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Da: Radio Vaticana
La celebre Enciclica di Giovanni XXIII Pacem in terris non ha smesso di insegnare alla nostra epoca cosa bisogna fare per promuovere la pace e difendere la giustizia. Lo afferma Benedetto XVI nel Messaggio inviato oggi alla plenaria Pontificia Accademie delle Scienze Sociali, in corso in Vaticano. Lo afferma Benedetto XVI nel Messaggio inviato oggi alla plenaria della Pontificia Accademie delle Scienze Sociali. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Quando la scrisse, il mondo cominciava a temere la propria dissoluzione in enorme fungo nucleare, simbolo della perversa genialità umana, guerrafondaia e distruttiva. Giovanni XXIII decise allora di appellarsi all’intelligenza e al cuore dell’umanità, che non dimentica e anzi sa battersi per il valore universale della pace. Così – afferma Benedetto XVI nel suo Messaggio alla plenaria delle Scienze Sociali – la Pacem in terris divenne quella, come fu definita, “lettera aperta al mondo”, “l’accorato appello di un grande pastore, vicino alla fine della sua vita, affinché la causa della pace e della giustizia fossero vigorosamente promosse a ogni livello della società, sia in ambito nazionale che internazionale”. Tuttavia, è un fatto che la straordinaria portata di quelle pagine di 50 anni fa regga ancora il confronto con il mondo globalizzato di oggi. “La visione offerta da Papa Giovanni – sottolinea Benedetto XVI – ha ancora molto da insegnare a noi che lottiamo per affrontare le nuove sfide in favore della pace e della giustizia nell'era post-Guerra Fredda e in mezzo al continuo proliferare degli armamenti”.
Quella di “Papa Giovanni – prosegue Benedetto XVI – era ed è un invito potente” a impegnarsi in un “dialogo creativo tra la Chiesa e il mondo, tra credenti e non credenti”, sullo spirito del Vaticano II che proprio con Papa Roncalli prendeva le mosse. Un invito seguito in pieno anche da Giovanni Paolo II dopo gli attacchi terroristici del settembre 2001, che indussero Papa Wojtyla a ribadire che senza il perdono la giustizia è all’incirca un’utopia. Per questo, esorta il Papa, “il concetto di perdono ha bisogno di trovare la sua via nei discorsi internazionali sulla risoluzione dei conflitti, così da trasformare il linguaggio sterile della recriminazione reciproca che porta da nessuna parte”.
Anche i recenti Sinodi sulle Chiese dell’Africa e del Medio Oriente, annota Benedetto XVI, hanno messo in evidenza che “torti e ingiustizie storiche possono essere superati solo se uomini e donne vengono ispirati da un messaggio di guarigione e di speranza, un messaggio che offre una via d'uscita dall’impasse che spesso blocca persone e nazioni in un circolo vizioso di violenza”. La Pacem in terris, in fondo, ne è la prova: “Dal 1963 – osserva il Papa – alcuni dei conflitti che sembravano in quel frangente insolubili sono passati alla storia”. Impegniamoci allora, conclude, a lottare “per la pace e la giustizia nel mondo di oggi, fiduciosi che la nostra comune ricerca dell’ordine stabilito da Dio, di un mondo in cui è la dignità di ogni persona umana si accorda al rispetto che le è dovuto, può e potrà dare i suoi frutti”.
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Da: Radio Vaticana
Si è svolta questa mattina nella Basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma la cerimonia di Beatificazione di Giuseppe Toniolo, chiamato anche “l’economista di Dio”. Una figura molto importante, che ha avuto il merito di aver indicato “la via del primato della persona umana e della solidarietà”, come ha ricordato oggi Benedetto XVI al termine del Regina Caeli, rivolgendo un saluto ai pellegrini che hanno partecipato al rito celebrato dal cardinale Salvatore De Giorgi. Roberta Barbi:
Uno scroscio di applausi dei fedeli presenti alla celebrazione, ha accolto oggi Giuseppe Toniolo tra i Beati venerati dalla Chiesa, proprio nella Giornata in cui tutto il mondo si riunisce in preghiera per le Vocazioni. Economista, sociologo, ma anche padre di famiglia, educatore dei giovani, testimone laico del Vangelo, la cui Parola ha portato negli ambiti della politica e della cultura: Toniolo ha risposto a tutte le chiamate che il Signore gli ha rivolto, convinto com’era che il mondo avesse bisogno di Santi, oggi ancora più di allora, come ha sottolineato nell’omelia il cardinale De Giorgi:
“Egli era convinto che tutti, indistintamente, siamo chiamati alla santità, ossia ‘alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità nelle ordinarie condizioni e situazioni di vita; che tale santità promuove nella stessa società terrena un tenore di vita più umano’; che i laici si santificano nel mondo e per la santificazione del mondo, senza fuggire dal mondo, ma senza essere del mondo, attraverso l’esercizio del loro compito proprio: l’animazione cristiana delle realtà temporali”.
E in questo mondo, anzi, in più mondi, il nuovo Beato fu quanto mai attivo, a partire dalla famiglia, che considerava il luogo primario della sua santificazione e della sua missione:
“La sua fu una famiglia normale, inserita nella vita della parrocchia e aperta a quella della società, serena nell'affrontare le inevitabili difficoltà perché unita dalla forza del Vangelo che si leggeva insieme ogni mattina e animata dalla preghiera che si recitava insieme ogni sera. Una vera chiesa domestica”.
Toniolo, professore universitario a Padova, Modena, e soprattutto a Pisa - il cui arcivescovo, mons. Giovanni Paolo Benotto era presente alla celebrazione ed ha guidato le breve processione delle reliquie insieme con il postulatore della causa di Beatificazione, mons. Domenico Sorrentino, ed il giovane miracolato dal Beato nel 2006 - fu educatore e amico dei suoi studenti, consapevole di volerli formare anche cristianamente, convinto com’era che ci dovesse essere una presenza dei cattolici nel sociale e nel politico per il bene del Paese:
“Avvertiva già allora l'emergenza educativa per il clima universitario indifferente o ostile alle fondamentali istanze religiose e morali, come anche l'urgenza di una solida formazione culturale cristiana che preparasse le nuove generazioni ad affrontare le sfide del futuro”.
Toniolo è stato un uomo che ha amato e servito la Chiesa e l’Italia da cristiano e cittadino esemplare, un esempio di laicità vera per tutto il mondo cattolico, che lui voleva vedere non più diviso e per la cui unità lavorò molto, mettendo a disposizione la sua sconfinata competenza:
“La Società della Gioventù Cattolica, primo nucleo dell'Azione Cattolica Italiana, la Fuci, l'Opera dei Congressi, l'Unione Cattolica per gli Studi sociali, l'Unione popolare, l'avvio delle Settimane Sociali ebbero in lui un eccellente ideatore, animatore, coordinatore di progetti culturali, sociali, politici cristianamente ispirati e di innovative strutture cattoliche pubbliche, come l'Università del Sacro Cuore”.
Molte intuizioni del Beato, infine, hanno trovato conferma e sviluppo anche in seguito nella dottrina sociale della Chiesa, come la centralità della persona nel mondo del lavoro, l’insopprimibile fondamento etico dell’economia, l’importanza del Vangelo nella costruzione della società, le istanze della giustizia distributiva e l’impegno per la pace. Questa la sua eredità e il suo insegnamento più importante, ricordato dal cardinale De Giorgi a conclusione dell’omelia:
“Ci esorta in particolare a impegnarci con entusiasmo nella nuova evangelizzazione della quale la Dottrina sociale è parte integrante, e di renderla credibile con la testimonianza di una vita coerente con la fede, illuminata dalla verità, sorretta dalla speranza, amante della giustizia e animata dalla carità, soprattutto verso i poveri”.
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Da: Radio Vaticana
Benedetto XVI celebrerà domani la Santa Messa in San Pietro con l’ordinazione di nove seminaristi della diocesi di Roma. Concelebra con il Papa il cardinale vicario generale per la Diocesi di Roma, Agostino Vallini. Al microfono di Alessandro Gisotti, il rettore del Seminario Romano Maggiore, mons. Concetto Occhipinti, racconta come gli ordinandi si stanno preparando a questo momento fondamentale della loro vita:
R. – Il primo pensiero va ai sette anni di seminario, tutti orientati a questo momento dell’ordinazione sacerdotale. In questi giorni di immediata preparazione, gli ordinandi stanno vivendo gli esercizi spirituali che li accompagnano alla vigilia dell’ordinazione stessa, quasi come suggello e come completamento di questo lungo percorso di formazione degli anni del seminario. Sono radunati insieme al cardinale vicario Agostino Vallini, che cura la predicazione degli esercizi, esprimendo loro un dono bello e di paternità.
