martedì 12 gennaio 2010

L’OMELIA DI DON PINO

Continua l’approfondimento sulla questione Rosarno: innanzitutto una precisazione sull’ultimo articolo: Rosarno ovviamente è una città calabrese, non campana. Chiedo scusa per l’errore. 

In secondo luogo oggi voglio dare spazio e voce ad un parroco che ha avuto il coraggio di dire la Verità del Vangelo e di dirla completa e senza aggressioni psicologiche. Sto parlando di Don Pino Varrà, parroco della città di Rosarno. Ieri, in Chiesa, per la consueta celebrazione domenicale, vi erano anche gli aggressori di questi giorni e i protagonisti di una vergognosa caccia all’uomo. Di seguito, vi presento il culmine dell’omelia pronunciata da Don Pino, durante la celebrazione di ieri:

 

Bisogna aiutare i fratelli che sbagliano", spiega il sacerdote. "E in questi giorni che stiamo vivendo qualcuno ha sbagliato. Ma questo non ci autorizza a colpirlo, a inseguirlo, a ucciderlo, a cacciarlo. Ci obbliga a capire, a fermarci. Per non sbagliare più. Questo dobbiamo fare se vogliamo essere dei cristiani". Il parroco lascia l'altare, scende tra la gente. Parla a braccio, stringe con le mani il microfono. "Se ho un fratello in famiglia non posso picchiarlo o cacciarlo di casa perché ha rotto un vaso. Devo andargli incontro, sostenerlo, capire cosa è accaduto". Allarga le braccia, sorride: "Vedo finalmente questa chiesa piena, sono contento che moltissimi tra voi sono tornati. Ma vedo anche che manca qualcuno". Don Pino sospira, si rivolge ai bambini. "Lo vedete anche voi. Non c'è John. Vi ricordate di lui? Veniva ogni domenica". I bambini annuiscono. I genitori, dietro, restano in silenzio. Tesi e consapevoli. "Mancano anche Christian, Luarent. E Didou, il piccolo Didou. Mancano i suoi genitori. Erano come voi, con la pelle più scura, venivano dall'Africa. Non ci sono perché li hanno cacciati".

"Mi rivolgo ai più grandi, ai genitori. Perché loro hanno un ruolo importante, formativo. A voi dico: non vi fate trascinare verso ragionamenti e reazioni che non sono da cristiani. E' facile dire: abbiamo ragione noi. Quando siete nati, Dio è stato chiaro: questo è mio figlio. Lo siamo tutti. Tutti abbiamo diritto alla vita, una vita dignitosa, che non ci umili. Anche quelli di un altro colore, anche quelli che sbagliano sempre. Se vogliamo essere cristiani noi non possiamo avere sentimenti di odio e di disprezzo".

"Possiamo anche dire che abbiamo sbagliato. Che i miei fratelli, bianchi e neri hanno sbagliato. Ma lo dobbiamo dire sempre. Non solo quando qualcuno ci sfascia la macchina. Lo dobbiamo sostenere con  forza anche quando altri fanno delle cose ancora più gravi. Cose terribili. Dobbiamo avere il coraggio di gridare e denunciare". Il sacerdote indica il presepe: "Non avrebbe senso aver allestito questa opera. Non avrebbe senso festeggiare il Natale. Meglio distruggerlo e metterlo sotto i piedi. Dobbiamo celebrarlo convinti dei valori che lo rappresentano. Perché crediamo nella misericordia e nella solidarietà. Se invece non abbiamo la forza di ribellarci ai soprusi e alle ingiustizie e siamo pronti alle violenze nei confronti dei più deboli, allora non veniamo più in chiesa. Dio saprà giudicare. Saprà chi sono i suoi figli".

"Non mi ero preparato alcuna omelia. Ho detto queste cose perché le sentivo. Perché mi sono state suggerite. Non da qualcuno tra voi. Ma da Dio. Potrò sembrarvi presuntuoso. Ma Dio, che ha assistito alle violenze di questi giorni, mi ha chiesto di dirle ai suoi figli. Figli come voi. Figli che hanno sbagliato e che vanno aiutati a non sbagliare più". 

Parole senza dubbio molto forti, ma che rispecchiano anche il mio pensiero e penso anche il pensiero di molti cristiani (quelli veri, con il cuore predisposto all’amore di Cristo). Non possiamo definirci cristiani e poi imbracciare un fucile o un bastone e dirigerci ad una caccia all’uomo, colpendo il primo nero che passa. Questi giorni sono stati una sconfitta della civiltà, una sconfitta del nostro credo, una sconfitta per noi cristiani perché si è usato questo termine, si è infangato il nome di Cristo, compiendo atti che sono un abominio al Signore.

Gesù ha unito tutti: bianchi e neri, alti e bassi, storpi e sani, giusti e peccatori. Se dunque Lui non ha diviso, quale potere abbiamo noi di dividere e di creare delle gerarchie, delle supremazie indotte dalla razza e dal colore della pelle. Che diritto abbiamo noi di cacciare un uomo da un suolo che diciamo appartenere a noi, ma che non appartiene a nessuno, se non a Dio. Se noi chiudiamo le nostre porte, se ci uniamo nella caccia all’uomo, se tacciamo di fronte a situazione simili, noi non possiamo definirci cristiani. Cristiano vuol dire amare, cristiano vuol dire accogliere. 

Stessa cosa vale quando si tace dinanzi allo sfruttamento di questi uomini: molti di loro vivono in condizioni disumane e non ricevono aiuto da nessuno, se non da qualche anima caritatevole che si muove a compassione per loro. Ricordiamoci l’importanza di seguire gli insegnamenti di Gesù sempre ed ovunque e non solo quando ci piace o ci è comodo. E sorvolo su una frase che ieri ho udito da un cittadino di Rosarno che affermava che il parroco non avrebbe dovuto intromettersi. Una sola frase rivolgo a coloro che, come quest’uomo, la pensano così: ma in Chiesa, nel luogo santo di Dio, perché ci andate?


Digg Google Bookmarks reddit Mixx StumbleUpon Technorati Yahoo! Buzz DesignFloat Delicious BlinkList Furl

0 commenti: on "L’OMELIA DI DON PINO"

Posta un commento