domenica 31 luglio 2011

Papa Benedetto XVI risponde... a Peter Seewald

Oggi, dietro segnalazione della nostra cara Enza, vi rendiamo noti alcuni spunti di dialogo tratti dal libro-intervista "Luce del mondo", di Peter Seewald, che ci mostrano alcune interessanti riflessioni di Papa Benedetto XVI:


Peter Seewald: Gli osservatori notano che nella curia Romana assumono sempre più ruoli di responsabilità gli appartenenti agli Ordini religiosi. Il quotidiano il Foglio ha parlato di una “svolta copernicana” della politica vaticana in questo senso. I critici invece parlano di “infiltrazioni di fondamentalisti”. La scelta di consacrati appartenenti agli Ordini che hanno fatto voto di povertà, castità e obbedienza vuole essere una sorta di antidoto al carrierismo e agli intrighi che non mancano nemmeno in Vaticano?

Benedetto XVI:  stati chiamati una serie di religiosi appartenenti agli Ordini, perché tra loro ci sono persone veramente valide che hanno grandi capacità e che sono persone pie. Cerco di trovare la persona giusta, che si tratti di un appartenente ad un ordine o di un sacerdote diocesano. Quello che è decisivo è che la persona abbia le qualità giuste, sia pia, veramente credente e soprattutto sia un uomo coraggioso.
Penso che il coraggio sia una delle principali qualità che un vescovo o un responsabile di Curia debbano possedere oggi. Significa anche non piegarsi al diktat delle opinioni dominanti ma agire per convinzione interiore, anche se si avranno delle difficoltà. E naturalmente deve trattarsi di persone dalle spiccate qualità intellettuali, professionali ed umane, capaci di guidare e di inserire gli altri in una comunità familiare. Ad esempio, quando ero Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ho giudicato molto importante che fossimo una comunità, che non litigassimo  ma fossimo una famiglia. Reputo molto importante questa capacità di avvicinare gli uni agli altri e di creare uno spirito di squadra.

Peter Seewald: un Papa parla anche con i gesti e con gli atteggiamenti, con i segni e con i simboli. Ha destato scalpore la scelta, quale copricapo invernale, dell’ormai famoso camauro, un berretto a punta indossato l’ultima volta da Giovanni XXIII. E’ solo un accessorio oppure mettendolo intendeva esprimere il ritorno nella Chiesa a forme antiche e consolidate?

Benedetto XVI: l’ho indossato una sola volta. Avevo semplicemente molto freddo e la testa per me è un punto molto sensibile. E mi sono detto: “Visto che c’è, mettiamo questo camauro”. Ma è stato solo il tentativo di difendermi dal freddo. Da allora non l’ho più indossato. Perché non nascessero altre, superflue interpretazioni.

LE ASSOCIAZIONI ATEE HANNO AVUTO LA SFRONTATEZZA E LA CATTIVERIA DI RAFFIGURARE, DISTORCENDO LA SUA IMMAGINE, UN PAPA COL VISO DA DEMONIO PROPRIO USANDO LE FOTO CON IL CAMAURO IN TESTA.   

DAL CAPITOLO 9: ECUMENE E DIALOGO CON L’ISLAM
Peter Seewald: Il Papa non considera i protestanti una vera Chiesa, ma, a differenza della Chiesa d’Oriente, soltanto una comunità ecclesiale. Da fuori appare come una definizione umiliante.

Benedetto XVI: l’espressione “comunità ecclesiale” è propria della terminologia del Concilio Vaticano II. Il Concilio segue una regola molto semplice: la Chiesa in senso proprio sta, secondo noi, là dove è conservato l’episcopato valido e la genuina ed integra sostanza del Mistero eucaristico, amministrato dai vescovi e dai sacerdoti.
Dove questo manca, c’è un’altra cosa, un nuovo modo di intendere la Chiesa che il Concilio Vaticano II ha definito “comunità ecclesiale”. Questa definizione indica che sono chiese in maniera diversa; che non sono, come esse stesse affermano, Chiese inserite nella grande tradizione antica, bensì scaturite da una nuova concezione secondo la quale la Chiesa non consiste in una istituzione, ma nella dinamica della Parola che riunisce le persone e le rende comunità.
Perciò questa terminologia rappresenta un tentativo di cogliere la particolarità della cristianità protestante e di esprimerla in positivo. E’ sempre possibile trovare parole migliori,  ma la differenza fondamentale è legittima. E’ data anche solo dal punto di vista storico. Inoltre, bisogna ancora una volta sottolineare che le situazioni ecclesiali delle singole comunità protestanti sono molto diverse fra loro. Anche tra loro si definiscono in modo molto differente, per cui non è possibile parlare della chiesa protestante. Si tratta semplicemente di capire che il Cristianesimo nel protestantesimo ha operato, per così dire, uno spostamento di accento che noi tentiamo di comprenderlo, di riconoscerci e, in quanto cristiani, di aiutarci reciprocamente.

