martedì 30 novembre 2010

La questione operaia - Rerum Novarum

Come promesso, continuiamo il nostro nuovo cammino volto alla scoperta degli elementi della politica, influenzati dall'enorme apporto della Chiesa Cattolica. Oggi, iniziamo un percorso volto alla scoperta della questione operaia attraverso un'Enciclica di grande valore, capace di ispirare la Costituzione Italiana e i suoi lavori preparatori! Questa Enciclica torna oggi di grande attualità, considerando gli enormi problemi connessi alla condizione di lavoratore subordinato, i cui diritti stanno ormai divenendo sempre più flebili e destinati a scomparire sotto il ricatto del posto del lavoro. Oggi leggiamo il motivo di quest'Enciclica, spiegato direttamente dal suo autore Papa Leone XIII:


RERUM NOVARUM
LETTERA ENCICLICA DI
S.S. LEONE XIII
 

INTRODUZIONE
 
Motivo dell'enciclica: la questione operaia

1. L'ardente brama di novità che da gran tempo ha cominciato ad agitare i popoli, doveva naturalmente dall'ordine politico passare nell'ordine simile dell'economia sociale. E difatti i portentosi progressi delle arti e i nuovi metodi dell'industria; le mutate relazioni tra padroni ed operai; l'essersi accumulata la ricchezza in poche mani e largamente estesa la povertà; il sentimento delle proprie forze divenuto nelle classi lavoratrici più vivo, e l'unione tra loro più intima; questo insieme di cose, con l'aggiunta dei peggiorati costumi, hanno fatto scoppiare il conflitto. Il quale è di tale e tanta gravità che tiene sospesi gli animi in trepida aspettazione e affatica l'ingegno dei dotti, i congressi dei sapienti, le assemblee popolari, le deliberazioni dei legislatori, i consigli dei principi, tanto che oggi non vi è questione che maggiormente interessi il mondo. Pertanto, venerabili fratelli, ciò che altre volte facemmo a bene della Chiesa e a comune salvezza con le nostre lettere encicliche sui Poteri pubblici, la Libertà umana, la Costituzione cristiana degli Stati, ed altri simili argomenti che ci parvero opportuni ad abbattere errori funesti, la medesima cosa crediamo di dover fare adesso per gli stessi motivi sulla questione operaia. Trattammo già questa materia, come ce ne venne l'occasione più di una volta: ma la coscienza dell'apostolico nostro ministero ci muove a trattarla ora, di proposito e in pieno, al fine di mettere in rilievo i principi con cui, secondo giustizia ed equità, si deve risolvere la questione. Questione difficile e pericolosa. Difficile, perché ardua cosa è segnare i precisi confini nelle relazioni tra proprietari e proletari, tra capitale e lavoro. Pericolosa perché uomini turbolenti ed astuti, si sforzano ovunque di falsare i giudizi e volgere la questione stessa a perturbamento dei popoli.

2. Comunque sia, è chiaro, ed in ciò si accordano tutti, come sia di estrema necessità venir in aiuto senza indugio e con opportuni provvedimenti ai proletari, che per la maggior parte si trovano in assai misere condizioni, indegne dell'uomo. Poiché, soppresse nel secolo passato le corporazioni di arti e mestieri, senza nulla sostituire in loro vece, nel tempo stesso che le istituzioni e le leggi venivano allontanandosi dallo spirito cristiano, avvenne che poco a poco gli operai rimanessero soli e indifesi in balda della cupidigia dei padroni e di una sfrenata concorrenza. Accrebbe il male un'usura divoratrice che, sebbene condannata tante volte dalla Chiesa., continua lo stesso, sotto altro colore, a causa di ingordi speculatori. Si aggiunga il monopolio della produzione e del commercio, tanto che un piccolissimo numero di straricchi hanno imposto all'infinita moltitudine dei proletari un gioco poco meno che servile.

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Come l'empio scredita la Chiesa

Da sempre l'empio ha cercato di sopprimere il giusto, forse perchè gli mostrava l'iniquità della sua condotta e forse perchè mostrava che si poteva vivere una vita diversa, una vita di amore gratuito verso Dio e verso il prossimo. Negli ultimi tempi, abbiamo visto quante accuse sono state lanciate contro la Chiesa, provocando un terremoto che aveva il preciso scopo di minare la credibilità della Chiesa dinanzi all'uomo e per rimuovere così l'ultimo ostacolo sulla strada del male, per la soppressione della fede e del bene nell'uomo. Dio però ha tenuto unita la Sua Chiesa e le ha donato un Pastore in grado di resistere all'onda d'urto dell'arrembaggio dei lupi. Inoltre, molte accuse si sono risolte in una bolla di sapone e altre ancora sono cadute. Oggi, grazie al solito contributo di un nostro caro amico, abbiamo appreso di un nuovo tentativo di screditamento di membri dell'ordine sacerdotale: un tentativo patetico che mostra come l'ateo non abbia altro modo per fermare le idee cristiane, che screditarne il portatore, come farebbe un uomo basso, senza senso di giustizia. Ecco l'articolo, prontamente pubblicato dal sito dell'Unione Cristiani Cattolici Razionali:

Una piccola dimostrazione di come nascano le leggende nere contro il cattolicesimo (avete presente quel che gli ateofanatici dicono rispetto all'inquisizione spagnola, le crociate, la caccia alle streghe, il Medioevo, Pio XII e il nazismo ecc..?). Hanno avuto così successo nella storia che ancora oggi frequentemente vengono artificiosamente create per tentare di diffamare l'unica sana istituzione che resiste all'imbarbarimento della civiltà occidentale (che, tra l'altro, va di pari passo alla secolarizzazione). Oggi: siamo nel periodo della creazione di leggende a scopo sessuale: ecco infatti il rigonfiamento forzato di dati e numeri legati ad atti pedofili esclusivamente in ambito cattolico (si è poi scoperto che la verità è profondamente diversa, vedi Ultimissima 22/9/10). Ed ecco in questi giorni un'altra leggenda (minore) di questo tipo: tra il 13 e il 15 novembre 2010 su diversi canali informativi del web è comparso un articolo intitolato: "Usa, prete vittima di sesso estremo: muore mentre si fa possedere da uno stallone". (vedi: Il Blitz Quotidiano, MondoNotizie, ExpressNews e ovviamente i siti delle lobby omosessuali, probabilmente invidiosi ed entusiasti dell'insolita fantasia sessuale: GayNews e GayTV. Stranamente nè Repubblica, né il Fatto Quotidiano, né Libero, nè l'Unità, né la setta degli atei razionalinvasati ne parlano, forse troppo impegnati a ricattare il rettore dell'Università di Firenze per aver invitato gli studenti alla Messa di inizio anno).

Per fortuna l'amministratore del blog Illuministicamentando decide di approfondire la faccenda. Innanzitutto scopre che sul TGcom del 9/6/10 la notizia era già apparsa, con gli stessi nomi dei protagonisti, ma senza che vi si accennasse minimamente alla presenza di un sacerdote, vedi: TGcom: Usa, sesso con cavallo: muore uomo. Addirittura poi, scopre l'esistenza di una pagina di Wikipedia sulla vicenda. I protagonisti, la sequenza dei fatti (avvenuti nel 2005) e la località sono gli stessi. Eppure non si tratta nel modo più assoluto di un prete (come sempre, verificate attraverso i link proposti).

Insomma, ci hanno provato ancora una volta...quando la frustrazione atea arriva alle stelle, pur di diffamare la Chiesa si utilizza qualsiasi tecnica.
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lunedì 29 novembre 2010

Un nuovo cammino - La Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica

E' nostra ferma intenzione promuovere un vero sviluppo delle conoscenza in ambito socio-politico, per risvegliare le nostre coscienze e per sensibilizzarle a questi temi, fondamentali per la collettività. Abbiamo già visto settimana scorsa, dell'importanza della presenza di un cristiano in politica intesa come perseguimento dell'interesse generale e non contingente. Oggi, cominciamo un nuovo percorso che si protrarrà a lungo, attraverso l'analisi di documenti della Chiesa di estrema importanza, poiché valori fondanti della stessa Costituzione Repubblicana attualmente in vigore. Da oggi ( e per ogni lunedì) iniziamo il percorso di studio della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica: un valore importantissimo e valido per tutti gli uomini di buona volontà, il che lo rende molto trasversale e utile alla causa generale. Speriamo di far cosa buona e di trovare il vostro interesse; da parte nostra, questo è solo un piccolo passo verso le continue esortazioni della Chiesa, per una maggior partecipazione alla vita socio-politica del nostro Paese. Ecco la presentazione all'allora Pontefice, il venerabile Giovanni Paolo II, del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica, utile per comprendere l'utilità di un simile strumento. A seguire trovate la presentazione del Cardinale Angelo Sodano.

A Sua Eminenza Reverendissima
il Sig. Card. RENATO RAFFAELE MARTINO
Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace
CITTÀ DEL VATICANO

PRESENTAZIONE

 Sono lieto di presentare il documento Compendio della dottrina sociale della Chiesa, elaborato, secondo l'incarico ricevuto dal Santo Padre Giovanni Paolo II, per esporre in maniera sintetica, ma esauriente, l'insegnamento sociale della Chiesa.

Trasformare la realtà sociale con la forza del Vangelo, testimoniata da donne e uomini fedeli a Gesù Cristo, è sempre stata una sfida e lo è ancora, all'inizio del terzo millennio dell'era cristiana. L'annuncio di Gesù Cristo, « buona novella » di salvezza, d'amore, di giustizia e di pace, non trova facilmente accoglienza nel mondo di oggi, ancora devastato da guerre, miseria e ingiustizie; proprio per questo l'uomo del nostro tempo ha più che mai bisogno del Vangelo: della fede che salva, della speranza che illumina, della carità che ama.

La Chiesa, esperta in umanità, in un'attesa fiduciosa e al tempo stesso operosa, continua a guardare verso i « nuovi cieli » e la « terra nuova » (2 Pt 3,13), e a indicarli a ciascun uomo, per aiutarlo a vivere la sua vita nella dimensione del senso autentico. « Gloria Dei vivens homo »: l'uomo che vive in pienezza la sua dignità rende gloria a Dio, che gliel'ha donata.

La lettura di queste pagine è proposta anzitutto per sostenere e spronare l'azione dei cristiani in campo sociale, specialmente dei fedeli laici, dei quali questo ambito è proprio; tutta la loro vita deve qualificarsi come una feconda opera evangelizzatrice. Ciascun credente deve imparare prima di tutto ad obbedire al Signore con la fortezza della fede, sull'esempio di San Pietro: « Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti » (Lc 5,5). Ogni lettore di « buona volontà » potrà conoscere i motivi che spingono la Chiesa a intervenire con una dottrina in campo sociale, a prima vista non di sua competenza, e le ragioni per un incontro, un dialogo, una collaborazione per servire il bene comune.

Il mio predecessore, il compianto e venerato cardinale François-Xavier Nguyên Van Thuân, guidò sapientemente, con costanza e lungimiranza, la complessa fase preparatoria di questo documento; la malattia gli impedì di concluderla con la pubblicazione. Quest'opera a me affidata, e ora consegnata ai lettori, porta dunque il sigillo di un grande testimone della Croce, forte nella fede negli anni bui e terribili del Viêt Nam. Egli saprà accogliere la nostra gratitudine per tutto il suo prezioso lavoro, profuso con amore e dedizione, e benedire tutti coloro che si soffermeranno a riflettere su queste pagine.