D. – Quali sono i suoi sentimenti nell’attesa che questi suoi seminaristi vengano ordinati dal Papa?
R. – Sono sentimenti di trepidazione e di grande gioia insieme. C’è la consapevolezza che questo dono prezioso viene posto in vasi di creta, cogliendo la suggestione dell’immagine paolina, e in quanto tale ha bisogno di essere custodito dalla preghiera e dalla carità della comunità cristiana. La gioia è poi grande pensando alla grazia, alla consolazione, alla speranza che attraverso i loro gesti sacerdotali potrà raggiungere tanti cuori.
D. – Benedetto XVI ha mostrato fin dall’inizio del suo Pontificato, e anche ultimamente nell’udienza ai seminaristi romani, una grande attenzione per i sacerdoti. Quanto è sentita questa vicinanza del Santo Padre dagli ordinandi?
R. – Un seminarista che vive autenticamente il suo cammino formativo non può che maturare un grande amore per la figura, per la missione e per la persona del Santo Padre. I nostri seminaristi romani, ovviamente, hanno il dono di vivere una particolare vicinanza del Santo Padre, proprio in quanto loro vescovo, che è espressa concretamente, in modo particolare, nella visita al Seminario Romano, il suo seminario: il Santo Padre annualmente ci fa il dono di vivere questo momento nell’occasione della Festa della Madonna della Fiducia. Nella visita dello scorso 15 febbraio, durante il momento conviviale della cena, uno degli ordinandi – proprio don Alfredo – rivolgendo delle parole di saluto al Santo Padre, ricordava come l’inizio del loro cammino in seminario coincidesse con l’inizio del suo Pontificato, nel 2005: esprimendo così, attraverso anche questo particolare, la gioia di un legame importante.
D. – Cosa augura a questi giovani, a questi ordinandi che si apprestano a consacrare totalmente la propria vita al Signore?
R. – L’augurio che, nella loro vita sacerdotale, preghiera e servizio possano essere due poli che si illuminano e si arricchiscono vicendevolmente nella circolarità della carità. Che abbiano l’umiltà e il coraggio di custodire quotidianamente il primato della preghiera, vissuta come spazio di intimità e di amicizia con il Signore, ricordando che Gesù chiamò i Dodici anzitutto perché stessero con Lui. E che possano vivere il nuovo ministero come esperienza ecclesiale ricca e coinvolgente, capace di accogliere i carismi dei fedeli loro affidati e di animare costantemente la comunione in una relazione serena ed aperta verso tutti.
Proprio una riflessione sui giovani e l’amore verso la Chiesa è offerta da mons. Domenico Dal Molin, direttore del Centro nazionale vocazioni della Conferenza episcopale italiana, intervistato da Federico Piana:
R. – La via che il Papa ci ha indicato è riscoprire la bellezza del dono dell’amore. Nel suo messaggio, il Papa cita Sant’Agostino:“Tardi ti amai bellezza, così antica e così nuova. Tardi ti amai…”. Queste parole stupende di Sant’Agostino sono, in realtà, una via straordinaria perché oggi riscoprire l’amore vuol dire mettersi fuori da una logica di individualismo, di relativismo e anche di narcisismo, ormai così diffusa. Credo che i giovani, di fronte al tema dell’amore, rimangano sempre affascinati.
D. – Secondo lei, come mai tanti giovani pur sentendo la chiamata, non la corrispondono? Hanno timore, hanno paura?
R. – Io credo che il coraggio di seguire il Signore ci sia ancora nel cuore dei giovani: basta vedere le Gmg, anche l’ultima di Madrid, che rappresentano sempre una specie di impennata nei cammini vocazionali, che vengono poi proposti. Credo quindi che nel cuore del giovane la disponibilità ci sia: il famoso “duc in altum” di Giovanni Paolo II. Secondo me, c’è una cultura che evidentemente è come l’aria che noi respiriamo e che rende difficile ogni tipo di scelta. I giovani oggi faticano a vivere quel “per sempre”, quell’impegno duraturo, radicale, fedele, perché anche questo nella cultura viene molto relativizzato. Pur rimanendo l’attrazione, rimangono anche il dubbio e la paura di farcela.
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Da: Radio Vaticana
Dal 23 al 25 aprile corrente si è riunita in Vaticano, per la quinta volta, la Commissione che il Papa Benedetto XVI ha istituito nel 2007 per studiare le questioni di maggiore importanza, riguardanti la vita della Chiesa cattolica in Cina. In una profonda vicinanza spirituale con tutti i fratelli e le sorelle nella fede che vivono in Cina, la Commissione ha riconosciuto i doni di fedeltà e di dedizione che, nel corso di un anno, il Signore ha donato alla Sua Chiesa.
I Partecipanti hanno approfondito il tema della formazione dei fedeli laici, in vista anche dell’«Anno della Fede», che è stato indetto dal Santo Padre dall’11 ottobre 2012 al 24 novembre 2013. Le parole del Vangelo: “E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2, 52) illustrano il compito cui sono chiamati i fedeli laici cattolici in Cina. In primo luogo, essi devono entrare sempre più profondamente nella vita della Chiesa nutriti dalla dottrina, consapevoli della loro appartenenza ecclesiale e coerenti con le esigenze della vita in Cristo, che postula l’ascolto della Parola di Dio nella fede. In questa prospettiva sarà per loro di particolare aiuto la conoscenza approfondita del Catechismo della Chiesa cattolica. In secondo luogo, essi sono chiamati a entrare nella vita civile e nel mondo del lavoro, offrendo con piena responsabilità il proprio contributo: amare la vita e rispettarla dal suo concepimento sino alla sua fine naturale; amare la famiglia, promuovendo i valori che sono propri anche della cultura cinese tradizionale; amare la Patria, come cittadini onesti e solleciti del bene comune. Come dice pure un Saggio cinese, “la via del grande studio consiste nel manifestare le virtù luminose, nel rinnovare e avvicinare le persone, e nel raggiungere il bene supremo”. In terzo luogo, i laici cinesi devono crescere in grazia davanti a Dio e agli uomini, nutrendo e perfezionando la propria vita spirituale come membri attivi della comunità parrocchiale, e aprendosi all’apostolato anche con il sostegno di associazioni e di movimenti ecclesiali, che favoriscono la loro formazione permanente.
Al riguardo, la Commissione ha riscontrato con gioia che l’annuncio del Vangelo, offerto da comunità cattoliche a volte umili e senza risorse materiali, incoraggia ogni anno molti adulti a domandare il Battesimo. Si è sottolineata, così, la necessità che le Diocesi in Cina promuovano un serio catecumenato, adottino il Rito dell’Iniziazione Cristiana degli Adulti e curino la loro formazione anche dopo il Battesimo. I Pastori debbono fare ogni sforzo per consolidare nei fedeli laici la conoscenza degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, in particolare dell’ecclesiologia e della dottrina sociale della Chiesa. Sarà altresì utile dedicare una cura particolare alla preparazione di operatori pastorali per l’evangelizzazione, per la catechesi e per le opere di carità. La formazione integrale dei laici cattolici, soprattutto laddove sono in atto una rapida evoluzione sociale e un significativo sviluppo economico, è parte dell’impegno per rendere vibrante e vitale la Chiesa locale. Si auspica, inoltre, una speciale attenzione ai fenomeni delle migrazioni interne e dell’urbanizzazione.
Le indicazioni pratiche, che la Santa Sede ha proposto e proporrà alla Chiesa universale per una fruttuosa celebrazione dell’«Anno della Fede», saranno certamente accolte con entusiasmo e con spirito creativo anche in Cina. Dette indicazioni stimoleranno la comunità cattolica a trovare iniziative adeguate per realizzare quanto il Papa Benedetto XVI ha scritto a riguardo dei fedeli laici e della famiglia nella Lettera del 27 maggio 2007 alla Chiesa cattolica nella Repubblica Popolare Cinese (cfr nn. 15-16). I laici, dunque, sono chiamati a partecipare con zelo apostolico all’evangelizzazione del Popolo cinese. In virtù del loro Battesimo e della Confermazione ricevono da Cristo la grazia e l’incarico di edificare la Chiesa (cfr Ef 4, 1-16).
