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Da: Radio Vaticana
“Partner affidabili” e “ buoni amici”, capaci di “affrontare insieme” le crisi e “superare i conflitti in modo positivo”. Tali sono diventati cattolici ed ebrei, grazie al “progresso ottenuto negli ultimi cinquanta anni di relazioni”. Queste le parole di Benedetto XVI nel saluto stamani, nella Sala dei Papi, ai 30 membri della delegazione del “Latin American Jewish Congress”, che rappresenta le comunità ebraiche dell’America Latina. Il servizio di Giada Aquilino:
In quello che è stato il primo e “significativo” incontro tra il Papa e i rappresentanti di organizzazioni e comunità ebraiche latinoamericane, Benedetto XVI ha voluto sottolineare l’importanza del contesto regionale e storico:
“En toda Latinoamérica hay comunidades judías dinámicas”…
In tutta l'America Latina, ha spiegato il Santo Padre, ci sono “comunità ebraiche dinamiche”, soprattutto in Argentina e Brasile, che vivono accanto “a una grande maggioranza di cattolici”. Dagli anni del Concilio Vaticano II, ha proseguito, si sono non solo rafforzate “le relazioni tra ebrei e cattolici”, ma sono pure in corso “diverse iniziative” che permettono l’approfondimento dell'“amicizia reciproca”.
Alla base di tale amicizia, quindi, il Concilio Vaticano II, di cui in ottobre - ha ricordato Benedetto XVI - ricorrono i 50 anni dall’apertura: la Dichiarazione Nostra Aetate, sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, guida - ha aggiunto - i “nostri sforzi” per promuovere “maggiore comprensione, rispetto e cooperazione tra le nostre due comunità”.
“Esta Declaración no sólo asumió”…
Questa Dichiarazione, ha spiegato il Papa, “non solo ha preso una posizione chiara contro tutte le forme di antisemitismo”, ma anche gettato le basi “per una nuova valutazione teologica del rapporto tra Chiesa ed ebraismo”, esprimendo fiducia nel contributo “del patrimonio spirituale condiviso da ebrei e cristiani” ad una comprensione e una crescente stima reciproca. Considerando “il progresso ottenuto negli ultimi cinquanta anni di relazioni cattolico-ebraiche in tutto il mondo”, il Papa ha detto che “non possiamo fare a meno di ringraziare l'Onnipotente per questo segno evidente della sua bontà e provvidenza”.
“Con el crecimiento de la confianza, el respeto y la buena voluta”…
Con la crescita “della fiducia, del rispetto e della buona volontà”, ha detto, i gruppi che “inizialmente erano stati associati con diffidenza” diventano passo dopo passo “partner affidabili” e “buoni amici” in grado di “affrontare insieme” le crisi e “superare i conflitti in modo positivo”. Certo, ha notato il Papa, molto resta ancora da fare “per superare gli oneri del passato”, “nel promuovere migliori relazioni tra le nostre due comunità” e in risposta alle sfide del mondo di oggi. È comunque motivo di ringraziamento il fatto di “percorrere insieme la via del dialogo, della riconciliazione e della cooperazione”.
“En un mundo cada vez más amenazado por la pérdida de los valores espirituales”…
“In un mondo sempre più minacciato dalla perdita dei valori spirituali e morali, che sono quelli che possono garantire il rispetto della dignità umana e una pace duratura, il dialogo sincero e rispettoso tra religioni e culture - ha sottolineato Benedetto XVI - è fondamentale per il futuro della nostra famiglia umana”. La speranza del Santo Padre, congedandosi dalla delegazione, è stata che l’incontro di oggi sia “fonte di incoraggiamento e di rinnovata fiducia per affrontare la sfida di costruire legami sempre più forti di amicizia e collaborazione” e per dare testimonianza profetica della forza della verità di Dio, della giustizia e dell’amore riconciliatore, per il bene di tutta l'umanità.
