Conferenza Episcopale Italiana
CONSIGLIO PERMANENTE
Roma, 27 - 30 settembre 2010
PROLUSIONE
DEL CARDINALE PRESIDENTE
Venerati e cari Confratelli,
ci ritroviamo all’inizio del nuovo anno pastorale per continuare, nell’amicizia e nella comunione fraterna, l’opera di discernimento e di indirizzo che è – per statuto – affidata a questo Organismo. Il Consiglio Permanente, per una consistente parte, è oggi rinnovato in seguito all’avvicendamento dei Presidenti delle Commissioni Episcopali, verificatosi in occasione dell’Assemblea del maggio scorso. Ho la gioia dunque di porgere il più cordiale benvenuto, in particolare, ai nuovi componenti: con il loro apporto, cercheremo insieme di far fronte ai compiti che sono a tutti noi riservati. Ad un tempo, rinnoviamo il grazie ai Confratelli che nel precedente quinquennio hanno, con perizia e passione, arricchito il lavoro di questo organismo, e ora – ne siamo certi – continueranno ad esserci vicini con i loro consigli e la loro esperienza.
1. Ci sentiamo in profonda sintonia con le comunità cristiane che costellano il territorio del nostro Paese e vivono queste settimane in grande fermento per l’avvio del nuovo anno pastorale. La parrocchia, quale «luogo» di generazione e di esperienza della fede – in osmosi, per quanto è possibile, con la famiglia e in aiuto della stessa – ha compiti che la inducono a «osare» continuamente, ad essere pronta a ricominciare da capo con chiunque incontri sui sentieri della vita. Ognuno, infatti, ha diritto ad imbattersi con la comunità cristiana, così da esserne interpellato e poterla vivere: per questo essa si sforza di rinnovarsi «dal di dentro», attenta e sollecita al pensiero di Cristo, attingendo al mistero della sua presenza eucaristica, cercando con sapienza di recuperare il senso dei vari gesti qualificanti la vita cristiana, a partire dal segno della croce (cfr Benedetto XVI, All’Angelus, 30 maggio 2010). Il nostro è un tempo infatti in cui conviene non dare nulla per scontato. Con ragionevole flessibilità, ed entro una certa misura, la comunità parrocchiale modula le proprie proposte in considerazione dei ritmi variegati della società di oggi. Anche attraverso una «pastorale occasionale», si fa attenta al «frammento» e, chinandosi su ogni «germoglio», gli fa spazio e ne difende la vitalità.
Per la verità, le nostre parrocchie – in generale – sono simili a cantieri che non chiudono mai. Quasi tutte si propongono anche nel tempo estivo; saremmo tentati di dire che in questa estate – ancor più che in passato – le case parrocchiali, le strutture di soggiorno specialmente montano, gli oratori e patronati, con il proprio corredo di strutture per lo sport e il gioco, si sono riempiti come non mai. E questo grazie a programmazioni finalizzate sempre all’educazione, in cui la presenza di animatori, spesso adulti e genitori, è preziosa garanzia di arricchenti scambi fra le generazioni. La Chiesa mette a servizio il patrimonio educativo che le è proprio e accompagna i giovani a sperimentare se stessi, la loro energia di vita, senza eludere i propri disagi e le proprie inquietudini. Pure a livello di adulti e di famiglie si vanno – da anni – sperimentando formule di incontro estivo in cui si fondono insieme esigenze diverse, dal riposo alla ricarica religiosa e formativa, con importanti risultati in ordine al confronto delle esperienze e a una riflessione meglio ragionata. C’è da dire poi che le comunità cristiane incastonate nelle località di turismo, e sono davvero molte, hanno da tempo imparato a farsi interpreti non solo di momenti spirituali e liturgici particolarmente curati, ma anche di una domanda di vacanze culturali che una fetta sempre più rilevante di popolazione esprime.