Nel corso della riunione, lo sguardo si è poi rivolto ai Pastori e, in particolare, ai vescovi e ai sacerdoti che sono detenuti o soffrono ingiuste limitazioni nel compimento della loro missione. Si è espressa ammirazione per la fermezza della loro fede e per la loro unione con il Santo Padre. Essi, in modo speciale, necessitano della preghiera della Chiesa, per affrontare le loro difficoltà con serenità e nella fedeltà a Cristo.
La Chiesa ha bisogno di buoni vescovi. Essi sono un dono di Dio per il Suo Popolo, a favore del quale esercitano l’ufficio di insegnare, santificare e governare. Sono inoltre chiamati a donare ragioni di vita e di speranza a tutti coloro che incontrano. Essi ricevono da Cristo, attraverso la Chiesa, il loro compito e la loro autorità, che esercitano in unione con il Romano Pontefice e con tutti i vescovi sparsi nel mondo.
A proposito della situazione specifica della Chiesa in Cina, si è notato che persiste la pretesa degli organismi, chiamati “Un’Associazione e Una Conferenza”, di porsi al di sopra dei vescovi e di guidare la vita della comunità ecclesiale. Al riguardo, restano attuali e di orientamento le indicazioni, offerte nella succitata Lettera del Papa Benedetto XVI (cfr n.7), e ad esse è importante attenersi, perché il volto della Chiesa risplenda con chiarezza in mezzo al nobile Popolo cinese.
Tale chiarezza è stata offuscata dagli ecclesiastici che hanno ricevuto illegittimamente l’ordinazione episcopale e dai vescovi illegittimi che hanno posto atti di giurisdizione o sacramentali, usurpando un potere che la Chiesa non ha loro conferito. Nei giorni scorsi, alcuni di loro hanno partecipato a consacrazioni episcopali autorizzate dalla Chiesa. I comportamenti di questi vescovi, oltre ad aggravare la loro posizione canonica, hanno turbato i fedeli e spesso hanno forzato la coscienza dei sacerdoti e dei fedeli che vi sono stati coinvolti.
Inoltre detta chiarezza è stata offuscata dai vescovi legittimi, che hanno partecipato a ordinazioni episcopali illegittime. Molti di loro hanno chiarito la propria posizione e hanno chiesto scusa, e il Santo Padre li ha benevolmente perdonati; altri invece, che pure vi hanno preso parte, non hanno ancora fatto tale chiarificazione e sono quindi incoraggiati ad agire quanto prima in tal senso.
I Partecipanti alla Riunione Plenaria seguono con attenzione e con spirito di carità questi penosi avvenimenti e, pur consapevoli delle particolari difficoltà della situazione presente, ricordano che l’evangelizzazione non può avvenire sacrificando elementi essenziali della fede e della disciplina cattolica. L’obbedienza a Cristo e al Successore di Pietro è il presupposto di ogni vero rinnovamento, e ciò vale per tutte le componenti del Popolo di Dio. Gli stessi laici sono sensibili alla chiara fedeltà ecclesiale dei propri Pastori.
Per quanto concerne i sacerdoti, le persone consacrate e i seminaristi, la Commissione ha nuovamente riflettuto sull’importanza della loro formazione, rallegrandosi per il sincero e lodevole impegno nel realizzare non soltanto adeguati percorsi di educazione umana, intellettuale, spirituale e pastorale per i seminaristi, ma anche momenti di formazione permanente per i presbiteri. Inoltre, si è manifestato apprezzamento per le iniziative, che sono messe in atto da vari Istituti religiosi femminili per coordinare attività di formazione per le persone consacrate.
Si è riscontrato, d’altra parte, che il numero delle vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa negli ultimi anni registra un sensibile calo. Le sfide della situazione spingono ad invocare il Padrone della messe e a rafforzare la consapevolezza che ogni sacerdote e ogni religiosa, fedeli e luminosi nella loro testimonianza evangelica, sono il primo segno capace di incoraggiare ancora i giovani e le giovani di oggi a seguire Cristo con il cuore indiviso.
La Commissione infine ricorda che il 24 maggio prossimo, memoria liturgica della Beata Vergine Maria Aiuto dei Cristiani e Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, sarà un’occasione particolarmente propizia per tutta la Chiesa per invocare energia e consolazione, misericordia e coraggio, per la comunità cattolica in Cina.
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Da: Radio Vaticana
Al Regina Caeli, in Piazza San Pietro, Benedetto XVI si è soffermato sull’importanza fondamentale dell’Eucaristia nella vita del cristiano. Il Papa ha chiesto, in particolare ai sacerdoti e ai genitori, di preparare bene i bambini alla Prima Comunione. Quindi, nella Giornata dell’Università Cattolica, ha auspicato che i giovani si formino nei valori e non solo nelle conoscenze tecniche. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Partecipiamo “degnamente” alla Messa “per diventare testimoni dell’umanità nuova”: è l’esortazione di Benedetto XVI che, al Regina Caeli, si è soffermato sul Vangelo domenicale che narra dell’incredulità dei discepoli nel vedere Gesù Risorto. Per convincerli, sottolinea il Papa, il Signore mostra “i segni della Crocifissione” che la Risurrezione non ha cancellato e chiede qualcosa da mangiare. Sono segni “molto realistici” grazie ai quali i discepoli “superano il dubbio iniziale e si aprono alla fede”:
“Il Salvatore ci assicura della sua presenza reale tra noi, per mezzo della Parola e dell’Eucaristia. Come, perciò, i discepoli di Emmaus riconobbero Gesù nello spezzare il pane (cfr Lc 24,35), così anche noi incontriamo il Signore nella Celebrazione eucaristica”.
E, con san Tommaso d’Aquino, ricorda che “è necessario riconoscere secondo la fede cattolica, che tutto il Cristo è presente in questo Sacramento”. Il Papa ha poi osservato che, nel tempo pasquale, la Chiesa solitamente amministra la Prima Comunione ai bambini:
“Esorto, pertanto, i parroci, i genitori e i catechisti a preparare bene questa festa della fede, con grande fervore ma anche con sobrietà. ‘Questo giorno rimane giustamente impresso nella memoria come il primo momento in cui… si è percepita l’importanza dell’incontro personale con Gesù’”.
Dopo la catechesi, il Papa ha ricordato la Beatificazione in Messico della religiosa María Inés Teresa del Santissimo Sacramento:
“Rendiamo grazie a Dio per questa esemplare figlia della terra messicana, che da poco ho avuto la gioia di visitare e che porto sempre nel cuore”.
Quindi, nella giornata dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sul tema “Il futuro del Paese nel cuore dei giovani”, ha dedicato un pensiero particolare agli studenti:
“E’ importante che i giovani si formino nei valori, oltre che nelle conoscenze scientifiche e tecniche. Per questo Padre Gemelli ha fondato l’Università Cattolica, alla quale auguro di essere al passo con i tempi, ma anche sempre fedele alle sue origini”.
Nei saluti in francese, il Papa ha evidenziato che nel nostro mondo, “segnato dal male, dalla sofferenza e dal dolore”, il Signore risorto ci dona la pace e ci “invita a divenire suoi testimoni fino ai confini della Terra”. Infine, al momento dei saluti ai pellegrini di lingua italiana, ha rivolto un pensiero speciale al gruppo “Bambini in missione di pace” dell’Unitalsi, che hanno contraccambiato al gesto d'affetto facendo volare in cielo dei palloncini colorati.
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Da: Radio Vaticana
Benedetto XVI ha ricevuto, stamani, in Vaticano i membri della “Papal Foundation”, associazione caritativa statunitense fondata nel 1988. Il Papa ha ringraziato il sodalizio per il sostegno alle opere di carità della Chiesa e agli sforzi di evangelizzazione. L’indirizzo d’omaggio al Papa è stato rivolto dal cardinale Donald Wuerl, arcivescovo di Washington e presidente della Fondazione. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Benedetto XVI ha innanzitutto espresso gratitudine alla “Papal Foundation” per il supporto al Successore di Pietro e per il servizio alla Chiesa:
“Through the work of the Papal Foundation…”
“Attraverso il lavoro della ‘Papal Foundation’ – ha affermato – aiutate a far avanzare la missione di evangelizzazione della Chiesa, a promuovere l’educazione e lo sviluppo integrale dei nostri fratelli nei Paesi più poveri”. Ancora, ha detto, sostenete gli sforzi missionari di tante diocesi e congregazioni religiose nel mondo:
“In these days I ask your continued prayers…”
“In questi giorni – ha soggiunto – chiedo che continuate le vostre preghiere per i bisogni della Chiesa universale” in particolare “per la libertà dei cristiani di proclamare il Vangelo” e affinché illumini con la sua luce “le urgenti questioni morali del nostro tempo”. Il Papa ha poi ricordato che, nei prossimi mesi, canonizzerà due nuove Sante del Nord America, la Beata Kateri Tekakwitha e la Beata Madre Marianne Cope. Si tratta, ha rilevato, di due “grandi esempi di santità ed eroica carità” e ci ricordano “lo storico ruolo avuto dalle donne nella costruzione delle Chiesa in America”.
