Aiuto alla Chiesa che Soffre
Opera di diritto pontificio
«Se vivi a Bagdad non puoi pensare al futuro. Avere aspettative è impossibile». Padre Robert Jarjis è il parroco di “Santa Maria Assunta in Cielo”, nel quartiere di Mansur a Bagdad. Nel 2003 era in Iraq quando è scoppiata la guerra, poi nel 2004 si è trasferito a Roma per studiare. È tornato nella capitale irachena il primo aprile di quest’anno.
«Nel 2006 e nel 2007 qui c’è stato l’inferno e tutto si è fermato. Solo nel 2008 – racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre il sacerdote cattolico di rito siro-caldeo – alcune Chiese hanno potuto riprendere le attività pastorali». Ma dopo il 31 ottobre, con la strage nella Chiesa di Nostra Signora della Salvezza, tutto si è fermato di nuovo.
Nei suoi pochi mesi da parroco, don Jarjis è riuscito a ripristinare un ciclo d’incontri di fraternità per ultra quarantenni, attivo dal giugno scorso. L’intenzione è di poter riprendere il catechismo il prossimo ottobre, ma il sacerdote non nutre troppe speranze al riguardo. «La zona in cui ci troviamo è molto estesa – spiega – e non possiamo permetterci un pulmino. I ragazzi dovrebbero prendere i mezzi pubblici per raggiungere la nostra Chiesa, ma i genitori non glielo permettono perché è pericoloso». Prima della caduta del regime i quartieri a maggioranza sunnita come quello di Mansur - che quasi arriva ad Abu Ghraib – erano tra i più sicuri, mentre oggi sono spesso teatro di rappresaglie sciite. «La paura della gente ha fortemente rallentato le nostre attività. Spesso la domenica i fedeli preferiscono rimanere in casa, piuttosto che uscire per venire in Chiesa».
Padre Robert ha imparato a convivere con la paura. Nonostante in Italia gli avessero sconsigliato di tornare in Iraq. Nonostante il suo “vicino”, il parroco della Chiesa di San Giuseppe, abbia scelto di andar via dopo essere stato sequestrato per diversi giorni. Nonostante le numerosissime minacce ricevute. «In principio ero terrorizzato – racconta – qui non si può uscire, ma io non posso fare altrimenti». La canonica della sua parrocchia è stata distrutta da un bombardamento nel 2007 e da allora il sacerdote vive nella residenza vescovile. Ogni qualvolta deve dir messa o partecipare ad attività parrocchiali è costretto a spostarsi, facendo estrema attenzione «perché sei costantemente sotto osservazione e spesso c’è anche chi controlla chi entra ed esce dalla Chiesa». In un’occasione padre Jarjis è stato quasi raggiunto da alcuni colpi d’arma da fuoco. «Le minacce ci cambiano, ma in ogni caso dobbiamo andare avanti».
L’estrema incertezza ha spinto il sacerdote ha realizzare un programma annuale per la sua parrocchia. «Se dovesse succedermi qualcosa – spiega ad ACS – non voglio che i miei fedeli debbano ricominciare tutto da zero». Parlando delle condizioni di vita a Bagdad, il sacerdote sottolinea come «la presenza americana non abbia apportato sostanziali cambiamenti». La corrente è disponibile una o due ore al giorno e la mancanza di aria condizionata è particolarmente gravosa in una città in cui d’estate si sfiorano i 60°C.
Non è però il caldo a svuotare le strade della capitale irachena. «I miei fedeli hanno paura ad uscire e temono che ogni nostra iniziativa possa attirare l’attenzione. Come ad esempio il piccolo falò che la nostra Chiesa accende il 14 settembre, in occasione della celebrazione dell’Esaltazione della Croce», afferma don Jarijs. Eppure agli incontri organizzati da padre Robert partecipa un discreto numero di persone. Il 15 agosto per l’Assunzione di Maria il parroco ha invitato un gruppo di musicisti musulmani, diretti da un’insegnante cattolica, ad eseguire alcune litanie mariane. Il sacerdote parla ad ACS delle sue amicizie tra gli iracheni di fede islamica, ma si tratta di conoscenze di vecchia data. «Istaurare rapporti con i musulmani è più difficile ora. I musicisti hanno accettato volentieri di cantare per Maria, perché anche la loro fede riconosce l’importanza della sua figura. Ma se gli avessimo chiesto di cantare per Gesù la reazione sarebbe stata molto diversa».
