato e che ne sono stati esclusi.

D. – C’è stato, poi, nel 2011 un evento particolare: il collegamento con la Stazione spaziale internazionale: il Papa ha parlato con gli astronauti …

R. – Sì, questo è un evento a cui ho partecipato con molta intensità perché ho avuto una buona parte della responsabilità – anche tecnica – della sua realizzazione, e sono rimasto colpito di come gli astronauti fossero desiderosi di questo incontro con il Papa. E’ stata praticamente l’unica volta in cui tutti gli astronauti hanno partecipato insieme – erano 12 – ad un collegamento audiovisivo con la Terra. Di solito, parla uno con il suo presidente: questa volta erano tutti che volevano parlare con il Papa, vederlo e sentirlo. Ed è stata un’occasione straordinaria con cui il Papa ha dimostrato con grande gioia e disponibilità l’amicizia della Chiesa per la ricerca scientifica e tecnica messa a disposizione del bene dell’umanità: questo è il significato grande di questo incontro. Cioè: la Chiesa non ha paura della ricerca e del progresso della scienza e della tecnica, ma la vede con grande simpatia, ricordando però proprio che questa dev’essere indirizzata per il bene dell’umanità. E gli astronauti lo capivano benissimo: sentono molto anche questo messaggio. E quindi direi che è stato un evento che non va sottovalutato nel suo significato.

D. – Il 1° maggio scorso c’è stato il grande evento della Beatificazione di Giovanni Paolo II …

R. – I primi mesi dell’anno passato sono stati un po’ catalizzati dall’attesa di questo evento estremamente importante, perché richiamava la mobilitazione della Chiesa universale. Direi che è stato un evento vissuto con grandissima gioia, che ha espresso la fede della Chiesa nella vita del Beato con noi, cioè Giovanni Paolo II si manifesta veramente una persona viva e presente al cammino della Chiesa. Questo è sentito, vissuto spontaneamente da una quantità grandissima di fedeli, che poi vengono anche a trovarlo – simbolicamente – visitando la sua tomba in San Pietro, e questa è una cosa che continua, perché Giovanni Paolo II continuerà ad essere presente, cioè la Beatificazione non è un punto d’arrivo ma in un certo senso è una tappa di un cammino: molti guardano già alla canonizzazione pensando che naturalmente vi si arriverà! Molti, anche indipendentemente da questo, sentono il rapporto con lui come estremamente confortante, orientatore, entusiasmante … E qui vorrei ricordare che Papa Benedetto ci invita sempre a sentire i Santi ed i Beati come nostri compagni di cammino: quindi Giovanni Paolo II è uno un po’ speciale, perché conosciuto da tutto il mondo. Ma tutti i Santi ed i Beati che la Chiesa ci propone sono i nostri accompagnatori sulla strada della nostra vita nella fede verso il Signore.

D. – Infine, il Papa ha continuato a svolgere il suo ruolo di catechista agli Angelus e alle udienze generali, e non dimentichiamo il secondo volume “Gesù di Nazaret” …

R. – Benedetto XVI è una persona che vive profondamente la sua vocazione di maestro e di maestro non solo teologico ma anche spirituale. Io ammiro sempre immensamente questa sintesi di dottrina e spiritualità vissuta, che si sente nelle sue parole e si legge nei suoi scritti. Insegna con gli Angelus, con le udienze – adesso ha preso questo ciclo sulla preghiera che è molto utile anche proprio per la nostra vita spirituale; insegna con omelie meravigliose nelle grandi feste cristiane, e – per chi ha desiderio di approfondimento maggiore – ha dato anche un passo ulteriore nella realizzazione di questa grande opera su Gesù che egli vuole lasciarci, un po’ veramente come testamento del suo amore per Cristo, del suo amore personale, della sua ricerca personale del volto di Cristo. Il libro di quest’anno è quello dedicato alla Passione e alla Risurrezione: evidentemente il volume centrale della grande opera. Ma noi continuiamo ad aspettare e a sperare di avere anche il terzo, quello sull’infanzia, come completamento di questa presentazione straordinaria, profonda, viva di Gesù per noi, oggi.

D. – Padre Lombardi, un bilancio molto intenso, questo del 2011 …

R. – Sì, come tutti gli anni di ogni Pontificato, evidentemente, perché la Chiesa vive, vive nei diversi Continenti, con prospettive amplissime, affrontando problemi che la storia ci pone … Direi che Papa Benedetto XVI veramente ci ha accompagnati e ci ha guidati, in quest’anno, con grandissimi messaggi, con una intensità di azione e anche con serenità. Direi che forse rispetto ad altri anni precedenti, che sono stati anche un po’ più travagliati da fenomeni di crisi o di tensione, quest’anno è stato un anno molto bello, positivo, di grandi messaggi che ci fanno guardare in avanti. (gf)
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martedì 27 dicembre 2011

Benedetto XVI ai giovani di Taizé riuniti a Berlino: "aprite percorsi di fiducia in tutto il mondo”

Da: Radio Vaticana


Berlino, città simbolo per tutti coloro che cercano di oltrepassare muri di separazione per diffondere la fiducia, accoglierà da domani e fino al prossimo primo gennaio oltre 30 mila giovani - provenienti da diversi Paesi - per il “Pellegrinaggio di fiducia”, il raduno animato dalla Comunità ecumenica di Taizé. Sono molteplici i messaggi indirizzati ai partecipanti all’incontro di Berlino. Benedetto XVI incoraggia i giovani ad “approfondire le sorgenti della fiducia”, ad “aprire percorsi di fiducia in tutto il mondo”. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