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Da: Radio Vaticana
La Parola di Dio non resta confinata nello scritto, ma è potenza di vita e la sua comprensione continua a crescere con l’assistenza dello Spirito Santo: è quanto afferma il Papa in un Messaggio inviato al cardinale William Levada, presidente della Pontificia Commissione Biblica, in occasione dell’annuale plenaria dell'organismo che si è svolta in Vaticano sul tema «Ispirazione e Verità della Bibbia». Il servizio di Sergio Centofanti.
Il Papa indica gli elementi per una corretta interpretazione del messaggio biblico: “l’ispirazione come azione di Dio – scrive - fa sì che nelle parole umane si esprima la Parola di Dio. Di conseguenza, il tema dell’ispirazione è decisivo per l’adeguato accostamento alle Sacre Scritture. Infatti, un’interpretazione dei sacri testi che trascura o dimentica la loro ispirazione non tiene conto della loro più importante e preziosa caratteristica, ossia della loro provenienza da Dio”.
Al tema dell’ispirazione – aggiunge – è poi connesso “anche il tema della verità delle Scritture. Per questo, un approfondimento della dinamica dell’ispirazione porterà indubbiamente anche ad una maggior comprensione della verità contenuta nei libri sacri”.
Il Papa sottolinea quindi che “per il carisma dell’ispirazione i libri della Sacra Scrittura hanno una forza di appello diretto e concreto. Ma la Parola di Dio non resta confinata nello scritto. Se, infatti, l’atto della Rivelazione si è concluso con la morte dell’ultimo Apostolo, la Parola rivelata ha continuato ad essere annunciata e interpretata dalla viva Tradizione della Chiesa. Per questa ragione – spiega Benedetto XVI - la Parola di Dio fissata nei testi sacri non è un deposito inerte all’interno della Chiesa ma diventa regola suprema della sua fede e potenza di vita. La Tradizione che trae origine dagli Apostoli”, infatti, “progredisce con l’assistenza dello Spirito Santo e cresce con la riflessione e lo studio dei credenti, con l’esperienza personale di vita spirituale e la predicazione dei Vescovi”.
Benedetto XVI afferma poi che è “essenziale e fondamentale per la vita e la missione della Chiesa che i testi sacri vengano interpretati secondo la loro natura: l’Ispirazione e la Verità sono caratteristiche costitutive di questa natura”. “Perciò – conclude il suo messaggio alla Commissione Biblica – il vostro impegno avrà una vera utilità per la vita e la missione della Chiesa” e per promuovere “la conoscenza, lo studio e l’accoglienza della Parola di Dio nel mondo”.
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Da: Radio Vaticana
La Chiesa celebra oggi con gratitudine al Signore il settimo anniversario dell'elezione di Joseph Ratzinger alla Cattedra di Pietro. Nel servizio di Alessandro Gisotti, un vescovo, una suora missionaria, il leader di un movimento laicale e ancora il direttore di un giornale, una giovane cattolica e uno scienziato agnostico raccontano cosa hanno dato loro questi sette anni di Pontificato di Benedetto XVI:
“Un umile lavoratore nella Vigna del Signore”: il 19 aprile del 2005, Benedetto XVI si presentava così al mondo. Sette anni nei quali, il pastore “mite e fermo” della Chiesa universale ha guidato con mano sicura e cuore generoso la Barca di Pietro. Mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, sottolinea la dimensione luminosa del Magistero di Benedetto XVI:
R. - E’ un Pontificato al tempo stesso drammatico e luminoso. E’ un Pontificato drammatico per i tempi in cui esso viene a svolgersi. Siamo nella stagione seguente quello scontro delle civiltà che ad alcuni sembrava inevitabile e addirittura unica via di un progresso futuro; uno scontro nel quale il Papa si è situato con estrema lucidità, con parole chiare, quelle del rifiuto di ogni violenza esercitata in nome di Dio. Ma la drammaticità è non solo quella dei grandi contesti, quanto anche la crisi generale che attraversa il villaggio globale, in particolare l’Occidente; una crisi che il Papa sente in prima persona e che ha espresso in maniera molto lucida, specialmente nella costituzione di un Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione. Proprio in questo contesto drammatico si situa la luminosità del messaggio di Papa Benedetto XVI. Egli non cede alla tentazione della rinuncia o del pessimismo, anzi, più che mai si dimostra tenace nel proporre il sì di Dio in Gesù Cristo, nel testimoniare orizzonti di senso e di speranza e di ritenere il cristianesimo la via possibile di salvezza nella crisi attuale. Questo lo vediamo nella insistenza sui grandi temi del cristianesimo, innanzitutto il tema della fede, che è quello dell’autentico rinnovamento che questo Papa sta chiedendo alla Chiesa.
D. – Rinnovamento nella fede, sottolineava, l’Anno della fede è vicino… Quale augurio si sente di fare a Benedetto XVI per il suo Pontificato?
R. – Che questo suo straordinario sforzo di testimoniare la bellezza di Dio e la luce della fede a un mondo più che mai bisognoso di essa, questo rilancio della centralità della fede nella vita nell’identità e nella missione della Chiesa, trovino amplissima risposta nei cuori e che il Signore dia alla sua azione, al tempo stesso coraggiosa e umile, una grande fecondità che sia anche di consolazione per il suo cuore di padre e di pastore. (bf)
Come il suo amato predecessore, anche Benedetto XVI ha puntato molto sul ruolo dei movimenti laicali nel rinnovato sforzo della nuova evangelizzazione. Un tema forte di questi sette anni, su cui si sofferma il presidente in Italia di “Rinnovamento nello Spirito”, Salvatore Martinez, che ricorda i suoi primi incontri con il Papa:
R. – Vorrei evidenziare qui due ricordi. Il primo, a dieci mesi dalla sua elezione: la mia udienza privata con lui, quando ho subito percepito il tratto del pastore buono, di un uomo profondamente interiorizzato, nobile non soltanto nell’incedere, nel tratto, ma direi soprattutto nei pensieri; poi, la storica Pentecoste con i movimenti. Certamente, Benedetto XVI ha convalidato, confermato, rilanciato il grande tema della coessenzialità dei carismi, con il principio gerarchico petrino. E’ un Pontefice che invita i laici a dare ancora credito alla speranza, al Vangelo della speranza. Sta sottolineando, in ogni modo, il bisogno che questa nuova evangelizzazione abbia nei movimenti, nei laici, una espressione compiuta. Infine, al Pontefice dobbiamo dire grazie per come ci insegna ogni giorno a difendere e a diffondere la fede!
D. – Testimone della fede, testimone della gioia: quale augurio si sente di fare a Papa Benedetto per il prosieguo del suo ministero petrino?