Invoco l'intercessione di San Giuseppe, Custode del Redentore e Sposo della Beata Vergine Maria, Patrono della Chiesa universale e del lavoro, affinché questo testo possa dare copiosi frutti nella vita sociale come strumento di annuncio evangelico, di giustizia e di pace.

Città del Vaticano, 2 aprile 2004, Memoria di San Francesco da Paola.

Renato Raffaele Card. Martino
Presidente

+ Giampaolo Crepaldi
Segretario

*** *** *** ***


SEGRETERIA DI STATO

dal Vaticano, 29 Giugno 2004
N. 559.332

Signor Cardinale,


Nel corso della sua storia, e in particolare negli ultimi cento anni, la Chiesa non ha mai rinunciato — secondo le parole del Papa Leone XIII — a dire la « parola che le spetta » sulle questioni della vita sociale. Continuando ad elaborare e ad aggiornare la ricca eredità della Dottrina Sociale cattolica, il Papa Giovanni Paolo II ha pubblicato, per parte sua, tre grandi Encicliche — Laborem exercens, Sollicitudo rei socialis e Centesimus annus —, che costituiscono tappe fondamentali del pensiero cattolico sull'argomento. Per parte loro, numerosi Vescovi, in ogni parte del mondo, hanno contribuito in questi ultimi tempi ad approfondire la dottrina sociale della Chiesa. Altrettanto hanno fatto numerosi studiosi, in ogni Continente.

1. Era quindi auspicabile che si provvedesse a redigere un compendio di tutta la materia, presentando in modo sistematico i capisaldi della dottrina sociale cattolica. Di ciò si è fatto lodevolmente carico il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, dedicando all'iniziativa un intenso lavoro nel corso degli ultimi anni.

Sono perciò lieto della pubblicazione del volume Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, condividendo con Lei la gioia di offrirlo ai credenti e a tutti gli uomini di buona volontà, come alimento di crescita umana e spirituale, personale e comunitaria.

2. L'opera mostra come la dottrina sociale cattolica abbia anche valore di strumento di evangelizzazione (cfr. Centesimus annus, 54), perché pone in relazione la persona umana e la società con la luce del Vangelo. I principi della dottrina sociale della Chiesa, che poggiano sulla legge naturale, si vedono poi confermati ed avvalorati, nella fede della Chiesa, dal Vangelo di Cristo.

In questa luce, l'uomo è invitato innanzi tutto a scoprirsi quale essere trascendente, in ogni dimensione della vita, compresa quella legata ai contesti sociali, economici e politici. La fede porta a pienezza il significato della famiglia che, fondata sul matrimonio tra un uomo ed una donna, costituisce la prima e vitale cellula della società; essa inoltre illumina la dignità del lavoro che, in quanto attività dell'uomo destinata alla sua realizzazione, ha la priorità sul capitale e costituisce titolo di partecipazione ai frutti che ne derivano.

3. Nel presente testo emerge poi l'importanza dei valori morali, fondati sulla legge naturale scritta nella coscienza di ogni essere umano, che è perciò tenuto a riconoscerla e a rispettarla. L'umanità chiede oggi maggiore giustizia nell'affrontare il vasto fenomeno della globalizzazione; sente viva la preoccupazione per l'ecologia e per una corretta gestione degli affari pubblici; avverte la necessità di salvaguardare la coscienza nazionale, senza perdere però di vista la via del diritto e la consapevolezza dell'unità della famiglia umana. Il mondo del lavoro, profondamente modificato dalle moderne conquiste tecnologiche, conosce straordinari livelli di qualità, ma deve purtroppo registrare anche inedite forme di precarietà, di sfruttamento e persino di schiavitù, all'interno delle stesse società cosiddette opulente. In diverse aree del pianeta il livello del benessere continua a crescere, ma aumenta minacciosamente il numero dei nuovi poveri e si allarga, per varie ragioni, il divario fra Paesi meno sviluppati e Paesi ricchi. Il libero mercato, processo economico con lati positivi, manifesta tuttavia i suoi limiti. D'altra parte, l'amore preferenziale per i poveri rappresenta una scelta fondamentale della Chiesa, ed essa la propone a tutti gli uomini di buona volontà.

Appare così come la Chiesa non possa cessare di far sentire la propria voce sulle res novae, tipiche dell'epoca moderna, perché ad essa spetta di invitare tutti a prodigarsi affinché si affermi sempre più una civiltà autentica protesa verso la ricerca di uno sviluppo umano integrale e solidale.

4. Le attuali questioni culturali e sociali coinvolgono soprattutto i fedeli laici, chiamati, come ricorda il Concilio Ecumenico Vaticano II, a trattare le cose temporali ordinandole secondo Dio (cfr. Lumen gentium, 31). Ben si comprende, quindi, la fondamentale importanza della formazione dei laici, affinché con la santità della loro vita e la forza della loro testimonianza, contribuiscano al progresso dell'umanità. Questo documento intende aiutarli nella loro quotidiana missione.

È interessante poi notare come numerosi elementi qui raccolti appaiano condivisi dalle altre Chiese e Comunità ecclesiali, nonché da altre Religioni. Il testo è stato elaborato in modo da essere fruibile non soltanto ad intra, ossia tra i cattolici, ma anche ad extra. Infatti, i fratelli accomunati a noi dallo stesso Battesimo, i seguaci di altre Religioni e tutti gli uomini di buona volontà ne possono trarre fecondi spunti di riflessione e un impulso comune per lo sviluppo integrale di ogni uomo e di tutto l'uomo.

5. Il Santo Padre, mentre auspica che il presente documento aiuti l'umanità nella ricerca operosa del bene comune, invoca le benedizioni di Dio su quanti si soffermeranno a riflettere sugli insegnamenti di tale pubblicazione. Nel formulare anche il mio personale augurio per il successo di quest'opera, mi congratulo con Vostra Eminenza e con i Collaboratori del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace per l'importante lavoro svolto, mentre con sensi di ben distinto ossequio mi è gradito confermarmi

Suo dev.mo nel Signore
Angelo Card. Sodano
Segretario di Stato

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L'immigrato è un essere umano (?)

Il titolo può sembrare controverso, soprattutto per il punto interrogativo. Ma quel punto interrogativo ha un senso profondo, importante poiché spiega l'attuale condizione del clandestino.
Oggi è stata pubblicata una notizia al quanto scioccante relativa al fatto che un medico è stato denunciato per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, solo per aver prestato soccorso ad un immigrato clandestino. Questa notizia gela il sangue poiché è assurdo pensare che la condizione di clandestinità sia un ostacolo per il diritto alla salute. Ed è grave pensare che un clandestino non debba esser curato poiché non paga le tasse: io penso che stiamo perdendo di vista il fatto che il clandestino non è un animale o un mostro leggendario, ma è soltanto un uomo disperato. Gesù ci ha chiamati all'accoglienza e pensare che un uomo non debba essere accolto o aiutato solo perchè uno Stato non lo riconosca come cittadino è qualcosa di aberrante così come è aberrante l'attuale legge sull'immigrazione, la quale comporta, quasi inevitabilmente, la caduta nello stato di clandestinità, poiché le condizioni per l'accesso al permesso di soggiorno sono un miraggio.

Un giorno, fui portato a riflettere, da un uomo il quale disse che, oggigiorno, Gesù non sarebbe potuto nemmeno venire in mezzo a noi, poiché ebreo! Nella semplicità e nell'assurdità di un simile concetto, si nascondeva una semplice realtà: se davvero Gesù fosse nato oggi, non sarebbe potuto venire da noi perchè lo avrebbero arrestato. E perchè l'avrebbero arrestato? Perchè clandestino impossibilitato a richiedere un permesso di soggiorno. Vi immaginate, per esempio, San Pietro e Paolo, richiedere la carta di soggiorno per poter evangelizzare a Roma?
A parte, l'assurdità di questi concetti, ciò che viene all'attenzione è il chiaro cambiamento di visione dell'uomo: infatti, non si guarda più al fatto che si è criminali o meno, ma si guarda alla condizione soggettiva di clandestino. In sostanza, basta che un uomo non possegga la documentazione richiesta per esser bollato come criminale e quindi indegno persino di ricevere cure mediche.
Tutto questo, ripeto, è aberrante considerato anche il fatto che tale notizia non abbia trovato spazio nei mass media. C'è una politica di criminalizzazione dell'immigrato che tende a renderlo capro espiatorio dei nostri mali: questa politica è fortemente anticristiana poiché si dimentica il valore fondamentale della persona umana e tratta il soggetto, in maniera assurdamente preventiva, come un potenziale criminale o disturbatore o agitatore della vita del Paese. E quanto mi ferisce maggiormente è che gli uomini che perseguono tale politica, vanno fieri delle loro radici cristiani, dimenticandosi gli insegnamenti profondi di Gesù che chiamano all'amore, alla tolleranza, al rispetto e alla condivisione. Fintantoché continueremo a vivere pensando di conservare il nostro pezzo di patrimonio, allora non capiremo mai il valore del cristianesimo e potremo professarci cristiani solo a parole perchè il cuore è lontano anni luce da Cristo.

La Chiesa la strada l'ha anche tracciata, ma si fa finta di non ascoltare e di non comprendere. Purtroppo, quando si diffonde la paura creata a regola d'arte, diventa difficile capire che un uomo non è criminale solo perchè un suo connazionale o un suo simile (inteso come clandestino) lo è; perchè altrimenti noi italiani saremmo tutti mafiosi e assassini... Allora, in cuor vostro, quel punto interrogativo iniziale è una provocazione, oppure una triste realtà dei giorni nostri? A voi l'ardua sentenza.

Angel
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domenica 28 novembre 2010

In difesa della vita umana

Nella giornata di ieri, si sono celebrati i vespri per l'inizio del Tempo di Avvento (Anche la Vigna ha iniziato questo Tempo speciale con l'apposizione di una candela, segno della Prima Domenica di Avvento): ma la celebrazione è stata anche l'occasione, per il Santo Padre, per soffermarsi sul valore della vita, a partire dalla tutela dell'embrione, da molti considerato solo un insieme di cellule, ma che in realtà rappresenta il primo stadio della vita. Noi condividiamo il pensiero della Chiesa Cattolica e ci battiamo affinché venga riconosciuto il valore più alto all'embrione, quale forma di vita al suo stadio iniziale. Ecco l'omelia di Papa Benedetto XVI:

CELEBRAZIONE DEI VESPRI PER L'INIZIO DEL TEMPO DI AVVENTO

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Sabato, 27 novembre 2010


Cari fratelli e sorelle,

con questa celebrazione vespertina, il Signore ci dona la grazia e la gioia di aprire il nuovo Anno Liturgico iniziando dalla sua prima tappa: l’Avvento, il periodo che fa memoria della venuta di Dio fra noi. Ogni inizio porta in sé una grazia particolare, perché benedetto dal Signore. In questo Avvento ci sarà dato, ancora una volta, di fare esperienza della vicinanza di Colui che ha creato il mondo, che orienta la storia e che si è preso cura di noi giungendo fino al culmine della sua condiscendenza con il farsi uomo. Proprio il mistero grande e affascinante del Dio con noi, anzi del Dio che si fa uno di noi, è quanto celebreremo nelle prossime settimane camminando verso il santo Natale. Durante il tempo di Avvento sentiremo la Chiesa che ci prende per mano e, ad immagine di Maria Santissima, esprime la sua maternità facendoci sperimentare l’attesa gioiosa della venuta del Signore, che tutti ci abbraccia nel suo amore che salva e consola.

