martedì 31 gennaio 2012

Pubblicato il programma del viaggio del Papa in Messico e Cuba: intervista con l'ambasciatore messicano presso la Santa Sede

Da: Radio Vaticana


La Sala Stampa della Santa Sede ha pubblicato stamani il programma del viaggio apostolico che il Papa compirà in Messico e a Cuba, dal 23 al 28 marzo prossimo. Si tratta del 23.mo viaggio internazionale di Benedetto XVI che torna in America Latina dopo la visita in Brasile del 2007. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Sei giorni ricchi di momenti ecclesiali ed eventi di alto significato sociale. Si presenta così il viaggio di Benedetto XVI in Messico e Cuba, fra meno di due mesi. Il Papa - informa la Sala Stampa vaticana - arriverà in Messico il pomeriggio di venerdì 23 marzo, all’aeroporto di León nello Stato di Guanajuato, dove si svolgerà la cerimonia di benvenuto. Quindi, sabato 24, dopo la visita di cortesia al presidente, il Papa saluterà e benedirà i bambini messicani raccolti nella “Plaza de la Paz” della città di Guanajuato. La mattina dopo, domenica 25 marzo, il Pontefice celebrerà una grande Messa nel Parco Bicentenario di León. Infine, nel pomeriggio, nella Cattedrale della Madre Santissima della Luce, celebrerà i Vespri assieme ai vescovi messicani e dell’America Latina.

La mattina dopo, il Papa si trasferirà a Cuba dove nel primo pomeriggio si terrà la cerimonia di benvenuto nell’aeroporto internazionale di Santiago de Cuba. Quindi, celebrerà una Messa nella Piazza “Antonio Maceo”, in occasione del 400.mo anniversario del ritrovamento della Virgen de la Caridad del Cobre. La mattina del 27 marzo, dopo la visita al Santuario della Virgen de la Caridad del Cobre, il Papa si trasferirà in aereo all’Avana, dove nel pomeriggio si recherà al Palazzo della Rivoluzione per la visita di cortesia al presidente. Il 28 marzo, infine, il Papa presiederà la Messa nella Piazza della Rivoluzione “José Marti” dell’Avana, quindi nel pomeriggio si trasferirà all’aeroporto dell’Avana per fare ritorno a Roma. L’arrivo è previsto all’aeroporto di Ciampino intorno alle ore 10 di giovedì 29 marzo.

Nonostante manchino due mesi all’arrivo di Benedetto XVI, la comunità ecclesiale del Messico, ma non solo, non nasconde la propria gioia per il prossimo appuntamento. A farsi interprete di questo crescente entusiasmo è l’ambasciatore messicano presso la Santa Sede, Héctor Ling Altamirano, intervistato da Luis Badilla:

R. – La información que tengo hasta este momento ...
Per le informazioni che ho ricevuto fino a questo momento posso dire che l’annuncio ufficiale della visita fatto dal Santo Padre lo scorso 12 dicembre, dopo le prime indiscrezioni, ha suscitato sentimenti di entusiasmo. Dopo la conferma del viaggio e del luogo, lo Stato di Guanajuato, questo entusiasmo è cresciuto per così dire a cerchi concentrici e dunque l’attesa è diventata nazionale e coinvolge ormai tutto il Paese. Ho notizie di persone e gruppi disposti a viaggiare oltre 2mila chilometri, da Tijuana o Merida per esempio, per arrivare a vedere e ascoltare il Papa a Guanajuato. Gli stessi abitanti di Guanajuato sono entusiasti ed euforici. La gente aspetta di sapere dagli organizzatori del pellegrinaggio come, quando e dove sarà possibile ascoltare e vedere il Santo Padre.

D. – Come spiega Lei questo clima di entusiasmo e attesa?
R. – Yo creo que es la verificación oportuna del tipo de ....
A mio avviso è una conferma della natura del cattolicesimo messicano. Il nostro ovviamente è un cattolicesimo molto latino e fortemente ispanico, con non pochi elementi tipicamente messicani. Basterebbe ricordare la Madonna di Guadalupe, le nostre battaglie per la libertà nel nostro Paese – cui hanno partecipato sacerdoti e uomini di Chiesa -, o per la libertà religiosa. E ancora: penso all’eredità, al ricordo marcato a fuoco nel cuore dei messicani, lasciato dal Beato Giovanni Paolo II che visitò il Paese cinque volte dimostrando un grande amore e predilezione per la nostra Nazione. Ricordo quando davanti a 150mila persone nello Stadio Azteca disse: “Io sono messicano”. Questo tipo di cristianesimo, fortementemente mariano, e profondamente rispettoso del Papa, del Successore di Pietro, è una grande forza per il Messico, che come tante altre nazioni, affronta problemi seri come la crisi economica e la violenza.

D. – Ecco, fermiamoci un attimo su questo grave problema della violenza che colpisce regioni importanti del Messico, per capire meglio cosa sta accadendo e dunque come reagire adeguatamente: a suo giudizio che aiuto potrebbe dare il Papa? Cosa vi aspettate da Benedetto XVI?
R. – Yo creo que Su Santidad lo verbaliza en algunos de sus mensajes ... 
Secondo me che il Santo Padre traduca o meno in parole questa speranza nei suoi messaggi, quello che conta per noi è la sua vicinanza spirituale e fisica, la sua indiscussa autorità morale, riconosciuta da tutti noi, in particolare da 87 milioni di cattolici, l’83% della popolazione secondo gli ultimi dati disponibili. Il Papa è una speranza, è un “sursum corda”, un’esortazione ad alzare “in alto i cuori", a non versare più lacrime, ma ad impegnarci piuttosto insieme per superare le sfide come è già accaduto in altri momenti difficili nella vita del nostro Paese.

D. – Il Senato messicano sta discutendo la modifica dell’articolo 24 della Costituzione, (già approvata dalla Camera il 15 dicembre scorso), sulla libertà religiosa che riguarda specificamente la professione della propria fede religiosa in pubblico e in privato. Alcuni organi di stampa sostengono che la visita del Papa potrebbe interferire in questo dibattito. Come stanno veramente le cose a suo avviso?
R. – Es natural que en algunas personas que tienen come método ...
Mi sembra naturale che alcune persone che sospettano sistematicamente di tutto vedano seconde intenzioni e nessi di causa-effetto nei dibattiti costituzionali o nelle elezioni politiche traendone una serie di conclusioni il cui unico fondamento è, appunto, il sospetto. Se vogliamo però essere veramente oggettivi e onesti, ci rendiamo conto che nessuno è in grado di fissare l’agenda del Papa per farla coincidere con altri eventi che nulla hanno a che fare con la sua missione pastorale. Da tempo in Messico si discutono questioni attinenti alla libertà religiosa e sicuramente sarà così anche in futuro, perché a mio avviso è giunto forse il momento di approfondire la materia, vale a dire, tutti gli aspetti che toccano la libertà religiosa e come essa s’inserisce nella cornice di uno Stato, ufficialmente e autenticamente laico.

D. – La storia messicana dimostra che il Messico sa affrontare le sfide, i problemi e cambiamenti. Sarà così anche oggi di fronte alle attuali pressanti questioni?
R. – Sí, sí ...sí, claro! Es un reto formidable. Y creo yo que ...
Sì, certo! Si tratta di sfide straordinarie. Penso che il Messico, come altre nazioni importanti dell’America Latina, ha saputo destreggiarsi bene nelle situazioni di crisi anche se con il sudore e le lacrime del popolo. Il mio Paese, grazie anche allo stimabile contributo di economisti autorevoli, è riuscito a contenere o limitare i danni di questa crisi per certi versi devastante. Il Messico, il Cile, e anche diversi altri Paesi, hanno continuato a crescere nonostante la crisi: quest’anno dovremmo crescere del 3,5%. E’ un successo. In questo contesto, c’è l’altra sfida prioritaria che è la lotta contro la disoccupazione che da noi è importante, ma non raggiunge le percentuali europee. C’è poi un terzo problema: la violenza del crimine organizzato attorno al quale stiamo discutendo sul modo migliore per ottenere risultati effettivi e duraturi. L’orizzonte è sempre uno: la legge, la sua applicazione e il suo rispetto.