2. Ma il nostro sguardo si allarga subito alla dimensione della Chiesa universale, la quale negli ultimi mesi – com’è noto – è stata interessata dall’emergere di vicende umilianti e dolorose. Proprio in questo frangente, però, abbiamo sperimentato la grazia che Pietro è per la Chiesa. Ancora una volta, con il suo temperamento mite e quasi schivo, e in forza della sua energia spirituale come dell’attitudine intellettuale ad andare al centro delle questioni, Benedetto XVI si è portato innanzi a tutti, e in una visione dinamica della fede ha indicato nel Signore Gesù colui che «cammina avanti a noi, ci precede, ci mostra la strada» (Omelia ai Membri della Pontificia Commissione Biblica, 15 aprile 2010); ha ricordato che solo «nella grande prospettiva della vita eterna il Cristianesimo rivela tutto il suo senso» (ib). Come a dire: i problemi possono anche attanagliarci il cuore e causare sofferenze acute, ma il dolore deve aprirci ad una nuova adesione, ad un “sì” più intenso alla volontà del nostro Maestro e Signore. Ci ricorda che ogni evento chiama ad una incessante conversione. È il punto che sta a cuore al Papa: «Dobbiamo ri-imparare proprio questo essenziale: la conversione» (Ai giornalisti durante il volo verso il Portogallo, 11 maggio 2010). Cioè, la metànoia. Questa è «la vera e fondamentale risposta che la Chiesa deve esprimere, che noi, che ogni singolo, dobbiamo dare in questa situazione» (ib). Occorre dunque «riconoscere quanto è sbagliato nella nostra vita, aprirsi al perdono, prepararsi al perdono, lasciarsi trasformare. Il dolore della penitenza, cioè della purificazione, della trasformazione, questo dolore è grazia, perché è rinnovamento» (Omelia cit.). Si trova indicata qui, con il pàthos che essa esige, la vera fondamentale riforma della Chiesa, quella che si pone – e l’hanno insegnato tutti i veri riformatori – come requisito-base di qualsiasi vero rinnovamento ecclesiale. Il che, per Benedetto XVI, deve anzitutto concepirsi non nel confronto con il mondo, ma in rapporto a Cristo. È Lui il vero parametro, non altri e non altro. Parlando della figura di santa Ildegarda, e criticando la pretesa dei càtari, il Papa appena qualche settimana fa ha ripetuto un concetto a lui molto caro: «Un vero rinnovamento della comunità ecclesiale non si ottiene tanto con il cambiamento delle strutture, quanto con un sincero spirito di penitenza e un cammino operoso di conversione (…) Questo è un messaggio che non dovremmo mai dimenticare» (Udienza generale, 8 settembre 2010). È questo essenziale cammino di riforma, che il Papa indica e percorre davanti a tutti; che ognuno – pastori e popolo – deve abbracciare in modo netto, con rinnovata decisione e fiducia, e senza mai trascurare che «la zizzania esiste anche in seno alla Chiesa e tra coloro che il Signore ha accolto al suo servizio in modo particolare. Ma la luce di Dio non è tramontata, il grano buono non è stato soffocato dalla semina del male» (Messaggio per l’Apertura del 2° Kirchentag ecumenico tedesco, 10 maggio 2010). Il viaggio che il Santo Padre ha compiuto nel Regno Unito si è realmente rivelato un «evento storico» (Benedetto XVI, All’Udienza generale, 22 settembre 2010). Infatti, ha messo in evidenza – stavolta forse più che in altre occasioni – che la «partita» su Dio resta nella coscienza occidentale del tutto aperta. E se è vero che non ci dev’essere spazio per illusioni, non ce ne può essere neppure per pessimismi illogici e precipitosi. Il Papa stesso, tracciando un primo bilancio, ha confidato che il viaggio confermava una sua «profonda convinzione», ossia che «le antiche nazioni dell’Europa hanno un’anima cristiana, che costituisce un tutt’uno col “genio” e la storia dei rispettivi popoli» (ib). Considerando che con i suoi discorsi egli ha inteso rivolgersi all’«intero Occidente, dialogando con le ragioni di questa civiltà» (ib), ritengo che potrebbe essere utile riprendere – in una prossima circostanza, al di là dunque di quanto riusciremo a fare in questo Consiglio Permanente – alcuni nuclei tematici della visita e far sì che parlino alla nostra vita e alla missione delle nostre comunità.
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