Mentre i nostri cuori si protendono verso la celebrazione annuale della nascita di Cristo, la liturgia della Chiesa orienta il nostro sguardo alla meta definitiva: l’incontro con il Signore che verrà nello splendore della sua gloria. Per questo noi che, in ogni Eucaristia, “annunciamo la sua morte, proclamiamo la sua risurrezione nell’attesa della sua venuta”, vigiliamo in preghiera. La liturgia non si stanca di incoraggiarci e di sostenerci, ponendo sulle nostre labbra, nei giorni di Avvento, il grido con il quale si chiude l’intera Sacra Scrittura, nell’ultima pagina dell’Apocalisse di san Giovanni: “Vieni, Signore Gesù!” (22,20).

Cari fratelli e sorelle, il nostro radunarci questa sera per iniziare il cammino di Avvento si arricchisce di un altro importante motivo: con tutta la Chiesa, vogliamo celebrare solennemente una veglia di preghiera per la vita nascente. Desidero esprimere il mio ringraziamento a tutti coloro che hanno aderito a questo invito e a quanti si dedicano in modo specifico ad accogliere e custodire la vita umana nelle diverse situazioni di fragilità, in particolare ai suoi inizi e nei suoi primi passi. Proprio l’inizio dell’Anno Liturgico ci fa vivere nuovamente l’attesa di Dio che si fa carne nel grembo della Vergine Maria, di Dio che si fa piccolo, diventa bambino; ci parla della venuta di un Dio vicino, che ha voluto ripercorrere la vita dell’uomo, fin dagli inizi, e questo per salvarla totalmente, in pienezza. E così il mistero dell’Incarnazione del Signore e l’inizio della vita umana sono intimamente e armonicamente connessi tra loro entro l’unico disegno salvifico di Dio, Signore della vita di tutti e di ciascuno. L’Incarnazione ci rivela con intensa luce e in modo sorprendente che ogni vita umana ha una dignità altissima, incomparabile.

L’uomo presenta un’originalità inconfondibile rispetto a tutti gli altri esseri viventi che popolano la terra. Si presenta come soggetto unico e singolare, dotato di intelligenza e volontà libera, oltre che composto di realtà materiale. Vive simultaneamente e inscindibilmente nella dimensione spirituale e nella dimensione corporea. Lo suggerisce anche il testo della Prima Lettera ai Tessalonicesi che è stato proclamato: “Il Dio della pace – scrive san Paolo – vi santifichi interamente, e tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo” (5,23). Siamo dunque spirito, anima e corpo. Siamo parte di questo mondo, legati alle possibilità e ai limiti della condizione materiale; nello stesso tempo siamo aperti su un orizzonte infinito, capaci di dialogare con Dio e di accoglierlo in noi. Operiamo nelle realtà terrene e attraverso di esse possiamo percepire la presenza di Dio e tendere a Lui, verità, bontà e bellezza assoluta. Assaporiamo frammenti di vita e di felicità e aneliamo alla pienezza totale.

Dio ci ama in modo profondo, totale, senza distinzioni; ci chiama all’amicizia con Lui; ci rende partecipi di una realtà al di sopra di ogni immaginazione e di ogni pensiero e parola: la sua stessa vita divina. Con commozione e gratitudine prendiamo coscienza del valore, della dignità incomparabile di ogni persona umana e della grande responsabilità che abbiamo verso tutti. “Cristo, che è il nuovo Adamo – afferma il Concilio Vaticano II – proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione ... Con la sua incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo” (Cost. Gaudium et spes, 22).

Credere in Gesù Cristo comporta anche avere uno sguardo nuovo sull’uomo, uno sguardo di fiducia, di speranza. Del resto l’esperienza stessa e la retta ragione attestano che l’essere umano è un soggetto capace di intendere e di volere, autocosciente e libero, irripetibile e insostituibile, vertice di tutte le realtà terrene, che esige di essere riconosciuto come valore in se stesso e merita di essere accolto sempre con rispetto e amore. Egli ha il diritto di non essere trattato come un oggetto da possedere o come una cosa che si può manipolare a piacimento, di non essere ridotto a puro strumento a vantaggio di altri e dei loro interessi. La persona è un bene in se stessa e occorre cercare sempre il suo sviluppo integrale. L’amore verso tutti, poi, se è sincero, tende spontaneamente a diventare attenzione preferenziale per i più deboli e i più poveri. Su questa linea si colloca la sollecitudine della Chiesa per la vita nascente, la più fragile, la più minacciata dall’egoismo degli adulti e dall’oscuramento delle coscienze. La Chiesa continuamente ribadisce quanto ha dichiarato il Concilio Vaticano II contro l’aborto e ogni violazione della vita nascente: “La vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura” (ibid., n. 51).

Ci sono tendenze culturali che cercano di anestetizzare le coscienze con motivazioni pretestuose. Riguardo all’embrione nel grembo materno, la scienza stessa ne mette in evidenza l’autonomia capace d’interazione con la madre, il coordinamento dei processi biologici, la continuità dello sviluppo, la crescente complessità dell’organismo. Non si tratta di un cumulo di materiale biologico, ma di un nuovo essere vivente, dinamico e meravigliosamente ordinato, un nuovo individuo della specie umana. Così è stato Gesù nel grembo di Maria; così è stato per ognuno di noi, nel grembo della madre. Con l’antico autore cristiano Tertulliano possiamo affermare: “E’ già un uomo colui che lo sarà” (Apologetico, IX, 8); non c’è alcuna ragione per non considerarlo persona fin dal concepimento.

Purtroppo, anche dopo la nascita, la vita dei bambini continua ad essere esposta all’abbandono, alla fame, alla miseria, alla malattia, agli abusi, alla violenza, allo sfruttamento. Le molteplici violazioni dei loro diritti che si commettono nel mondo feriscono dolorosamente la coscienza di ogni uomo di buona volontà. Davanti al triste panorama delle ingiustizie commesse contro la vita dell’uomo, prima e dopo la nascita, faccio mio l’appassionato appello del Papa Giovanni Paolo II alla responsabilità di tutti e di ciascuno: “Rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita umana! Solo su questa strada troverai giustizia, sviluppo, libertà vera, pace e felicità” (Enc. Evangelium vitae, 5). Esorto i protagonisti della politica, dell’economia e della comunicazione sociale a fare quanto è nelle loro possibilità, per promuovere una cultura sempre rispettosa della vita umana, per procurare condizioni favorevoli e reti di sostegno all’accoglienza e allo sviluppo di essa.

Alla Vergine Maria, che ha accolto il Figlio di Dio fatto uomo con la sua fede, con il suo grembo materno, con la cura premurosa, con l’accompagnamento solidale e vibrante di amore, affidiamo la preghiera e l’impegno a favore della vita nascente. Lo facciamo nella liturgia - che è il luogo dove viviamo la verità e dove la verità vive con noi - adorando la divina Eucaristia, in cui contempliamo il Corpo di Cristo, quel Corpo che prese carne da Maria per opera dello Spirito Santo, e da lei nacque a Betlemme, per la nostra salvezza. Ave, verum Corpus, natum de Maria Virgine! Amen.

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sabato 27 novembre 2010

"Nei miracoli di Lourdes c'è realmente qualcosa di inspiegabile"

Continuiamo a toccare il tema scientifico, muovendoci però su questioni legate alla veridicità scientifica dei miracoli avvenuti a Lourdes e che continuano a manifestarsi nei fedeli. Ancora una volta ringraziamo vivamente il nostro caro amico Daniele per le segnalazioni di questi articoli la cui fonte resta il sito dell'Unione cristiani cattolici razionali
Scopriamo dunque il pensiero scientifico sui miracoli in questione e apprestiamoci a scoprire come anche la scienza si debba arrendere dinanzi al mistero inspiegabile delle guarigioni miracolose, frutto dell'intervento di Dio che ha sempre accompagnato la Sua presenza:

Strano dialogo quello fra un premio Nobel per la Medicina, celebre per aver scoperto il virus dell'Hiv, e un monaco cappellano per lunghi anni a fianco di reclusi di Francia. Un uomo di fede e uno di scienza uniti da una comune vocazione: la ricerca, l'uno della verità terrena, l'altro della verità eterna. Preoccupati entrambi per la dignità dell'uomo e per l'auspicio di un'alleanza positiva tra uomini di scienza e di fede. Lo scienziato è Luc Montagnier, già direttore dell'Istituto Pasteur e Nobel per la medicina nel 2008, quello di fede è padre Michel Niaussat, monaco cistercense. I loro dialoghi sono raccolti nel testo appena uscito Oltralpe, Le Nobel et le Moine . Sollecitati dalle domande del giornalista Philippe Harrouard, hanno messo a confronto le loro posizioni su fede, scienza, etica e ricerca. Lorenzo Fazzini su Avvenire presenta una recensione e racconta che è sopratutto l'ex "rosso" Montagnier (il quale ammette: "all'inizio ho creduto al marxismo, come molti giovani della mia epoca") a sollevare alcune affermazioni interessanti. Come quando ammette la natura misteriosa dei miracoli che avvengono a Lourdes: «Quando un fenomeno è inspiegabile, se esso esiste veramente, non serve nulla negarlo. Molti scienziati fanno l'errore di rifiutare ciò che non comprendono. Non mi piace questo atteggiamento. Cito spesso questa frase dell'astrofisico Carl Sagan: "L'assenza di evidenza non è l'evidenza dell'assenza". Riguardo ai miracoli di Lourdes che ho studiato, credo effettivamente che si tratti di qualcosa non spiegabile. [...] Io non mi spiego questi miracoli, ma riconosco che vi sono guarigioni non comprese allo stato attuale della scienza». Anche lui quindi è arrivato alla stessa conclusione del suo collega Nobel per la medicina, Alexis Carrel, il quale si convertì al cattolicesimo per aver assisitito direttamente e personalmente ad un miracolo durante il suo viaggio a Lourdes (il racconto dei fatti è su Cultura Cattolica).

Il Premio Nobel continua parlando del grande ruolo che il mondo cattolico svolge verso i sofferenti: «Con il mio collega americano Robert Gallo avevamo ottenuto un'udienza con il Papa (Giovanni Paolo II, ndr) per parlargli del modo in cui potremmo accrescere la nostra collaborazione con il personale delle missioni cattoliche che lavorano nell'ombra in Africa. Essi curano i malati di Aids e fanno prevenzione contro la diffusione del virus». Al che il monaco ribadisce: «Molti preti, religiose e religiosi sono all'opera. Troppo spesso ci si dimentica di parlarne». Gli fa eco il medico: «Gli ordini religiosi cristiani hanno svolto un ruolo molto positivo nella presa in carico dei malati. [...] Riconosco che, nel campo delle cure ospedaliere, la Chiesa è stata pionieristica».