R. – Che continui a tenere la mano sul timone di questa barca. Se anche il mare è periglioso e non mancano le tempeste, la mano è sicura. Noi siamo con lui; la gente lo sente sempre più vicino, vede ogni giorno di più il coraggio di un uomo. E, seppure evidentemente invecchia e faccia fatica come ogni anziano, la gente vede, coglie in lui, il desiderio che questa Chiesa sia guidata, che questa Chiesa sia condotta verso l’approdo che è Cristo: ogni giorno un Gesù nuovo, ogni giorno un Cristo vivo. Il Papa ha ricordato all’inizio del Pontificato che è parte di una Chiesa giovane, perché Cristo è vivo. Cristo lo rende giovane, Cristo gli regala questa giovinezza spirituale, Cristo lo fa amare dalla gente. Allora, lunga vita al Papa! Che continui davvero a guidare la Chiesa con l’amore e la passione che ci sta testimoniando. (ap)
E il Papa, in questi anni, ha levato incessantemente la sua voce in difesa della dignità dell’uomo, sfigurata dalla violenza, dall’egoismo, dalla miseria. Benedetto XVI ha dato così voce a chi non ha voce. E’ quanto sottolinea suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata, responsabile dell’ufficio “Tratta donne e minori” dell’Usmi:
R. – Questi anni di Pontificato a noi hanno dato moltissimo, perché abbiamo trovato in Benedetto XVI un padre, un padre che sa ascoltare, che sa cogliere le urgenze, le emergenze dell’oggi, soprattutto le emergenze dell’immigrazione, dello sfruttamento della persona. Abbiamo trovato un pastore in lui e troviamo nei suoi insegnamenti veramente l’aiuto e la forza per continuare a lottare, perché ogni persona possa vivere da persona umana con la propria dignità, così come è stata voluta e creata dal Creatore. Quindi, per noi è un grande esempio: la sua dedizione, le sue catechesi sempre così puntuali, così attuali. Oggi abbiamo più che mai bisogno di avere delle guide, di avere dei testimoni.
D. – Come religiosa, come missionaria, come cristiana, qual è l’augurio che vuole rivolgere a Benedetto XVI?
R. – Prima che la Libia andasse in guerra, ho avuto l’occasione di andare a Tripoli e ho visitato le prigioni dove queste persone, rimandate dall’Italia, si trovavano in prigione. Quando hanno saputo che venivo dall’Italia, che venivo da Roma, in coro hanno gridato: “Vai a trovare il Papa e dì al Papa che gli vogliamo bene”! Ecco, io voglio fare ancora mio e nostro questo augurio: che tante persone, soprattutto le persone più sfortunate, più svantaggiate, sentano e trovino nel Santo Padre questa guida, che veramente sentano di voler bene al Papa, e così anche noi. Questo è il nostro augurio, e l’augurio di tante suore, di tante donne che noi abbiamo aiutato, di poter dire al Santo Padre: “Grazie per la sua presenza, per il suo insegnamento”. E sia così anche per noi, come queste persone, che hanno gridato: “Dì al Papa che gli vogliamo bene”. (ap)
Colonia, Sydney, Madrid: le città delle tre Gmg di Benedetto XVI, mentre già si guarda all’appuntamento di Rio de Janeiro del prossimo anno. Un rapporto speciale quello del Papa con i giovani, come già era avvenuto nel Pontificato del Beato Karol Wojtyla.Lisa Moni Bidin, responsabile nazionale di Azione Cattolica per i giovani, si sofferma sui doni che ha ricevuto da Papa Benedetto in questi sette anni:
R. – Le due cose che porto più nel cuore sono il primato dell’amore e il desiderio profondo di chiarezza e di verità: un amore che faccia crescere, che ci permetta di trovare quel di più della nostra vita per aspirare a mete grandi; e quel desiderio di chiarezza e verità da ricercare dentro ciascuno di noi, nelle nostre chiese, nelle nostre comunità, per essere sempre più testimonianza viva di Cristo Risorto, di una Chiesa viva, di una Chiesa della gioia.
D. – Quale augurio per questo anniversario di Pontificato, guardando in particolare ai giovani?
R. – Un augurio sicuramente dai giovani, in particolar modo i giovani dell’Azione Cattolica, che sono quelli che conosco meglio, un augurio di bene, di sostegno per il suo operare, anche nel nostro impegno di sostenerlo con la preghiera. (ap)
Altro tema che sta fortemente caratterizzando il Pontificato di Benedetto XVI è la promozione di un fruttuoso dialogo tra fede e ragione. Un impegno particolarmente apprezzato dal genetista Angelo Vescovi, presidente del Comitato scientifico di “Neurothon”:
R. - Ha dato una chiara direzione su come muoversi. Io parlo ovviamente per quanto riguarda il mio settore di competenza, che è quello delle malattie degenerative, delle terapie con le cellule staminali. Per quanto mi riguarda il grande valore che il Papa mi ha confermato è di rimanere sempre nell’alveo del rispetto della vita umana, quando si lavora per cercare di curare coloro che soffrono. Sicuramente i suoi insegnamenti funzionano molto da “luce guida”. Ho avuto poi anche il piacere e l’onore di vederlo da vicino e posso trasmettere una sensazione che mi ha veramente impressionato: guardandolo negli occhi, ho sentito un senso di serenità che ho visto in pochissimi uomini.
D. - Lei ci dice: un Papa può aiutare anche un uomo di scienza…
R. - Anzitutto uno scienziato è un uomo; è poi un uomo di scienza, ma è un uomo. Un Pontefice con la capacità di trasmettere dei valori non solo religiosi, ma morali e filosofici, non “può” aiutare, ma essenzialmente aiuta!
D. - Quale augurio si sente di fare come uomo per l’appunto, prima ancora che come uomo di scienza?
R. - Il mio augurio è che lui rimanga tra di noi per altri 100 anni! E che possa guidarci con quella serenità che gli ho visto negli occhi e che è una serenità di tipo trascendente. (mg)
“Papa della parola” per antonomasia, Benedetto XVI con il suo Magistero rappresenta una sfida stimolante per gli operatori della comunicazione. La riflessione del direttore del quotidiano “Avvenire”, Marco Tarquinio:
R. – In Joseph Ratzinger, divenuto Papa Benedetto XVI, quella che era la sua grande sapienza cristiana è diventata qualcosa di più e di diverso. Io lo considero un segno di contraddizione bellissimo nel mondo di oggi. Gli hanno costruito addosso dei cliché mediatici e lui li ha rovesciati: ad un mondo che ha rovesciato l’ordine dei valori, ha offerto lo scandalo di un rovesciamento dei cliché precostituiti sia sulla sua persona sia sulla predicazione della Chiesa. E questo lo ha fatto sulle questioni cruciali del nostro tempo.
D. – Uno scandalo che interroga molto il mondo della comunicazione…
R. – Questo è lo scandalo: per un mondo dell’informazione, che si nutre di certezze evanescenti, che fa titolo grazie alla levità infelice di casi di cronaca, di gossip, trasformati nel metro della nostra umanità, nella misura del successo, c’è qualcuno che dice, con una voce percepibile anche dai semplici, non solo dai dotti, che è un altro il modo, è un altro il centro, è un altro il fuoco vero intorno al quale si può accendere la speranza del mondo.
D. – Quale augurio rivolge al Papa in questo giorno, in questo anniversario di ministero petrino?
R. – Che l’Anno della fede, che sta per cominciare corrisponda a quella domanda che il Papa si poneva qualche settimana fa nell’incontro con la Chiesa di Roma: che cosa dirà il mondo della nostra fede? Di questo ci dobbiamo preoccupare. Quindi, l’augurio è che noi sappiamo dire come popolo di Dio, seguendo la luce che il Papa ci aiuta a vedere, che la nostra fede è significante ed è una forza buona, in un mondo che è pervaso da correnti obiettivamente negative. (ap)
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Da: Radio Vaticana
All’udienza generale di questa mattina, presieduta in Piazza San Pietro davanti a 20 mila persone, Benedetto XVI è tornato a riflettere sul valore della preghiera. Lo spunto glielo ha fornito l’episodio degli Atti degli Apostoli, detto “la piccola Pentecoste”. Al termine, il Papa ha ringraziato per gli auguri ricevuti in vista del settimo anniversario di Pontificato, che cade domani, e ha chiesto preghiere per poter perseverare nel suo “servizio a Cristo e alla Chiesa”. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Non essere difesa, ma essere coraggiosa. È questa la testimonianza che la Chiesa cristiana della prima ora offre a quella di ogni secolo successivo. Un coraggio che nasce da una “incrollabile” fiducia in Dio, alimentata dalla preghiera, al punto che ai suoi membri sta soprattutto a cuore il diffondere il Vangelo, che il sapersi incolumi dai pericoli che tale annuncio può comportare. E quando ciò avviene, ha affermato Benedetto XVI, tra i cristiani si verifica il “prodigio” della concordia, che – ha soggiunto – “è l’elemento fondamentale della Chiesa”:
“L’unità si consolida, invece di essere compromessa, perché è sostenuta da una preghiera incrollabile. La Chiesa non deve temere le persecuzioni che nella sua storia è costretta a subire, ma confidare sempre, come Gesù al Getsemani, nella presenza, nell’aiuto e nella forza di Dio, invocato nella preghiera”.
