venerdì 16 settembre 2011

Pacem in Terris - XII

Continuiamo la lettura dell'ultima Enciclica pubblicata da papa Giovanni XXIII "Pacem in terris": continuiamo a vedere come dovrebbero essere regolati i rapporti fra le comunità politiche; in particolare vengono oggi analizzate alcune situazioni particolari come la diversità della distribuzione dei fattori produttivi tra i Paesi, il problema dei profughi politici (che postulano l'esistenza di regimi che ancora non riconoscono i diritti fondamentali universalmente riconosciuti) e della corsa agli armamenti (situazione tipica del contesto storico di emanazione dell'opera di Giovanni XXIII caratterizzata dalla Guerra Fredda che produsse una vera e propria rincorsa a chi aveva più armi):

III

RAPPORTI FRA LE
 COMUNITÀ POLITICHE
 

Equilibrio tra popolazione, terra e capitali

56. Come è noto, vi sono sulla terra paesi che abbondano di terreni coltivabili e scarseggiano di uomini; in altri paesi invece non vi è proporzione tra le ricchezze naturali e i capitali a disposizione. Ciò pure domanda che i popoli instaurino rapporti di mutua collaborazione, facilitando tra essi la circolazione di capitali, di beni, di uomini [47].

Qui crediamo opportuno di osservare che, ogniqualvolta è possibile, pare che debba essere il capitale a cercare il lavoro e non viceversa.

In tal modo si offrono a molte persone possibilità concrete di crearsi un avvenire migliore senza essere costrette a trapiantarsi dal proprio ambiente in un altro; il che è quasi impossibile che si verifichi senza schianti dolorosi, e senza difficili periodi di riassestamento umano o di integrazione sociale.

Il problema dei profughi politici

57. Il sentimento di universale paternità che il Signore ha acceso nel nostro animo, ci fa sentire profonda amarezza nel considerare il fenomeno dei profughi politici: fenomeno che ha assunto proporzioni ampie e che nasconde sempre innumerevoli e acutissime sofferenze.

Esso sta purtroppo a indicare come vi sono regimi politici che non assicurano alle singole persone una sufficiente sfera di libertà, entro cui al loro spirito sia consentito respirare con ritmo umano; anzi in quei regimi è messa in discussione o addirittura misconosciuta la legittimità della stessa esistenza di quella sfera. Ciò, non v’è dubbio, rappresenta una radicale inversione nell’ordine della convivenza, giacché la ragione di essere dei poteri pubblici è quella di attuare il bene comune, di cui elemento fondamentale è riconoscere quella sfera di libertà e assicurarne l’immunità.

Non è superfluo ricordare che i profughi politici sono persone; e che a loro vanno riconosciuti tutti i diritti inerenti alla persona: diritti che non vengono meno quando essi siano stati privati della cittadinanza nelle comunità politiche di cui erano membri.

Fra i diritti inerenti alla persona vi è pure quello di inserirsi nella comunità politica in cui si ritiene di potersi creare un avvenire per sé e per la propria famiglia; di conseguenza quella comunità politica, nei limiti consentiti dal bene comune rettamente inteso, ha il dovere di permettere quell’inserimento, come pure di favorire l’integrazione in se stessa delle nuove membra.

58. Siamo lieti di cogliere l’occasione per esprimere il nostro sincero apprezzamento per tutte le iniziative suscitate e promosse dalla solidarietà umana e dall’amore cristiano allo scopo di rendere meno doloroso il trapianto di persone da un corpo sociale ad un altro.

E ci sia pure consentito di segnalare all’attenzione e alla gratitudine di ogni animo retto la multiforme opera che in un campo tanto delicato svolgono istituzioni internazionali specializzate.

Disarmo

59. Ci è pure doloroso costatare come nelle comunità politiche economicamente più sviluppate si siano creati e si continuano a creare armamenti giganteschi; come a tale scopo venga assorbita una percentuale altissima di energie spirituali e di risorse economiche; gli stessi cittadini di quelle comunità politiche siano sottoposti a sacrifici non lievi; mentre altre comunità politiche vengono, di conseguenza, private di collaborazioni indispensabili al loro sviluppo economico e al loro progresso sociale.

Gli armamenti, come è noto, si sogliono giustificare adducendo il motivo che se una pace oggi è possibile, non può essere che la pace fondata sull’equilibrio delle forze. Quindi se una comunità politica si arma, le altre comunità politiche devono tenere il passo ed armarsi esse pure. E se una comunità politica produce armi atomiche, le altre devono pure produrre armi atomiche di potenza distruttiva pari.

60. In conseguenza gli esseri umani vivono sotto l’incubo di un uragano che potrebbe scatenarsi ad ogni istante con una travolgenza inimmaginabile. Giacché le armi ci sono; e se è difficile persuadersi che vi siano persone capaci di assumersi la responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe, non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico. Inoltre va pure tenuto presente che se anche una guerra a fondo, grazie all’efficacia deterrente delle stesse armi, non avrà luogo, è giustificato il timore che il fatto della sola continuazione degli esperimenti nucleari a scopi bellici possa avere conseguenze fatali per la vita sulla terra.

Per cui giustizia, saggezza ed umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti, si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti; si mettano al bando le armi nucleari; e si pervenga finalmente al disarmo integrato da controlli efficaci. "Non si deve permettere — proclama Pio XII — che la sciagura di una guerra mondiale con le sue rovine economiche e sociali e le sue aberrazioni e perturbamenti morali si rovesci per la terza volta sull’umanità" [48].

61. Occorre però riconoscere che l’arresto agli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva riduzione, e, a maggior ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello stesso tempo non si procedesse ad un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica: il che comporta, a sua volta, che al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un obiettivo che può essere conseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità.

62. È un obiettivo reclamato dalla ragione. È evidente, o almeno dovrebbe esserlo per tutti, che i rapporti fra le comunità politiche, come quelli fra i singoli esseri umani, vanno regolati non facendo ricorso alla forza delle armi, ma nella luce della ragione; e cioè nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante.

È un obiettivo desideratissimo. Ed invero chi è che non desidera ardentissimamente che il pericolo della guerra sia eliminato e la pace sia salvaguardata e consolidata?

È un obiettivo della più alta utilità. Dalla pace tutti traggono vantaggi: individui, famiglie, popoli, l’intera famiglia umana. Risuonano ancora oggi severamente ammonitrici le parole di Pio XII: "Nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perduto con la guerra" [49].

63. Perciò come vicario di Gesù Cristo, Salvatore del mondo e artefice della pace, e come interprete dell’anelito più profondo dell’intera famiglia umana, seguendo l’impulso del nostro animo, preso dall’ansia di bene per tutti, ci sentiamo in dovere di scongiurare gli uomini, soprattutto quelli che sono investiti di responsabilità pubbliche, a non risparmiare fatiche per imprimere alle cose un corso ragionevole ed umano.

Nelle assemblee più alte e qualificate considerino a fondo il problema della ricomposizione pacifica dei rapporti tra le comunità politiche su piano mondiale: ricomposizione fondata sulla mutua fiducia, sulla sincerità nelle trattative, sulla fedeltà agli impegni assunti. Scrutino il problema fino a individuare il punto donde è possibile iniziare l’avvio verso intese leali, durature, feconde.

Da parte nostra non cesseremo di implorare le benedizioni di Dio sulle loro fatiche, affinché apportino risultati positivi.


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