Si passa poi alla visione teologica dei due interlocutori. Mentre Niaussat racconta l'inizio della sua vocazione, Montagnier parla della religione: «Le religioni sono fondate su testi sacri: Bibbia, Corano, Torah. Anzitutto si dice che questi testi vengono da Dio, ovvero sono la Rivelazione, e che bisogna seguirli alla lettera. Questi sono dogmi fondatori e comprendo che si esita a modificarli. Ma si potrebbe anche adattare le religioni alle conoscenze di base della scienza, conservando la credenza in Dio». Il Nobel francese però riconosce implicitamente che, se nel mondo prevalesse l'opzione religiosa, in primis quella cristiana, il nostro pianeta ne avrebbe solo da guadagnare: «Vi sono 2 miliardi di cristiani, di cui 1 miliardo e 100 milioni di cattolici. I loro buoni sentimenti sono presenti ma sfortunatamente i rapporti di forza continuano a governare il mondo. Nel nostro secolo la compassione e l'amore del prossimo guideranno il mondo? Ne dubito».
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giovedì 25 novembre 2010

Quando le teorie scientifiche barcollano

Oggi entriamo in un campo certamente non facilmente accessibile, come la scienza dell'evoluzione e la teoria darwiniana. Tale teoria era ed è il punto fondamentale utilizzato dagli atei per provare l'inesistenza di Dio. Ovviamente noi già sapevamo che la teoria scientifica non può mai giungere alla negazione di Dio perchè è ovviamente impossibile ed infatti, quello che maggiormente ci colpisce, è il fatto che si creda più a teorie scientifiche barcollanti e incapaci di dar una risposta seria e comprovata, piuttosto che alla verità evangelica che, non solo è sotto gli occhi di tutti (come la storia e il creato dimostrano), ma che è facilmente provabile all'interno di ognuno di noi, posto che la presenza di Dio può essere percepita da chiunque Lo cerca realmente.  Alla fine, l'unica scienza realmente innegabile è proprio quella della nostra fede che, nessun uomo, è stato mai capace di confutare in toto. E quando le teorie scientifiche barcollano, solo la fede rimane come fondamenta su cui poggiare i propri piedi, come han fatto molti scienziati in passato.
Quanto segue è un articolo inviatoci da un nostro caro amico e la cui fonte è il sito dell'Unione cristiani cattolici razionali.:



New York University: la teoria di Darwin non è più sostenuta dalla geologia.
In Evoluzione, darwinismo e creazione on 19 novembre 2010 at 19:11


Come sappiamo, la teoria del darwinismo è l'argomento principale con cui gli atei moderni giustificano la loro posizione esistenziale. Eppure non occorre certo essere dei creazionisti per riconoscere quanto la teoria di Darwin sia, anno dopo anno, sempre più barcollante e sempre meno utilizzata dal panorama scientifico per spiegare il processo evolutivo, nonostante l'accanimento di personaggi come Richard Dawkins. Uno dei colpi più importanti di quest'anno alla intoccabile ipotesi scientifica era stato sferrato dal duo evoluzionista Palmarini-Piattelli/Fodor (entrambi atei e quindi non tacciabili di creazionismo), con il loro scandaloso libro: Gli errori di Darwin, nel quale dichiaravano esplicitamente che il neodarwinismo è morto e non resuscitabile. Ma in questi giorni è arrivata una cannonata più violenta: «la teoria dell'evoluzione graduale formulata da Charles Darwin non è più compatibile con la storia geologica». Questa intollerante dichiarazione non è partita da un fanatico promotore del movimento creazionista americano, ma dall'illustre geologo Michael Rampino dell'Università di New York, nel suo saggio pubblicato dalla rivista Historical Biology (qui un estratto) l'8 novembre 2010 e ripreso dalle maggiori riviste e siti internet di divulgazione scientifica.

Il sito internet della New York University, informa che Rampino sostiene una teoria più precisa dell'evoluzione graduale, che postula il fatto che siano stati lunghi periodi di stabilità evolutiva a causare le estinzioni di massa, così come proposto dallo scozzese Patrick Matthew prima di Darwin. Lo scienziato ha dichiarato: «Matthew ha scoperto e divulgato l'idea della selezione naturale, applicata all'origine delle specie, e l'ha collocata nel contesto di un risultato geologico caratterizzato da estinzioni di massa catastrofiche, seguite da adattamenti relativamente rapidi». Continua Rampino: «Alla luce della recente accettazione dell'importanza verso le catastrofiche estinzioni di massa nella storia della vita, forse è il momento di riconsiderare il punto di vista evolutivo di Patrick Matthew, tanto più in linea con le idee presenti riguardanti l'evoluzione biologica rispetto a quelle di Darwin».

Nel suo "Naval Timber and Arboriculture" del 1831, Matthew descrisse la teoria della selezione naturale in una modalità che venne ripresa da Darwin successivamente (nonostante sia Darwin che Wallace ammisero questo, gli storici attribuirono a loro la genesi della teoria). Ma mentre Matthews spiegò questo processo concentrandosi sugli eventi catastrofici e le estinzioni di massa come fattori primari nel processo evolutivo, Darwin nel suo "L'origine delle specie" (scritto circa 30 anni dopo) rifiutò esplicitamente il ruolo del cambiamento catastrofico nella selezione naturale e delineò una teoria evolutiva basata sulla continua lotta per la sopravvivenza tra gli individui all'interno delle popolazioni di specie (quindi cambiamenti graduali nelle caratteristiche degli organismi sopravvissuti).
Tuttavia, come nota Rampino, «la storia geologica è segnata da lunghi periodi di stabilità punteggiati da grandi cambiamenti ecologici verificatisi sporadicamente e rapidamente». Per questo sempre più scienziati evoluzionisti sono concordi nel mettere in dubbio la teoria di Darwin basata sul «processo molto graduale di competizione tra gli organismi e dell'adattamento ad un ambiente relativamente stabile»

Sperando che questi risultati non incoraggino ulteriormente i creazionisti, non si può non constatare come l'unico argomento dell'ateismo scientifico sia ormai preso continuamente di mira dalla scienza stessa. Ricordiamo che Matthew era convinto di una Benevolenza in natura, di una casualità intelligente, che lui stesso definiì come "Provvidenza". La sua visione religiosa è riassumibile nella cosiddetta "Teologia naturale": vedi Wikipedia e Ucmp.com

La notizia, data la sua grande rilevanza, è stata pubblicata anche da questi canali di divulgazione scientifica, con il titolo "La teoria dell'evoluzione graduale di Darwin non è supportata dalla storia della geologia": Archaeology Daily News, Science Centric, Science Daily, LabSpace, Science News, Science Blog, Physorg.com, Science 2.0, Scientific Computing.
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martedì 23 novembre 2010

Liberi di scegliere, ma di vivere

Continuiamo ad occuparci del tema dell'eutanasia: in risposta alla trasmissione di Fabio Fazio e Roberto Saviano "Vieni via con me", sono stati pubblicati dei contro-elenchi per rispondere sì alla vita. Questi contro-elenchi sono la risposta a quelli recitati durante la trasmissione e che ponevano lo sguardo in un unica direzione e cioè pro-eutanasia, dimenticandosi che ci sono persone che vogliono vivere, nonostante tutto. L'elenco che segue è tratto da Avvenire e mostra il diritto di scegliere, ma a favore della vita:

«Vogliamo essere liberi. Sì, ma di vivere. Anche nella più grave delle disabilità» 


Un elenco per essere liberi di vivere, anche nella disabilità.
A chi non piacerebbe venire a fare un elenco nella trasmissione Vieni via con me? Se come ha scritto Roberto Saviano non c’è problema per Berlusconi, ci sarà qualche problema per me o per qualcun altro?
Anche noi, come voi, sogniamo un’Italia diversa, che però guardi la diversità.
Esseri liberi di vivere vuol dire permettere agli altri di vivere.
La vita è rischio, possiamo rischiare insieme?
Libertà di vivere è conoscenza. Quindi, l’ignoranza, il non conoscere, non permette di essere liberi.
La vita non va giudicata, va condivisa.
Riconoscere altri stili di vita.
Guardare le minoranze: rispecchiarsi nelle differenze.
Diamo la libertà di scegliere, ma non lasciamo le persone in solitudine.
Libertà di cura vuol dire, anche, diritto di cura.
La disabilità è anche, ma non solo, disperazione: possiamo, potete, non parlare, sempre, del "caro estinto"?
Eliminiamo le facce da funerale, si può ridere e scherzare. Anzi, si deve, per essere liberi, per avere voglia di vivere (vi sembra possibile?)
Guardate questa moltitudine di famiglie che si sente offesa, raccontatela, fatela vedere. Avete 9 milioni di spettatori che aspettano di sapere.
Formiamo i giovani, facciamogli vedere il mondo. Tutto.
Dialogare con il potere, con tutti i poteri (compreso "Vieni via con me").
La solidarietà non ha ideologie.
Siamo tutti come dei fornai ma non siamo "padroni del pastificio".
Bisogna avere le mani in pasta perché bisogna sporcarsi di farina.
Stare seduti in uno studio televisivo, non aiuta ad essere liberi.
Vivere solo in uno studio televisivo, non aiuta ad essere liberi.
Bisogna fare televisione sedendosi accanto a chi vede la televisione (per viverla insieme).
Dopo una malattia a volte cambiano i linguaggi: amare e sapere.
Regola numero 1: affinare la nostra comunicazione.
Regola numero 2: imparare a guardare.
Regola numero 3: imparare a toccare.
Regola numero 4: imparare a vedere.
Regola numero 5: imparare a sentire.
Regola numero 6: imparare ad ascoltare.
Regola numero 7: imparare a percepire.
Regola numero 8: imparare ad imparare.
regola numero 9: imparare sempre ad amare.
Regola numero 10: Fare case di un solo piano (i disabili non possono salire sui tetti per protestare).


Per concludere, cari Fazio e Saviano, e per dirla con il titolo della trasmissione, da Paolo Conte Vieni via con me: «Entra in questo amore buio, non perderti per niente al mondo... It’s wonderfoul, it’s wonderfoul, it’s wonderfoul good luck my babe…».


Fulvio De Nigris
direttore Centro Studi per la Ricerca sul Coma - Gli amici di Luca
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Il posto dei cristiani in politica

E' nostra intenzione iniziare un impegno costante anche in questo settore, consci dell'importanza del cristiano impegnato nella politica per il perseguimento del bene comune. Nei prossimi giorni, cominceremo a dare uno sguardo alle Encicliche che hanno influenzato la nostra stessa vigente Costituazione Repubblicana, ma oggi voglio postarvi un articolo di RaiVaticano, dello scorso Febbraio, per farvi presente il punto di vista del Cardinal Tettamanzi che ci chiama a compiere il nostro dovere nella quotidianità, cominciando dal basso e cioè dai problemi locali:


“La vera questione del posto dei cristiani in politica non riguarda quale schieramento seguire o quale alleanza preferire, ma è quella di scegliere Cristo, ogni giorno, con una vita di fede autentica e, di conseguenza, con decisioni e comportamenti coerenti al Vangelo”.

