giovedì 15 dicembre 2011

“Non sempre gli Stati forniscono i dati sulle persecuzioni religiose”

Pubblichiamo oggi un’intervista al prof. Massimo Introvigne realizzata da ACS-Aiuto alla Chiesa che Soffre e pubblicata da Vatican Insider. L’intervista contiene interessanti dichiarazioni su un tema da noi più volte toccato e cioè quello della libertà religiosa e dei crimini contro i cristiani; tali dichiarazioni sono state rilasciate dal rappresentante OSCE dopo la partecipazione all’incontro internazionale organizzato dal Patriarcato di Mosca e finanziato in parte da ACS:

«L’intolleranza e la discriminazione sono i primi due stadi di un piano inclinato che porta alla persecuzione». Prendendo spunto dal convegno organizzato nei giorni scorsi dal Patriarcato di Mosca, finanziato anche dalla Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre, il professor Massimo Introvigne - fondatore e direttore del Cesnur (Centro Studi sulle Nuove Religioni) e rappresentante OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa) per i crimini contro i cristiani - ha parlato con ACS-Italia di cristianofobia e libertà religiosa. Con una particolare attenzione alla raccolta dei dati sui crimini d’odio - «cui gli Stati non sempre partecipano» - e all’importanza di «non tacere». Perché se le vittime sono «simpatiche per definizione», troppo spesso ci si riferisce ai persecutori con eufemismi o metafore. «Tanto che a volte sembra quasi che i cristiani si perseguitino da soli».

Professor Introvigne, nei giorni scorsi si è parlato di libertà religiosa e crimini contro i cristiani in due importanti incontri internazionali a Mosca e Istanbul. E altri eventi sono stati organizzati in occasione dell’annuale riunione dei 56 Ministri degli Esteri dell’OSCE in Lituania. Quanto è importante l’informazione in materia di crimini contro i cristiani?

Gli avvenimenti citati - tra cui alcuni colloqui con esponenti della società civile dei Paesi interessati dalle cosiddette “primavere arabe” - ci hanno permesso d’individuare nell’informazione uno dei problemi centrali nella lotta alle discriminazioni e alla persecuzione dei cristiani. Ovunque si ascoltano volentieri le storie delle vittime e si esprime loro simpatia, spesso con sincera commozione. Le vittime sono per definizione simpatiche. Ma c'è molta più reticenza a identificare chiaramente i persecutori, chiamandoli con il loro nome e cognome. Spesso si tratta di partner economici o di Paesi potenti sotto il profilo politico o militare, che non si vogliono scontentare. E si ricorre a eufemismi e metafore che sovente lasciano perfino l'impressione che i cristiani si perseguitino da soli.

Nel suo intervento all’incontro moscovita lei ha detto che se continua a tacere l'Europa rischia un “naufragio morale e spirituale, più dannoso perfino della crisi economica”. Come si può evitare?

Ho preso spunto dalla mostra sulla pittura italiana dell'Ottocento in corso all'Hermitage di San Pietroburgo, facendo notare uno dei temi passati nel XIX secolo dalla pittura italiana a quella russa: il naufragio. Se continua a tacere sulla persecuzione dei cristiani per timore di offendere i persecutori - che magari appunto ci forniscono petrolio o acquistano i nostri buoni del tesoro - l'Europa rischia in effetti un naufragio morale. Ci sono molte iniziative che possono essere prese sul piano diplomatico, ma la prima deve essere non tacere e fornire informazioni attendibili.

Nella due giorni russa è emersa infatti la necessità di un centro di monitoraggio e raccolta dati delle discriminazioni contro i cristiani a cui collaborerebbero attivamente le istituzioni ecclesiastiche.

Per la raccolta dei dati sui crimini di odio, anche contro i cristiani, l’OSCE ha già un suo meccanismo, che funziona bene quando gli Stati partecipanti inviano regolarmente i dati. Ma non tutti lo fanno, purtroppo. Poi ci sono anche delle iniziative non governative che offrono cifre continuamente aggiornate e molto attendibili e che vanno certamente valorizzate. Da questo punto di vista mi pare che vada sottolineato il rilevante contributo di Aiuto alla Chiesa che Soffre, in particolare con i suoi periodici rapporti sulla libertà religiosa nel mondo.

Il patriarca Kirill ha auspicato anche l’istituzione di un meccanismo completo ed efficace per la protezione delle comunità cristiane e dei cristiani, attraverso la creazione di un organo consultivo presso le Nazioni Unite. Quali ritiene debbano essere le funzioni dell’organismo?

Ho potuto discutere del possibile organo consultivo con i rappresentanti del Patriarcato di Mosca. Devo precisare che l’idea incontra qualche resistenza da parte dell’ONU, che preferirebbe dirottarne la competenza all’UNESCO. Secondo il primate della Chiesa russa dovrebbe trattarsi di un organo di coordinamento e vigilanza capace di convogliare, non solo la voce dei cristiani, ma anche quella di tutte le vittime di discriminazioni e persecuzioni religiose. Chiaramente – e il problema è ben presente al Patriarcato – è necessario evitare ogni relativismo. Non deve trattarsi di un “ONU delle religioni”, ma di un organismo focalizzato su discriminazioni e persecuzioni religiose e sui modi giuridici e diplomatici per prevenirle e combatterle.

