mercoledì 7 settembre 2011

Il caso Kate Omoregbe verso una giusta risoluzione

Nei giorni scorsi vi avevamo parlato del caso di Kate Omoregbe, una giovane nigeriana che rischia la lapidazione in caso di rimpatrio: lapidazione dovuta al fatto che Kate si è convertita al cristianesimo, rifiutandosi anche di sposare un uomo mussulmano molto più anziano di lei. 
Ad ascoltare le parole del Ministro degli Esteri Franco Frattini, sembra che la situazione si stia evolvendo per il meglio: infatti, Kate dovrebbe riuscire ad ottenere asilo politico. Queste situazioni, comunque, ci mostrano come la società mondiale non sia ancora riuscita a trovare un punto fondamentale e cioè il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, universalmente riconosciuti in numerose Dichiarazioni e documenti internazionali. Non è tollerabile, nel Terzo Millennio, dover combattere per salvare una persona dalla lapidazione, cioè dalla morte, solo per scelte legate alla libertà di religione. Per questo, esattamente come la Chiesa Cattolica, auspichiamo che la comunità internazionale possa trovare il modo di rendere vincolanti per tutti il rispetto delle Dichiarazioni contenenti l'elenco di tutti i diritti e di tutte le libertà fondamentali che non possono e non devono essere calpestati da nessuno. 
Tornando al caso Kate Omoregbe, possiamo sperare che possa presto ottenere asilo politico per sottrarsi così ad una condanna disumana e arcaica. Osserviamo la situazione attraverso il servizio di Radio Vaticana:

Dovrebbe ottenere l’asilo politico e restare in Italia la giovane nigeriana Kate Omoregbe, che rischia nel suo Paese la lapidazione per essersi convertita al cristianesimo e non aver voluto sposare un ricco musulmano, molto più anziano di lei. Ad affermarlo è il ministro italiano degli Esteri, Franco Frattini. La donna è uscita ieri dal carcere di Castrovillari, in Calabria, dove era stata rinchiusa per spaccio di droga. Commentando la notizia della liberazione della donna, l’arcivescovo di Cosenza - Bisignano, mons. Salvatore Nunnari, si è associato agli appelli per “la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato” in modo da “evitare alla donna la condanna a morte nel Paese di provenienza”. Il presule ha anche ricordato “l’inviolabilità della vita umana, il dovere dell’accoglienza e della difesa dei profughi, provenienti da Paesi dove la dignità dell’uomo non è sempre rispettata e compresa come valore primario umano e divino”. A seguire da vicino la vicenda è anche la Comunità di Sant’Egidio. Federico Piana ha intervistato il portavoce, Mario Marazziti:

R. – Nessuno deve tornare al proprio Paese se c’è la pena di morte e lei rischia la pena di morte. Questa è una donna, una cristiana, abbastanza povera, la cui famiglia nel suo Paese decide di far sposare ad un parente abbastanza ricco, musulmano. Questo parente abbastanza ricco se la prende per circa un anno e la vessa nei modi in cui può fare. La donna fugge e diventa uno dei tanti profughi rifugiati. Le sue amiche stanno in altri giri e ad un certo punto lei, coinvolta, viene arrestata e viene condannata a quattro anni. Siccome in carcere è una persona speciale, le viene ridotta la pena. E che succede? Succede che lei, avendo commesso un reato, deve essere espulsa e rimandata al proprio Paese. Quindi l’Italia, che lottava e lotta contro le discriminazioni, per la liberazione delle schiave e degli schiavi, contro lo sfruttamento delle donne, per liberare le donne dalla prostituzione, per abolire la pena di morte nel mondo, automaticamente per la legge sull’emigrazione, si rende e si rendeva responsabile di mandare una donna a morire.

D. – In che modo si potrebbe evitare questa espulsione? Come trattenerla in Italia?

R. – Ci sono almeno due o tre vie. La prima è che lei da tempo ha fatto domanda di asilo e questa domanda va presa in esame. E va semplicemente accolta, perché ci sono tutti gli estremi. Nel frattempo, però, va sospesa l’esecuzione del decreto di espulsione, che sarebbe automatico a causa della condanna. Poi, può essere immediatamente concesso un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Quindi, non solo la sospensione della pena, ma già il primo permesso di soggiorno per motivi umanitari che regolarizzi la situazione.

D. – C’è il rischio che tutto questo poi non venga fatto e che qualcosa si blocchi?

R. – Io direi che qualcosa si può bloccare. Quindi, credo che oggi sia il giorno in cui chiedere alle autorità italiane di fare un primo passo pubblico per dire: questa storia si è fermata e avrà un lieto fine. Per cui credo ci sia una pressione intelligente da continuare ad esercitare fino al primo atto burocratico.(ap)
Digg Google Bookmarks reddit Mixx StumbleUpon Technorati Yahoo! Buzz DesignFloat Delicious BlinkList Furl

0 commenti: on "Il caso Kate Omoregbe verso una giusta risoluzione"

Posta un commento