Parla così il cardinale Tettamanzi di fronte agli amministratori delle istituzioni pubbliche di Milano e provincia. “Cristiani in politica, tutti responsabili di tutti” è il titolo scelto dall’arcivescovo. Che dice: lo so, in politica “il riferimento all’essere cattolici divide anziché unire”, e il pastore avverte tutta la fatica, il disagio e la sofferenza di cristiani che “non poche volte si contrappongono tra loro su ciò che li dovrebbe unire”. Ma proprio per questo occorre una risposta decisa. “Il posto dei cattolici è la stessa comunità cristiana”. Devono starci dentro, devono viverla. Non basta dirsi cristiani. Occorre esserlo. Anche perché è proprio stando dentro la comunità che il politico può avere quel legame forte con il popolo senza il quale non è possibile occuparsi validamente della cosa pubblica.
Ma c’è un secondo “posto” dei cattolici in politica, ed è la povertà. Proprio così: il posto nel quale i cristiani possono e devono costruire una casa comune è “il servizio ai più poveri”, intendendo con “poveri” tutti quelli che soffrono per forme di emarginazione, esclusione e solitudine.
In politica il cristiano che voglia impegnarsi deve essere preparato e continuare a prepararsi. “Non ci si può improvvisare al servizio degli altri. Non basta mettere in campo semplicemente facce nuove. Occorrono persone serie e competenti. Gli stessi partiti dovrebbero tornare a educare al senso alto della politica, non solo alle tecniche per conquistare il consenso. Se il partito si riduce a comitato elettorale la politica e la democrazia ne soffrono profondamente. L’impegno deve essere continuo, e deve coinvolgere anche gli stili di vita dei politici.
La Chiesa ha dunque, fra gli altri, anche il compito di suscitare questa vocazione alla politica come servizio. Non in forma di ingerenza, ma come guida, orientamento e sostegno. Sempre nel segno del bene comune. Nelle parrocchie, dice il cardinale “spesso si fatica a parlare di politica”, perché si ha paura delle contrapposizioni e delle accuse reciproche, ma questo è un segno di “immaturità e fragilità delle nostre comunità” e va combattuto.
Il territorio corre oggi il rischio della “desertificazione” culturale e morale. Serve un programma, ma soprattutto serve un’anima. E per ridare un’anima alle comunità serve, da parte di tutti, “un colpo d’ala”: più creatività, più dedizione, più coraggio.
La dimensione locale ha spesso un vantaggio rispetto a quella globale: mostra un volto più umano. Di conseguenza i problemi si fanno meno lontani e indistinti, e le soluzioni sono più facilmente individuabili. Ripartire dal locale è un’altra raccomandazione dell’arcivescovo, che propone come modello per amministratori e politici la figura del buon samaritano: uno che di fronte al bisogno, all’uomo colpito e derubato dai briganti, non si preoccupa tanto di ricostruire l’identikit dei colpevoli, ma di soccorrere e guarire l’aggredito. La tutela della sicurezza dei cittadini, annota il cardinale, non può certo ridursi al soccorso, ma l’altruismo pratico del samaritano indica la voglia di spendersi concretamente per il prossimo. E’ un esempio di servizio chiamato a declinarsi in varie forme. Perché solo il territorio “dove grande e costante è l’attenzione all’altro sarà un territorio davvero presidiato e dunque più sicuro”. Più abitabile non perché più controllato, più vivibile non perché più blindato, ma perché più umano.
Il cardinale non manca di sottolineare che il samaritano è uno straniero. Il sacerdote e il levita sono del posto, eppure si guardano bene dal soccorrere il ferito. Vedono, ma passano oltre. Lo straniero invece vede, si ferma ed ha compassione del viandante aggredito. L’evangelista fa capire che assalitori e aggrediti possono essere di qualsiasi nazionalità, lingua e religione. E così, dice il cardinale, è anche ai nostri giorni: “I reati che offendono le persone sono commessi sia da italiani sia da stranieri, e vedono come vittime sia chi abita le nostre città da tempo sia chi è venuto da poco”. E non dimentichiamo che sono proprio gli stranieri, spesso, a esercitare compiti di assistenza e di cura. Quei compiti dei quali noi non possiamo o non vogliamo più farci carico.
Tutti, conclude l’arcivescovo di Milano, devono fare la propria parte. La vera sicurezza dipende da questo clima di cura reciproca. E solo chi è solidale con il prossimo è autorizzato a usare con coerenza l’aggettivo “cristiano”.



FONTE

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lunedì 22 novembre 2010

Io non ci sto

Da sempre il cattolico ha suscitato sdegno nelle persone "laiche" soprattutto quando veniva accostato al mondo della politica. Abbiamo avuto anni in cui il cristiano ha dominato la scena politica nazionale, attraverso uomini di grande moralità come De Gasperi, capaci di far ripartire il motore Italia dopo la crisi del dopoguerra. Eppure, anche allora, il cattolico e la politica sembravano un connubio fuori luogo, in uno Stato che si era proclamato laico attraverso la Costituzione Repubblicana del 1948.
Oggi, non abbiamo degni rappresentanti né al Parlamento né al Governo: gli interessi personalistici hanno preso il sopravvento sulla politica del benessere collettivo e questo ha macchiato anche chi si definiva cristiano cattolico, forse con l'intento di accaparrarsi i voti dei milioni di cattolici in Italia.
E' da un pò di tempo ormai che ascoltiamo alcuni proclami della Santa Sede, delle esortazioni affinché nasca una classe politica cattolica e subito ho letto e sentito molte critiche, relative al fatto che la Chiesa dovrebbe pensare al Suo Magistero piuttosto che alla politica. Beh, io non ci sto in questo: perchè non può nascere un partito cattolico che sia realmente capace di perseguire il bene collettivo? Abbiamo partiti che rappresentano porzioni di territorio come la Lega Nord e non possiamo avere un partito che si occupi del raggiungimento di scopi cristiani, comuni a tutti gli uomini di buona volontà?

Oggi ci troviamo tra due fuochi: una parte politica che si proclama vicina ai valori cattolici, ma che persegue scopi completamente diversi e ad personas e poi abbiamo una parte politica che persegue scopi in parte giusti, ma che nei fatti soffre la Chiesa e i suoi valori. In questo bipolarismo ormai sdentato, ci sarebbe bisogno di una classe politica che si presenti alla Nazione come un insieme di uomini di buona volontà avente l'unico scopo di salvaguardare gli interessi dell'Italia e di perseguire politiche che vadano a vantaggio del cittadino, indipendentemente dalla sua classe sociale e indipendentemente da compromessi di natura clientelare. Oggi la politica è una vergogna che si manifesta sotto la luce del Sole: il compromesso morale sembra inevitabile e allo stesso modo, la ricerca dei voti si trasforma in qualcosa di peggio di un compromesso, perchè si tratta di ricattare moralmente i cittadini, attraverso vane promesse di lavoro o favori personali o parole vuote, illusorie. Una politica che agisca sul territorio con il presupposto del voto-scambio è una politica fallita che andrebbe combattuta e denunciata. Noi cittadini, noi uomini di buona volontà vogliamo una politica che sappia perseguire lo scopo comune al di là dei voti, al di là degli accordi personali, al di là della logica "tu dai qualcosa a me, io do qualcosa a te". Noi vogliamo una politica che torni alle radici, che sappia ricostruire un rapporto di fiducia con tutti i cittadini ormai sfiduciati e privi di ogni speranza perchè abbandonati. Noi vogliamo che ci sia una politica silenziosa, che sappia agire concretamente, senza proclami, senza sfilate, senza azioni propagandistiche come le recenti passerelle in terra abruzzese e napoletana. La politica deve essere strumento di risposta e non strumento di punto di domanda: basta chiacchiere e passiamo ai fatti concreti perchè mentre si gioca al gioco, ormai famoso, del cerino, c'è gente che perde il lavoro, che paga le tasse in maniera spropositata, che vede i propri diritti quotidianamente calpestati, che vede la giustizia sempre più sbilanciata a favore dei ricchi potentati, che si mette in coda alla Caritas per ottenere il pane quotidiano. Basta pensare che la politica debba per forza di cose esser divisa in maggioranza e opposizione, divise da un muro invalicabile: buttiamolo giù questo muro e se ci sono proposte buone e concrete, allora che si realizzino perchè la politica non è un asilo di bambini, ma un posto dove discutere insieme il bene del Paese.
E' forse un'utopia pensare alla politica come strumento di bene collettivo? E' utopico pensare che i governanti siano vicini ai governati? E' utopico pensare che un Presidente del Consiglio conduca una vita irreprensibile, facendo seguire i fatti alle parole? Oppure dobbiamo arrenderci al circo mediatico, alla battaglia navale tra bambini, alla monnezza non solo nelle strade, ma anche nelle stanze private?
E' tempo che la coscienza si risvegli e non si arrenda al così fan tutti, ma lotti pensando al bene comune e al fatto che se si vuole, si può cambiare anche questo sistema ormai marcio e depredato da affaristi, mafiosi e lobbysti di ogni genere. Sarebbe ora di riprendersi in mano il futuro del nostro Paese in modo da creare un futuro che non sia sotto i ponti, ma che sia capace di dare indietro ciò che ha preso, assorbito indipendentemente e abbondantemente in tutti questi anni.
Ecco perchè speriamo che si crei una convergenza tra noi cristiani, in modo che si possa presentare l'occasione per un impegno serio, costante, aderente all'esortazione del Papa e del cardinal Angelo Bagnasco, con l'obiettivo ambizioso di poter contribuire al cambiamento, alla rivoluzione pacifica di cui l'Italia ha un bisogno impellente!
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sabato 20 novembre 2010

Lettera di Antonio Socci a Roberto Saviano

Lo scorso Lunedì, su RaiTre, è andato in onda "Vieni via con me". In questo spettacolo sono state toccate tematiche importantissime come la mafia (e qui il lavoro è stato ineccepibile) e come l'eutanasia. Su quest'ultimo punto nutriamo forti perplessità poiché la trasmissione ha dato una visione a senso unico del tema, senza tener conto di chi vuole continuare a vivere nonostante tutto.
Questa mattina, un amico della Vigna ci ha inviato una lettera scritta dal noto giornalista Antonio Socci (di cui ammiriamo la coerenza e il forte impegno cristiano nonostante il poco spazio che gli viene concesso) ad Antonio Saviano, co-conduttore di Fabio Fazio nella suddetta trasmissione. E' una lettera emozionante, bellissima che tocca davvero il cuore e che merita di avere lo spazio giusto per farla conoscere a più persone possibili. Si tratta di una lettera scritta da un padre con una figlia ammalata che però non vuole rinunciare a vivere, nonostante tutto: e' un esempio per tutti, perchè quel coraggio vale più di mille parole. Noi pregheremo Dio per lei e per Antonio e anche per chi si trova nella situazione di decidere:


Caro Roberto,
vieni via con me e lascia i tristi a friggere nel loro odio. Questo è un invito pieno di stima: vieni a trovare mia figlia Caterina.
Ti accoglierò a braccia spalancate e se magari ne tirerai fuori l'idea per un articolo, potrai devolvere un po' di diritti alle migliaia di bambini lebbrosi che sto aiutando tramite i miei amici missionari i quali li curano nel loro lebbrosario (in un Paese del terzo mondo).
Vieni senza telecamere, ma con il cuore e con la testa con cui hai scritto "Gomorra", lasciandoti alle spalle i fetori dell'odiologia comunista (a cui tu non appartieni) che si respira in certi programmi tv.
Mi scrivesti -- ti ricordi ? - quando io ti difesi su queste colonne per il tuo bel libro.
Ora io, debole, scrivo a te forte e potente, io padre inerme in lotta con l'orrore (e in fuga dalla tv) scrivo a te, star televisiva osannata, io cristiano controcorrente da sempre, scrivo a te che stimo: vieni a guardare negli occhi mia figlia venticinquenne che sta coraggiosamente lottando contro un Nemico forse più tremendo di quei quattro squallidi buzzurri che sono i camorristi.
Lei non si arrende all'orrore, come non ci si arrende alla camorra. Vieni a vedere il suo eroismo e quello di tanti altri come lei, che -- come dice Mario Melazzini, rappresentante di molti malati di Sla -- sono silenziati dal regime mediatico del 'politically correct' nel quale tu, purtroppo, hai accettato di diventare una stella.
Vieni. Vedrai gli occhi di Caterina, ben diversi da quelli arroganti e pieni di disprezzo delle mezzecalzette o dei tromboni che civettano nei salotti intellettuali e giornalistici.
Magari potrai vedere addirittura la felicità dentro le lacrime e forse eviterai di straparlare sull'eutanasia, sulla malattia o sul fine vita (come hai fatto lunedì scorso) imponendo il tuo pensiero unico, perché i malati, i disabili che implorano di essere aiutati e sostenuti, nel salotto radical-chic tuo e di Michele Serra, non hanno avuto diritto di parola.
Come non ce l'hanno -- in questa dittatura del pensiero unico -- i bambini non nati o i cristiani macellati da ogni parte e disprezzati o condannati a morte per la loro fede: è il caso della giovane Asia Bibi.
Vedi, a me non frega niente della tua diatriba col ministro Maroni: siete due potenti e avete gli strumenti a vostra disposizione per battervi. Non c'è bisogno di galoppini che osannino l'uno o l'altro.
A me importa dei deboli, dei malati, dei piccoli, dei poveri che sono ignorati, silenziati e umiliati in televisione. A cominciare dal programma di Michele Serra dove recitate tu e Fazio. Dove si taglia a fette il disprezzo per la Chiesa.
Per la Chiesa che tu sai bene -- caro Roberto -- ha lottato contro la camorra e la mafia ben prima di te e con uomini inermi e poveri che ci hanno pure rimesso la pelle.
La Chiesa che conosce i sofferenti e i miseri, li ama e quasi da sola soccorre tutti i disperati della terra, un po' più di Michele Serra di cui ho sentito parlare solo nei salotti giornalistici, non in lebbrosari del Terzo Mondo o nei bassifondi di Calcutta (di Fabio Fazio neanche merita occuparsi).
E' un peccato che tu metta il tuo volto a far da simbolo di un establishment intellettuale che non ha mai letto il tuo e mio Salamov e non ha mai combattuto l'orrore rosso che lui denunciò e contro cui morì.
Quello sì che sarebbe anticonformismo: andare in tv a raccontare Kolyma che è con Auschwitz l'abisso del XX secolo, ma che -- a differenza di Auschwitz -- non è mai stata denunciata nella nostra cultura e nella nostra televisione!
Abbiamo visto nel tuo programma lo spettro del (post) comunismo che legittimava lo spettro del (post) fascismo. Dandoci a bere che loro hanno "i valori". Anzi: solo loro. Visto che solo loro sono stati ritenuti degni di proclamarli.
Il rottame dell'odiologia del Novecento che ha afflitto l'umanità e in particolare l'Italia è davvero quello che oggi ha i titoli per sdottoreggiare di valori?
Mi par di sentire mio padre minatore cattolico -- che lottò in vita contro il comunismo e contro il fascismo -- che, quando era ancora fra noi, si ribellava davanti a questa tv e gridava: "Andate al diavolo!".
Quelli come lui -- che hanno garantito a tutti noi la libertà e il benessere di cui godiamo -- non ce li chiamate a proclamare i loro valori.
Perché sono state le persone comuni come lui a capire la grandezza di un De Gasperi e ad aiutarlo, ricostruendo l'Italia. Invece gli intellettuali italiani del Novecento sono andati dietro ai pifferi di Mussolini e di Togliatti (e di Stalin).
E dopo questo tragico abbaglio l'establishment intellettuale di oggi ancora pretende di indicare la via, gigioneggiando su tv e giornali.
Pretendono di fare la rivoluzione (etica naturalmente) con tanto di contratto o fattura (sacrosanta retribuzione per la prestazione professionale, si capisce).
Sono il regime e pretendono di spacciarsi per l'eresia, incarnano la pesantezza del conformismo e si atteggiano a dissidenti, sbandierano le regole per gli altri e se ne infischiano di quelle che dovrebbero osservare loro, predicano la tolleranza e non tollerano alcune diversità culturale e umana.
Come se non bastasse proclamano l'antiberlusconismo etico e antropologico e con l'altra mano (molti di loro) firmano contratti con le aziende di Berlusconi come Mondadori, Mediaset o Endemol (di o partecipate da Berlusconi).
Pensa un po' Roberto, io pubblico con la Rizzoli e lavoro per la Rai. Ti assicuro che si può vivere dignitosamente anche senza lavorare con aziende che fanno capo al gruppo Berlusconi, visto che (a parole) viene così schifato da questa intellighentsia.
Caro Roberto, l'altra sera mia figlia Caterina stava ascoltando un cd con canti polifonici che lei conosce bene (perché li cantava anche lei). Era molto concentrata ad ascoltare una laude cinquecentesca a quattro voci che s'intitola: "Cristo al morir tendea".
In essa Maria parla di Gesù ai suoi amici, agli apostoli. E quando le sue struggenti parole -- cantate meravigliosamente -- hanno sussurrato "svenerassi per voi" (si svenerà per voi), Caterina -- che non può parlare -- è scoppiata a piangere.
Questa commozione per Gesù -- che nei salotti che oggi frequenti è disprezzato come nei salotti di duemila anni fa -- ha cambiato il mondo e salva l'umanità.
E' la stessa commozione di Asia Bibi, la giovane madre condannata a morte perché -- a chi voleva convertirla all'Islam -- ha risposto: "Gesù è morto per me, per salvarmi. Maometto cos'ha fatto per voi?".
Ecco, caro Roberto, questa commozione per un Dio che ama così è il cristianesimo.
E tu hai conosciuto uomini che per l'amicizia di Gesù, per amare gli esseri umani come lui, hanno scommesso la vita, hanno dato se stessi. Quando si sono visti quei volti come si può sopportare di vivere in un mondo di maschere e di recitare nei loro teatrini?
Ti abbraccio,

Antonio Socci
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venerdì 19 novembre 2010

Messaggio di Benedetto XVI per la XXV Conferenza Internazionale del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari

In questi giorni è in corso la XXV Conferenza Internazionale del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari e anche il Papa ha voluto intervenire per confermare l'importanza del tema della salute, all'interno della comunità cristiana. In effetti, la salute è sempre stato considerato un bene prezioso, inviolabile e il dovere di ogni cristiano è sempre stato quello di assistere gli ammalati cercando di portare cure dove vi era bisogno. Abbiamo visto, nell'Angolo di Angel, come Madre Eugenia Elisabetta Ravasio abbia assistito con coraggio e con fede, ma soprattutto con amore, i lebbrosi emarginati da tutti. Ecco, lei rappresenta il giusto esempio, una riproposizione del Buon Samaritano che non fa finta di non vedere, ma si ferma ed assiste il bisognoso. Ecco dunque le parole del Santo Padre:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
AI PARTECIPANTI ALLA XXV CONFERENZA INTERNAZIONALE
DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER GLI OPERATORI SANITARI

 
Al Venerato Fratello
Zygmunt Zimowski
Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari

Con gioia desidero far giungere il mio cordiale saluto ai partecipanti alla XXV Conferenza Internazionale, che bene si inserisce nell’anno celebrativo dei 25 anni dalla istituzione del Dicastero, ed offre un motivo ulteriore per ringraziare Dio di questo prezioso strumento per l’apostolato della misericordia. Un pensiero riconoscente verso tutti coloro che si adoperano, nei vari settori della pastorale della salute, per vivere quella diaconia della carità, che è centrale nella missione della Chiesa. In questo senso, mi è grato ricordare i Cardinali Fiorenzo Angelini e Javier Lozano Barragán, che hanno guidato in questi 25 anni il Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari e rivolgere un particolare saluto all’attuale Presidente del Dicastero, l’Arcivescovo Zygmunt Zimowski, come pure al Segretario, al Sotto-Segretario, agli Officiali, ai collaboratori, ai relatori del Convegno e a tutti i presenti.

Il tema da voi scelto quest’anno “Caritas in veritate”. Per una cura della salute equa ed umana” riveste un interesse particolare per la comunità cristiana, in cui è centrale la cura per l’essere uomo, per la sua dignità trascendente e per i suoi diritti inalienabili. La salute è un bene prezioso per la persona e la collettività da promuovere, conservare e tutelare, dedicando mezzi, risorse ed energie necessarie affinché più persone possano usufruirne. Purtroppo, ancora oggi permane il problema di molte popolazioni del mondo che non hanno accesso alle risorse necessarie per soddisfare i bisogni fondamentali, in modo particolare per quanto riguarda la salute. È necessario operare con maggiore impegno a tutti i livelli affinché il diritto alla salute sia reso effettivo, favorendo l’accesso alle cure sanitarie primarie. Nella nostra epoca si assiste da una parte ad un’attenzione alla salute che rischia di trasformarsi in consumismo farmacologico, medico e chirurgico, diventando quasi un culto per il corpo, e dall’altra parte, alla difficoltà di milioni di persone ad accedere a condizioni di sussistenza minimali e a farmaci indispensabili per curarsi.

Anche nel campo della salute, parte integrante dell’esistenza di ciascuno e del bene comune, è importante instaurare una vera giustizia distributiva che garantisca a tutti, sulla base dei bisogni oggettivi, cure adeguate. Di conseguenza, il mondo della salute non può sottrarsi alle regole morali che devono governarlo affinché non diventi disumano. Come ho sottolineato nell’Enciclica Caritas in veritate, la Dottrina Sociale della Chiesa ha sempre evidenziato l’importanza della giustizia distributiva e della giustizia sociale nei vari settori delle relazioni umane (n. 35). Si promuove la giustizia quando si accoglie la vita dell’altro e ci si assume la responsabilità per lui, rispondendo alle sue attese, perché in lui si coglie il volto stesso del Figlio di Dio, che per noi si è fatto uomo. L’immagine divina impressa nel nostro fratello fonda l’altissima dignità di ogni persona e suscita in ciascuno l’esigenza del rispetto, della cura e del servizio. Il legame fra giustizia e carità, in prospettiva cristiana, è molto stretto: “La carità eccede la giustizia, perché amare è donare, offrire del «mio» all’altro; ma non è mai senza la giustizia, la quale induce a dare all’altro ciò che è «suo», ciò che gli spetta in ragione del suo essere e del suo operare [...] Chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro. Non solo la giustizia non è estranea alla carità, non solo non è una via alternativa o parallela alla carità: la giustizia è ‘inseparabile dalla carità’, intrinseca ad essa. La giustizia è la prima via della carità” (ibid., 6). In questo senso, con espressione sintetica e incisiva, Sant’Agostino insegnava che “la giustizia consiste nell’aiutare i poveri” (De Trinitate, XIV, 9: PL 42, 1045).