D. – A proposito della violenza in Messico, vale la pena ricordare che la sua collocazione geografica lo ha trasformato in un “corridoio” attraversato da nord a sud da ondate di violenza...Condivide queste affermazioni?
R. – No tan exactamente, pero sì sono ingredientes. No es ... 
Non è esattamente così, anche se questa è una delle componenti del problema. Non possono esserci rapporti facili con il nord quando di mezzo c’è un muro di acciaio di 3mila chilometri di lunghezza per impedire i flussi migratori dal Messico agli Stati Uniti. Da un lato, hanno bisogno della mano d’opera messicana e, dall’altro, incoraggiano l’immigrazione clandestina. Va aggiunto che per altro verso questo muro è molto poroso e dunque passano armi per il crimine organizzato. C’è poi il consumo di droga oltre i nostri confini ....

D. – Droga che viene in buona parte dal sud del Continente...

R. – Exactamente. Y esto que le daba a México la ...
Proprio così. E il Messico, che era un Paese di “passaggio” del traffico di droga, deve ora fare i conti con le misure di controllo adottate dagli Stati Uniti, negli aeroporti, nelle dogane, alle frontiere. Il narcotraffico dunque trova difficoltà a passare oltre-confine e si ferma nel Paese con la conseguenza che, purtroppo, in alcune aree importanti del Paese è nato e cresciuto il consumo di droga. In questo contesto si è inserita presto la microcriminalità per soddisfare le esigenze di approvvigionamento personale, il reclutamento della manovalanza per lo spaccio in tutti gli ambiti sociali, non solo povera gente, magari ignorante , ma anche persone istruite, con alti titoli di studio. Occorre inoltre tenere presente che oltre al consumo in Messico è cresciuta anche la produzione di droga e questo aggrava il problema. A volte la disoccupazione facilita l’azione della criminalità organizzata. Infine, bisogna ricordare la vera e propria ondata migratoria dal Centro-America: migliaia di honduregni, salvadoregni, ecc. che cercano di raggiungere il confine statunitense per trovarsi poi di fronte allo stesso problema dei messicani: quello di non poter varcare la frontiera. Sono tutti elementi complessi e delicati di una situazione non facile da gestire.

D. – Tornando alla visita del Papa, ci sembra significativo che il Messico, insieme al Brasile, alla Colombia, a Cuba e agli Stati Uniti, rientri nell’elenco dei pochi Paesi americani visitati da due Papi diversi ...

R. – Me parece un dato muy digno de notarse, sobre todo ...
Mi sembra un dato degno di rilievo, soprattutto perché il rapporto formale, ufficiale, tra il Messico e la Santa Sede è giovane, recente. Le nostre relazioni sono state stabilite 20 anni fa, nel 1992, e perciò alla fine dell’anno celebremo questa importante ricorrenza. Abbiamo ricevuto la visita di Giovanni Paolo II ben cinque volte e nelle prime due tra noi non c’era alcun rapporto diplomatico formale. Si aggiunga la canonizzazione di Juan Diego e ora la visita di Benedetto XVI. A mio avviso la visita del Santo Padre può offrire molta materia per una seria e profonda riflessione religiosa, sociologica e culturale su ciò che rappresenta oggi il cattolicesimo in Messico. Le nostre relazioni sono state molto buone e ciò si misura con l’intensa collaborazione reciproca sui temi di interesse bilaterale e internazionale. L’elenco dei campi di collaborazione, delle convergenze e dei punti di consenso è lungo. Fra ottobre e novembre avremo molte cose da celebrare.
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lunedì 30 gennaio 2012

La Chiesa testimoni il suo amore preferenziale per i poveri

da Radio Vaticana:

Sarà presto a Roma, mons. Francesco Antonio Soddu, per assumere il suo incarico di nuovo direttore della Caritas Italiana, nominato dal Consiglio permanente della Cei. Mons. Soddu, finora direttore della Caritas diocesana di Sassari e parroco della cattedrale del capoluogo sardo, subentra a mons. Vittorio Nozza, che ha diretto la Caritas Italiana dal 2001 ad oggi. 52 anni, mons. Soddu ha compiuto gli studi teologici presso la Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna. “La nomina a direttore della Caritas Italiana – ha confidato – crea in me uno stato di vertigine indescrivibile”. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

R. – Ho accolto questa notizia con molta meraviglia e la sto vivendo con molta trepidazione. Capisco più che mai lo stato d’animo degli Apostoli, di tutti i profeti, quando sono stati chiamati da Dio. In un primo momento il loro atteggiamento poteva forse sembrare riluttante, ma dinanzi ad una chiamata così grande, tutte le forze e le sicurezze vengono chiaramente a mancare. Davanti alla chiamata autentica di Dio non si può che rispondere: “Eccomi!”. Con questa risposta si vuole dire che si è pieni di fiducia e che il Signore saprà agire attraverso la nostra incapacità ed anche il nostro essere indegni.

D. – Lei dal 2005 è stato direttore della Caritas diocesana di Sassari ed ora riveste quest’importante incarico. Quali sfide sente di dover affrontare arrivando a Roma, alla Caritas italiana?

R. – La prima sfida è verso me stesso, perché ho ancora molto da imparare. Sotto questo punto di vista sono ancora molto spaventato, ma metterò in pratica quello che è il metodo della Caritas, che cercherò di portare avanti e di incarnare nella mia persona: ascoltare, osservare e discernere. Credo che questa sfida possa essere ben superata.

D. – Viene spontaneo pensare al fatto che il suo trasferimento coincida con un periodo non certo facile per l’Italia…

R. – Tutte le stagioni e tutte le epoche sono state particolari per chi le ha vissute. Questo è il nostro tempo. In questo nostro tempo, ed in questo nostro Paese, la Chiesa deve testimoniare sempre il suo amore preferenziale per i poveri, partendo dagli ultimi, rispecchiando la legalità e tutti quelli che sono i capisaldi del messaggio evangelico.

D. – In conclusione, cosa augura a se stesso?

R. – Auguro a me stesso di essere all’altezza di ciò che il Signore, mediante la Chiesa, mi sta affidando. Quasi 27 anni fa – vi faccio questa confidenza - quando diventai sacerdote, nel santino della prima Messa che generalmente si dà, ho fatto stampare la frase della Sacra Scrittura: “Signore, io vengo per fare la tua volontà”. Soltanto in nome della volontà di Dio si affronta tutto ciò che la Chiesa ci affida, con quel grande senso di fiducia che si accompagna a quel sano timore che non deve mai mancare, altrimenti si possono creare un po’ di pasticci. (vv)
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domenica 29 gennaio 2012

Nella logica di Dio l’autorità non è potere ma servizio: così il Papa all’Angelus. Poi il pensiero ad alcune ricorrenze e il lancio delle colombe della pace

Da: Radio Vaticana


L’autorità non è potere ma servizio: all’Angelus il Papa invita a non dimenticare la logica di amore di Dio che si distingue dalla sete di successo e che “risana dal peccato”. Poi un pensiero alla festa della Presentazione del Signore al tempio, Giornata Mondiale della Vita Consacrata, che si celebrerà il 2 febbraio e il ricordo di Hildegard Burjan che verrà proclamata Beata oggi pomeriggio. Ma anche una parola sulla Giornata mondiale dei malati di lebbra e sulla Giornata internazionale di intercessione per la pace in Terra Santa. Il servizio di Fausta Speranza

“Spesso per l’uomo l’autorità significa possesso, potere, dominio, successo”. Lo ricorda Benedetto XVI spiegando che la logica di Dio è diversa: 

“Per Dio, invece, l’autorità significa servizio, umiltà, amore; significa entrare nella logica di Gesù che si china a lavare i piedi dei discepoli (cfr Gv 13,5), che cerca il vero bene dell’uomo, che guarisce le ferite, che è capace di un amore così grande da dare la vita, perché è l’Amore.”

“L’autorità divina non è una forza della natura”, afferma il Papa. 

“È il potere dell’amore di Dio che crea l’universo e, incarnandosi nel Figlio Unigenito, scendendo nella nostra umanità, risana il mondo corrotto dal peccato.” 
Il Papa ricorda che giovedì prossimo si celebra la Giornata Mondiale della Vita consacrata: 
"Invochiamo con fiducia Maria Santissima, affinchè guidi i nsotri cuori ad attingere sempre alla Misericordia divina, che libera e guarisce la nostra umanità."