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Da: Radio Vaticana
“O Madre, (…) mostrati a tutti quale sei, Regina di pace e di perdono”: sono alcuni versi della Supplica alla Madonna di Pompei che viene recitata ogni 8 maggio e nella prima domenica di ottobre nel Santuario campano, alla presenza di migliaia di fedeli. A presiedere la cerimonia di questa mattina è stato l'arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Nella sua omelia, il presule ha affermato che l'uomo di oggi è in crisi perché ha messo Dio in disparte. Di qui, l'importanza della nuova evangelizzazione per comprendere che vivere senza Dio è vivere un dramma. Ma qual è il significato storico della Supplica? Isabella Piro lo ha chiesto a mons. Carlo Liberati, arcivescovo prelato e delegato pontificio di Pompei:
R. – La Supplica, che nasce nel 1883, dalla spiritualità di questo avvocato laico, Bartolo Longo, convertito alla fede dopo una giovinezza problematica e anche atea per qualche anno. Egli fonde praticamente nella preghiera, in questa invocazione accorata alla Madonna, non soltanto tutti i suoi problemi di uomo santo, ma di colui che, come tutti i Santi, rispecchia e vive la storia del suo tempo. Noi cristiani non dobbiamo essere spettatori di cronaca, ma dobbiamo essere costruttori di storia. Quindi, il significato storico della Supplica è avere interpretato la società e la Chiesa del suo tempo con una modernità di linguaggio sorprendente.
D. - Cosa ci insegna quindi questa preghiera a Maria?
R. – La mia sorpresa, in questo periodo di crisi economica e finanziaria, di mancanza di lavoro, di precariato, di incertezza sociale, è nel vedere che i pellegrini aumentano enormemente. Che cosa vengono a chiedere alla Madonna? Il coraggio, la forza di andare avanti, la sicurezza di trovare lavoro o chi, l’ha perduto, di ritrovarlo. La Supplica aiuta l’uomo, il credente del nostro tempo, a ritrovare la sua dimensione umana e come Bartolo Longo si abbandonava a Gesù per mezzo di Maria con una confidenza che ancora oggi ci sorprende per la sua freschezza spirituale, così fanno oggi i nostri fedeli. Quindi, la preghiera a Maria diventa il gesto di confidenza dei nostri contemporanei perché la Madonna ci ascolti e interpreti i problemi della nostra vita e ci indichi anche la strada per poterli superare. L’uomo oggi si sente solo, si sente anche abbandonato dalle istituzioni. La Supplica ci insegna che nella tenerezza dell’invocazione alla Madonna, noi la vogliamo coinvolgere assolutamente nei problemi della nostra vita.
D. – Come si collega la tradizione della Supplica alla pietà popolare?
R. - La pietà popolare è il nucleo non solo della storia della Chiesa, ma della Chiesa: non esiste la Chiesa senza pietà popolare. Cos’è la pietà popolare? È la folla dei fedeli che dicono di sì ogni giorno al Signore per mezzo di Maria e cercano di interpretare nella loro vita la volontà di Dio e di dire sì al Signore, che li chiama a portare avanti la vocazione di amore. La Supplica è dentro questa pietà popolare. Bartolo Longo scende nei problemi vivi della storia, della pietà popolare, e quindi diventa una "fotografia" dei credenti del nostro tempo. La Supplica fu anche chiamata dai Papi “l’Ora del mondo” perché in questa preghiera noi cogliamo la coscienza del nostro popolo, la pietà popolare. La Chiesa esiste perché c’è un popolo di Dio chiamato al Signore e dal Signore per mezzo di Maria che domanda il miracolo della fedeltà nei giorni difficili della vita.
D. – Molti pellegrini arrivano dall’estero: è segno che la Supplica alla Madonna di Pompei travalica i confini nazionali italiani?
R. – L’affetto alla Madonna di Pompei è universale, perché la Madonna di Pompei è il richiamo al Santo Rosario, quello che Bartolo Longo definisce nella Supplica “la catena dolce che ci unisce a Dio, il vincolo di amore che ci fa fratelli”. Attraverso il Rosario facciamo una somma, un riassunto di tutti i misteri della vita del Signore, e ci troviamo nelle braccia di Cristo - e lì ci ha condotti Maria - il Cristo vivente, vincente, capo della Chiesa, capo del Corpo mistico della Chiesa che siamo noi.
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Da: Radio Vaticana
Giovedì scorso, Benedetto XVI si è recato in visita al Policlinico “Gemelli” per celebrare i 50 anni di fondazione della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Un’occasione per ribadire l’importanza del fecondo dialogo tra scienze e fede. Ascoltiamo al riguardo il nostro direttore padre Federico Lombardi nel suo editoriale per il settimanale informativo “Octava dies” del Centro Televisivo Vaticano:
“Senza amore, anche la scienza perde la sua nobiltà. Solo l’amore garantisce l’umanità della ricerca”. Così Papa Benedetto ha concluso il suo discorso giovedì mattina alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Una risposta profonda e toccante a un bisogno diffuso di orientamenti solidi e alti.