L’episodio all’origine di tutto è quello narrato da Luca negli Atti degli Apostoli. L’arresto e il processo sommario subiti da Pietro e Giovanni perché colti ad annunciare la risurrezione di Gesù. Una volta rilasciati e informati i loro fratelli nella fede, la reazione di questi ultimi, ha osservato il Papa, è esemplare:
“Di fronte al pericolo, alla difficoltà, alla minaccia, la prima comunità cristiana non cerca di fare analisi su come reagire, trovare strategie, come difendersi, quali misure adottare, ma, davanti alla prova, si mette in preghiera, prende contatto con Dio. E che caratteristica ha questa preghiera? Si tratta di una preghiera unanime e concorde dell’intera comunità, che fronteggia una situazione di persecuzione a causa di Gesù”.
Quella intonata nella circostanza da quei primi cristiani di Gerusalemme, ha proseguito il Pontefice, è la “più ampia preghiera della Chiesa” nel Nuovo Testamento. Una preghiera che, facendo ricorso alle parole del Salmo 2, “cerca di leggere gli avvenimenti alla luce della fede”. Dunque…
“Ciò che è accaduto viene letto alla luce di Cristo, che è la chiave per comprendere anche la persecuzione (…) che la prima comunità cristiana sta vivendo; questa prima comunità non è una semplice associazione, ma una comunità che vive in Cristo; pertanto, ciò che le accade fa parte del disegno di Dio”.
Ecco perché, ha evidenziato il Papa:
“Proprio per questo la richiesta che la prima comunità cristiana di Gerusalemme formula a Dio nella preghiera non è quella di essere difesa, di essere risparmiata dalla prova, dalla sofferenza, non è la preghiera di avere successo, ma solamente quella di poter proclamare (…) con franchezza, con libertà, con coraggio, la Parola di Dio”.
Franchezza e coraggio, ha terminato Benedetto XVI, sono frutto dell’effusione dello Spirito Santo, invocato dal Papa su tutti i credenti perché, ha auspicato, sappiano ricercare “il significato profondo” degli avvenimenti della loro vita nella Parola di Dio. Poi, dopo le catechesi in lingua, il Pontefice ha ringraziato per tutti gli auguri ricevuti per il compleanno e per il settimo anniversario di Pontificato, che cade domani:
“Vi chiedo di sostenermi sempre con le vostre preghiere, affinché, con l’aiuto dello Spirito Santo, possa perseverare nel mio servizio a Cristo e alla Chiesa”.
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Da: Radio Vaticana
Una Messa celebrata in privato nella Cappella Paolina del Palazzo apostolico, alla presenza di vescovi tedeschi e di personalità della Baviera. È iniziata così la giornata di Benedetto XVI, attorniato dagli amici e da coloro che sono giunti a Roma dalla sua terra natale per festeggiare il suo 85.mo compleanno. Alla celebrazione eucaristica che ha aperto la serie di incontri, il Papa ha riflettuto sui “segni indicatori” del 16 aprile, giorno della sua nascita e del suo Battesimo. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Santa Bernadette, la veggente di Lourdes, e San Benedetto Giuseppe Labre, un Santo del Settecento conosciuto come il “pellegrino mendicante”. Sono le due figure di riferimento che fin da giovane Joseph Ratzinger ha considerato alla stregua di una “segnaletica” inviatagli dalla Provvidenza rispetto alla strada della sua vita. Loro e il Sabato Santo – perché tale era quel 16 aprile 1927 che lo vide arrivare alla luce – ovvero il giorno del silenzio di Dio, dell’apparente assenza”, che invece è preludio dell’annuncio di Risurrezione. Una “lettura” della propria esistenza rimasta immutata fino e oltre il Soglio pontificio, come ha tenuto a sottolineare Benedetto XVI. Di Bernadette Soubirous, il Papa ha detto di essere rimasto sempre colpito dal suo cuore “capace di vedere la Madre di Dio e in lei il riflesso della bellezza e della bontà di Dio”. A lei, con quel suo “cuore puro e incontaminato”, Maria – ha detto – poteva mostrarsi e attraverso lei parlare al secolo e oltre il secolo stesso”:
“So ist dieser Tag, diese kleine Heilige für mich immer ein Zeichen ...
Ecco che questo giorno, questa piccola Santa sono sempre stati per me un segno (…) di come dovremmo essere. Del fatto che con tutto il sapere e il fare, che pure sono necessari, non dobbiamo perdere il cuore semplice, lo sguardo semplice del cuore, capace di vedere l’essenziale”.
Bernadette, ha soggiunto Benedetto XVI, “sapeva vedere” quel che la Madonna le indicava: la “sorgente di acqua viva, pura”. Acqua, ha spiegato, che è immagine “della verità che ci viene incontro dalla fede, della verità non dissimulata e incontaminata”. Perché “per poter vivere, per poter diventare puri – ha affermato il Pontefice – abbiamo bisogno che in noi nasca la nostalgia della vita pura, della verità vera, dell’incontaminato dalla corruzione, dell’essere umani senza peccato”:
“In dieser unseren Zeit, in der wir die Welt in so vielen Nöten sehen, ...
In questo nostro tempo, in cui vediamo il mondo in tanto affanno, e in cui erompe la necessità dell’acqua, dell’acqua pura, questo segno è tanto più grande. Da Maria, dalla Madre del Signore, dal cuore puro, viene anche l’acqua pura, incontaminata, che dà la vita, l’acqua che in questo secolo – e nei secoli che possano venire – ci purifica e ci guarisce”.
Di Benedetto Giuseppe Labre, il Papa ha ricordato il suo peregrinare attraverso tutta l’Europa e i suoi santuari del continente. Un Santo “europeo”, dunque, che ha la sua particolarità nel fatto che, ha notato, “non vuole fare altro che pregare e rendere testimonianza a ciò che conta” nella vita: Dio. Non “un esempio da emulare”, ma come “un dito che indica l’essenziale”: che Dio da solo “basta” e che chi “si apre a Dio non si estranea dal mondo e dagli uomini…
“... dass er Geschwister findet, dass von Gott her die Grenzen fallen, ...
…perché trova fratelli, perché in Dio cadono le frontiere, perché solo Dio può eliminare le frontiere perché per quanto riguarda Dio, siamo tutti solo fratelli, facciamo parte gli uni degli altri; che l’unicità di Dio significa al contempo la fratellanza e la riconciliazione degli uomini, lo smantellamento delle frontiere che ci unisce e ci guarisce”.
Soffermandosi poi sul Sabato Santo della sua nascita, Benedetto XVI ha ringraziato i suoi genitori per averlo “fatto rinascere” in quello stesso giorno attraverso l’acqua del Battesimo e, ovviamente, per il dono della vita. Tuttavia, si è chiesto in modo provocatorio: in che modo il dono della vita è realmente tale? “E’ giusto dare la vita così, semplicemente? E’ responsabile o troppo imprevedibile?”. La “vita biologica di per sé è un dono, eppure – ha obiettato – è circondata da una grande domanda”:
“Zur wirklichen Gabe wird es erst dann, wenn mit ihm mitgegeben ...
La vita diventa un vero dono se insieme a essa si può donare anche una promessa che è più forte di qualunque sventura che ci possa minacciare, se essa viene immersa in una forza che garantisce che sia un bene essere un uomo (...) Così, alla nascita va associata la rinascita, la certezza che in verità è un bene esserci, perché la promessa è più forte delle minacce”.
Ecco dunque spiegato il senso del Battesimo, un appartenere alla “grande, nuova famiglia di Dio che – ha ribadito Benedetto XVI – è più forte” di “tutte le forze negative che ci minacciano”. E dopo una breve riflessione sul senso del Sabato Santo, che ha riecheggiato da vicino le sue meditazioni prima della Pasqua, il Papa – che all’inizio aveva ricevuto un affettuoso saluto dal cardinale decano, Angelo Sodano, e che altrettanto affettuosamente ha ringraziato – ha poi concluso con un atto di consapevolezza e affidamento a Dio:
“Ich stehe vor der letzten Wegstrecke meines Lebens, ...
Mi trovo di fronte all’ultimo tratto del percorso della mia vita e non so cosa mi aspetta. So, però, che la luce di Dio c’è, che Egli è risorto, che la sua luce è più forte di ogni oscurità, che la bontà di Dio è più forte di ogni male di questo mondo. E questo mi aiuta a procedere con sicurezza. Questo aiuta noi ad andare avanti, e in questa ora ringrazio di cuore tutti coloro che continuamente mi fanno percepire il ‘sì’ di Dio attraverso la loro fede”.