Poi, dopo la preghiera mariana, il ricordo di Hildegard Burjan, laica, madre di famiglia, vissuta tra Ottocento e Novecento e fondatrice della Società delle Suore della Caritas socialis, proclamata Beata a Vienna:

“Lodiamo il Signore per questa bella testimonianza del Vangelo!”
Ma anche una parola forte sulla Giornata mondiale dei malati di lebbra. 

“Nel salutare l’Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau, vorrei far giungere il mio incoraggiamento a tutte le persone affette da questa malattia, come pure a quanti li assistono e, in diversi modi, si impegnano per eliminare la povertà e l’emarginazione, vere cause del permanere del contagio.”
E una preghiera nella Giornata internazionale di intercessione per la pace in Terra Santa. 

“In profonda comunione con il Patriarca Latino di Gerusalemme e il Custode di Terra Santa, invochiamo il dono della pace per quella Terra benedetta da Dio.”
Nei saluti in varie lingue, in francese l’incoraggiamento a riconoscere la “fedeltà instancabile di Dio” e a sperimentare quanto “la sua Parola rende liberi e ci invita a uscire dal silenzio”. In inglese, l’auspicio che “nonostante le distrazioni della vita e l’apparente progredire del male, possiamo continuare a riporre fiducia in Gesù, Via, verità e Vita”. In tedesco, la citazione delle parole della laica proclamata Beata: ‘So per certo che esiste una sola vera felicità, ed è l’amore di Dio! Tutto il resto può dare soddisfazione, ma avrà valore soltanto se verrà da questo amore, se sarà fondato in esso’. “Lei – dice il Papa - ha vissuto di questo amore e in quanto fondatrice della Società delle Suore “Caritas Socialis” ha riunito attorno a sé donne che fino ad oggi continuano a voler essere sorgenti di quell’amore, per portare consolazione ed aiuto a persone sofferenti”. In spagnolo, l’invito a “rispondere alla Parola di Dio con una preghiera sincera, costante, umile”. In polacco un riferimento alla Giornata della vita consacrata con una preghiera per le vocazioni, sottolineando l’importanza del ministero di religiose e religiosi, la loro attività apostolica e caritativa nella Chiesa”. In italiano il saluto ai ragazzi dell’Azione cattolica che, accompagnati dal Cardinale Vicario Agostino Vallini, con i loro educatori e familiari, hanno dato vita alla “Carovana della Pace”. 

“Vi ringrazio e vi incoraggio a portare dappertutto la pace di Gesù.” 

Due bambini, un maschietto e una femminuccia, sono accanto al Papa per il tradizionale lancio delle colombe. La bimba, leggendo un comunicato, ricorda l’impegno nell’ambito dell’Associazione a riflettere, anche nel silenzio, sul valore della pace, ricordando bambini che nascono in situazioni di difficoltà e raccontando dell’iniziativa per un centro di detenzione alternativo al carcere per ragazze minorenni promosso in Bolivia. E al Papa chiede: 

“Ti chiediamo di pregare insieme con noi per i nostri genitori, educatori e sacerdoti affinchè ci formino a essere testimoni e operatori di pace”. 

Il Papa libera le colombe, “come segno di pace per la città di Roma e per il mondo intero” e visto che in un primo momento sembrano voler ritornare all'interno, scherzosamente afferma: "Vogliono stare nella casa del Papa". 
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sabato 28 gennaio 2012

Il Papa invita a pregare per chi non ha accesso all'acqua e alle risorse per sopravvivere

Da: Radio Vaticana


Per il mese di febbraio, il Papa chiede preghiere perché “tutti i popoli abbiano accesso all’acqua e alle risorse necessarie al sostentamento quotidiano”. Benedetta Capelli ha chiesto un commento a questa intenzione di preghiera ad Andrea Masullo, presidente del Comitato Scientifico di Greenaccord:

R. – Questo del Santo Padre non è un richiamo nuovo, perché è contenuto in tanti suoi scritti e in tanti suoi discorsi, ossia la necessità di riporre l’uomo al centro dell’azione economica. L’uomo, ma anche la natura ed il Creato. L’economia deve quindi garantire un’equa distribuzione dei beni della terra, e quale bene è più essenziale alla vita dell’acqua? Purtroppo, questa non è ancora garantita per tutti, anzi: le prospettive sono di un peggioramento di questa “garanzia”. Basti pensare all’aggravamento che verrà causato dai cambiamenti climatici.

D. – Ci sono dei dati, in merito, che possono farci capire qual è la reale situazione di negazione di accesso all’acqua?

R. – Sì. Oggi, ci sono circa due miliardi di persone, al mondo, che non hanno un accesso sicuro all’acqua. In molti Paesi in via di sviluppo, proprio le acque inquinate sono la causa di malattie mortali, soprattutto per l’infanzia. La situazione perciò è drammatica, ma sarà ancora peggiore, perché questo numero – già di per sè enorme – è destinato addirittura a raddoppiare entro questo secolo. Bisogna assolutamente che l’acqua venga gestita in maniera più consapevole.

D. – Nell’Enciclica Caritas in veritate, il Papa aveva parlato della necessità di “una coscienza solidale”, in grado cioè di considerare l’alimentazione e l’accesso all’acqua diritti universali di tutti. Sono stati fatti dei passi avanti verso questo traguardo?

R. – Oggi, stiamo vivendo una grande contraddizione. Da una parte, gli studi e le analisi mostrano una situazione che va man mano peggiorando: ci troviamo di fronte a un sistema economico fondato sul consumismo che – per garantire il superfluo ai Paesi ricchi – porta spesso a impoverire quelli più poveri. Viviamo quindi quest’assurdità, dettata da una produzione fine a se stessa e soprattutto finalizzata al consumismo, al consumo sfrenato. Anche dall’insegnamento del Santo Padre viene quindi la necessità per poter parlare di sviluppo equo e sostenibile, di riporre l’uomo e la natura al centro dell’azione economica. Tutti i dati, sia nazionali sia internazionali, ci mostrano un mondo in cui le diseguaglianze, anziché diminuire, aumentano.

D. – In questo senso, come guardare alla possibilità di una privatizzazione dell’acqua?

R. – Le risorse essenziali, come l’acqua ed il cibo, vanno garantite a tutti: ce lo insegna la Dottrina sociale della Chiesa, prima ancora di qualsiasi discorso economico e di profitto. In particolare l’acqua, che è fondamentale per la vita, se finisse in mani private e se dovesse obbedire esclusivamente alle ragioni del profitto, come una merce, finirebbe convogliata verso altri indirizzi piuttosto che a quelli vitali. Anche qui, va aperto un discorso rispetto all’agricoltura: l’agricoltura industriale, che viene diffusa a livello mondiale, ha un uso eccessivo e dissipativo, spreca davvero tanta acqua. Anche in questo caso, quindi, dovremmo tornare a un’agricoltura di tipo biologico, con terreni più sani organicamente, che facciano un uso minore dell’acqua, perché si tratta di una risorsa che, in tante parti del mondo, comincia a scarseggiare. Per quanto riguarda quindi la gestione di una risorsa così preziosa, si dovrebbe tornare a delle pratiche “conservative” e non “dissipative”. E la privatizzazione, in tal senso, rappresenta un grande pericolo.

D. – Negare l’accesso al cibo, e quindi anche all’acqua, significa sostanzialmente negare anche la pace tra i popoli?

R. – Certamente. Noi viviamo il paradosso dei Paesi poveri, come alcuni di quelli africani, che godono di una certa fertilità e che tuttavia hanno una sotto-alimentazione; dei Paesi ricchi – come la Cina – che acquistano terreni agricoli, e dei Paesi costretti a esportare prodotti alimentari verso il mondo ricco che hanno un’alimentazione insufficiente. C’è quindi un discorso di giustizia fondamentale, perché poi questi Paesi sono costretti, a loro volta, a importare gli alimenti essenziali, come i cereali. Il prezzo dei cereali dipende dal prezzo del petrolio, il prezzo del petrolio dipende dal nostro livello di consumo e di spreco, e quindi ecco che si crea questa morsa viziosa e drammatica per questi Paesi, e il miliardo di persone che soffrono per la fame rischia sempre di aumentare. Basta poco: pochi centesimi di aumento nel prezzo del petrolio fanno passare il numero di persone che soffrono la fame da un miliardo a due. (vv)
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venerdì 27 gennaio 2012

Intervento del Presidente Napolitano in occasione della celebrazione del Giorno della Memoria

Nel Giorno della Memoria vogliamo lasciare lo spazio alle giuste e condivisibili parole del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, uomo di grande senso istituzionale, ma soprattutto di grande e fervente umanità:


Palazzo del Quirinale, 27/01/2012

Signori rappresentati del Parlamento e del governo,
Autorità,
Ragazze e Ragazzi,
Cari Ettore Scola e Gabriele Lavia,
Signore e Signori,

Sono lieto di accogliere ancora una volta i rappresentanti delle vittime dell'Olocausto e delle Comunità ebraiche e insieme con loro i rappresentanti dei deportati italiani nei campi nazisti, alcuni dei quali abbiamo poco fa salutato e onorato.