“La fiducia – scrive il Papa rivolgendosi ai giovani – non è cieca ingenuità”. “Liberandovi dalla schiavitù della paura – aggiunge - questa fiducia, attinta nella vostra fede in Cristo e nella vita del Suo Spirito Santo nei vostri cuori, vi rende più lungimiranti e disponibili per rispondere alle numerose sfide e difficoltà alle quali devono far fronte gli uomini e le donne di oggi”. Nel suo messaggio, iPatriarca ecumenico di CostantinopoliBartolomeo I - ricordando che la vita è spesso paragonata ad “un cammino simile ad un pellegrinaggio” - sottolinea che “la solidarietà non deve essere unicamente lo slogan di certi partiti politici”. “Ma si tratta di una promessa che impegna la persona umana nella sua interezza”, sia sul piano dell’azione sia su quello della preghiera. Il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Kirill, ricorda che il profondo impegno della solidarietà umana si radica nella Rivelazione che ci è stata fatta attraverso gli avvenimenti del Natale: “la filiazione divina di tutti gli uomini, e dunque la fratellanza fra di loro, superando ogni differenza nazionale e sociale”. Dio - scrive rivolgendosi ai giovani l’arcivescovo anglicano di Canterbury – “è con voi in ogni cosa” e “rende l’orizzonte sempre più vasto e stimolante”. Il segretario generale della Federazione luterana mondiale, Martin Junge, sottolinea che “siamo intrappolati se non abbiamo fiducia in Dio”, ma nel denaro, nei mercati e nelle nostre sole capacità. Il segretario del Consiglio ecumenico delle Chiese, Olav Fyske – Tveit – “aggiunge che il mondo è oggi pieno di incertezze”. “Le situazioni e le circostanze – osserva – possono essere difficili, ma se restiamo uniti credendo fermamente che nulla può frapporsi fra noi e l’amore di Cristo, potremo affrontare in modo risoluto queste incertezze”. In un mondo in cui c’è “sfiducia verso le istituzioni” e molte persone sono “disilluse dall’ordine stabilito” – spiega il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon – la solidarietà “è il vero fondamento per soluzioni globali”. Una solidarietà – sottolinea il presidente del Consiglio europeo, Herman van Rompuy – legata alla persona di Gesù Cristo che sia un grado di generare “un amore concreto, inserito nella realtà del mondo”. La cancelliera della Repubblica federale tedesca, Angela Merkel, ricorda infine che a Berlino - sede dell’incontro europeo di quest’anno dei giovani organizzato dalla Comunità di Taizé - numerose vestigia “mettono in evidenza che la libertà e la democrazia non sono scontate e devono essere sempre e nuovamente vissute e vivificate”.
Frère Roger, fondatore della Comunità di Taizé ucciso il 16 agosto del 2005 da una squilibrata, si era recato a Berlino nel 1986. In quell’occasione, oltre sei mila giovani dell’allora Germania dell’Est parteciparono ad incontri di preghiera in due chiese, una cattolica e l’altra protestante. Quest’anno Berlino, città memore di profonde inquietudini e simbolo di nuove speranze, accoglierà migliaia di giovani che, al loro arrivo, riceveranno la lettera - intitolata “Verso una nuova solidarietà” - del priore della comunità di Taizé, frère Alois, intervistato da Amedeo Lomonaco:RealAudioMP3 
R. – Dobbiamo cercare una motivazione più profonda per una vera solidarietà tra gli uomini. La fiducia, che spesso manca nella società, è un valore essenziale. Bisogna cercare nuovamente il modo in cui poter credere in un mondo nel quale, per i giovani, non è facile la via della fede. La fede è come la fiducia. Dobbiamo cercare proprio questo.

D. – La risposta ad ogni inquietudine risiede - come ha scritto nella sua lettera - nel far rifiorire una nuova solidarietà tra gli uomini, nelle famiglie e nelle comunità. Quali sono, oggi, le decisioni necessarie, coraggiose nel nostro tempo?
R. – Una decisione importante, oggi, sarebbe quella della condivisione. Nella nostra società esiste purtroppo la povertà e noi dobbiamo combatterla. Bisogna cercare la condivisione, anche nelle società più ricche. Oggi ci troviamo a vivere una certa povertà e non possiamo accettarla.

D. – Le difficoltà economiche sono sempre più pesanti, la complessità della società sempre più opprimente. Forse questo può essere un tempo propizio per capire che é vano riporre la fiducia nel denaro, nel mercato?

R. – Sì. Molti giovani cercano il senso della vita non soltanto nelle cose materiali, ma anche nelle relazioni, nella fiducia. La società non può vivere senza fiducia. Dobbiamo cercare un senso della vita più profondo attraverso la solidarietà ed anche attraverso la fiducia in Dio.

D. – Berlino quest’anno ospita il raduno dei giovani. Non ci sono più barriere a dividere la città, ma sono ancora molti nel mondo i muri, i pregiudizi tra popoli, nazioni e credenti di varie religioni. Come superare queste barriere?
R. – Il muro non è durato in eterno e di ciò Berlino ne gioisce. Questo ci dà coraggio per abbattere tutti gli altri muri che esistono ancora oggi. (vv)
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lunedì 26 dicembre 2011

Perseguitati perché cristiani: la riflessione di Massimo Introvigne

Da: Radio Vaticana


“Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani”: la celebre affermazione di Tertulliano risuona ancora più forte, oggi, nel giorno in cui la Chiesa ricorda la figura di Santo Stefano primo martire. Il martirio, del resto, è una dimensione che appartiene alla natura stessa della testimonianza cristiana. Sulle persecuzioni dei cristiani nel nostro tempo, Alessandro Gisotti ha intervistato Massimo Introvigne, rappresentante Osce per le discriminazioni verso i cristiani:

R. – E’ curioso che molti, quando si parla di martirio, pensino a qualche cosa che appartiene ai tempi dell’Impero Romano. E' certamente così, però sarebbe anche bene che non soltanto i cristiani - direttamente coinvolti - ma tutti sapessero che, da un punto di vista storico, l’epoca dei martiri è la nostra. Secondo uno studio statistico del maggiore specialista di statistica religiosa moderna, David Barrett, i martiri cristiani dalla morte di Gesù Cristo, ai giorni nostri, sono stati 70 milioni, ma di questi, 45 milioni - più della metà - sono concentrati nel XX secolo e negli inizi del XXI. Questa è anche una grande lezione del Beato Giovanni Paolo II: riflettere sempre sul fatto che il secolo dei martiri è stato il XX secolo e questo secolo di martirio, che certamente ha avuto delle punte negli orrori del comunismo e del nazionalsocialismo, tuttavia continua anche nel XXI secolo.