“Ricco di mezzi, ma non altrettanto di fini, l’uomo del nostro tempo, quasi abbagliato dall’efficacia tecnica, dimentica l’orizzonte fondamentale della domanda di senso”. Ancora una volta il Papa parla della fiducia nell’intelligenza, nella ragione; parla del cristianesimo come “religione del Logos”, che non relega la fede nell’ambito dell’irrazionale, ma vede l’origine e il senso della realtà intera nella “Ragione creatrice”. L’unione della ragione e della fede è garanzia della fecondità di ambedue, mentre la loro separazione conduce a un “impoverimento etico”, che rende incapaci di valutare se ciò che è tecnicamente possibile è anche moralmente buono e conduce al bene dell’umanità.
Ma il Papa ha detto anche di più, perché la scienza e la ricerca medica sono così direttamente connesse alla cura della persona umana, che in esse diventa particolarmente evidente quanto sia necessaria la guida dell’amore, quanto sia vitale il nesso fra l’impegno scientifico e la dedizione appassionata al bene dell’uomo; un uomo che soffre e si trova a confronto con le domande più radicali sul senso della vita. Allora, “la dedizione dell’intelligenza e del cuore si fa segno della misericordia di Dio e della sua vittoria sulla morte”.
Quale ispirazione più entusiasmante e forte per ogni impegno dell’intelligenza a favore dell’uomo? E per che altro dovrebbe impegnarsi alla fine l’intelligenza?
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Da: Radio Vaticana
Benedetto XVI in visita stamani al Policlinico “Gemelli” per celebrare i 50 anni di fondazione della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Nel suo discorso alla comunità accademica, al personale sanitario e ai pazienti, il Papa ha ribadito che “scienza e fede hanno una reciprocità feconda”. Quindi, ha ringraziato il "Gemelli" per l’attenzione alla persona umana, specie nella sua fragilità. Il Papa, che ha visitato il "Gemelli" per la quinta volta, è stato accolto, tra gli altri, dal cardinale Angelo Scola, presidente dell’Istituto Toniolo. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Benedetto XVI ha svolto un’appassionata riflessione sul senso della ricerca scientifica e della medicina. Nel Piazzale del Policlinico, gremito di autorità e semplici fedeli, il Papa ha ribadito innanzitutto che ogni ricerca, ogni cura medica va guidata dall’amore:
“Senza amore, anche la scienza perde la sua nobiltà. Solo l’amore garantisce l’umanità della ricerca”.
Nel suo discorso, il Papa ha quindi rilevato che le tecnologie innovative hanno trasformato la visione del mondo, ma “spesso non sono prive di inquietanti risvolti”. L’uomo del nostro tempo, ha soggiunto, “vive spesso condizionato da riduzionismo e relativismo”. Quasi “abbagliato dall’efficacia della tecnica”, ha osservato, si “dimentica l’orizzonte fondamentale della domanda di senso”, “la dimensione trascendente”. Così, “il pensiero diventa debole e acquista terreno anche un impoverimento etico, che annebbia i riferimenti normativi di valore”:
“Una mentalità fondamentalmente tecnopratica genera un rischioso squilibrio tra ciò che è possibile tecnicamente e ciò che è moralmente buono, con imprevedibili conseguenze”.
Ecco allora, ha affermato il Papa, che va riscoperto il valore e il dinamismo della trascendenza, il quaerere Deum, la ricerca di Dio:
“Scienza e fede hanno una reciprocità feconda, quasi una complementare esigenza dell’intelligenza del reale. Ma, paradossalmente, proprio la cultura positivista, escludendo la domanda su Dio dal dibattito scientifico, determina il declino del pensiero e l’indebolimento della capacità di intelligenza del reale”.
“Religione del Logos”, ha proseguito, “il Cristianesimo non relega la fede nell’ambito dell’irrazionale ma attribuisce l’origine e il senso della realtà alla Ragione creatrice, che nel Dio crocifisso si è manifestata come amore”. Proprio percorrendo “il sentiero della fede”, ha affermato, l’uomo è messo in grado di “scorgere nelle stesse realtà di sofferenza e di morte”, una “possibilità autentica di bene e di vita”:
“La cura di coloro che soffrono è allora incontro quotidiano con il volto di Cristo, e la dedizione dell’intelligenza e del cuore si fa segno della misericordia di Dio e della sua vittoria sulla morte”
Dunque, vissuta nella sua integralità, la ricerca “è illuminata da scienza e fede, e da queste due ‘ali’ trae impulso e slancio, senza mai perdere la giusta umiltà, il senso del proprio limite”. In tal modo, ha detto ancora, “la ricerca di Dio diventa feconda per l’intelligenza, fermento di cultura, promotrice di vero umanesimo”. In tal senso, ha affermato, si inserisce il “compito insostituibile dell’Università Cattolica”:
“… luogo in cui la relazione di cura non è mestiere, ma missione; dove la carità del Buon Samaritano è la prima cattedra e il volto dell’uomo sofferente il Volto stesso di Cristo”.