La Giornata della Memoria che abbiamo celebrato oggi è tra le più intense di questi ultimi anni. Per la forza politica e morale dei contributi del ministro Profumo e del Presidente Gattegna. Per le genuine, appassionate testimonianze degli studenti. Per il quadro ricco come non mai, che qui si è riflesso, delle iniziative indette, in tutto il paese ; per il valore - in particolare - di realizzazioni come quella della mostra del Vittoriano sui ghetti nazisti in Polonia o come quella dell'elenco, reso accessibile online, degli oltre settemila cittadini ebrei vittime della persecuzione nazifascista in Italia durante la Repubblica sociale e l'occupazione tedesca. Insomma, il ricordo della Shoah come tragedia dell'Europa sta toccando livelli sempre più alti di consapevole partecipazione nel nostro Paese. Dobbiamo dire che a ciò ha certamente concorso l'istituzione per legge della Giornata della Memoria, per l'impulso che ha suscitato e propagato, in Italia, nelle istituzioni, nella scuola, nell'informazione, nella coscienza pubblica e in special modo tra le giovani generazioni.

E' stato bello ascoltare il racconto che il Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, il prof. Profumo, ci ha presentato del viaggio compiuto ad Auschwitz con oltre 180 studentesse e studenti. "Nessuno, dopo questo viaggio" - egli ci ha detto - "è più lo stesso". Vissi anch'io la stessa commozione quando visitai Auschwitz diciotto anni fa insieme con Giovanni Spadolini in rappresentanza del Parlamento italiano. Ed importante è stato il coronamento dell'omaggio ad Auschwitz in questi giorni con la firma del Protocollo tra il Ministero dell'Istruzione e l'Unione delle Comunità ebraiche italiane per fare della nostra scuola ancor più compiutamente "una scuola di memoria". Questo impegno rappresenta il miglior antidoto a quei rigurgiti di negazionismo e antisemitismo, di intolleranza e di violenza che il ministro ha denunciato come fenomeni, per quanto marginali, da stroncare sul nascere.

Ringrazio il Presidente Gattegna per i riconoscimenti che mi ha rivolto. Quando ho giurato da Presidente, l'ho fatto sapendo che il mio dovere e il mio sentimento mi conducevano a riflessioni, prese di posizione e sollecitazioni motivate e inequivoche contro l'antisemitismo in ogni suo travestimento, contro il razzismo, contro ogni violazione del principio di pari dignità ed eguaglianza davanti alla legge. Lo dice l'articolo 2 della Costituzione italiana. Lo dice l'articolo 2 del Trattato sull'Unione europea. Rileggiamolo :
"L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini."

Si, l'Europa è questo. Non dimentichiamocene sol perché la nostra attenzione è oggi spasmodicamente concentrata sulla grave crisi finanziaria ed economica in atto da tre anni, sull'emergenza che ha investito l'Eurozona, sulle quotazioni, giorno per giorno, dei titoli del debito pubblico. Dobbiamo fare i conti con queste assillanti realtà, ma non perdiamo di vista il senso e i valori della costruzione europea. Le ragioni del nostro stare insieme sono lì, in quel fondamento di pace e di civiltà su cui l'Europa ha trovato la sua unità ed è chiamata a far leva per il suo futuro.

Il Cancelliere tedesco Signora Merkel ha parlato ieri - in un'importante intervista - del suo sentimento dell'Europa, "un continente col quale si può contribuire a plasmare il mondo", nel segno della dignità dell'uomo, di molteplici libertà e dello sviluppo sostenibile. Ella ha parlato, in termini che condivido e apprezzo, della sua visione dell'Europa come "Unione politica". E con una frase molto forte ha aggiunto : "L'Europa è la nostra fortuna... Se non avessimo l'Europa, forse anche la nostra generazione si farebbe la guerra". Si, ed ecco perché occorre essere vigilanti e fermi contro ogni ricaduta nel nazionalismo, nella ricerca del nemico, nel rifiuto del diverso.

L'amico Gattegna ha ricordato come l'unità europea sia nata anche dai percorsi di riesame critico, da parte della Germania e dell'Italia, delle scelte politiche e dei comportamenti tenuti negli anni Trenta e Quaranta.

Il primo a rivolgersi ai tedeschi perché apprendessero l'estremo orrore del nazismo fu, con i suoi radiomessaggi dall'America, un grande tedesco costretto all'esilio. Il 14 gennaio del 1945, mentre Hitler teneva ancora nella distruzione e nella menzogna una Germania sull'orlo della disfatta, Thomas Mann rivelò agli ascoltatori tedeschi che gli inviati della neutrale Svizzera, in missione umanitaria, avevano potuto vedere, prima che con la liberazione se ne aprissero i cancelli, i campi di Auschwitz e Birkenau, dove nel giro di un anno tra il '43 e il '44 erano stati uccisi 1.715.000 ebrei. E videro, quegli inviati svizzeri, disse Mann, "quello che nessun uomo sensibile è disposto a credere, se non l'ha visto con i propri occhi". Lo avrebbe visto con i propri occhi, come ci ha detto pochi minuti fa, Beatrice insieme con gli altri studenti che hanno partecipato al viaggio nella memoria.

Dopo che quello sterminio e la guerra furono finiti, il percorso autocritico fu intrapreso e portato avanti in Germania. E l'immagine più alta che ne fu trasmessa al mondo, è quella, rimasta in me impressa per sempre, di un grande uomo politico e di governo tedesco, Willy Brandt, che a Varsavia nel 1970 si piegò in ginocchio dinanzi al monumento alle vittime del Ghetto - lui che aveva combattuto contro il nazismo prendendo su di sé la croce del chiedere perdono a nome della Germania.

Noi italiani chiudemmo i conti con il nazifascismo e con il nostro passato più buio combattendo la guerra di Liberazione e dandoci la Costituzione repubblicana. Ma non abbiamo smesso di cercare e diffondere la verità, guidati anche dalla grande luce della testimonianza e del messaggio di Primo Levi. E su misfatti come quello delle leggi razziali del 1938 e della loro applicazione, abbiamo fatto conoscere la dura verità, negli ultimi anni come non mai.

Signore e Signori, cari ragazzi e ragazze, il significato più ampio di questa Giornata della Memoria lo ha nobilmente dichiarato qui il Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche quando ci ha detto : "Ferme restando le specificità della Shoah, che fu il tentativo di realizzare il genocidio perfetto ... questa deve essere la occasione di una riflessione condivisa che abbracci anche tutte le altre vittime di quella tragedia" : oltre che gli oppositori politici, "gli omosessuali, i disabili fisici e mentali, le popolazioni rom e sinti". Di qui la lezione che ho sentito ieri risuonare nelle parole di un alto magistrato - il Procuratore Generale della Corte di Cassazione - nella cerimonia per l'inaugurazione dell'Anno Giudiziario. Parole severe per bollare qualsiasi alibi si possa accampare per "legittimare l'oblio" - così egli si è espresso - "di quelli che vengono definiti diritti sottili o diritti degli ultimi", quegli ultimi, quei deboli già evocati in triste sequenza da Gattegna. Per fortuna, è stata la conclusione del magistrato, si è affermata "la tutela sopranazionale dei diritti umani e delle libertà fondamentali", la cultura del "diritto in grado di imporsi ai governi delle Nazioni", e quindi la storica conquista della "creazione di una giurisprudenza comune dei diritti umani".

