sabato 28 gennaio 2012

Il Papa invita a pregare per chi non ha accesso all'acqua e alle risorse per sopravvivere

Da: Radio Vaticana


Per il mese di febbraio, il Papa chiede preghiere perché “tutti i popoli abbiano accesso all’acqua e alle risorse necessarie al sostentamento quotidiano”. Benedetta Capelli ha chiesto un commento a questa intenzione di preghiera ad Andrea Masullo, presidente del Comitato Scientifico di Greenaccord:

R. – Questo del Santo Padre non è un richiamo nuovo, perché è contenuto in tanti suoi scritti e in tanti suoi discorsi, ossia la necessità di riporre l’uomo al centro dell’azione economica. L’uomo, ma anche la natura ed il Creato. L’economia deve quindi garantire un’equa distribuzione dei beni della terra, e quale bene è più essenziale alla vita dell’acqua? Purtroppo, questa non è ancora garantita per tutti, anzi: le prospettive sono di un peggioramento di questa “garanzia”. Basti pensare all’aggravamento che verrà causato dai cambiamenti climatici.

D. – Ci sono dei dati, in merito, che possono farci capire qual è la reale situazione di negazione di accesso all’acqua?

R. – Sì. Oggi, ci sono circa due miliardi di persone, al mondo, che non hanno un accesso sicuro all’acqua. In molti Paesi in via di sviluppo, proprio le acque inquinate sono la causa di malattie mortali, soprattutto per l’infanzia. La situazione perciò è drammatica, ma sarà ancora peggiore, perché questo numero – già di per sè enorme – è destinato addirittura a raddoppiare entro questo secolo. Bisogna assolutamente che l’acqua venga gestita in maniera più consapevole.

D. – Nell’Enciclica Caritas in veritate, il Papa aveva parlato della necessità di “una coscienza solidale”, in grado cioè di considerare l’alimentazione e l’accesso all’acqua diritti universali di tutti. Sono stati fatti dei passi avanti verso questo traguardo?

R. – Oggi, stiamo vivendo una grande contraddizione. Da una parte, gli studi e le analisi mostrano una situazione che va man mano peggiorando: ci troviamo di fronte a un sistema economico fondato sul consumismo che – per garantire il superfluo ai Paesi ricchi – porta spesso a impoverire quelli più poveri. Viviamo quindi quest’assurdità, dettata da una produzione fine a se stessa e soprattutto finalizzata al consumismo, al consumo sfrenato. Anche dall’insegnamento del Santo Padre viene quindi la necessità per poter parlare di sviluppo equo e sostenibile, di riporre l’uomo e la natura al centro dell’azione economica. Tutti i dati, sia nazionali sia internazionali, ci mostrano un mondo in cui le diseguaglianze, anziché diminuire, aumentano.

D. – In questo senso, come guardare alla possibilità di una privatizzazione dell’acqua?

R. – Le risorse essenziali, come l’acqua ed il cibo, vanno garantite a tutti: ce lo insegna la Dottrina sociale della Chiesa, prima ancora di qualsiasi discorso economico e di profitto. In particolare l’acqua, che è fondamentale per la vita, se finisse in mani private e se dovesse obbedire esclusivamente alle ragioni del profitto, come una merce, finirebbe convogliata verso altri indirizzi piuttosto che a quelli vitali. Anche qui, va aperto un discorso rispetto all’agricoltura: l’agricoltura industriale, che viene diffusa a livello mondiale, ha un uso eccessivo e dissipativo, spreca davvero tanta acqua. Anche in questo caso, quindi, dovremmo tornare a un’agricoltura di tipo biologico, con terreni più sani organicamente, che facciano un uso minore dell’acqua, perché si tratta di una risorsa che, in tante parti del mondo, comincia a scarseggiare. Per quanto riguarda quindi la gestione di una risorsa così preziosa, si dovrebbe tornare a delle pratiche “conservative” e non “dissipative”. E la privatizzazione, in tal senso, rappresenta un grande pericolo.

D. – Negare l’accesso al cibo, e quindi anche all’acqua, significa sostanzialmente negare anche la pace tra i popoli?

R. – Certamente. Noi viviamo il paradosso dei Paesi poveri, come alcuni di quelli africani, che godono di una certa fertilità e che tuttavia hanno una sotto-alimentazione; dei Paesi ricchi – come la Cina – che acquistano terreni agricoli, e dei Paesi costretti a esportare prodotti alimentari verso il mondo ricco che hanno un’alimentazione insufficiente. C’è quindi un discorso di giustizia fondamentale, perché poi questi Paesi sono costretti, a loro volta, a importare gli alimenti essenziali, come i cereali. Il prezzo dei cereali dipende dal prezzo del petrolio, il prezzo del petrolio dipende dal nostro livello di consumo e di spreco, e quindi ecco che si crea questa morsa viziosa e drammatica per questi Paesi, e il miliardo di persone che soffrono per la fame rischia sempre di aumentare. Basta poco: pochi centesimi di aumento nel prezzo del petrolio fanno passare il numero di persone che soffrono la fame da un miliardo a due. (vv)

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