D. – Dal suo punto privilegiato di osservazione, quali sono le situazioni oggi nel mondo che destano maggiore allarme?

R. – Certamente, la prima che viene in mente è quella dell’ultrafondamentalismo islamico. Il Santo Padre ha avuto occasione di ricordare la legge sulla blasfemia in Pakistan. Naturalmente, oltre alla violenza pubblica che queste leggi mettono in atto ci sono anche tante violenze private, attentati che si susseguono in numerosi Paesi a maggioranza islamica. Poi c’è una seconda area, che è quella dei Paesi ancora influenzati dall’ideologia comunista, che non è sparita nel 1989 o nel 1991; anche la Cina è un Paese dove non possiamo dire che vi sia pienamente una libertà religiosa. Poi c’è una terza area ancora, quella dei nazionalismi a sfondo religioso, in altre aree dell’Africa e dell’Asia, dove i cristiani sono considerati un corpo estraneo, quasi traditori della cultura locale, anche se spesso la loro presenza è molto antica. Poi dovremmo aprire il capitolo di quello che succede da noi, in Occidente, in Europa, dove - come ancora ci ha ricordato più volte il Santo Padre - certamente, non avviene nulla di paragonabile alla violenza che si verifica in certe aree dell’Africa e dell’Asia. Tuttavia, c’è questo sottile, e qualche volta neppure tanto sottile, tentativo di discriminare, di marginalizzare, di mettere ai margini il cristianesimo, di negare l’identità cristiana e le radici cristiane, di aggredire in molti modi la Chiesa e il Santo Padre. (bf)
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domenica 25 dicembre 2011

Benedetto XVI nel messaggio di Natale: Cristo è nato per salvarci dal “male profondo” che separa da Dio. Il Papa ricorda tutti i popoli sofferenti. Poi gli auguri nelle lingue del mondo intero e la benedizione Urbi et Orbi

Da: Radio Vaticana


“Cristo è nato per noi” “per salvarci soprattutto dal male profondo” “che è la separazione da Dio”: Benedetto XVI lo ha ricordato in questo Natale al mondo intero nel suo tradizionale messaggio, invocando il soccorso divino per le popolazioni più sofferenti in questo periodo per carestie, conflitti sociali, guerre. Ha quindi rivolto i suoi auguri nella varie lingue prima di impartire la Benedizione apostolica Urbi et Orbi. Migliaia le persone giunte da ogni luogo del Pianeta, tante le famiglie e i bambini, raccolte in Piazza S. Pietro, in questa assolata domenica romana, per ascoltare - insieme a milioni di fedeli collegati attraverso radio, tv ed internet - la parola del Papa affacciato dalla Loggia esterna alla Basilica di S. Pietro. Il servizio di Roberta Gisotti

“Il Figlio di Maria Vergine è nato per tutti, è il Salvatore di tutti”. 


Il successore di Pietro lo ha ricordato ancora una volta al mondo intero in questo Santo Natale 2011


“A tutti giunga l’eco dell’annuncio di Betlemme, che la Chiesa Cattolica fa risuonare in tutti i continenti, al di là di ogni confine di nazionalità, di lingua e di cultura”. 


“Vieni a salvarci! Ha invocato Benedetto XVI 

“Questo è il grido dell’uomo di ogni tempo, che sente di non farcela da solo a superare difficoltà e pericoli. Ha bisogno di mettere la sua mano in una mano più grande e più forte, una mano che dall’alto si tenda verso di lui”.


“Questa mano - ha spiegato il Papa - è Gesù”

“Lui è la mano che Dio ha teso all’umanità, per farla uscire dalle sabbie mobili del peccato e metterla in piedi sulla roccia, la salda roccia della sua Verità e del suo Amore.”

Gesù – ha aggiunto Benedetto XVI - è stato inviato dal Padre “per salvarci soprattutto dal male profondo, radicato nell’uomo e nella storia”:

quel male che è la separazione da Dio, l’orgoglio presuntuoso di fare da sé, di mettersi in concorrenza con Dio e sostituirsi a Lui, di decidere che cosa è bene e che cosa è male, di essere il padrone della vita e della morte


“Questo è il grande male, il grande peccato”, da cui gli uomini non possono salvarsi se non affidandosi all’aiuto di Dio. E questa consapevolezza “ci pone già – ha osservato il Papa - nella giusta condizione, ci mette nella verità di noi stessi”:

“Lui è il medico, noi i malati. Riconoscerlo, è il primo passo verso la salvezza, verso l’uscita dal labirinto in cui noi stessi ci chiudiamo con il nostro orgoglio”.

Non ha certo dimenticato il Papa chi soffre in ogni angolo del Pianeta


“Vieni a salvarci! Lo ripetiamo in unione spirituale con tante persone che vivono situazioni particolarmente difficili, e facendoci voce di chi non ha voce”. 

Il pensiero di Benedetto XVI è corso alle popolazioni del Corno D’africa, afflitte da fame e da insicurezza sociale e ai tanti profughi “provati nella dignità” di questa regione perché la comunità internazionale li aiuti; quindi agli abitanti del Sud est asiatico, specie della Thailandia e dalle Filippine colpiti da recenti inondazioni; e all’umanità ferita dai tanti conflitti che insanguinano il Pianeta; il Papa ha incoraggiato la ripresa del dialogo tra Israeliani e Palestinesi, ha invocato la fine delle violenze in Siria, “la piena riconciliazione e la stabilità” in Iraq e Afghanistan, auspicato “rinnovato vigore” per edificare il “bene comune” nei Paesi nord africani e mediorientali, e ancora “prospettive di dialogo e collaborazione” nel Myanmar ,“stabilità politica” nei Paesi nella regione africana dei Grandi Laghi e “tutela dei diritti di tutti i cittadini" nel Sud Sudan

Quindi l’invito a rivolgere “lo sguardo alla Grotta di Betlemme:” 

“Lui ha portato al mondo un messaggio universale di riconciliazione e di pace. Apriamogli il nostro cuore, accogliamolo nella nostra vita”. 

Poi gli auguri del Papa in ben 65 lingue, a partire da quelli rivolti ai romani e agli italiani perché la nascita di Cristo e l’accoglienza del Vangelo “rinnovino i cuori dei credenti, portino pace nelle famiglie, consolazione ai sofferenti.” 


“e aiutino gli abitanti dell’intero Paese a crescere nella reciproca fiducia per costruire insieme un futuro di speranza, più fraterno e solidale”.