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Da: Radio Vaticana
Istituita da Giovanni Paolo II nel 2000, durante la canonizzazione di suor Faustina Kowalska, la festa della Divina Misericordia, secondo la testimonianza della religiosa polacca, è stata voluta da Gesù per offrire alle anime una strada ulteriore verso la salvezza. In questo giorno chi si accosta alla Confessione e all’Eucaristia riceve, grazie alla Misericordia di Dio, il perdono totale delle colpe e delle pene. Ma perché questa festività dopo la domenica di Pasqua? Lo spiega al microfono di Tiziana Campisi don Renato Tisot, assistente spirituale dell’Alleanza Dives in Misericordia.
R. - La Pasqua dura otto giorni e attraverso Santa Faustina, la domenica in albis - la seconda di Pasqua - il Signore ha voluto assegnarla come il completamento del mistero pasquale, soprattutto riferendosi al Padre. Quindi la Divina Misericordia - ricordiamo quindi che il culto non è di Gesù misericordioso ma della Divina Misericordia - è riferito a tutta la Santissima Trinità. Gesù ha versato tutto il suo sangue perché arrivassimo a questo incontro con il Padre e potessimo ricevere lo Spirito Santo: Pentecoste, quindi. Qui l’icona mostra il cuore del padre che ci dà i due massimi doni: il sangue del Figlio, e l’acqua dello Spirito rappresentati adesso con i due raggi, rosso e bianco. E’ questa la lettura teologica. In sostanza, il mistero pasquale definisce che Dio è misericordia, amore misericordioso.
D. - Cosa significa per un credente porsi di fronte alla Divina Misericordia?
R. - Quello che il Signore vuole, attraverso questa icona, è che ci sia la scritta “Gesù confido in te”: bisogna scendere alla fiducia, alla confidenza. Quando dico “confido” mi butto dentro nel senso totale: non è solo la ragione ma i sentimenti, il cuore che batte, come corrispondenza. E allora è proprio una proposta che il Signore fa e tu la accetti con il cuore più che con la mente. Questa icona, quindi, mi richiama tutto il mistero pasquale, partito dal Cenacolo, passato attraverso il Calvario, arrivato alla Risurrezione. (bf)
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Da: Radio Vaticana
Tra lunedì e giovedì prossimi, per Benedetto XVI sarà tempo di celebrare due importanti traguardi, la cui vicinanza sul calendario contribuisce ad accentuare notevolmente il loro richiamo: la data del compleanno e quella di inizio Pontificato. Due date che ogni volta invitano a tracciare ritratti e bilanci, come fa il nostro direttore, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per "Octava Dies", il settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano:
85 anni di età e 7 di pontificato. Quando il cardinale Joseph Ratzinger venne eletto Papa, in età già avanzata, molti si domandarono se, dopo gli anni segnati dall’infermità del grande Predecessore, il Pontificato che si apriva sarebbe stato intenso e durevole come si desiderava, e se un teologo che aveva guidato per lungo tempo un dicastero specificamente dottrinale avrebbe saputo assumere il compito assai diverso del governo pastorale della Chiesa universale.
In questi sette anni abbiamo già avuto 23 viaggi internazionali in 23 Paesi diversi e 26 viaggi in Italia, abbiamo assistito a quattro Sinodi dei Vescovi e a tre Giornate Mondiali della Gioventù, abbiamo letto tre Encicliche e ricevuto innumerevoli altri discorsi e atti magisteriali, abbiamo partecipato a un Anno paolino e a un Anno sacerdotale, abbiamo visto il Papa affrontare con coraggio, umiltà e determinazione – cioè con limpido spirito evangelico – situazioni difficili, come la crisi conseguente agli abusi sessuali.
Abbiamo letto – fatto nuovo ed originale – la sua opera su Gesù di Nazareth e il suo libro intervista “Luce del mondo”. Abbiamo soprattutto imparato dalla coerenza e costanza del suo insegnamento che la priorità del suo servizio alla Chiesa e all’umanità è orientare la vita verso Dio, il Dio che ci è stato fatto conoscere da Gesù Cristo; che la fede e la ragione si aiutano a vicenda nel cercare la verità e rispondere alle attese e alle domande di ognuno di noi e dell’umanità nel suo insieme; che l’oblio di Dio e il relativismo sono rischi gravissimi del nostro tempo. Di tutto ciò siamo immensamente grati. E siamo tuttora in cammino con lui: verso l’Incontro mondiale delle famiglie e verso il Medio Oriente, verso il Sinodo sulla nuova evangelizzazione e verso l’Anno della fede. Nelle mani di Dio, al servizio di Dio e della sua Chiesa.
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Da: Radio Vaticana
Benedetto XVI conclude oggi il suo breve soggiorno nella residenza di Castel Gandolfo e nel pomeriggio, verso le 16.20 farà rientro in elicottero in Vaticano. Intanto, a livello ecclesiale ma non solo, è sempre viva l’eco dei suoi ripetuti riferimenti alle famiglie degli ultimi giorni: dalla riflessione del Venerdì Santo all’appello ai giovani all’udienza generale di mercoledì scorso, quando il Papa li ha invitati a prepararsi al prossimo Incontro mondiale della famiglie di giugno. E proprio a uno dei principali organizzatori del raduno di giugno – il segretario generale della “Fondazione Milano Famiglie 2012”, don Luca Violoni – Alessandro De Carolis ha chiesto un commento alle parole del Papa:
R. – Il Papa ha parlato di incomprensioni, di preoccupazione per il futuro dei figli, di malattie, di disagi di vario genere: fin qui, poteva essere una diagnosi che molti possono condividere a livello sociologico. Ma il passaggio che lui ha fatto è veramente cruciale in tutti i sensi: la famiglia non è sola. E’ solo guardando alla Croce di Gesù che la famiglia ritrova il suo cammino e scopre che non è abbandonata alla propria solitudine, ma c’è una salvezza reale. Allora, mentre noi siamo consapevoli che la famiglia è assediata da varie sfide e anche da vari mali, credo sia veramente fondamentale per noi dire che c’è una salvezza per la famiglia e che questa salvezza è Gesù stesso nella sua Croce e Resurrezione. Da qui dobbiamo assolutamente ripartire per dare un messaggio di salvezza al mondo.
D. – In che modo ha potuto constatare che la fede aiuta le famiglie che si trovano nella morsa della crisi, del bisogno?
R. – Intanto, l’esperienza della fede è un’esperienza di comunione con Dio che ci fa riscoprire come i legami familiari siano un’espressione dell’essere immagine e somiglianza con Dio. Allora, questo fa sì che le persone si uniscano di più tra loro, diventino più solidali, condividano un progetto comune, raccolgano tutte le forze non uno contro l’altro, ma uno insieme all’altro. Allora, la famiglia cerca altre famiglie con le quali condividere questo cammino e cerca di tirare fuori il meglio che ci possa essere in ognuno. Per cui, è un cammino difficile e arduo anche per le situazioni economiche che vediamo, ma c’è il tentativo di essere compatti in questa sfida. Il punto è che quando ci si divide nella sfida, allora diventa davvero pesante e impegnativo.
D. – Parliamo dell’Incontro mondiale delle famiglie del prossimo giugno: a livello organizzativo, in questa fase a che punto siete?
R. – Stiamo vedendo, proprio in queste ultime settimane, una grandissima attenzione. Il sito è sempre più visitato, stanno aumentando le adesioni al congresso e anche agli eventi, soprattutto a quelli con il Santo Padre, previsti per sabato 2 giugno alla festa della testimonianza e il 3 giugno alla Messa. Ci sembra che ormai siamo entrati davvero nel vivo, per cui questo mese di aprile e i primi giorni di maggio saranno davvero decisivi per arrivare a quei numeri che noi attendiamo: cioè 5 mila al Congresso, 200-300 mila sabato notte con il Santo Padre e 700-800 mila – forse anche un milione – alla Messa di domenica 3 giugno. Inoltre, mi sembra ci sia anche molta attenzione per i contenuti che stiamo comunicando. Ma c’è ancora molto da fare, naturalmente.