Chinarsi come il Buon Samaritano verso l’uomo ferito abbandonato sul ciglio della strada è adempiere quella “giustizia più grande” che Gesù chiede ai suoi discepoli e attua nella sua vita, perché l’adempimento della Legge è l’amore. La comunità cristiana, seguendo le orme del suo Signore, ha adempiuto il mandato di andare nel mondo a “insegnare e curare gli infermi” e nei secoli “ha fortemente avvertito il servizio ai malati e sofferenti come parte integrante della sua missione” (Giovanni Paolo II, Motu Proprio Dolentium Hominum, 1), di testimoniare la salvezza integrale, che è salute dell’anima e del corpo.

Il Popolo di Dio pellegrinante per i sentieri tortuosi della storia unisce i suoi sforzi a quelli di tanti altri uomini e donne di buona volontà per dare un volto davvero umano ai sistemi sanitari. La giustizia sanitaria deve essere fra le priorità nell’agenda dei Governi e delle Istituzioni internazionali. Purtroppo, accanto a risultati positivi e incoraggianti, vi sono opinioni e linee di pensiero che la feriscono: mi riferisco a questioni come quelle connesse con la cosiddetta “salute riproduttiva”, con il ricorso a tecniche artificiali di procreazione comportanti distruzione di embrioni, o con l’eutanasia legalizzata. L’amore alla giustizia, la tutela della vita dal suo concepimento al termine naturale, il rispetto della dignità di ogni essere umano, vanno sostenuti e testimoniati, anche controcorrente: i valori etici fondamentali sono patrimonio comune della moralità universale e base della convivenza democratica.

Occorre lo sforzo congiunto di tutti, ma occorre anche e soprattutto una profonda conversione dello sguardo interiore. Solo se si guarda al mondo con lo sguardo del Creatore, che è sguardo d’amore, l’umanità imparerà a stare sulla terra nella pace e nella giustizia, destinando con equità la terra e le sue risorse al bene di ogni uomo e di ogni donna. Per questo, “auspico […] l’adozione di un modello di sviluppo fondato sulla centralità dell’essere umano, sulla promozione e condivisione del bene comune, sulla responsabilità, sulla consapevolezza del necessario cambiamento degli stili di vita e sulla prudenza, virtù che indica gli atti da compiere oggi, in previsione di ciò che può accadere domani”. (Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2010, 9)

Ai Fratelli e Sorelle sofferenti esprimo la mia vicinanza e l’appello a vivere anche la malattia come occasione di grazia per crescere spiritualmente e partecipare alle sofferenze di Cristo per il bene del mondo, e a voi tutti impegnati nel vasto campo della salute il mio incoraggiamento per il vostro prezioso servizio. Nel chiedere la materna protezione della Vergine Maria, Salus infirmorum, imparto di cuore la Benedizione Apostolica che estendo anche alle vostre famiglie.

Dal Vaticano, 15 novembre 2010

© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana
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mercoledì 17 novembre 2010

Lettera da Baghdad

Un paio di settimane fa, parlammo del terribile avvenimento avvenuto a Baghdad, in una Chiesa cristiana. Ci fu un violento attentato che provocò la morte di ben 52 fedeli, tra cui lo stesso sacerdote che stava celebrando la Santa Messa. Abbiamo già espresso la nostra indignazione per quanto accaduto e oggi vi vogliamo rendere partecipi di una lettera pubblicata da due monache che hanno raccolto le testimonianze di alcuni sopravvissuti all'orrore di quel terribile giorno:

Cari fratelli e sorelle ovunque,

Vogliamo cominciare questa lettera ringraziandovi tutti per tutti i messaggi di comunione e di solidarietà che abbiamo ricevuto. Ci sono molte catastrofi naturali in questo momento nel mondo che fanno molte più vittime che da noi, ma la causa non è l’odio, e questo fa tutta la differenza. La nostra chiesa è abituata ai colpi duri, ma è la prima volta che ne riceve di così violenti e selvaggi e soprattutto è la prima volta che questo accade all’interno della chiesa, di norma fanno esplodere delle bombe nei cortili delle chiese. La chiesa di Nostra Signora dell Perpetuo Soccorso è una delle tre chiese siro-cattoliche di Baghdad; la maggior parte di quelli che la frequentano sono dei cristiani di rito siriaco originari di Mossul o di tre villaggi cristiano-siriaci vicini a Mossul: Qaragosh, di cui sono originari le nostre sorelle Virgin Hanan e Rajah Nour; Bartolla e Bashiqa di cui è originaria Mariam Farah. Grazie a Dio nessuna di loro ha avuto parenti prossimi uccisi o feriti gravemente.
La chiesa è stata presa d’assalto domenica 31 ottobre dopo mezzogiorno, proprio dopo l’omelia di padre Tha’er ch celebrava la messa. Padre Wasim, che è il figlio di una cugina di sorella Lamia, confessava al fondo della chiesa; padre Raphael era nel coro.
Gli attaccanti erano persone molto giovani (14-15 anni) non mascherati, armati di mitra e di granate e portavano una cintura esplosiva.
Hanno aperto subito il fuoco, uccidendo padre Wasim che cercava di chiudere la porta della chiesa, poi hanno sparato alla cieca, dopo aver ordinato alle persone di gettarsi a terra, di non muoversi e di non gridare. Qualcuno è riuscito a mandare messaggi con il cellulare, ma dopo gli attaccanti sparavano su chiunque vedevano usare il telefonino. Il padre Tha’er che continuava a celebrare è stato ucciso all’altare nei suoi paramenti liturgici, suo fratello e sua madre sono stati uccisi anch’essi. Dopo è stato il massacro, non possiamo raccontare tutto ciò che le persone ci hanno detto, anche i bambini che piangevano sono stati uccisi. Alcune persone si erano rifugiate nella sacrestia e hanno barricato la porta, ma gli attaccanti sono saliti sulla terrazza della chiesa e hanno gettato delle bombe a mano attraverso le finestre della sacrestia che sono in alto.
Tutto ciò fa pensare che si trattasse di un attacco ben preparato, e che hanno avuto dell’aiuto dall’esterno; come hanno potuto forzare lo sbarramento della polizia (nella strada che va alla chiesa) e conoscere la via per arrivare alla terrazza, ecc.? Hanno mitragliato anche gli apparecchi dell’aria condizionate in modo che il gas, uscendo, asfissiasse quelli che erano vicini.
Hanno mitragliato la croce, ridendo e dicendo alle persone: “Ditegli di salvarvi”. Poi hanno lanciato l’appello alla preghiera: “Allau akbar, la ilah illa allahu…”, e alla fine, quando l’esercito era sul punto di entrare si sono fatti esplodere. L’esercito e gli aiuti ci hanno messo circa due ore ad arrivare, così come gli americani che sorvolavano in elicottero, ma l’esercito non è addestrato a gestire queste situazioni, e non sapevano bene che cosa fare. Perché ci hanno messo tanto tempo ad arrivare? Tutto è finito verso le 10h30 – 11h di sera, è durato molto e pensiamo che molte persone siano morte in seguito alla perdita di sangue e alle ferite. Dopo i feriti sono stati condotti nei diversi ospedali e i morti in obitorio.
Le persone hanno cominciato ad arrivare per sapere che cosa era successo e avere notizie dei parenti, ma l’accesso alla chiesa era proibito e le persone hanno cominciato a peregrinare di ospedale in ospedale alla ricerca dei loro cari. Abbiamo visto persone che hanno cercato qualcuno fino alle 4h del mattino per scoprirlo infine all’obitorio. All’indomani ci sono state le esequie nella chiesa caldea vicina, la chiesa era piena, era impressionante, c’erano quindici bare allineate nel coro, le altre vittime sono state sepolte nei loro villaggi o separatamente, secondo i casi. C’erano rappresentanti di tutte le comunità cristiane come del governo, il nostro patriarca ha parlato così come il portavoce del governo e un religioso, capo di un partito islamico, Moammar el Hakim.
La preghiera ha avuto luogo con grande dignità e senza manifestazioni rumorose.
Padre Saad, responsabile di questa chiesa ha aiutato le persone a pregare man mano che arrivavano, prima che cominciasse la cerimonia.
I due giovani sacerdoti sono stati sepolti nella loro chiesa devastata. C’è un cimitero sotto la chiesa, e prima di seppellirli hanno fatto passare le bare nella chiesa in modo che potessimo dire loro addio.
All’inizio non sapevamo niente delle vittime, non conoscevamo nessuno direttamente, salvo padre Raphael, un sacerdote molto anziano; siamo andate all’ospedale per visitarlo e visitare i feriti che erano là. Erano le famiglie che ci accompagnavano di stanza in stanza, così come la gente dell’ospedale ci indicava i feriti. Per caso erano tutte donne o ragazze, ferite da proiettili, non era come un’esplosione in cui può accadere di perdere un braccio o una gamba. Siamo rimaste al loro fianco senza parlare molto, erano loro che parlavano o le loro famiglie, ciascuno riviveva la sua storia e la raccontava. Dal momento che l’attacco ha avuto luogo di domenica alla messa, membri di una stessa famiglia sono stati feriti o uccisi, alcuni proteggendo i loro bambini.
Siamo stati colpiti dalla loro calma e dalla loro fede quando raccontavano, sentivamo che erano persone venute da un altro mondo e che in quel momento là nulla contava più se non l’incontro vicino con il Signore non pensavano più a nulla e pregavano solo, e questo è durato cinque ore.

Il venerdì dopo pranzo i giovani di molte parrocchie sono venuti ad aiutare a spazzare i detriti e a pulire un po’, e la domenica seguente, 7 novembre, tutti i preti siriaci e caldei di Baghdad che erano liberi hanno celebrato la messa nella chiesa vuota e devastata su un altare di fortuna; c’erano poche persone perché questa messa non era stata annunciata. Non ci siamo andate perché non l’abbiamo saputo. Era molto commovente. C’è stato un soprassalto di fede e di determinazione soprattutto nei preti che restano a Baghdad che dicono: vogliono cacciarci e sterminarci ma noi siamo qui e ci resteremo, dopo 14 secoli non potrete finirla con noi.
La storia dei cristiani d’Iraq è una lunga storia di persecuzione, di martiri, di cristiani cacciati e mandati via. Pensiamo alla frase del salmo 69: “Più numerosi dei capello della testa coloro che mi odiano senza causa” e noi pensiamo soprattutto a Gesù, odiato senza ragione, mentre passava e faceva del bene. Terminiamo questa lettera con il grido di un bambino di tre anni che ha visto uccidere suo padre e che gridava “basta, basta” prima di essere ucciso anche lui. Sì, veramente con il nostro popolo gridiamo anche noi: basta.
***
Le vostre piccole sorelle di Baghdad, Alice e Martina.
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giovedì 11 novembre 2010

Udienza Generale Papa Benedetto XVI - 10 Novembre 2010


BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 10 novembre 2010




Saluto ai pellegini nella Basilica Vaticana



Viaggio Apostolico a Santiago de Compostela e Barcellona

Cari fratelli e sorelle!

Oggi vorrei ricordare con voi il Viaggio Apostolico a Santiago di Compostela e Barcellona, che ho avuto la gioia di compiere sabato e domenica scorsi. Mi sono recato là per confermare nella fede i miei fratelli (cfr Lc 22,32); l’ho fatto come testimone di Cristo Risorto, come seminatore della speranza che non delude e non inganna, perché ha la sua origine nell’infinito amore di Dio per tutti gli uomini.