Peter Seewald: e per quanto riguarda la definizione di ciò che è Chiesa, nemmeno un Papa può dire altro?

Benedetto XVI: no. Non è nella sua disponibilità. E’ vincolato dal Concilio Vaticano II.

Peter Seewald: l’impegno ecumenico della Santa Sede rispetto alle comunità ecclesiali in Occidente si è concentrato sugli Anglicani, sulla federazione Mondiale Luterana, sull’Alleanza Mondiale delle Chiese Riformate e sul Consiglio Metodista Mondiale. Le porte di Roma sono già aperte a quegli Anglicani che hanno espresso il desiderio di far parte della Chiesa cattolica. Con la Costituzione apostolica da Lei emanata su questo punto sorge per la prima volta una struttura giuridica e organizzativa per le Chiese particolari. Finora l’immagine dell’unità era legata a quella del ritorno alla Chiesa Latina. Si è creato un precedente per eventuali altri gruppi desiderosi di unirsi alla Chiesa Cattolica?

Benedetto XVI: e’ in ogni caso il tentativo di rispondere a una sfida specifica. L’iniziativa non è partita da noi, ma da vescovi Anglicani che hanno intrapreso un dialogo con la Congregazione per la Dottrine della Fede, cercando una forma che permettesse di venirsi incontro. Hanno affermato di condividere pienamente la fede definita nel catechismo della Chiesa Cattolica. E’ anche la loro fede. Ora bisogna vedere fino a che punto possono salvaguardare la propria tradizione, la forma di vita loro propria, con tutta la ricchezza che contiene.
Quindi è un progetto nato come una proposta. Non è ancora possibile affermare sino a che punto verrà utilizzato, sino a che punto verrà tradotto in realtà, quali sviluppi e quali variazioni avranno luogo. Tuttavia è sempre un segno di flessibilità da parte della Chiesa Cattolica. Non vogliamo creare nuove Chiese uniate, ma desideriamo offrire la possibilità alle tradizioni delle Chiese particolari, tradizioni che si sono sviluppate al di fuori della Chiesa Romana, di essere in comunione con il Papa e quindi di entrare nella comunità Cattolica.

Peter Seewald: il 12 settembre 2005, il Suo Discorso all’Università di Ratisbona ha scatenato un’accesa controversia. Ha citato un passo tratto da un antico libro che riportava il dialogo tra l’imperatore Bizantino e un erudito persiano su Cristianesimo e Islam. In seguito in alcuni paesi islamici, chiese vennero incendiate e i giornalisti occidentali scrissero articoli furenti. Quel discorso è stato poi catalogato come il primo errore del suo Pontificato. Lo fu veramente?

Benedetto XVI: avevo concepito quel discorso come una lezione strettamente accademica, senza rendermi conto che il discorso di un Papa non viene considerato dal punto di vista accademico, ma da quello politico. Da una prospettiva politica non si considerò il discorso prestando attenzione ai particolari; fu invece estrapolato un passo e dato ad esso un significato politico, che in realtà non aveva. Quel passo trattava di un antico dialogo che, ora come allora, considero di grande interesse.
L’Imperatore Manuele, di cui si parla, a quel tempo era già vassallo del Regno ottomano. Non poteva quindi scagliarsi contro i musulmani; ma, nell’ambito di un dialogo intellettuale, poteva porre domande vive.  Ma l’attuale comunicazione politica è tale da non permettere la comprensione di simili correlazioni. E tuttavia quell’episodio, dopo tutte le cose terribili accadute e per le quali non posso non addolorarmi molto, ha sortito effetti positivi. Durante la mia visita in Turchia ho potuto dimostrare di avere rispetto per l’Islam, che lo riconosco come una grande realtà religiosa, con la quale bisogna dialogare. E così da quella controversia è scaturito un dialogo veramente molto intenso. E’ risultato chiaro che nel dibattito pubblico l’Islam deve chiarire due questioni: quelle del suo rapporto con la violenza e con la ragione. Ha rappresentato un inizio veramente positivo il fatto che, proprio in ambito islamico, si sia ritenuto doveroso e necessario chiarire quelle due questioni e di conseguenza sia stata avviata una riflessione interna fra studiosi dell’Islam, una riflessione che poi è divenuta dialogo.

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