Coltivare queste conquiste, contro ogni regressione, è il modo più giusto e fecondo di rendere omaggio alla memoria delle vittime della Shoah, al sacrificio, alla resistenza, alla rinascita dei popolo ebraico.

FONTE
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giovedì 26 gennaio 2012

Cristiani uniti per portare la speranza dove c'è odio e ingiustizia: così il Papa a chiusura della Settimana di preghiera per l'unità

Da: Radio Vaticana


L’impegno per il ristabilimento dell’unità dei cristiani è “un dovere e una grande responsabilità per tutti”. Così Benedetto XVI, ieri pomeriggio, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura presiedendo la celebrazione dei secondi Vespri della solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, a conclusione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, quest’anno dedicata al tema: “Tutti saremo trasformati dalla vittoria di Gesù Cristo, nostro Signore”. Il servizio di Giada Aquilino:

“Uniti in Cristo, siamo chiamati a condividere la sua missione”, cioè “portare la speranza là dove dominano l’ingiustizia, l’odio e la disperazione”. Questo il “traguardo” della piena unità dei cristiani, nelle parole di Benedetto XVI a San Paolo fuori le Mura. Nell’anno in cui - ha detto il Papa - “celebreremo il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II”, che il beato Giovanni XXIII annunciò proprio nella medesima Basilica il 25 gennaio 1959, il Pontefice ha ricordato che “pur sperimentando ai nostri giorni la situazione dolorosa della divisione, noi cristiani possiamo e dobbiamo guardare al futuro con speranza, in quanto - ha spiegato - la vittoria di Cristo significa il superamento di tutto ciò che ci trattiene dal condividere la pienezza di vita con Lui e con gli altri”. D’altra parte la risurrezione di Gesù Cristo “conferma che la bontà di Dio vince il male, l’amore supera la morte”. “Egli - ha aggiunto - ci accompagna nella lotta contro la forza distruttiva del peccato che danneggia l’umanità e l’intera creazione di Dio”:

“La presenza di Cristo risorto chiama tutti noi cristiani ad agire insieme nella causa del bene. Uniti in Cristo, siamo chiamati a condividere la sua missione, che è quella di portare la speranza là dove dominano l’ingiustizia, l’odio e la disperazione. Le nostre divisioni rendono meno luminosa la nostra testimonianza a Cristo. Il traguardo della piena unità, che attendiamo in operosa speranza e per la quale con fiducia preghiamo, è una vittoria non secondaria, ma importante per il bene della famiglia umana”.

Di fronte alla cultura di oggi, in cui “l’idea di vittoria è spesso associata ad un successo immediato”, Benedetto XVI ha riproposto l’ottica cristiana, in cui “ la vittoria è un lungo e, agli occhi di noi uomini, non sempre lineare processo di trasformazione e di crescita nel bene”. Essa avviene, ha ricordato, “secondo i tempi di Dio, non i nostri, e richiede da noi profonda fede e paziente perseveranza”. Sebbene il Regno di Dio irrompa definitivamente nella storia con la risurrezione di Gesù, esso - ha proseguito il Papa - “non è ancora pienamente realizzato”:

“La vittoria finale avverrà solo con la seconda venuta del Signore, che noi attendiamo con paziente speranza. Anche la nostra attesa per l’unità visibile della Chiesa deve essere paziente e fiduciosa. Solo in tale disposizione trovano il loro pieno significato la nostra preghiera ed il nostro impegno quotidiani per l’unità dei cristiani. L’atteggiamento di attesa paziente non significa passività o rassegnazione, ma risposta pronta e attenta ad ogni possibilità di comunione e fratellanza, che il Signore ci dona”.

Ripercorrendo le letture della celebrazione delle “lodi serali di Dio”, Benedetto XVI ha riproposto la vicenda personale di San Paolo e l’“evento straordinario” lungo la via di Damasco con cui “Saulo, che si distingueva per lo zelo con cui perseguitava la Chiesa nascente, fu trasformato in un infaticabile apostolo del Vangelo di Gesù Cristo”. E tale “trasformazione” – ha spiegato il Papa – “è innanzitutto opera della grazia di Dio che ha agito secondo le sue imperscrutabili vie”:

“La trasformazione che egli ha sperimentato nella sua esistenza non si limita al piano etico – come conversione dalla immoralità alla moralità –, né al piano intellettuale – come cambiamento del proprio modo di comprendere la realtà –, ma si tratta piuttosto di un radicale rinnovamento del proprio essere, simile per molti aspetti ad una rinascita. Una tale trasformazione trova il suo fondamento nella partecipazione al mistero della Morte e Risurrezione di Gesù Cristo, e si delinea come un graduale cammino di conformazione a Lui”.

L’esperienza personale di San Paolo gli permette di “attendere con fondata speranza il compimento di questo mistero di trasformazione, che riguarderà - ha aggiunto il Santo Padre - tutti coloro che hanno creduto in Gesù Cristo ed anche tutta l’umanità ed il creato intero”. Riguardo al rafforzamento nei fedeli della speranza della risurrezione operato dallo “straordinario evangelizzatore”, il Papa ha ricordato che San Paolo ci dice “che ogni uomo, mediante il battesimo nella morte e risurrezione di Cristo, partecipa alla vittoria di Colui che per primo ha sconfitto la morte, cominciando un cammino di trasformazione che si manifesta sin da ora in una novità di vita e che raggiungerà la sua pienezza alla fine dei tempi”.

Mentre eleviamo la nostra preghiera, ha aggiunto, “siamo fiduciosi di essere trasformati e conformati ad immagine di Cristo”. E questo – ha detto il Pontefice – “è particolarmente vero nella preghiera per l’unità dei cristiani”:

“Quando infatti imploriamo il dono dell’unità dei discepoli di Cristo, facciamo nostro il desiderio espresso da Gesù Cristo alla vigilia della sua passione e morte nella preghiera rivolta al Padre: ‘perché tutti siano una cosa sola’. Per questo motivo, la preghiera per l’unità dei cristiani non è altro che partecipazione alla realizzazione del progetto divino per la Chiesa, e l’impegno operoso per il ristabilimento dell’unità è un dovere e una grande responsabilità per tutti”.

“Anche se a volte si può avere l’impressione che la strada verso il pieno ristabilimento della comunione sia ancora molto lunga e piena di ostacoli”, l’invito del Pontefice è stato “a rinnovare la propria determinazione a perseguire, con coraggio e generosità, l’unità che è volontà di Dio”, sull’esempio di San Paolo. Del resto - ha concluso il Papa - “in questo cammino, non mancano i segni positivi di una ritrovata fraternità e di un condiviso senso di responsabilità di fronte alle grandi problematiche che affliggono il nostro mondo”. Tutto ciò è motivo di gioia e di grande speranza e deve incoraggiarci a proseguire il nostro impegno per giungere tutti insieme al traguardo finale”. 

Poco prima, anche il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità dei Cristiani, aveva ricordato che “l’unità dei cristiani può soltanto esserci donata da Dio, a patto che ci lasciamo trasformare da Lui ed apriamo il nostro cuore, che a volte teniamo chiuso, anche per altri, nei quali ci viene incontro la chiamata di Dio”. 

A testimoniare il cammino di unità, la presenza in Basilica - oltre che della comunità benedettina locale - del Metropolita Gennadios, rappresentante del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, del Reverendo Canonico Richardson, rappresentante personale a Roma dell’Arcivescovo di Canterbury, Rowan Willams, e degli esponenti delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali, tra cui anche quelle presenti in Polonia, come pure i membri del Global Christian Forum e gli studenti dell’Istituto ecumenico del Consiglio ecumenico delle Chiese di Bossey. A tutti è andato il saluto del Papa. 

(Aggiornato il 26\1\2012)
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mercoledì 25 gennaio 2012

Il Papa all’udienza generale: l’unità dei cristiani deve apparire con tutta la sua chiarezza nella storia

Da: Radio Vaticana


L'unità dei cristiani deve apparire con tutta la sua chiarezza nella storia perché il mondo creda: è quanto ha affermato il Papa oggi durante l'udienza generale nell'Aula Paolo VI in Vaticano. Benedetto XVI ha svolto la sua catechesi sulla preghiera che Gesù rivolge al Padre nell’Ora della sua glorificazione "perché tutti siano una cosa sola". Il servizio di Amedeo Lomonaco:

L’Ora iniziata con il tradimento di Giuda, e che culminerà nella salita di Gesù risorto al Padre - sottolinea Benedetto XVI - è “più di una domanda e della dichiarazione di piena disponibilità ad entrare nel disegno di Dio”:

“Gesù in quella notte si rivolge al Padre nel momento in cui sta offrendo se stesso. Egli, sacerdote e vittima, prega per se stesso, per gli apostoli e per tutti coloro che crederanno in Lui, per la Chiesa di tutti i tempi”.