Il Papa ha ricordato il particolare rapporto tra l’Università Cattolica e la Sede di Pietro ed ha sottolineato che “una facoltà cattolica di Medicina è luogo dove l’umanesimo trascendente non è slogan retorico, ma regola vissuta della dedizione quotidiana”. Per questo, ha detto, è stato "istituito un nuovo Centro di Ateneo per la vita". Il Papa ha infine ribadito, con padre Agostino Gemelli, che va sempre messa “al centro dell’attenzione la persona umana nella sua fragilità e nella sua grandezza”. Quindi, ha concluso, rivolgendo un pensiero speciale ai pazienti del “Gemelli” nel volto dei quali, ha detto, “si riflette il Volto di Cristo sofferente”.
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Da: Radio Vaticana
Nelle ultime catechesi del mercoledì, il Papa aveva spiegato come, “nella preghiera personale e comunitaria, la lettura e la meditazione della Sacra Scrittura aprano all’ascolto di Dio che ci parla e infondano luce per capire il presente”. Oggi, in Piazza San Pietro, Benedetto XVI ha parlato “della testimonianza e della preghiera del primo martire della Chiesa, santo Stefano, uno dei sette scelti per il servizio della carità verso i bisognosi. Nel momento del suo martirio, narrato dagli Atti degli Apostoli, si manifesta, ancora una volta, il fecondo rapporto tra la Parola di Dio e la preghiera”.
Il Papa ricorda che “Stefano viene condotto in tribunale, davanti al Sinedrio, dove viene accusato di avere dichiarato che «Gesù …distruggerà questo luogo, [il tempio], e sovvertirà le usanze che Mosè ci ha tramandato» (At 6,14). Durante la sua vita pubblica, Gesù aveva effettivamente preannunciato la distruzione del tempio di Gerusalemme: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2,19). Tuttavia, come annota l’evangelista Giovanni, «egli parlava del tempio del suo corpo. Quando, poi, fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù» (Gv 2,21-22)”.
“Il discorso di Stefano davanti al tribunale, il più lungo degli Atti degli Apostoli – prosegue il Papa - si sviluppa proprio su questa profezia di Gesù, il quale è il nuovo tempio, inaugura il nuovo culto, e sostituisce, con l’offerta che fa di se stesso sulla croce, i sacrifici antichi. Stefano vuole dimostrare come sia infondata l’accusa che gli viene rivolta di sovvertire la legge di Mosè e illustra la sua visione della storia della salvezza, dell’alleanza tra Dio e l’uomo. Egli rilegge così tutta la narrazione biblica, itinerario contenuto nella Sacra Scrittura, per mostrare che esso conduce al «luogo» della presenza definitiva di Dio, che è Gesù Cristo, in particolare la sua Passione, Morte e Risurrezione. In questa prospettiva Stefano legge anche il suo essere discepolo di Gesù, seguendolo fino al martirio”.
Il Papa osserva quindi che la meditazione sulla Sacra Scrittura permette così a Stefano di comprendere il suo presente. “In questo egli è guidato dalla luce dello Spirito Santo, dal suo rapporto intimo con il Signore tanto che i membri del Sinedrio videro il suo volto «come quello di un angelo» (At 6,15). Tale segno di assistenza divina, richiama il volto raggiante di Mosè disceso dal Monte Sinai dopo aver incontrato Dio (cfr Es 34,29-35; 2 Cor 3,7-8)”.
“Nel suo discorso – continua Benedetto XVI - Stefano parte dalla chiamata di Abramo, pellegrino verso la terra indicata da Dio e che ebbe in possesso solo a livello di promessa; passa poi a Giuseppe, venduto dai fratelli, ma assistito e liberato da Dio, per giungere a Mosè, che diventa strumento di Dio per liberare il suo popolo, ma incontra anche e più volte il rifiuto della sua stessa gente. In questi eventi narrati dalla Sacra Scrittura, della quale Stefano mostra di essere in religioso ascolto, emerge sempre Dio, che non si stanca di andare incontro all’uomo nonostante trovi spesso un’ostinata opposizione”.
