Don Ciotti: serve più Vangelo. E più giustizia
Il 9 ottobre don Luigi Ciotti riceve a Forlimpopoli il Premio Artusi, assegnato ogni anno a un personaggio che si sia distinto per il contributo dato alla riflessione sui rapporti fra uomo e cibo. Don Ciotti lo ritira come fondatore di Libera, l’associazione impegnata contro tutte le mafie che ha fatto nascere aziende agricole sui terreni confiscati alla criminalità. Con lui facciamo il punto sull’impegno dello Stato, della società e della Chiesa contro il crimine.
Don Ciotti, girando l’Italia che stato d’animo coglie oggi nel Paese?
«La crisi ha determinato uno smarrimento generale. Il nostro è un Paese dove sempre più capita di nascere poveri o di diventarlo. Lo stesso lavoro, indebolito nei diritti e non adeguatamente retribuito, ha smesso per molte famiglie di essere un riparo dalla povertà. C’è, ad esempio, chi risponde alla precarietà e all’incertezza con le lotterie e i giochi d’azzardo, che crescono di offerte e fatturato, anno dopo anno. Ma l’ingiustizia economica si riflette anche sui comportamenti e sulla tenuta morale del Paese. Nessuno giustifica i reati, ma le necessità di sopravvivenza possono spingere a comportamenti illeciti. Questo accade ancora di più nelle zone di forte presenza criminale, dove le mafie approfittano della crisi per reclutare giovani e per offrirsi come “banca” a tanta gente con l’acqua alla gola. Ma dietro la crisi c’è anche un grande vuoto culturale, la perdita del bene comune come dimensione etica di vita e di relazione, il ripiegamento nell’interesse privato, la sostituzione della profondità con la superficialità, della sostanza con la forma».
Il recente omicidio di Angelo Vassallo, sindaco di Pollica, rappresenta un brutto colpo per chi lotta per la legalità...
«Vassallo è l’esempio di una politica con la “P”maiuscola, al servizio della collettività. Si è battuto per la dignità sociale, economica e culturale della sua gente, opponendosi ai giochi di potere, alle furbizie, ai privilegi, agli abusi. Tener vivo il ricordo di Vassallo e di tutti quelli che si sono esposti per la giustizia significa continuare a fare quello in cui hanno creduto. Quelle vittime innocenti ci chiedono un impegno costante, così come ce lo chiedono le famiglie, le cui ferite si riaprono non solo nei giorni degli anniversari ma in ogni momento dell’anno».
Di recente le forze dell’ordine e la magistratura hanno colpito duramente le mafie. È una buona notizia, ma basta?
«Sono risultati importanti e ammirevoli, tenuto conto dell’insufficienza di mezzi della magistratura e delle forze di polizia. Come puntuali e positivi sono alcuni recenti provvedimenti nella lotta al crimine organizzato. Per questo si fatica a capire altre misure che vanno in direzione opposta. Penso alla legge sulle intercettazioni, che nel suo attuale impianto indebolisce l’azione della magistratura, a certe riforme (processo breve, separazione delle carriere, scudi e impedimenti per difendersi “dai” processi, non “nei” processi) che minano i capisaldi della democrazia, alla decisione di tagliare il “numero verde” sulla tratta e la prostituzione, che non solo ha permesso a tante donne di riconquistare una dignità, ma ha colpito uno dei mercati più redditizi del crimine organizzato. Reprimere, poi, non basta. Per sconfiggere le mafie e tutto ciò che ruota loro attorno è necessaria una grande sfida culturale, educativa e sociale. Servono servizi, sostegno alle persone e alle famiglie, lavoro vero e dignitoso».
Come va la legge sui beni confiscati?
«È importante l’istituzione dell’agenzia nazionale, così come una serie di provvedimenti volti a colpire a monte l’economia mafiosa. Restano, però, alcuni nodi. Solo il 47% dei beni è stato destinato, mentre sul restante 53% gravano in parte ipoteche bancarie, in parte si tratta di beni vandalizzati o abbandonati, a volte ancora abitati dagli illegittimi proprietari o da persone a loro collegate. E allora sarebbero importanti alcune misure. Ad esempio, un fondo nazionale che faciliti l’accesso al credito per le cooperative che gestiscono i beni; investimenti per la ristrutturazione degli immobili; procedure più rapide e trasparenti per la loro gestione; un testo che armonizzi tutta la materia».
Che cosa chiede don Ciotti alla politica?
«Di essere vicina alla strada, alla gente, ai veri problemi. Altrimenti, è gestione del potere: promesse, slogan e ricerche di consenso nel vuoto di strategie, di progetti capaci di schiudere orizzonti e speranze. Non voglio generalizzare: ci sono tante persone impegnate in politica serie, oneste, preparate, come purtroppo ce ne sono di preoccupate più della loro posizione che del bene comune».
E che cosa chiede alla Chiesa?
«La Chiesa è chiamata a fare la sua parte, saldando la testimonianza cristiana con la responsabilità civile. Come prete ho due grandi riferimenti: il Vangelo da una parte, la Costituzione e la Carta universale dei diritti umani dall’altra. Testi che su piani diversi affermano la dignità della persona umana, l’impegno per la giustizia e per la ricerca di verità. Nella Chiesa ci sono testimonianze stupende, di grande umiltà e valore. Però, lo dico con amarezza, ci sono anche silenzi, forme di compromesso, persino di complicità. A me piace la Chiesa dei don Puglisi, la Chiesa che interferisce, che interviene per illuminare le coscienze, per denunciare gli affari criminali e le ingiustizie sociali. Che testimonia, nelle parole e nei fatti, l’assoluta incompatibilità del Vangelo con il crimine e la violenza».
Le mafie si possono combattere anche a tavola, consumando cibi buoni, puliti e giusti. Gli italiani ne sono consapevoli?
«La consapevolezza deve, certo, crescere. Serve informazione, cultura, educazione al consumo critico e responsabile, a stili di vita più sobri, più attenti. Anche le famiglie possono dare una grande mano: abbiamo bisogno sulle nostre tavole di prodotti puliti, freschi, altrimenti stiamo “freschi” noi. Il crimine non paga se facciamo attenzione a non pagarlo, chiedendo meccanismi di controllo e certificazione adeguati, tutela del lavoro, rispetto dell’ambiente. Se scegliamo di sostenere gli esercizi commerciali che non pagano il pizzo e se costruiamo reti (come Reggiolibera- Reggio, nata di recente in Calabria) per dare una mano agli imprenditori e ai commercianti onesti, per alimentare una cultura del consumo critico, per costruire il “noi” della corresponsabilità».
Roberto Zichittella
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