Quest’anno lei è stato nominato rappresentante OSCE per la lotta all’intolleranza e alla discriminazione nei confronti dei cristiani. La sua presenza e quella dei due rappresentanti contro l’antisemitismo, il rabbino Andrew Baker, e l’islamofobia, il senatore Adil Akhmetov, dimostrano l’attenzione del presidente Ažubalis al tema della libertà religiosa. Come valuta quanto fatto nel 2011?

Secondo monsignor Dominique Mamberti – segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati - quest’anno l’OSCE ha ottenuto «risultati eccellenti» nella lotta contro le persecuzioni dei cristiani. E nonostante l’attenzione mondiale si sia limitata alle schermaglie fra Hillary Clinton e il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov sulle irregolarità delle elezioni in Russia, nel corso delle iniziative dell’OSCE a Vilnius non sono mancati interessanti riferimenti alla libertà religiosa. In quell’occasione il Segretario di Stato americano ha chiesto ai governi eletti nel post “primavera araba” di rispettare le minoranze religiose. Io stesso ho rilevato più volte che in Nordafrica i cristiani non si accontentano della semplice tolleranza. E ritengo sia urgente, in seguito alle rivolte, proteggere anche i luoghi di culto, specie quelli delle minoranze. Può sembrare un obiettivo di secondaria importanza, ma non è così. E numerosi Paesi dell'area OSCE sostengono l'idea di una convenzione internazionale per la protezione degli edifici di culto e dei cimiteri. Perché chi distrugge le chiese vuole uccidere l'anima delle comunità cristiane, e chi cerca di uccidere l'anima non avrà rispetto neppure per il corpo e la vita dei cristiani.

A Mosca il metropolita Hilarion - rappresentante della Chiesa ortodossa russa presso le Istituzioni Europee – ha annoverato il rifiuto dell’Europa della propria identità cristiana tra le cause della persecuzione dei cristiani e criticato lo “spirito di correttezza” di alcuni politici europei concentratisi più sull’inammissibilità di antisemitismo e islamofobia, che sulle discriminazioni dei cristiani. Lei è d’accordo?

Benché nessuno voglia mettere sullo stesso piano i massacri in Egitto o in Pakistan ed episodi europei in cui le Chiese cristiane sono ridicolizzate o marginalizzate, in Europa ci sono casi sempre più frequenti d'intolleranza e di discriminazione contro i cristiani. Un punto su cui hanno particolarmente insistito tanto il patriarca Kirill quanto il metropolita Hilarion, il quale ha ricordato il tentativo di escludere il crocifisso dalle aule scolastiche italiane. Non mi sembra prudente contrapporre la lotta all’antisemitismo e all’intolleranza e discriminazione contro i musulmani a quella per i diritti dei cristiani. E l’OSCE, attraverso noi tre rappresentanti, cerca di mostrare visivamente che queste tre lotte hanno eguale importanza anche da un punto di vista politico-diplomatico.

Quali sono le forme di discriminazione nel mondo occidentale?

Come ha ricordato durante l’incontro moscovita monsignor Erwin Josef Ender, il Papa ha fatto sua l’espressione «cristianofobia» coniata dal giurista ebreo statunitense Joseph Weiler, proprio a proposito dell’Occidente. Benedetto XVI ha più volte rilevato come «spostando il nostro sguardo dall’Oriente all’Occidente» ci si trova di fronte ad altri tipi di minacce contro il pieno esercizio della libertà religiosa. Vi sono Paesi in cui è dato grande rilievo al pluralismo e alla tolleranza, in cui però la religione subisce una crescente emarginazione ed è considerata un fattore estraneo alla società moderna o addirittura destabilizzante. Come per le limitazioni alle obiezioni di coscienza in materia di aborto, si arriva a pretendere che i cristiani agiscano in contraddizione con le loro convinzioni religiose e morali. La «cristianofobia» è altresì manifestata dalle minacce alla libertà di educazione e dall’avversione amministrativa alle scuole cristiane. Ad esempio nei Paesi europei in cui è imposta la partecipazione a corsi di educazione sessuale o civile che trasmettono concezioni della persona e della vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un’antropologia contraria alla fede e alla retta ragione.

L'intolleranza è un fatto culturale e la discriminazione un dato giuridico. Ma sono i primi due stadi di un itinerario che corre su un piano inclinato e che, se non è fermato in tempo, arriva fatalmente alla terza tappa della violenza e della persecuzione.

* Ufficio Stampa AcS, Aiuto alla Chiesa che Soffre
Digg Google Bookmarks reddit Mixx StumbleUpon Technorati Yahoo! Buzz DesignFloat Delicious BlinkList Furl

0 commenti: on "“Non sempre gli Stati forniscono i dati sulle persecuzioni religiose”"

Posta un commento