E per chiudere l’invocazione in latino 

“Veni ad salvandum nos”


Infine la benedizione apostolica Urbi et Orbi ed il saluto caloroso della folla dei fedeli in Piazza S. Pietro Benedetto XVI


(ovazione dei fedeli in Piazza San Pietro)
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sabato 24 dicembre 2011

Il Papa presiede la Messa della Notte di Natale: preghiera per la pace nel mondo e la solidarietà con i poveri

Da: Radio Vaticana


La Chiesa si appresta a celebrare la Solennità del Natale del Signore. Benedetto XVI presiederà, stasera alle 22, nella Basilica Vaticana la Santa Messa della Notte. Domani, alle 12, dalla Loggia Centrale della Basilica di San Pietro, il Papa rivolgerà il tradizionale Messaggio natalizio e impartirà la Benedizione Urbi et Orbi cui è legata l’indulgenza plenaria. I due eventi saranno seguiti in mondovisione. Il servizio di Sergio Centofanti:

E’ il settimo Natale di Benedetto XVI: e anche quest’anno, durante la Messa della Notte, si leverà la preghiera per la pace in tutto il mondo, per la giustizia e la solidarietà con i più poveri e i piccoli della terra. Dio stesso si è fatto piccolo – ha detto il Papa nelle sue omelie per la Veglia di Natale – per non “sopraffarci con la forza. Ci toglie la paura della sua grandezza”, chiede solo il nostro amore:

“Dio è così grande che può farsi piccolo. Dio è così potente che può farsi inerme e venirci incontro come bimbo indifeso, affinché noi possiamo amarlo. Dio è così buono da rinunciare al suo splendore divino e discendere nella stalla, affinché noi possiamo trovarlo e perché così la sua bontà tocchi anche noi, si comunichi a noi e continui ad operare per nostro tramite”. (24 dicembre 2005)

Davanti al Dio che si fa piccolo – afferma il Papa – i dotti sono confusi. I semplici invece comprendono, come i pastori di Betlemme: questi sono in attesa che la luce indichi loro la via:

“È questo che a Dio interessa. Dio ama tutti perché tutti sono creature sue. Ma alcune persone hanno chiuso la loro anima; il suo amore non trova presso di loro nessun accesso. Essi credono di non aver bisogno di Dio; non lo vogliono. Altri che forse moralmente sono ugualmente miseri e peccatori, almeno soffrono di questo. Essi attendono Dio. Sanno di aver bisogno della sua bontà, anche se non ne hanno un’idea precisa. Nel loro animo aperto all’attesa la luce di Dio può entrare, e con essa la sua pace. Dio cerca persone che portino e comunichino la sua pace. Chiediamogli di far sì che non trovi chiuso il nostro cuore”. (24 dicembre 2005)

Tutti aspirano a Dio, nel loro cuore, anelano all’infinito, alla bellezza, alla gioia:

“In qualche modo l’umanità attende Dio, la sua vicinanza. Ma quando arriva il momento, non ha posto per Lui. È tanto occupata con se stessa, ha bisogno di tutto lo spazio e di tutto il tempo in modo così esigente per le proprie cose, che non rimane nulla per l’altro – per il prossimo, per il povero, per Dio. E quanto più gli uomini diventano ricchi, tanto più riempiono tutto con se stessi. Tanto meno può entrare l’altro”. (24 dicembre 2007)

E anche quanti credono in Dio, nella quotidianità, ritengono di essere così pieni di cose da fare da non aver tempo per Lui, e lo mettono all’ultimo posto. I pastori di Betlemme, invece, con la loro fretta di vedere il Bambino Gesù, ci insegnano qualcosa di diverso: 

"Dio è importante, la realtà più importante in assoluto nella nostra vita. Proprio questa priorità ci insegnano i pastori. Da loro vogliamo imparare a non lasciarci schiacciare da tutte le cose urgenti della vita quotidiana. Da loro vogliamo apprendere la libertà interiore di mettere in secondo piano altre occupazioni – per quanto importanti esse siano – per avviarci verso Dio, per lasciarlo entrare nella nostra vita e nel nostro tempo. Il tempo impegnato per Dio e, a partire da Lui, per il prossimo non è mai tempo perso. È il tempo in cui viviamo veramente, in cui viviamo lo stesso essere persone umane". (24 dicembre 2009)

“Aprire il tempo per Dio” – sottolinea il Papa – significa aprirlo anche per i fratelli. Così il Natale diventa una vera festa, in cui la gioia dello scambio dei doni assume un senso del tutto nuovo:

“Quando tu per Natale fai dei regali, non regalare qualcosa solo a quelli che, a loro volta, ti fanno regali, ma dona a coloro che non ricevono da nessuno e che non possono darti niente in cambio. Così ha agito Dio stesso: Egli ci invita al suo banchetto di nozze che non possiamo ricambiare, che possiamo solo con gioia ricevere. Imitiamolo! Amiamo Dio e, a partire da Lui, anche l’uomo, per riscoprire poi, a partire dagli uomini, Dio in modo nuovo!” (24 dicembre 2006)
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venerdì 23 dicembre 2011

Mons. Giordano: europei malati di solitudine, hanno bisogno di scoprirsi fratelli, figli dello stesso Padre

Da: Radio Vaticana

La crisi economica dell’Europa, ha detto oggi il Papa nel discorso alla Curia Romana, è innanzitutto una crisi etica e di fede. Un tema, questo, più volte richiamato da Benedetto XVI, fin da quando era cardinale, e su cui si sofferma mons. Aldo Giordano, osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa. L’intervista è di Alessandro Gisotti:

R. – Il Papa vede con molta lucidità la situazione europea perché la mancanza che più notiamo è la mancanza di un’idea, la mancanza di un senso, di una visione, di una fede. Siamo sempre più coscienti che una civiltà non può vivere a lungo senza un fondamento, senza una fede che la sostenga, le dia l’anima e le indichi il cammino.

D. – Il Papa ha messo l’accento sulla stanchezza del credere in Europa rispetto alla gioia della fede dell’Africa sperimentata anche recentemente con il viaggio in Benin. Come è possibile un’inversione di tendenza?

R. - Pensiamo ai primi cristiani. Tra di loro nessuno era bisognoso, hanno trovato la strada per una nuova economia, creavano attrazione per la loro gioia perché avevano scoperto di essere fratelli e avevano scoperto di essere fratelli perché avevano scoperto il Padre: c’era un padre che li univa tutti. Credo che la mancanza di gioia nasca proprio dall’aver dimenticato il Padre e quindi noi non siamo più figli ma ci troviamo soli e la solitudine è molto palpabile per le strade dell’Europa. La via dell’autonomia, la via della solitudine alla fine però non paga perché nessuno potrà rispondere alle vere domande del cuore che abbiamo. Se l’Europa ritrova il Padre e noi ci riscopriamo figli allora possiamo affidare la nostra vita all’Unico che è in grado di rispondere ai desideri del nostro cuore, e che è in grado di vincere la morte.