Il massiccio esodo di cristiani non ha ovviamente risparmiato la parrocchia di Santa Maria Assunta in Cielo che fino a sette anni fa comprendeva circa 1600 famiglie. Oggi si contano solo 132 famiglie di fedeli, a cui se ne aggiungono 24 della vicina San Giuseppe. «A Bagdad è rimasto solo chi non ha i mezzi per andarsene. Sono le persone sono più povere, quelle che soffrono di più, ma anche le più forti nella fede».
La fede «ad Est dell’Eufrate» è stata fortificata da duemila anni di pressoché continue persecuzioni. «Perché lì dove la Chiesa perde sangue, nutre una fede più forte». La storia della Chiesa Orientale deve servire da monito per evitare di compiere gli stessi errori e per commemorare l’esempio dei martiri. Per questo nel primo numero della rivista della parrocchia, don Jarjis ha voluto inserire la biografia e gli scritti dell’arcivescovo caldeo di Mosul, mons. Faraj Rahho, rapito e ucciso nel 2008. La pubblicazione, dal titolo «Regina della Pace» è nata dall’impegno di un gruppo di giovani parrocchiani e si propone come strumento di carattere formativo. «Sono in molti che per paura non partecipano alle funzioni o alle attività – spiega il sacerdote – mentre la nostra rivista entra nelle case dei fedeli come un piccolo catechismo che contiene informazioni storiche sulla grande eredità cristiana di queste zone, ma anche poesie, preghiere e riflessioni sulle Sacre Scritture». Importante la presenza di una rubrica redatta da esponenti della comunità musulmana, dal titolo «I figli del Tigri e dell’Eufrate», e di pagine in cui dare spazio a rappresentanti di altri riti o confessioni. «Qui siamo rimasti in pochi e dobbiamo essere uniti. Per questo invito spesso alle nostre attività i fedeli ortodossi, protestanti o di altre chiese orientali».
Il primo numero di «Regina della Pace» è uscito il 15 agosto. Il prossimo non sarà pronto prima di novembre, perché la parrocchia non può permettersi di affrontare la spesa di circa 1100 euro necessari a stampare 650 copie. «Abbiamo bisogno di aiuti, non solo per la rivista, ma anche per andare avanti. Per noi il sostegno fornitoci da realtà come ACS è fondamentale».
Quello economico non è però l’unico supporto che padre Robert desidera. «Chiedo ai fedeli di tutto il mondo di pregare per noi e per tutta la Chiesa perseguitata. Anche un Gloria al Padre è sufficiente affinché la nostra Chiesa possa risorgere».
Aiuto alla Chiesa che Soffre è grande sostenitrice della Chiesa irachena. Nel 2010 il contributo dell’Opera è stato di quasi 600 mila euro, di cui 15mila destinati alle famiglie cristiane delle vittime dell'attentato nella Chiesa di Nostra Signora della Salvezza. Da segnalare inoltre le donazioni alla diocesi di Mosul, per la riparazione e il mantenimento della Chiesa di St. Paul e dell'annesso centro catechistico (25mila euro), ed alla diocesi di Zakho, per la distribuzione di pacchi alimentari di emergenza alle famiglie povere della zona per opera delle suore Caldee Figlie di Maria Immacolata (25mila euro).
“Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS), Opera di diritto pontificio fondata nel 1947 da padre Werenfried van Straaten, si contraddistingue come l’unica organizzazione che realizza progetti per sostenere la pastorale della Chiesa laddove essa è perseguitata o priva di mezzi per adempiere la sua missione. Nel 2010 ha raccolto oltre 65 milioni di dollari nei 17 Paesi dove è presente con Sedi Nazionali e ha realizzato oltre 5.500 progetti in 153 nazioni.
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