La glorificazione che Gesù chiede per se stesso – spiega il Pontefice - è “l’ingresso nella più piena obbedienza al Padre”:

“Sono questa disponibilità e questa richiesta il primo atto del sacerdozio nuovo che Gesù, che è un donarsi totalmente sulla Croce e proprio nella Croce il supremo atto di amore è glorificato perché l’amore è la gloria vera, la gloria divina”.

Il secondo momento di questa preghiera è l’intercessione che Gesù fa per i discepoli che sono stati con Lui:

“Gesù dice al Padre: Essi non sono nel mondo, come io non sono nel mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità”.

Il terzo atto di questa preghiera sacerdotale – ricorda il Papa – distende lo sguardo fino alla fine del tempo:

“In esso Gesù si rivolge al Padre per decidere a favore di tutti coloro che saranno portati alla fede mediante la missione inaugurata dagli apostoli e continuata nella storia. 'Non prego solo per questi ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola'. Gesù prega per la Chiesa di tutti i tempi, prega anche per noi”.

La richiesta centrale della preghiera sacerdotale di Gesù dedicata a tutti i suoi discepoli è quella della futura unità di quanti crederanno in Lui. Tale unità – sottolinea il Pontefice – non è un prodotto mondano ma arriva “a noi dal Padre mediante il Figlio e nello Spirito”:

“L’unità dei cristiani è una realtà segreta che sta nel cuore delle persone credenti. Al tempo stesso, però, essa deve apparire con tutta la sua chiarezza nella storia. Deve apparire perchè il mondo creda ... deve apparire perché tutti siano realmente una cosa sola”. 

Ricordando che questo dono dell’unità è stato invocato con forza in questa Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, il Papa sottolinea infine che nella preghiera sacerdotale di Gesù si compie l’istituzione della Chiesa:

“La Chiesa nasce dalla preghiera di Gesù. Questa preghiera, però, non è soltanto parola: è l’atto in cui egli ‘consacra’ se stesso e cioè ‘si sacrifica’ per la vita del mondo”. 
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sabato 21 gennaio 2012

Il vero diritto è inseparabile dalla giustizia. Così Benedetto XVI alla Rota Romana

Da: Radio Vaticana


“Il vero diritto è inseparabile dalla giustizia”. Così Benedetto XVI, nella Sala Clementina in Vaticano, nel discorso per l'inaugurazione dell'Anno giudiziario del Tribunale della Rota Romana. Il Papa si è soffermato su quello che ha definito un “aspetto primario del ministero giudiziale”, ovvero “l’interpretazione della legge canonica”. Ricordata anche la recente innovazione del trasferimento ad “un Ufficio presso il Tribunale Apostolico delle competenze circa i procedimenti di dispensa dal matrimonio rato e non consumato e le cause di nullità della sacra Ordinazione”. Massimiliano Menichetti.

Il diritto canonico - ha spiegato il Papa - trova nelle verità di fede il suo fondamento e il suo stesso senso. E l’interpretazione “è strettamente legata alla concezione stessa della legge della Chiesa”. Da qui la necessità di evitare il rischio di identificare “il diritto canonico con il sistema delle leggi”, ovvero i testi, i Codici cadendo così nel cosiddetto “legalismo”. Questa riduzione porterebbe “all’oblio”, a non considerare il “diritto naturale e il diritto divino positivo” (ovvero l’insieme dei principi che dipendono direttamente dalla Creazione e quello istituito da Dio mediante la Rivelazione), come il rapporto “vitale di ogni diritto con la comunione e la missione della Chiesa”. Il Papa prima di sottolineare “che non può esistere giustizia senza verità” ha tracciato anche il limite “delle vie interpretative” care "ad esempio" alla tradizione orientale:
“La misericordia, l'equità, l'oikonomia così cara, sono alcuni dei concetti a cui si ricorre in tale operazione interpretativa. Conviene notare subito che questa impostazione non supera il positivismo che denuncia, limitandosi a sostituirlo con un altro in cui l'opera interpretativa umana assurge a protagonista nello stabilire ciò che è giuridico”.
E’ “arbitrarietà” in questo caso - ha spiegato - il rischio che si incontra perché “manca il senso di un diritto oggettivo da cercare, poiché esso resta in balìa di considerazioni che pretendono di essere teologiche o pastorali”.

"In tal modo l'ermeneutica legale viene svuotata: in fondo non interessa comprendere la disposizione della legge, dal momento che essa può essere dinamicamente adattata a qualunque soluzione, anche opposta alla sua lettera. Certamente vi è in questo caso un riferimento ai fenomeni vitali, di cui però non si coglie l'intrinseca dimensione giuridica".
“Esiste un'altra via – ha ribadito - in cui la comprensione adeguata della legge canonica apre la strada a un lavoro interpretativo che s'inserisce nella ricerca della verità sul diritto e sulla giustizia nella Chiesa”:

"Il vero diritto è inseparabile dalla giustizia. Il principio vale ovviamente anche per la legge canonica, nel senso che essa non può essere rinchiusa in un sistema normativo meramente umano, ma deve essere collegata a un ordine giusto della Chiesa, in cui vige una legge superiore. In quest'ottica la legge positiva umana perde il primato che le si vorrebbe attribuire, giacché il diritto non si identifica più semplicemente con essa; in ciò, tuttavia, la legge umana viene valorizzata in quanto espressione di giustizia, anzitutto per quanto essa dichiara come diritto divino, ma anche per quello che essa introduce come legittima determinazione di diritto umano". 
“Cercare e servire”, le parole usate dal Papa, nell’orizzonte della verità giuridica che si incarna anche nell'ermeneutica: 

"L'interpretazione della legge canonica deve avvenire nella Chiesa. Non si tratta di una mera circostanza esterna, ambientale: è un richiamo allo stesso humus della legge canonica e delle realtà da essa regolate".

La maturità cristiana – ha proseguito - conduce ad amare sempre più la legge e a volerla comprendere ed applicare con fedeltà:
"Questi atteggiamenti di fondo si applicano a tutte le categorie di interpretazione: dalla ricerca scientifica sul diritto canonico, al lavoro degli operatori giuridici in sede giudiziaria o amministrativa, fino alla ricerca quotidiana delle soluzioni giuste nella vita dei fedeli e delle comunità. Occorre spirito di docilità per accogliere le leggi, cercando di studiare con onestà e dedizione la tradizione giuridica della Chiesa per potersi identificare con essa e anche con le disposizioni legali emanate dai Pastori, specialmente le leggi pontificie nonché il magistero su questioni canoniche, il quale è di per sé vincolante in ciò che insegna sul diritto". 
Riflessioni – ha spiegato – che acquistano una peculiare rilevanza nell'ambito delle leggi riguardanti l’atto costitutivo del matrimonio, la sua consumazione e la ricezione dell’Ordine sacro, e di quelle attinenti ai rispettivi processi:

"Qui la sintonia con il vero senso della legge della Chiesa diventa una questione di ampia e profonda incidenza pratica nella vita delle persone e delle comunità e richiede una speciale attenzione".

Quindi l’esortazione del Papa “all’unità ermeneutica” che “non mortifica in alcun modo le funzioni dei tribunali locali, chiamati a confrontarsi per primi con le complesse situazioni reali che si danno in ogni contesto culturale”. “Ciascuno di essi infatti – ha concluso - è tenuto a procedere con un senso di vera riverenza nei riguardi della verità sul diritto, cercando di praticare esemplarmente, nell’applicazione degli istituti giudiziali e amministrativi, la comunione nella disciplina, quale aspetto essenziale dell'unità della Chiesa”. 