“In tutto ciò – spiega - egli vede la prefigurazione della vicenda di Gesù stesso, il Figlio di Dio fattosi carne, che – come gli antichi Padri – incontra ostacoli, rifiuto, morte. Stefano si riferisce quindi a Giosuè, a Davide e a Salomone, messi in rapporto con la costruzione del tempio di Gerusalemme, e conclude con le parole del profeta Isaia (66,1-2): «Il cielo è il mio trono e la terra sgabello dei miei piedi. Quale casa potrete costruirmi, dice il Signore, e quale sarà il luogo del mio riposo? Non è forse la mia mano che ha creato tutte queste cose?» (At 7,49-50). Nella sua meditazione sull’agire di Dio nella storia della salvezza, evidenziando la perenne tentazione di rifiutare Dio e la sua azione, egli afferma che Gesù è il Giusto annunciato dai profeti; in Lui Dio stesso si è reso presente in modo unico e definitivo: Gesù è il “luogo” del vero culto”.
Stefano, dunque, non nega l’importanza del tempio – rileva il Papa – “ma sottolinea che «Dio non abita in costruzioni fatte da mano d’uomo» (At 7,48). Il nuovo tempio in cui Dio abita è il suo Figlio, che ha assunto la carne umana, è l’umanità di Cristo, il Risorto che raccoglie i popoli e li unisce nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. L’espressione circa il tempio “non costruito da mani d’uomo”, si trova anche nella teologia di san Paolo e della Lettera agli Ebrei: il corpo di Gesù, che Egli ha assunto per offrire se stesso come vittima sacrificale per espiare i peccati, è il nuovo tempio di Dio, il luogo della presenza del Dio vivente; in Lui Dio e uomo, Dio e il mondo sono in contatto: Gesù prende su di sé tutto il peccato dell’umanità per portarlo nell’amore di Dio e per «bruciarlo» in questo amore. Accostarsi alla Croce, entrare in comunione con Cristo, vuol dire entrare in questa trasformazione”.
“La vita e il discorso di Stefano – afferma il Papa - improvvisamente si interrompono con la lapidazione, ma proprio il suo martirio è il compimento della sua vita e del suo messaggio: egli diventa una cosa sola con Cristo. Così la sua meditazione sull’agire di Dio nella storia, sulla Parola divina che in Gesù ha trovato il pieno compimento, diventa una partecipazione alla stessa preghiera della Croce. Prima di morire, infatti esclama: «Signore Gesù, accogli il mio spirito» (At 7,59), appropriandosi delle parole del Salmo 31,6 e ricalcando l’ultima espressione di Gesù sul Calvario: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46); e, infine, come Gesù, grida a gran voce davanti a coloro che lo stavano lapidando: «Signore, non imputare loro questo peccato» (At 7,60). Notiamo che, se da un lato la preghiera di Stefano riprende quella di Gesù, diverso è il destinatario, perché l’invocazione è rivolta allo stesso Signore, cioè a Gesù che egli contempla glorificato alla destra del Padre: «Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio» (v. 55)”.
Il Papa conclude la sua catechesi con due annotazioni. “La testimonianza di santo Stefano ci offre alcune indicazioni per la nostra preghiera e la nostra vita. Ci possiamo chiedere: da dove questo primo martire cristiano ha tratto la forza per affrontare i suoi persecutori e giungere fino al dono di se stesso?”. La risposta è semplice: “dal suo rapporto con Dio”, nonché “dalla meditazione sulla storia della salvezza, dal vedere l’agire di Dio, che in Gesù Cristo è giunto al vertice”. Quindi “anche la nostra preghiera dev’essere nutrita dall’ascolto della Parola di Dio”.
C’è poi un secondo elemento: “santo Stefano vede preannunciata, nella storia del rapporto di amore tra Dio e l’uomo, la figura e la missione di Gesù. Egli - il Figlio di Dio – è il tempio “non fatto da mano d’uomo” in cui la presenza di Dio Padre si è fatta così vicina da entrare nella nostra carne umana per portarci a Dio, per aprirci le porte del Cielo. La nostra preghiera, allora, deve essere contemplazione di Gesù alla destra di Dio, di Gesù come Signore della nostra, della mia, esistenza quotidiana. In Lui, sotto la guida dello Spirito Santo, possiamo anche noi rivolgerci a Dio – conclude il Papa - con la fiducia e l’abbandono dei figli che si rivolgono ad un Padre che li ama in modo infinito”.