D. – Nel discorso alla Curia come anche nel Messaggio per la Giornata della pace il Papa sottolinea la spinta positiva che viene dai giovani. Come accogliere questa sfida?

R. – Abbiamo visto in quest’anno come i giovani hanno occupato le piazze, hanno contestato un certo sistema e, quindi, esprimono un’attesa. Abbiamo anche visto a Genova i giovani che hanno spalato il fango per le persone colpite dalle inondazioni. Abbiamo visto i due milioni di giovani a Madrid: lì si è visto come i giovani hanno un cuore universale, sono cattolici in quanto vivono per questa dimensione di fratellanza universale. Dall’altra parte stanno cercando il Padre di cui parlavamo anche nella figura del Papa. Credo che i giovani vadano resi protagonisti e debbano anche trovare un ambiente che possa dire loro che esiste questo Padre e che possono sperimentare la famiglia della Chiesa e anche una società che possa corrispondere ai loro ideali. (bf)
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giovedì 22 dicembre 2011

Il Papa alla Curia: la risposta alla crisi di fede viene dalla gioia delle Gmg, "medicina contro la stanchezza del credere"

Da: Radio Vaticana


“Il nocciolo crisi della Chiesa in Europa è la crisi della fede”. Un antidoto a questa crisi sono le Gmg, vera “medicina contro la stanchezza del credere”. È quanto scaturisce dalla lunga riflessione di Benedetto XVI, offerta questa mattina alla Curia Romana nella tradizionale udienza prenatalizia. Il Papa ha ripercorso le tappe salienti dell’anno, concentrandosi in particolare sul tema della rievangelizzazione del Vecchio continente e individuando nelle Giornate mondiali della gioventù “cinque punti” per ringiovanire, ha detto, il “modo di essere cristiani”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

La differenza, alla fine dei conti, sta in due lettere, quelle che trasformano la noia in gioia. Benedetto XVI ha “fotografato” l’Europa contemporanea, afflitta da quello che ha definito “il tedio dell’essere cristiani”, e l’ha opposta all’Africa – da poco visitata con il viaggio in Benin – dove invece si tocca con mano la “gioia dell’essere cristiani”:

“Da questa gioia nascono anche le energie per servire Cristo nelle situazioni opprimenti di sofferenza umana, per mettersi a sua disposizione, senza ripiegarsi sul proprio benessere. Incontrare questa fede pronta al sacrificio, e proprio in ciò gioiosa, è una grande medicina contro la stanchezza dell’essere cristiani che sperimentiamo in Europa”.
Dunque il Nord ricco è, per le sorti della Chiesa, la parte oggi povera e impoverita rispetto al Sud del mondo. Al punto che il Papa ha creato strutture – come il dicastero per la Nuova evangelizzazione – e indetto periodi speciali, come l’“Anno della fede”, per cercare di invertire la rotta. E se “certamente occorre fare molte cose”, il “fare da solo – ha affermato con realismo – non risolve il problema”:

“Il nocciolo della crisi della Chiesa in Europa – come ho detto a Friburgo – è la crisi della fede. Se ad essa non troviamo una risposta, se la fede non riprende vitalità, diventando una profonda convinzione ed una forza reale grazie all’incontro con Gesù Cristo, tutte le altre riforme rimarranno inefficaci”.
“Come annunciare oggi il Vangelo?”. A questa che è la madre di tutte le domande per la Chiesa di oggi e di domani, Benedetto XVI ha offerto una risposta originale, traendola da un’approfondita disamina in cinque punti di ciò che le Gmg hanno portato in dote in questi decenni e da lui definite “una medicina contro la stanchezza del credere”. Punto primo, in esse si vive “una nuova esperienza della cattolicità, dell’universalità della Chiesa”, dove diversità di provenienze e culture si relativizzano nell’incontro con Cristo e nell’identico modo di celebrarlo:

“La comune liturgia costituisce una sorta di patria del cuore e ci unisce in una grande famiglia. Il fatto che tutti gli esseri umani sono fratelli e sorelle è qui non soltanto un’idea, ma diventa una reale esperienza comune che crea gioia”.

Da questo sentirsi una cosa sola e unita, per Benedetto XVI nasce – punto secondo – un “nuovo modo di vivere l’essere uomini, l’essere cristiani”. E qui, il Papa ha trovato alcune delle parole più incisive quando ha preso a modello quei 20 mila giovani volontari che per settimane o mesi si sono dedicati anima e corpo a organizzare l’ultima Gmg di Madrid:

“Questi giovani avevano offerto nella fede un pezzo di vita, non perché questo era stato comandato e non perché con questo ci si guadagna il cielo; neppure perché così si sfugge al pericolo dell’inferno. Non l’avevano fatto perché volevano essere perfetti (...) Questi giovani hanno fatto del bene – anche se quel fare è stato pesante, anche se ha richiesto sacrifici – semplicemente perché fare il bene è bello, esserci per gli altri è bello. Occorre soltanto osare il salto”.
Giovani che, in una parola, “non guardavano indietro, a se stessi”. Viceversa, ha stigmatizzato, specie per le strade del mondo occidentale i cristiani di oggi si comportano un po’ come la biblica moglie di Lot che, che “guardando indietro, divenne una statua di sale”: 