Questa mattina il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, celebrando la Santa Messa nella Cappella Paolina per l'inaugurazione dell'Anno giudiziario del Tribunale della Rota Romana, ha ribadito che “il giudice ecclesiastico, come pure gli operatori della giustizia della Chiesa, non devono stancarsi di invocare lo Spirito Santo, affinché doni a ciascuno la passione della verità, che non è mai accusa contro qualcuno, ma è invece favorire la verità per amore della verità, dopo aver compiuto la fatica di cercarla”.
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venerdì 20 gennaio 2012

Siete un dono dello Spirito al nostro tempo: così il Papa ai Neocatecumenali

Da: Radio Vaticana


La Chiesa ha riconosciuto nel Cammino Neocatecumenale un particolare dono dello Spirito agli uomini del nostro tempo. Così Benedetto XVI nel discorso rivolto questa mattina a 7mila aderenti al Cammino. Nel corso dell’udienza è stato consegnato e letto il Decreto con cui si concede “l’approvazione di quelle celebrazioni contenute nel direttorio Catechetico del Cammino Neocatecumenale che non risultano già normate dai Libri liturgici della Chiesa”. Il Santo Padre ha anche inviato 17 nuove missio ad gentes in tutto il mondo. Di seguito il testo del discorso: 


Cari fratelli e sorelle,

anche quest’anno ho la gioia di potervi incontrare e condividere con voi questo momento di invio per la missione. Un saluto particolare a Kiko Argüello, a Carmen Hernández e a Don Mario Pezzi, e un affettuoso saluto a tutti voi: sacerdoti, seminaristi, famiglie, formatori e membri del Cammino Neocatecumenale. La vostra presenza oggi è una testimonianza visibile del vostro gioioso impegno di vivere la fede, in comunione con tutta la Chiesa e con il Successore di Pietro, e di essere coraggiosi annunciatori del Vangelo.

Nel brano di san Matteo che abbiamo ascoltato, gli Apostoli ricevono un preciso mandato di Gesù: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli” (Mt 28, 19). Inizialmente avevano dubitato, nel loro cuore c’era ancora l’incertezza, lo stupore di fronte all’evento della risurrezione. Ed è Gesù stesso, il Risorto – sottolinea l’Evangelista – che si avvicina a loro, fa sentire la sua presenza, li invia ad insegnare tutto ciò che ha comunicato loro, donando una certezza che accompagna ogni annunciatore di Cristo: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). Sono parole che risuonano forti nel vostro cuore. Avete cantato Resurrexit, che esprime la fede nel Vivente, in Colui che, in un supremo atto di amore, ha vinto il peccato e la morte e dona all’uomo, a noi, il calore dell’amore di Dio, la speranza di essere salvati, un futuro di eternità. 

In questi decenni di vita del Cammino un vostro fermo impegno è stato di proclamare il Cristo Risorto, rispondere alle sue parole con generosità, abbandonando spesso sicurezze personali e materiali, lasciando anche i propri Paesi, affrontando situazioni nuove e non sempre facili. Portare Cristo agli uomini e portare gli uomini a Cristo: questo è ciò che anima ogni opera evangelizzatrice. Voi lo realizzate in un cammino che aiuta a far riscoprire a chi ha già ricevuto il Battesimo la bellezza della vita di fede, la gioia di essere cristiani. Il “seguire Cristo” esige l’avventura personale della ricerca di Lui, dell’andare con Lui, ma comporta sempre anche uscire dalla chiusura dell’io, spezzare l’individualismo che spesso caratterizza la società del nostro tempo, per sostituire l’egoismo con la comunità dell’uomo nuovo in Gesù Cristo. E questo avviene in un profondo rapporto personale con Lui, nell’ascolto della sua parola, nel percorrere il cammino che ci ha indicato, ma avviene anche inseparabilmente nel credere con la sua Chiesa, con i santi, nei quali si fa sempre e nuovamente conoscere il vero volto della Sposa di Cristo. 

E’ un impegno - lo sappiamo - non sempre facile. A volte siete presenti in luoghi in cui vi è bisogno di un primo annuncio del Vangelo, la missio ad gentes; spesso, invece, in aree, che, pur avendo conosciuto Cristo, sono diventate indifferenti alla fede: il secolarismo vi ha eclissato il senso di Dio e oscurato i valori cristiani. Qui il vostro impegno e la vostra testimonianza siano come il lievito che, con pazienza, rispettando i tempi, con sensus Ecclesiae, fa crescere tutta la massa. La Chiesa ha riconosciuto nel Cammino un particolare dono che lo Spirito Santo ha dato ai nostri tempi e l’approvazione degli Statuti e del “Direttorio Catechetico” ne sono un segno. Vi incoraggio ad offrire il vostro originale contributo alla causa del Vangelo. Nella vostra preziosa opera ricercate sempre una profonda comunione con la Sede Apostolica e con i Pastori delle Chiese particolari, nelle quali siete inseriti: l’unità e l’armonia del Corpo ecclesiale sono una importante testimonianza a Cristo e al suo Vangelo nel mondo in cui viviamo.

Care famiglie, la Chiesa vi ringrazia; ha bisogno di voi per la nuova evangelizzazione. La famiglia è una cellula importante per la comunità ecclesiale, dove ci si forma alla vita umana e cristiana. Con grande gioia vedo i vostri figli, tanti bambini che guardano a voi, cari genitori, al vostro esempio. Un centinaio di famiglie sono in partenza per 12 Missioni ad gentes. Vi invito a non avere timore: chi porta il Vangelo non è mai solo. Saluto con affetto i sacerdoti e i seminaristi: amate Cristo e la Chiesa, comunicate la gioia di averLo incontrato e la bellezza di avere donato a Lui tutto. Saluto anche gli itineranti, i responsabili e tutte le comunità del Cammino. Continuate ad essere generosi con il Signore: non vi farà mancare la sua consolazione!

Poco fa vi è stato letto il Decreto con cui vengono approvate le celebrazioni presenti nel “Direttorio Catechetico del Cammino Neocatecumenale”, che non sono strettamente liturgiche, ma fanno parte dell’itinerario di crescita nella fede. E’ un altro elemento che vi mostra come la Chiesa vi accompagni con attenzione in un paziente discernimento, che comprende la vostra ricchezza, ma guarda anche alla comunione e all’armonia dell’intero Corpus Ecclesiae.

Questo fatto mi offre l’occasione per un breve pensiero sul valore della Liturgia. Il Concilio Vaticano II la definisce come l’opera di Cristo sacerdote e del suo corpo che è la Chiesa (cfr Sacrosanctum Concilium, 7). A prima vista ciò potrebbe apparire strano, perché sembra che l’opera di Cristo designi le azioni redentrici storiche di Gesù, la sua Passione, Morte e Risurrezione. In che senso allora la Liturgia è opera di Cristo? La Passione, Morte e Risurrezione di Gesù non sono solo avvenimenti storici; raggiungono e penetrano la storia, ma la trascendono e rimangono sempre presenti nel cuore di Cristo. Nell’azione liturgica della Chiesa c’è la presenza attiva di Cristo Risorto che rende presente ed efficace per noi oggi lo stesso Mistero pasquale, per la nostra salvezza; ci attira in questo atto di dono di Sé che nel suo cuore è sempre presente e ci fa partecipare a questa presenza del Mistero pasquale. Questa opera del Signore Gesù, che è il vero contenuto della Liturgia, l’entrare nella presenza del Mistero pasquale, è anche opera della Chiesa, che, essendo suo corpo, è un unico soggetto con Cristo – Christus totus caput et corpus – dice sant’Agostino. Nella celebrazione dei Sacramenti Cristo ci immerge nel Mistero pasquale per farci passare dalla morte alla vita, dal peccato all’esistenza nuova in Cristo. 

