martedì 20 settembre 2011

Cento anni dopo - Centesimus Annus - XX parte

Torna l'appuntamento con la Lettera Enciclica del Beato Giovanni Paolo II, intitolata "Centesimus Annus" e promulgata nel centenario della Rerum Novarum. Proseguiamo la lettura del capitolo incentrato sull'universale destinazione dei beni: anche oggi possiamo vedere le preoccupazioni del beato Wojtyla che vedeva come lo sviluppo dell'ingegno umano stesse sempre più portando alla soppressione delle fonti di vita, piuttosto che alla loro realizzazione. Un altro aspetto preoccupante era per lui il mercato, il sistema economico nel suo complesso: infatti, egli temeva come la società potesse giungere a sottomettere le persone alla logica del mercato e a far in modo che esse fossero in funzione del mercato e non viceversa. Questi timori hanno trovato fondamento e l'attuale crisi economica ci mostra come viviamo in un sistema dominato dalle Borse Valori che sono in grado di condizionare la vita di tutti i Paesi mondiali e le politiche di tutti i governi mondiali. C'è per questo bisogno di ricostruire un nuovo sistema capace di far in modo che l'economia sia in funzione degli uomini e non viceversa e per far questo c'è bisogno di portare una nuova etica ed una nuova cultura economia che non veda nel mercato l'unica fonte di vita e stabilità:

IV - La proprietà privata e l'universale destinazione dei beni 

39. La prima e fondamentale struttura a favore dell'«ecologia umana» è la famiglia, in seno alla quale l'uomo riceve le prime e determinanti nozioni intorno alla verità ed al bene, apprende che cosa vuol dire amare ed essere amati e, quindi, che cosa vuol dire in concreto essere una persona. Si intende qui la famiglia fondata sul matrimonio, in cui il dono reciproco di sé da parte dell'uomo e della donna crea un ambiente di vita nel quale il bambino può nascere e sviluppare le sue potenzialità, diventare consapevole della sua dignità e prepararsi ad affrontare il suo unico ed irripetibile destino. Spesso accade, invece, che l'uomo è scoraggiato dal realizzare le condizioni autentiche della riproduzione umana, ed è indotto a considerare se stesso e la propria vita come un insieme di sensazioni da sperimentare anziché come un'opera da compiere. Di qui nasce una mancanza di libertà che fa rinunciare all'impegno di legarsi stabilmente con un'altra persona e di generare dei figli, oppure induce a considerare costoro come una delle tante «cose» che è possibile avere o non avere, secondo i propri gusti, e che entrano in concorrenza con altre possibilità.

Occorre tornare a considerare la famiglia come il santuario della vita. Essa, infatti, è sacra: è il luogo in cui la vita, dono di Dio, può essere adeguatamente accolta e protetta contro i molteplici attacchi a cui è esposta, e può svilupparsi secondo le esigenze di un'autentica crescita umana. Contro la cosiddetta cultura della morte, la famiglia costituisce la sede della cultura della vita.

L'ingegno dell'uomo sembra orientarsi, in questo campo, più a limitare, sopprimere o annullare le fonti della vita ricorrendo perfino all'aborto, purtroppo così diffuso nel mondo, che a difendere e ad aprire le possibilità della vita stessa. Nell'Enciclica Sollicitudo rei socialis sono state denunciate le campagne sistematiche contro la natalità, che, in base ad una concezione distorta del problema demografico e in un clima di «assoluta mancanza di rispetto per la libertà di decisione delle persone interessate», le sottopongono non di rado «a intolleranti pressioni ... per piegarle a questa forma nuova di oppressione».78 Si tratta di politiche che con nuove tecniche estendono il loro raggio di azione fino ad arrivare, come in una «guerra chimica», ad avvelenare la vita di milioni di esseri umani indifesi.

Queste critiche sono rivolte non tanto contro un sistema economico, quanto contro un sistema etico-culturale. L'economia, infatti, è solo un aspetto ed una dimensione della complessa attività umana. Se essa è assolutizzata, se la produzione ed il consumo delle merci finiscono con l'occupare il centro della vita sociale e diventano l'unico valore della società, non subordinato ad alcun altro, la causa va ricercata non solo e non tanto nel sistema economico stesso, quanto nel fatto che l'intero sistema socio-culturale, ignorando la dimensione etica e religiosa, si è indebolito e ormai si limita solo alla produzione dei beni e dei servizi.79

Tutto ciò si può riassumere affermando ancora una volta che la libertà economica è soltanto un elemento della libertà umana. Quando quella si rende autonoma, quando cioè l'uomo è visto più come un produttore o un consumatore di beni che come un soggetto che produce e consuma per vivere, allora perde la sua necessaria relazione con la persona umana e finisce con l'alienarla ed opprimerla.80

40. È compito dello Stato provvedere alla difesa e alla tutela di quei beni collettivi, come l'ambiente naturale e l'ambiente umano, la cui salvaguardia non può essere assicurata dai semplici meccanismi di mercato. Come ai tempi del vecchio capitalismo lo Stato aveva il dovere di difendere i diritti fondamentali del lavoro, così ora col nuovo capitalismo esso e l'intera società hanno il dovere di difendere i beni collettivi che, tra l'altro, costituiscono la cornice al cui interno soltanto è possibile per ciascuno conseguire legittimamente i suoi fini individuali.

Si ritrova qui un nuovo limite del mercato: ci sono bisogni collettivi e qualitativi che non possono essere soddisfatti mediante i suoi meccanismi; ci sono esigenze umane importanti che sfuggono alla sua logica; ci sono dei beni che, in base alla loro natura, non si possono e non si debbono vendere e comprare. Certo, i meccanismi di mercato offrono sicuri vantaggi: aiutano, tra l'altro, ad utilizzare meglio le risorse; favoriscono lo scambio dei prodotti e, soprattutto, pongono al centro la volontà e le preferenze della persona che nel contratto si incontrano con quelle di un'altra persona. Tuttavia, essi comportano il rischio di un'«idolatria» del mercato, che ignora l'esistenza dei beni che, per loro natura, non sono né possono essere semplici merci.
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