“Quante volte la vita dei cristiani è caratterizzata dal fatto che guardano soprattutto a se stessi, fanno il bene, per così dire, per se stessi! E quanto è grande la tentazione per tutti gli uomini di essere preoccupati anzitutto di se stessi, di guardare indietro a se stessi, diventando così interiormente vuoti, ‘statue di sale’!”. 
Al terzo punto, il Pontefice ha posto in risalto l’“adorazione” come elemento spirituale delle Gmg, ogni volta teatro di un “intenso silenzio” davanti al Sacramento dell’Ostia, nonostante le folle sterminate o gli avversi elementi atmosferici come accaduto a Madrid. E assieme all’Eucarestia – quarto punto – a spiccare in questi grandi raduni giovanili la presenza del “Sacramento della Penitenza”, vissuto con quella “naturalezza” che altrove spesso manca. Il quinto punto si ricollega a ciò che Benedetto XVI aveva rilevato all’inizio, è cioè che la crisi economico-finanziaria che oggi minaccia l’Europa è anzitutto una “crisi etica”. Crisi che toglie quella “forza motivante” per cui diventa responsabile fare sacrifici, soprattutto pensando ai poveri. A questa crisi risponde il quinto requisito delle Gmg, la gioia, come risposta al “dubbio riguardo a Dio” che tanti nutrono e che inevitabilmente diventa un dubbio sull’uomo:
“Vediamo oggi come questo dubbio si diffonde. Lo vediamo nella mancanza di gioia, nella tristezza interiore che si può leggere su tanti volti umani. Solo la fede mi dà la certezza: è bene che io ci sia. È bene esistere come persona umana, anche in tempi difficili. La fede rende lieti a partire dal di dentro. È questa una delle esperienze meravigliose delle Giornate Mondiali della Gioventù”.
Il Papa – che in precedenza aveva elencato i viaggi internazioni e italiani compiuti nel 2011 – ha poi concluso con un pensiero particolare riguardo al recente incontro interreligioso di Assisi. “Abbiamo potuto incontrarci quel giorno – ha osservato – in un clima di amicizia e di rispetto reciproco, nell’amore per la verità e nella comune responsabilità per la pace”. Possiamo quindi sperare che da questo incontro sia nata una nuova disponibilità a servire la pace, la riconciliazione e la giustizia”.
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mercoledì 21 dicembre 2011

Inchiesta su San Giuseppe

Ci apprestiamo a rivivere il mistero della nascita di Gesù e molti di noi hanno già da tempo posto le loro forze nel riviverlo attraverso il presepe tradizionale. Conosciamo bene i personaggi principali, quelli che inseriamo all'interno della grotta tradizionale: San Giuseppe, Maria di Nazareth e (tradizionalmente alla mezzanotte di Natale) Gesù bambino. Di questi personaggi, il meno conosciuto, dal punto di vista della sua storia umana, è sicuramente San Giuseppe, sposo di Maria e padre adottivo di Gesù.
Per saperne di più ZENIT ha intervistato il reverendo Professore don Salvatore Vitiello Coordinatore del Master in Architettura, arti sacre e Liturgia dell’Università Europea di Roma e del Pontificio Ateneo Regina Apostolorum:


Chi era San Giuseppe?

Don Vitiello: Era anzitutto un uomo autentico, che ha saputo vivere, con intelligenza, fede e totale dedizione, le circostanze nelle quali Dio lo aveva posto, riconoscendovi la Presenza stessa del Mistero. Era un pio ebreo osservante, in profonda attesa, quindi, dell’adempimento delle promesse di Dio per il Suo popolo. Ci parlano di lui anzitutto i santi Evangelisti Luca e Matteo, quando raccontano degli inizi della nostra Salvezza, dell’Annuncio dell’angelo a Maria di Nazareth, «una vergine promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe», che sarebbe diventata Madre dell’Altissimo. La casa di Davide (cfr. Lc 1,27) era la discendenza genealogica, dalla quale, secondo le profezie veterotestamentarie, Dio avrebbe suscitato il Re, che avrebbe liberato il popolo di Israele. La vicenda di San Giuseppe, la sua santità, l’attualità della sua intercessione e del suo modello per noi oggi, ed il suo patrocinio nei confronti della Chiesa universale iniziano, per provvidenziale Volontà divina, dal legame “sponsale” con Maria. Accogliendo Maria, il Disegno di Dio su di Lei veniva ad attirare e coinvolgere anche tutta la sua vita. Anzi, egli fu addirittura chiamato a “cooperare”, in un modo unico e straordinario, con la stessa Opera della Salvezza, prendendo con sé Maria quale sua sposa e divenendo, quindi, il padre “legale” di Gesù. Infatti, all’inizio della manifestazione pubblica del Signore Gesù, la prima reazione di scettico stupore da parte degli abitanti di Nazareth fu quella di domandare: «Non è Egli forse il figlio del falegname?» (cfr. Mt 13,55).

Che cosa lo ha convinto ad accettare Maria già incinta?

Don Vitiello: Il comprendere, per divina rivelazione, che questa accettazione avrebbe coinciso con l’aderire alla Volontà stessa di Dio per lui: accogliere quella giovane israelita, ch’Egli amava profondamente, con il suo Bambino, significava, per Giuseppe, accogliere l’ingresso di Dio nella storia e nella sua stessa vita. Era cominciato, con il concepimento di Gesù nel grembo immacolato della Vergine e con la speciale Vocazione di Giuseppe, il nuovo “metodo” di Dio: l’Altissimo, Creatore dell’universo e Signore di Israele, Colui del quale non si poteva pronunciare il Nome, né produrre alcuna raffigurazione, l’assolutamente Altro si rivelava, ora, attraverso un punto preciso, un volto, quello del Bambino che Maria aveva concepito, quello del Bambino che aveva gli stessi lineamenti di Maria. Tutto ciò che aveva a che fare con questa Donna ed il suo Bambino, avrebbe avuto a che fare con Dio stesso. San Giuseppe lo aveva compreso: dopo l’iniziale difficoltà di prendere posizione di fronte a quell’avvenimento – difficoltà nella quale egli mostrò tutta la propria “giustizia” (cfr. Mt 1,19), decidendo di non ripudiare Maria, ma solo di licenziarla nel segreto, per non esporla alla lapidazione prevista dalle leggi giudaiche – egli ricevette l’annuncio dell’angelo che lo chiamava a prendere con sé la sua sposa e a divenire padre di Colui che era stato generato per opera dello Spirito Santo. Da quel momento, egli si è dedicato senza riserva alcuna al servizio umile, silenzioso e pieno d’amore, della sua nuova Famiglia, la Famiglia di Dio.

Come ha fatto a svolgere il ruolo di padre di Gesù pur sapendo che era il Figlio di Dio?