Ciò vale in modo specialissimo per la celebrazione dell’Eucaristia, che, essendo il culmine della vita cristiana, è anche il cardine della sua riscoperta, alla quale il neocatecumenato tende. Come recitano i vostri Statuti, “L’Eucaristia è essenziale al Neocatecumenato, in quanto catecumenato post-battesimale, vissuto in piccola comunità” (art. 13 §1). Proprio al fine di favorire il riavvicinamento alla ricchezza della vita sacramentale da parte di persone che si sono allontanate dalla Chiesa, o non hanno ricevuto una formazione adeguata, i neocatecumenali possono celebrare l’Eucaristia domenicale nella piccola comunità, dopo i primi Vespri della domenica, secondo le disposizioni del Vescovo diocesano (cfr Statuti, art. 13 §2). Ma ogni celebrazione eucaristica è un’azione dell’unico Cristo insieme con la sua unica Chiesa e perciò essenzialmente aperta a tutti coloro che appartengono a questa sua Chiesa. Questo carattere pubblico della Santa Eucaristia si esprime nel fatto che ogni celebrazione della Santa Messa è ultimamente diretta dal Vescovo come membro del Collegio Episcopale, responsabile per una determinata Chiesa locale (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 26). La celebrazione nelle piccole comunità, regolata dai Libri liturgici, che vanno seguiti fedelmente, e con le particolarità approvate negli Statuti del Cammino, ha il compito di aiutare quanti percorrono l’itinerario neocatecumenale a percepire la grazia dell’essere inseriti nel mistero salvifico di Cristo, che rende possibile una testimonianza cristiana capace di assumere anche i tratti della radicalità. Al tempo stesso, la progressiva maturazione nella fede del singolo e della piccola comunità deve favorire il loro inserimento nella vita della grande comunità ecclesiale, che trova nella celebrazione liturgica della parrocchia, nella quale e per la quale si attua il Neocatecumenato (cfr Statuti, art. 6), la sua forma ordinaria. Ma anche durante il cammino è importante non separarsi dalla comunità parrocchiale, proprio nella celebrazione dell’Eucaristia che è il vero luogo dell’unità di tutti, dove il Signore ci abbraccia nei diversi stati della nostra maturità spirituale e ci unisce nell’unico pane che ci rende un unico corpo (cfr 1 Cor 10, 16s). 
Coraggio! Il Signore non manca di accompagnarvi e anch’io vi assicuro la mia preghiera e vi ringrazio per i tanti segni di vicinanza. Vi chiedo di ricordarvi anche di me nelle vostre preghiere. La Santa Vergine Maria vi assista con il suo sguardo materno e vi sostenga la mia Benedizione Apostolica, che estendo a tutti i membri del Cammino. Grazie!
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giovedì 19 gennaio 2012

Il Papa ai vescovi degli Stati Uniti: gravi minacce dal secolarismo radicale. Serve un laicato cattolico impegnato

Da: Radio Vaticana


Le sfide spirituali e culturali della nuova evangelizzazione ancora nella riflessione del Papa, che oggi nella Sala del Concistoro ha ricevuto un secondo gruppo di vescovi della Conferenza episcopale statunitense, in visita “ad Limina”. Il servizio di Giada Aquilino:

Un ruolo fondamentale “nel contrastare correnti culturali che, sulla base di un individualismo estremo”, cercano “di promuovere nozioni di libertà staccate dalla verità morale”. Questa la missione della Chiesa negli Stati Uniti, nelle parole di Benedetto XVI ai vescovi in visita ad Limina. Oggi in America, la visione del mondo storicamente “formata non solo dalla fede, ma anche da un impegno per certi principi etici” che derivano dalla natura e da Dio, viene erosa -ha detto il Pontefice - da nuove, potenti “correnti culturali, che non sono soltanto direttamente opposte agli insegnamenti del nucleo morale della tradizione giudaico-cristiana,ma sempre più ostili al cristianesimo come tale”. La Chiesa da sempre è chiamata a proclamare il Vangelo, che non solo propone immutabili verità morali, ma le propone proprio come la chiave della felicità e della prosperità umane.
“To the extent that some current cultural trends…”
“Nella misura in cui alcune tendenze culturali attuali” - ha detto il Papa - contengono elementi che potrebbero ridurre la proclamazione di queste verità, costringendole entro i limiti di una razionalità puramente scientifica o sopprimendole in nome del potere politico o di un principio di maggioranza, esse “rappresentano una minaccia non solo per la fede cristiana, ma anche per la stessa umanità, per laprofonda verità del nostro essere e della vocazione ultima, il nostro rapporto con Dio”. “Quando una cultura tenta di sopprimere la dimensione del mistero ultimochiudendo le porte alla verità trascendente, diventa inevitabilmente impoverita e - ha notato il Santo Padre - cade preda, come chiaramente intuì il compianto Papa Giovanni Paolo II, di letture riduzionistiche e totalitarie della persona umana e della natura della società”.
La nostra tradizione, ha spiegato Benedetto XVI, “non parla di fede cieca” ma si rifà ad un punto di vista razionale, che si collega al nostro “impegno di costruire una società autenticamente giusta, umana e prospera per la nostra sicurezza definitiva”.

“The Church’s defense…”
“La difesa della Chiesa” di un ragionamento morale basato sulla legge naturale – ha spiegato il Papa - si fonda sulla sua convinzione che questa legge “non è una minaccia alla nostra libertà, ma piuttosto un ‘linguaggio’ che ci permette di comprendere noi stessi e la veritàdel nostro essere, così da formare un mondo più giusto e umano”Propone quindi il suo insegnamento morale come un messaggio “nondi costrizione, ma di liberazione, e come base per costruire un futuro sicuro”.

La testimonianza della Chiesa è quindi di sua natura “pubblica”. “La legittima separazione tra Chiesa e Stato” non può essere perciòintesa nel senso che la Chiesa deve tacere su determinate questioni, né che lo Stato può scegliere di non impegnarsi, rispetto alle vocidei credenti impegnati nel determinare i valori che formano il futuro della nazione. È necessario - ha sottolineato il Papa – “che l'intera comunità cattolica negli Stati Uniti si renda conto delle gravi minacce per la testimonianza pubblica morale della Chiesa", presentate da un "secolarismo radicale che si esprime sempre più in ambito politico e culturale”. La “gravità” di queste minacce va quindi chiaramenteaffrontata ad ogni livello della vita ecclesiale. Da tener presenti, poi, “alcuni tentativi compiuti per limitare la più cara delle libertàamericane, la libertà di religione”, ha ricordato Benedetto XVI.
Many of you have pointed out…”
“Molti di voi - ha affermato - hanno sottolineato che sono stati fatti sforzi concertati per negare il diritto all'obiezione di coscienza da partedi individui e istituzioni cattoliche riguardo alla cooperazione in pratiche intrinsecamente cattive”. Altri, ha soggiunto, “hanno parlato con me di una preoccupante tendenza a ridurre la libertà religiosa alla semplice libertà di culto, senza garanzie di rispetto della libertà di coscienza”.

Di qui la “necessità” di un “impegnato, articolato e ben formato” laicato cattolico, “dotato di un forte senso critico nei confronti della cultura dominante e con il coraggio di contrastare una laicità riduttiva che delegittima la partecipazione della Chiesa nel dibattito pubblicosui problemi che stanno determinando il futuro della società americana”. Sta dunque alla Chiesa preparare tali figure e presentare una “convincente articolazione della visione cristiana dell'uomo e della società”, perché – “come componenti essenziali della nuova evangelizzazione” - queste preoccupazioni devono plasmare la visione e gli obiettivi dei programmi di catechesi ad ogni livello.

“In this regard, I would mention…”
A tal riguardo, il ringraziamento del Papa per l’impegno dei vescovi Usa “nel mantenere i contatti con i cattolici impegnati nella vita politica e per aiutarli a comprendere la loro responsabilità personale a offrire una testimonianza pubblica della loro fede, soprattutto per quanto riguarda le grandi questioni morali del nostro tempo: il rispetto della vita donata da Dio, la tutela della dignità umana e la promozione deidiritti umani autentici”. Ricordando la sua visita del 2008 negli Stati Uniti, il Pontefice ha ribadito che “una testimonianza più coerente da parte dei cattolici americani alle loro più profonde convinzioni sarebbe un importante contributo al rinnovamento della società nel suo insieme”.

Non si possono quindi “ignorare le reali difficoltà che la Chiesa incontra nel momento attuale”, ha notato il Santo Padre: necessario perciò “preservare un ordine civile ben radicato nella tradizione giudaico-cristiana”tenendo presente la “promessa offerta da una nuova generazione di cattolici” le cui esperienza e convinzioni avranno un ruolo decisivo “nel rinnovare la presenza della Chiesa e la testimonianza nella società americana”. L’auspicio finale del Pontefice è stato quello a “rinnovare i nostri sforzi per mobilitare le risorse intellettuali e morali di tutta la comunità cattolica al servizio dell'evangelizzazione della cultura americana e la costruzione della civiltà dell'amore”.
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