D. – Avete avuto una buona risposta in termini di adesioni dagli altri continenti?
R. – Soprattutto da alcune nazioni europee, come per esempio la Francia e la Spagna: abbiamo molte adesioni. Ma anche dal Sud America – Brasile, Messico – stanno arrivando molte attenzioni. Poi ci sono anche gli Stati Uniti e l’Australia con delegazioni significative… E’ segno che si tratta proprio dell’Incontro mondiale delle famiglie, e questo naturalmente è molto bello.
D. – Tra le tante iniziative dell’Incontro mondiale, c’è anche l’istituzione di un fondo di solidarietà a sostegno di quelle famiglie che hanno pochi mezzi per poter partecipare all’evento di Milano. Come sta funzionando questa iniziativa?
R. – Per adesso, siamo arrivati a raccogliere 30 mila euro, una cifra significativa ma non ancora una cifra enorme. Abbiamo ricevuto richieste da famiglie di Haiti, dalla Bielorussia, dallo Zimbabwe, da altri Paesi e quindi un primo segno di attenzione c’è stato. Però, vorremmo promuoverlo ulteriormente perché ci sembra davvero che anche altre nazioni potrebbero partecipare: abbiamo bisogno di ascoltare i loro racconti e loro hanno bisogno di ascoltare i nostri, di tornare nel loro Paese con un messaggio rinnovato. Per questo, rinnoviamo ancora l’appello a contribuire e poi sarà nostra cura far sapere quali sono le famiglie che abbiamo appoggiato e che cosa è nato da questo incontro. (gf)
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Da: Radio Vaticana
Si apre domani a Grado, in provincia di Gorizia, il secondo Convegno delle Chiese del Triveneto, sul tema “Testimoni di Cristo, in ascolto”. L’evento, che vedrà riunite le 15 Diocesi di Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia, si concluderà domenica prossima con una Messa nella Basilica di Aquileia. Nel maggio dello scorso anno, Benedetto XVI, proprio da questa Basilica, incoraggiava le comunità cristiane del Nordest ad annunciare con entusiasmo il Vangelo nella società secolarizzata di oggi. Ce ne parlaSergio Centofanti:
Era il 7 maggio dell’anno scorso. Nella Basilica di Aquileia il Papa affida alle Chiese del Triveneto una “missione prioritaria”, testimoniare l’amore di Dio per l’uomo:
“Siete chiamati a farlo prima di tutto con le opere dell’amore e le scelte di vita in favore delle persone concrete, a partire da quelle più deboli, fragili, indifese, non autosufficienti, come i poveri, gli anziani, i malati, i disabili, quelle che san Paolo chiama le parti più deboli del corpo ecclesiale (cfr 1 Cor 12,15-27)”.
In un mondo dominato dal soggettivismo, Benedetto XVI invita ad un “annuncio esplicito del Vangelo, portato con delicata fierezza e con profonda gioia” nei vari ambiti della vita quotidiana:
“I cambiamenti culturali in atto vi chiedono di essere cristiani convinti, ‘pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi’ (1 Pt 3,15), capaci di affrontare le nuove sfide culturali, in rispettoso confronto costruttivo e consapevole con tutti i soggetti che vivono in questa società”.
Il Papa indica lo stile cristiano del convivere nell’odierna società pluralista:
“Non rinnegate nulla del Vangelo in cui credete, ma state in mezzo agli altri uomini con simpatia, comunicando nel vostro stesso stile di vita quell’umanesimo che affonda le sue radici nel Cristianesimo, tesi a costruire insieme a tutti gli uomini di buona volontà una ‘città’ più umana, più giusta e solidale”.
Infine, raccomanda - anche alle Chiese del Triveneto - “l’impegno a suscitare una nuova generazione di uomini e donne capaci di assumersi responsabilità dirette nei vari ambiti del sociale, in modo particolare in quello politico”:
“Esso ha più che mai bisogno di vedere persone, soprattutto giovani, capaci di edificare una ‘vita buona’ a favore e al servizio di tutti. A questo impegno infatti non possono sottrarsi i cristiani, che sono certo pellegrini verso il Cielo, ma che già vivono quaggiù un anticipo di eternità”.
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Da: Radio Vaticana
L’udienza generale di questa mattina, presieduta da Benedetto XVI, è stata interamente dedicata alla Pasqua. Il Papa, giunto in elicottero da Castel Gandolfo per poi ritornarvi dopo l’udienza, ha concentrato la catechesi sulle trasformazioni operate da Cristo sulla prima comunità degli Apostoli, facendo rinascere in essa la gioia della fede dopo i giorni tristi della Passione. Il servizio di Alessandro De Carolis:
È dalla sera della Risurrezione che le cose cominciano a cambiare. Il Cenacolo dove gli apostoli sono rifugiati, afferma Benedetto XVI, è una stanza piena di paura, di angoscia. Gesù ne è consapevole così la prima cosa che fa apparendo a porte chiuse ai suoi è pronunciare una frase che, ha soggiunto il Papa, “non è solo un saluto”.
“’Pace a voi’ (...) È il saluto pasquale, che fa superare ogni paura ai discepoli. La pace che Gesù porta è il dono della salvezza che Egli aveva promesso durante i suoi discorsi di addio: ‘Vi lascio la pace, vi do la mia pace’ (…) In questo giorno di Risurrezione, Egli la dona in pienezza ed essa diventa per la comunità fonte di gioia, certezza di vittoria, sicurezza nell’appoggiarsi a Dio”.
Poi, Gesù mostra le ferite della crocifissione. Anche questo gesto, ha proseguito Benedetto XVI, risponde a un criterio: rendere evidente che “la sua umanità gloriosa resta ‘ferita’” e che dunque la Risurrezione non ha cambiato il fatto che Egli “è una persona reale”. E reale, allora, comincia ad essere la gioia provata dagli Apostoli, come pure quella “pace” che Gesù ripete stando fra loro:
“È un dono, il dono che il Risorto vuole fare ai suoi amici, ed è al tempo stesso una consegna: questa pace, acquistata da Cristo col suo sangue, è per loro ma anche per tutti, e i discepoli dovranno portarla in tutto il mondo (...) Questa novità di una vita che non muore, portata dalla Pasqua, va diffusa ovunque, perché le spine del peccato che feriscono il cuore dell’uomo, lascino il posto ai germogli della Grazia”.
Dal Cenacolo chiuso per paura alle tante case sbarrate di oggi – in tempi definiti dal Papa “grigi” come il cielo ventoso e carico di nuvole che ha coperto Piazza San Pietro – il passo è breve. Ma come la porta chiusa non fermò l’ingresso di Cristo allora, neanche oggi, ha assicurato il Pontefice, le porte chiuse dei cuori fermano Gesù dal donare all’umanità “gioia, pace, vita e speranza”:
“Solo Lui può ribaltare quelle pietre sepolcrali che l’uomo spesso pone sui propri sentimenti, sulle proprie relazioni, sui propri comportamenti; pietre che sanciscono la morte: divisioni, inimicizie, rancori, invidie, diffidenze, indifferenze. Solo Lui, il Vivente, può dare senso all’esistenza e far riprendere il cammino a chi è stanco e triste, sfiduciato e privo di speranza”.
A testimoniare il ribaltamento di convinzioni vissuto dai seguaci di Cristo in quelle prime ore dopo la Risurrezione sono certamente i due discepoli di Emmaus. Benedetto XVI ha ricordato la loro storia: dalla delusione al cuore che torna ad ardere nello spazio di pochi chilometri perché hanno incontrato Cristo, ascoltando la sua Parola e condividendo il pane spezzato, ovvero i “due luoghi” che, ha detto il Papa, trasformano la vita di chi apre il cuore a Cristo:
“Cari amici, il Tempo pasquale sia per tutti noi l’occasione propizia per riscoprire con gioia ed entusiasmo le sorgenti della fede (...) La fede in Lui trasforma la nostra vita: la libera dalla paura, le dà ferma speranza, la rende animata da ciò che dona pieno senso all’esistenza, l’amore di Dio”.
Al termine delle catechesi nelle altre lingue, Benedetto XVI ha rivolto un particolare benvenuto, fra gli altri, ai diaconi della Compagnia di Gesù e ai ragazzi della professione di fede di Milano, invitati a prepararsi spiritualmente al prossimo Incontro mondiale delle famiglie, in programma nel capoluogo lombardo tra poco più di un mese e mezzo. “In questo cammino – ha concluso il Papa – vi sia di aiuto l’immagine della Sacra Famiglia”, rappresentata dalla grande icona benedetta dal Pontefice stamattina prima dell’udienza e presto inviata in pellegrinaggio nelle case di Milano.
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