Don Vitiello: Il personale rapporto tra Cristo e San Giuseppe, così come si è sviluppato quotidianamente e soprattutto negli anni della “vita nascosta” del Signore a Nazareth, costituisce per noi un delicatissimo e straordinario mistero. Sappiamo, come la Chiesa stessa ci tramanda nelle Sacre Scritture, che «Colui dal quale prende nome ogni paternità nei cieli e sulla terra» (Ef 3,15) chiamò Giuseppe a divenire, in terra, padre di Gesù, il Figlio eterno fatto uomo. Sappiamo che egli accettò, senza riserve e in totale obbedienza, questa altissima missione, che, come diceva il Santo Padre Pio XI, si è collocata «raccolta, silenziosa, inosservata e sconosciuta, […] nell’umiltà e nel servizio» tra le due missioni di Giovanni Battista e di San Pietro (cfr. Pio XI, Omelia nella Solennità di San Giuseppe, 19 marzo 1928). Conosciamo, poi, gli avvenimenti che si succedettero fino al ritorno a Nazareth dall’Egitto, dove aveva condotto la sacra Famiglia per fuggire la furia omicida del re Erode, e fino al ritrovamento di Gesù dodicenne tra i dottori del Tempio. Circa la paternità di San Giuseppe e la figliolanza di Gesù, però, esiste come un mistero – il mistero dell’intimo rapporto tra Cristo e Giuseppe –, del quale ci è dato di intravedere qualcosa proprio in occasione del ritrovamento di Gesù al Tempio. Scrive San Luca che, trovatoLo, la Madre Gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48). Le parole di Maria ci rivelano l’“angoscia” di San Giuseppe, il profondo amore, cioè, che egli portava a Gesù ed anche come non si trovasse da solo a compiere la missione ricevuta, ma ne condividesse – potremmo dire – ogni “dettaglio”, con la stessa Beata Vergine Maria, avendo dinanzi agli occhi il continuo e lieto “sì” di Lei alla Volontà di Dio, imparando da Lei a riconoscere nel figlio, con commosso stupore, il Mistero Presente. Sempre nello stesso brano di Vangelo, si dice che Gesù «partì dunque con loro e tornò a Nazareth e stava loro sottomesso» (Lc 2,51). Il Figlio di Dio, nascendo dalla Vergine, si era spogliato della gloria divina per assumere la nostra condizione umana, per abbassarsi fino a “mendicare” il nostro amore e la nostra accoglienza, che erano l’amore e l’accoglienza di Maria e Giuseppe di Nazareth. L’Amore stesso mendicava di essere amato e si affidava totalmente alle cure di San Giuseppe, così che crediamo sia stato, pur nella coscienza orante della propria responsabilità, straordinariamente piacevole potersi prendere cura del Dio-Bambino, tanto che nella tradizionale preghiera a San Giuseppe recitiamo: «O felicem virum, beatum Ioseph – o uomo felice, beato Giuseppe, al quale è stato concesso non solo di vedere Colui che molti re desiderarono vedere e non videro, udire e non udirono, ma anche di abbracciarLo, baciarLo, vestirLo e custodirLo!».

La figura di San Giuseppe sembra oggi un po’ banalizzata e relativizzata. Quali sono gli argomenti che Lei solleverebbe per approfondire e spiegare la grandezza e le virtù di San Giuseppe? Quali le ragioni della devozione di San Giuseppe nella storia?

Don Vitiello: Il Mistero stesso dell’Incarnazione! Si può banalizzare e relativizzare la straordinaria figura di Giuseppe, infatti, solo banalizzando e relativizzando anche la misteriosa e commovente condiscendenza di Cristo Gesù, che – come scrive l’Apostolo – «pur essendo di natura divina, […] spogliò Se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini» (Fil 2,6). San Giuseppe è stato coinvolto, in modo tutto “divino”, cioè con quel rispetto assoluto, che Dio ha per l’intelligenza e la libertà umane, nel Mistero stesso della nostra Salvezza. Se Dio ha scelto per il Suo Figlio un “padre” terreno, questi è anche un padre per noi, in questo pellegrinaggio verso il Cielo. Nell’Umanità perfetta di Cristo, infatti, tutti noi battezzati veniamo accolti, incorporati, con un legame di identificazione che è quasi biologico, per essere resi partecipi della stessa Vita divina, divenendo così – come la Tradizione ci insegna – “membra vive” del Corpo Mistico. Ora, tra queste membra vive, un posto del tutto speciale spetta alla Beata Vergine Maria e a San Giuseppe, poiché coloro che hanno svolto, nella vita terrena, la propria missione nei confronti del Capo, continuano in cielo la stessa missione nei confronti di tutto il Corpo, che è la Chiesa. Così a San Giuseppe possiamo affidarci perché ci custodisca dai pericoli, come fece con la sacra Famiglia, Chiesa nascente; a lui possiamo domandare una specialissima intercessione, poiché – come diceva Papa Pio XI – tale intercessione «non può che essere onnipotente, poiché che cosa potrebbero Gesù e Maria rifiutare a Giuseppe che consacrò a loro tutta la sua vita e al quale devono realmente i mezzi della loro esistenza terrena?»; a lui possiamo domandare luce e consiglio, poiché egli per primo è stato un uomo in totale ed assiduo ascolto della Volontà di Dio, che vedeva concretarsi in quella Presenza eccezionale, ed era tutto disponibile ad acconsentirvi, con una disponibilità simile a quella di Maria stessa. Nel suo operare umile e nascosto, inoltre, riconosciamo il primato della vita interiore, di quell’operare cioè alla Presenza del Mistero, pago soltanto di piacere a Dio. Nel suo compiere, «come per il Signore» (Col 3,23) – direbbe l’Apostolo –, ogni sorta di lavoro e di servizio, intravvediamo la novità della Presenza umana di Dio, della vita in Cristo: ogni gesto, compiuto per Lui ed alla Sua Presenza, ottiene un valore eterno, definitivo, che dà alla vita un gusto unico, mai sperimentato prima! In Lui e nella sua totale dedizione alla Beata Vergine Maria, dedizione che era all’unisono con il “Fiat” della Vergine, infine, contempliamo l’esemplarità dello sposo, che accoglie e condivide la vita stessa della sposa, secondo il destino eterno di Lei, destino che per Maria e per Giuseppe – e ora per tutti noi – aveva lo stesso volto di Gesù. E sempre in questo specialissimo rapporto, contempliamo la luminosa purezza della castità, nella quale San Giuseppe visse e servì il Signore tutta la vita, pur segnato, a differenza di Maria, dal peccato delle origini, e splendendo così maestro nell’agone spirituale cui tutti siamo chiamati. Tale castità, rappresentata da un giglio bianco, nell’iconografia cristiana, ne costituisce la stessa identità! In lui, ancora, contempliamo l’esemplarità paterna, che si pone al servizio della missione stessa del Figlio, capace di ogni sacrificio, guardando a Cristo come al Tesoro che egli non possiede egoisticamente, ma che gli è affidato, insieme a Maria, in quel grande e reciproco possesso dell’amore. In San Giuseppe infine, contempliamo la specialissima grazia di essere stato accompagnato, nel momento del trapasso, dallo stesso Signore, quale figlio amorosissimo, e dalla Beata Vergine Maria, quale sposa; così che tutti ci rivolgiamo a lui, quale “Patrono della buona morte”. In questa straordinaria e multiforme appartenenza a San Giuseppe, che è poi la stessa “comunione dei santi”, risiede la ragione della profonda devozione che il Popolo cristiano ha sempre nutrito per San Giuseppe, secondo lo spirito di familiarità che unisce tutti coloro che entrano in comunione con Cristo. Tale devozione, poi, fu la devozione di tutta la Chiesa, anche nella più alta espressione magisteriale, che vede due splendidi esempi nella proclamazione, da parte del Beato Pio IX, nel 1870, di San Giuseppe quale Patrono della Chiesa universale e nella Esortazione Apostolica Redemptoris Custos del Beato Giovanni Paolo II.