La prima tappa è stata Santiago. Fin dalla cerimonia di benvenuto, ho potuto sperimentare l’affetto che le genti di Spagna nutrono verso il Successore di Pietro. Sono stato accolto veramente con grande entusiasmo e calore. In quest’Anno Santo Compostelano, ho voluto farmi pellegrino insieme con quanti, numerosissimi, si sono recati a quel celebre Santuario. Ho potuto visitare la “Casa dell’Apostolo Giacomo il Maggiore”, il quale continua a ripetere, a chi vi giunge bisognoso di grazia, che, in Cristo, Dio è venuto nel mondo per riconciliarlo a sé, non imputando agli uomini le loro colpe.

Nell’imponente Cattedrale di Compostela, dando, con emozione, il tradizionale abbraccio al Santo, pensavo a come questo gesto di accoglienza e amicizia sia anche un modo di esprimere l’adesione alla sua parola e la partecipazione alla sua missione. Un segno forte della volontà di conformarsi al messaggio apostolico, il quale, da un lato, ci impegna ad essere fedeli custodi della Buona Novella che gli Apostoli hanno trasmesso, senza cedere alla tentazione di alterarla, sminuirla o piegarla ad altri interessi, e, dall’altro, trasforma ciascuno di noi in annunciatori instancabili della fede in Cristo, con la parola e la testimonianza della vita in tutti i campi della società.

Vedendo il numero di pellegrini presenti alla Santa Messa solenne che ho avuto la grande gioia di presiedere a Santiago, meditavo su che ciò che spinge tanta gente a lasciare le occupazioni quotidiane e intraprendere il cammino penitenziale verso Compostela, un cammino a volte lungo e faticoso: è il desiderio di giungere alla luce di Cristo, cui anelano nel profondo del loro cuore, anche se spesso non lo sanno esprimere bene a parole. Nei momenti di smarrimento, di ricerca, di difficoltà, come pure nell’aspirazione a rafforzare la fede e a vivere in modo più coerente, i pellegrini a Compostela intraprendono un profondo itinerario di conversione a Cristo, che ha assunto in sé la debolezza, il peccato dell’umanità, le miserie del mondo, portandole dove il male non ha più potere, dove la luce del bene illumina ogni cosa. Si tratta di un popolo di silenziosi camminatori, provenienti da ogni parte del mondo, che riscoprono l’antica tradizione medioevale e cristiana del pellegrinaggio, attraversando borghi e città permeate di cattolicesimo.

In quella solenne Eucaristia, vissuta dai tantissimi fedeli presenti con intensa partecipazione e devozione, ho chiesto con fervore che quanti si recano in pellegrinaggio a Santiago possano ricevere il dono di diventare veri testimoni di Cristo, che hanno riscoperto ai crocevia delle suggestive strade verso Compostela. Ho pregato anche perché i pellegrini, seguendo le orme di numerosi Santi che nel corso dei secoli hanno compiuto il “Cammino di Santiago”, continuino a mantenerne vivo il genuino significato religioso, spirituale e penitenziale, senza cedere alla banalità, alla distrazione, alle mode. Quel cammino, intreccio di vie che solcano vaste terre formando una rete attraverso la Penisola Iberica e l’Europa, è stato e continua ad essere luogo di incontro di uomini e donne delle più diverse provenienze, uniti dalla ricerca della fede e della verità su se stessi, e suscita esperienze profonde di condivisione, di fraternità e di solidarietà.

E’ proprio la fede in Cristo che dà senso a Compostela, un luogo spiritualmente straordinario, che continua ad essere punto di riferimento per l’Europa di oggi nelle sue nuove configurazioni e prospettive. Conservare e rafforzare l’apertura al trascendente, così come un dialogo fecondo tra fede e ragione, tra politica e religione, tra economia ed etica, permetterà di costruire un’Europa che, fedele alle sue imprescindibili radici cristiane, possa rispondere pienamente alla propria vocazione e missione nel mondo. Perciò, certo delle immense possibilità del Continente europeo e fiducioso in un suo futuro di speranza, ho invitato l’Europa ad aprirsi sempre più a Dio, favorendo così le prospettive di un autentico incontro, rispettoso e solidale, con le popolazioni e le civiltà degli altri Continenti.

Domenica, poi, ho avuto la gioia veramente grande di presiedere, a Barcellona, la Dedicazione della chiesa della Sacra Famiglia, che ho dichiarato Basilica Minore. Nel contemplare la grandiosità e la bellezza di quell’edificio, che invita ad elevare lo sguardo e l’animo verso l’Alto, verso Dio, ricordavo le grandi costruzioni religiose, come le cattedrali del Medioevo, che hanno segnato profondamente la storia e la fisionomia delle principali Città dell’Europa. Quella splendida opera - ricchissima di simbologia religiosa, preziosa nell’intreccio delle forme, affascinante nel gioco delle luci e dei colori - quasi un’immensa scultura in pietra, frutto della fede profonda, della sensibilità spirituale e del talento artistico di Antoni Gaudí, rinvia al vero santuario, il luogo del culto reale, il Cielo, dove Cristo è entrato per comparire al cospetto di Dio in nostro favore (cfr Eb 9,24). Il geniale architetto, in quel magnifico tempio, ha saputo rappresentare mirabilmente il mistero della Chiesa, alla quale i fedeli sono incorporati con il Battesimo come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale (cfr 1Pt 2,5).

La chiesa della Sacra Famiglia fu concepita e progettata da Gaudí come una grande catechesi su Gesù Cristo, come un cantico di lode al Creatore. In quell’edificio così imponente, egli ha posto la propria genialità al servizio del bello. Infatti, la straordinaria capacità espressiva e simbolica delle forme e dei motivi artistici, come pure le innovative tecniche architettoniche e scultoree, evocano la Fonte suprema di ogni bellezza. Il famoso architetto considerò questo lavoro come una missione nella quale era coinvolta tutta la sua persona. Dal momento in cui accettò l’incarico della costruzione di quella chiesa, la sua vita fu segnata da un cambiamento profondo. Intraprese così un’intensa pratica di preghiera, digiuno e povertà, avvertendo la necessità di prepararsi spiritualmente per riuscire ad esprimere nella realtà materiale il mistero insondabile di Dio. Si può dire che, mentre Gaudì lavorava alla costruzione del tempio, Dio costruiva in lui l’edificio spirituale (cfr Ef 2,22), rafforzandolo nella fede e avvicinandolo sempre più all’intimità di Cristo. Ispirandosi continuamente alla natura, opera del Creatore, e dedicandosi con passione a conoscere la Sacra Scrittura e la liturgia, egli seppe realizzare nel cuore della Città un edificio degno di Dio e, perciò stesso, degno dell’uomo.

A Barcellona, ho visitato anche l’Opera del “Nen Déu”, un’iniziativa ultracentenaria, molto legata a quella Arcidiocesi, dove vengono curati, con professionalità e amore, bambini e giovani diversamente abili. Le loro vite sono preziose agli occhi di Dio e ci invitano costantemente ad uscire dal nostro egoismo. In quella casa, sono stato partecipe della gioia e della carità profonda e incondizionata delle Suore Francescane dei Sacri Cuori, del generoso lavoro di medici, di educatori e di tanti altri professionisti e volontari, che operano con encomiabile dedizione in quell’Istituzione. Ho anche benedetto la prima pietra di una nuova Residenza che sarà parte di questa Opera, dove tutto parla di carità, di rispetto della persona e della sua dignità, di gioia profonda, perché l’essere umano vale per quello che è, e non solo per quello che fa.

Mentre ero a Barcellona, ho pregato intensamente per le famiglie, cellule vitali e speranza della società e della Chiesa. Ho ricordato anche coloro che soffrono, in particolare in questi momenti di serie difficoltà economiche. Ho tenuto presente, allo stesso tempo, i giovani - che mi hanno accompagnato in tutta la visita a Santiago e Barcellona con il loro entusiasmo e la loro gioia - perché scoprano la bellezza, il valore e l’impegno del Matrimonio, in cui un uomo e una donna formano una famiglia, che con generosità accoglie la vita e la accompagna dal suo concepimento fino al suo termine naturale. Tutto quello che si fa per sostenere il matrimonio e la famiglia, per aiutare le persone più bisognose, tutto ciò che accresce la grandezza dell’uomo e la sua inviolabile dignità, contribuisce al perfezionamento della società. Nessuno sforzo è vano in questo senso.

Cari amici, rendo grazie a Dio per le giornate intense che ho trascorso a Santiago di Compostela e a Barcellona. Rinnovo il mio ringraziamento al Re e alla Regina di Spagna, ai Principi delle Asturie e a tutte le Autorità. Rivolgo ancora una volta il mio pensiero riconoscente e affettuoso ai cari Fratelli Arcivescovi di quelle due Chiese particolari e ai loro collaboratori, come pure a quanti si sono generosamente prodigati affinché la mia visita in quelle due meravigliose Città fosse fruttuosa. Sono stati giorni indimenticabili, che rimarranno impressi nel mio cuore! In particolare, le due Celebrazioni eucaristiche, accuratamente preparate e intensamente vissute da tutti i fedeli, anche attraverso i canti, tratti sia dalla grande tradizione musicale della Chiesa, sia dalla genialità di autori moderni, sono stati momenti di vera gioia interiore. Dio ricompensi tutti, come solo Lui sa fare; la Santissima Madre di Dio e l’Apostolo san Giacomo continuino ad accompagnare con la loro protezione il loro cammino. L’anno prossimo, a Dio piacendo, mi recherò di nuovo in Spagna, a Madrid, per la Giornata Mondiale della Gioventù. Affido fin d’ora alla vostra preghiera questa provvida iniziativa, affinché sia occasione di crescita nella fede per tanti giovani.

[Saluti in varie lingue]

Saluto ai pellegrini nella Basilica Vaticana

Cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di accogliervi e di rivolgere a ciascuno di voi il mio cordiale benvenuto. In particolare, saluto voi, fedeli di Carpineto Romano, qui convenuti con il vostro Pastore Mons. Lorenzo Loppa, per ricambiare la visita, breve ma intensa, che ho avuto la gioia di compiere nella vostra terra, nello scorso mese di settembre, in occasione del bicentenario della nascita di Papa Leone XIII. Cari amici, desidero rinnovare a tutti il mio vivo ringraziamento per la calorosa accoglienza che mi avete riservato in quella circostanza. Penso alla disponibilità delle Autorità civili, segnatamente del Sindaco e del Consiglio comunale, come pure al solerte impegno del vostro Vescovo, del Parroco e dei loro collaboratori, specialmente nella preparazione della Celebrazione eucaristica, così ben curata e partecipata. Il ricordo di quell’evento, carico di significato ecclesiale e spirituale, ravvivi in ciascuno il desiderio di approfondire sempre di più la vita di fede, nel solco degli insegnamenti del vostro illustre concittadino Papa Leone XIII, la cui coraggiosa azione pastorale suscitò un provvido rinnovamento dell’impegno dei cattolici nella società.

Cari amici, non stancatevi di affidarvi a Cristo e di annunciarlo con la vostra vita, in famiglia e in ogni ambiente. È questo che gli uomini anche oggi attendono dalla Chiesa. Con tali sentimenti, di cuore imparto a tutti la mia Benedizione, che volentieri estendo alle vostre famiglie e a tutte le persone care.




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