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Da: Radio Vaticana
Entriamo oggi nel mese dedicato alla Madonna, ricordando l’intenzione di preghiera di Benedetto XVI “perché Maria, Regina del mondo e Stella dell’evangelizzazione, accompagni tutti i missionari nell'annuncio del suo Figlio Gesù”. Ma come nasce la tradizione del mese mariano nella Chiesa? Roberta Gisotti lo ha chiesto apadre Salvatore Perrella, dell'Ordine dei Servi di Maria e preside della Pontificia Facoltà Teologica Marianum:
R. - Dobbiamo dire che il popolo cristiano, sia di Oriente che di Occidente, ha sempre pensato di dedicare dei giorni della settimana o un particolare mese alla Vergine. Con il Concilio Vaticano II, il mese di maggio è mese del popolo a Maria; è il mese dei fiori; è il mese del sole: è tutto un rinascere. “Onorare Maria, venerare Maria nell’ambito del culto cristiano - diceva Paolo VI - è un dovere della Chiesa, è un dovere dei cristiani”. Soprattutto per i cristiani il mese di maggio è il mese in cui ci si ricorda di avere una Madre, bella, buona, santa, che invita a guardare il sole, che è Cristo.
D. - In tempi difficili per i cristiani perseguitati in tanti luoghi del mondo, Benedetto XVI chiede speciali preghiere a Maria per i missionari. Padre Perrella quanto è importante pregare la Madonna?
R. - E’ essenziale per il cristianesimo avere un riferimento umano e santo, che è la Madre di Gesù. Pregare Maria, pregare come Maria, pregare con Maria sono le indicazioni che vengono dalla riforma del Concilio e dalla Marialis cultus di Paolo VI, che Benedetto XVI sa bene. Infatti nella sua predicazione mariana, Papa Benedetto ci insegna che Maria è Madre del cristianesimo, perché Discepola, perché Donna della Parola, perché Donna della Preghiera. Quindi Maria è impegnata - come fu impegnata nella vita, è impegnata nell’eternità - a seguire con materna mediazione tutti i suoi figli, soprattutto quelli che a motivo della fede vengono oppressi, vengono uccisi, vengono discriminati. E’ giusto, quindi, pregare per questi veri testimoni della fede e Maria ha a cuore i testimoni della fede, come il Papa stesso ci ha indicato nel motus proprio Porta Fidei: Maria prega, prega sempre, incessantemente, ma soprattutto chiede a noi non solo di pregare, ma di essere operosi nella carità e operosi tutti nel testimoniare la validità del Vangelo di Cristo, che è un Vangelo di pace, un Vangelo di tolleranza, ma è anche un Vangelo di identità. Noi siamo figli di Dio in Gesù Cristo e Maria lo ricorda, come lo ricordano questi testimoni della fede, che in questi ultimi tempi vengono angariati da fondamentalismi inaccettabili, antiumani oltre che antireligiosi.
D. - Padre Perrella, possiamo dire che la devozione popolare alla Madonna sempre così viva, in qualche modo travalica i confini tra fede, ragione, sentimento?
R. - La vera devozione - dice il Concilio - nasce dalla vera fede e la fede che cos’è se non un’adesione intellettuale e cordiale al Dio che si rivela. Quindi mettere insieme ragione, fede, sentimento indica l’integralità dell’uomo nell’approcciarsi al suo Dio. E, l’esempio di Maria che, con ragione, con fede, con sentimento, ha servito il Mistero di Cristo ci dice che l’anima della devozione mariana è proprio questa armonizzazione integrale di tutte queste possibilità, che è nell’umano di incontrare il Signore. Quindi non c’è assolutamente discrasia tra queste tre componenti nella persona. La ragione: noi vogliamo conoscere e non solo vogliamo conoscere, noi vogliamo ragionare su Dio, anche se Gesù ci dice che i suoi pensieri non sono i nostri pensieri. Ecco che c’è bisogno: non basta la ragione, ma ci vuole la fede, perché la ragione e quindi il pensiero venga sintonizzato in questo accogliere la rivelazione divina. E poi il sentimento: non dimentichiamoci che Cristo si presenta come mite e umile di cuore; quindi la cordialità, l’affetto, l’amore, la carità, l’agape sono parti essenziali dell’esperienza religiosa e che nella devozione retta, genuina, che sa bene distinguere il Creatore dalla creatura, questi tre elementi possono e devono essere armonizzati. Com’è l’auspicio di Benedetto XVI.
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