In che modo San Giuseppe entra nel progetto di rivelazione di Dio?

Don Vitiello: Nel modo della cooperazione. A questo personale coinvolgimento con l’Opera di Salvezza – che nella Chiesa si chiama “Vocazione” – tutti siamo chiamati, nel modo e nella forma che Cristo sceglie per ciascuno. Dio non ha bisogno della nostra cooperazione, ma sceglie di non poterne fare a meno, proprio nel Mistero di Betlemme. Egli vuole salvarci, ma vuole farlo non saltando la nostra umanità e intelligenza, non operando al posto nostro, ma nel modo che più esalta la nostra dignità, cioè legando il Suo agire al nostro intelligente e libero “sì”. Così è stato per San Giuseppe, chiamato a collaborare in modo libero, ma essenziale all’Incarnazione del Verbo. Così che della nostra Salvezza, l’universo rende grazie a Cristo Signore, e a Maria, Madre della Chiesa, e a San Giuseppe, suo castissimo sposo e nostro Patrono.

Tratto da Zenit
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martedì 20 dicembre 2011

Il Natale dei cristiani detenuti nel carcere di Faisalabad

Pubblichiamo oggi un nuovo comunicato di ACS - Aiuto alla Chiesa che soffre* il quale si sofferma sul Natale dei cristiani detenuti nella prigione centrale di Faisalabad. Il testo contiene dichiarazioni del responsabile della pastorale carceraria, padre Iftikhar Moon:

Aiuto alla Chiesa che Soffre
Fondazione di Diritto Pontificio

IL NATALE DEI CRISTIANI DETENUTI NEL CARCERE DI FAISALABAD

Vivere in una prigione pachistana è una vera punizione: le torture sono all’ordine del giorno e le condizioni di vita terribili. Ogni lavandino è utilizzato da più di cento persone e le celle sono strette e sovraffollate. Alcuni detenuti muoiono per dei semplici colpi di calore o per insufficienza cardiaca: settantadue nel solo 2010. E per i cristiani, già svantaggiati e oppressi in libertà, la situazione è davvero insostenibile.

Grazie al frate domenicano Iftikhar Moon e ai suoi confratelli, anche questo Natale i detenuti di Faisalabad trascorreranno un momento di gioia. Semplici stelle e ghirlande di carta colorata doneranno luce alle grigie mura, restituendo per qualche giorno l’atmosfera natalizia. E in una piccola stanza sarà celebrata la Santa Messa, officiata lo scorso anno dal vescovo della città, monsignor Joseph Coutts. Dopo la funzione saranno distribuiti dei piccoli regali - per lo più cibo, coperte e medicine – e i secondini musulmani riceveranno in dono biscotti e limonata.

«Purtroppo non tutti gli agenti sono brave persone - racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre padre Iftikhar, responsabile della pastorale carceraria – e tra i sorveglianti c’è chi pretende soldi per consentire le visite ai detenuti cristiani». Chi non può permettersi di «corrompere» i secondini è costretto a passare la prigionia senza vedere i propri cari, osservando i compagni di cella musulmani ricevere l’affetto dei familiari. «E pensare che la maggior parte di loro è in carcere proprio perché non ha i mezzi per pagare l’ammenda stabilita dal giudice».

ACS sostiene l’opera del frate domenicano che visita regolarmente tutti i detenuti della prigione centrale di Faisalabad. La struttura ospita circa 5mila persone - tra cui un centinaio di cristiani - arrestate in maggioranza per crimini legati alla droga o al traffico illegale di alcolici. Vi sono anche dei condannati a morte, generalmente costretti a condividere in sei o in sette un’angusta cella. «Appena entro il secondino chiude immediatamente la porta di ferro dietro di me» dice padre Iftikhar che negli anni ha incontrato numerosi assassini. «Mi ricordo un killer professionista. Non sapeva neanche lui quanti uomini aveva ucciso, ma davanti a me si è pentito e ha chiesto perdono a Dio». Ovviamente non tutti si ravvedono e ad ACS il religioso esprime preoccupazione per la presenza di bande criminali intramurarie. Altri detenuti, invece, portano avanti gli ‘affari’ ordinando via telefono perfino degli omicidi.
Con l’arresto del capo famiglia, moglie e figli non hanno spesso di che vivere. Una problematica ben presente ad Aiuto alla Chiesa che Soffre che nel luglio scorso ha stanziato 20mila euro per le famiglie dei cristiani pachistani accusati ingiustamente di blasfemia e vittime d’intimidazioni, rapimenti, conversioni e matrimoni forzati. La Fondazione di diritto pontificio sostiene inoltre la Commissione Nazionale di Giustizia e Pace, che fornisce assistenza legale gratuita ai detenuti, e la pastorale carceraria.
Recentemente - in seguito ad un tentativo di evasione - la prigione di Faisalabad ha rafforzato le misure di sicurezza, consentendo le visite di padre Iftikhar solo durante le festività. «Ho provato a convincere il direttore – si rammarica il religioso – ma senza alcun risultato. Ma, almeno a Natale, riusciremo a portare Gesù Bambino ai fedeli in carcere».


“Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS), Fondazione di diritto pontificio fondata nel 1947 da padre Werenfried van Straaten, si contraddistingue come l’unica organizzazione che realizza progetti per sostenere la pastorale della Chiesa laddove essa è perseguitata o priva di mezzi per adempiere la sua missione. Nel 2010 ha raccolto oltre 65 milioni di dollari nei 17 Paesi dove è presente con Sedi Nazionali e ha realizzato oltre 5.500 progetti in 153 nazioni.  
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