martedì 3 maggio 2011

Cento anni dopo - Centesimus Annus - V parte

Torna l'appuntamento con l'Enciclica del Venerabile Giovanni Paolo II, intitolata "Centesimus Annus" e promulgata nel centenario della Rerum Novarum. Entriamo nel cuore dell'Enciclica e leggiamo qualcosa che sta profondamente a cuore del Beato Giovanni Paolo II: l'errore antropologico del socialismo, incapace di risolvere i problemi degli operai. Anche qui egli richiama la Rerum Novarum e il grande spirito lungimirante di Leone XIII le cui previsioni sul socialismo, si sono verificate puntualmente nei Paesi sovietici. Giovanni Paolo II ha vissuto il socialismo reale e quindi ha visto con i suoi occhi come quell'ideologia era falsa, distorta e totalmente presa dalla paura di congiure e insurrezioni interne. Inoltre, la libertà tanto decantata dai movimenti socialisti, era solo fumo negli occhi, considerando le numerose privazioni e restrizioni che subirono i cittadini dei paesi socialisti. In particolare, ricordiamo la negazione della libertà di culto, con la costruzione di città prive di chiese o luoghi di culto. 
Giovanni Paolo II, come detto, ha vissuto e combattuto strenuamente questo sistema politico ed oggi ne scopriamo il fondamento logico accompagnato dal pensiero che l'ateismo è la prima causa donde nasca quell'errata concezione della natura della persona e della «soggettività» della società:
  
II - Verso le «cose nuove» di oggi
 
12. La commemorazione della Rerum novarum non sarebbe adeguata, se non guardasse pure alla situazione di oggi. Già nel suo contenuto il Documento si presta ad una tale considerazione, perché il quadro storico e le previsioni ivi delineate si rivelano, alla luce di quanto è accaduto in seguito, sorprendentemente esatte.

Ciò è confermato, in particolare, dagli avvenimenti degli ultimi mesi dell'anno 1989 e dei primi del 1990. Essi e le conseguenti trasformazioni radicali non si spiegano se non in base alle situazioni anteriori, le quali, in certa misura, avevano cristallizzato o istituzionalizzato le previsioni di Leone XIII ed i segnali, sempre più inquieti, avvertiti dai suoi successori. Papa Leone, infatti, previde le conseguenze negative sotto tutti gli aspetti, politico, sociale ed economico, di un ordinamento della società quale proponeva il «socialismo», che allora era allo stadio di filosofia sociale e di movimento più o meno strutturato. Qualcuno potrebbe meravigliarsi del fatto che il Papa cominciava dal «socialismo» la critica delle soluzioni che si davano della «questione operaia», quando esso non si presentava ancora — come poi accadde — sotto la forma di uno Stato forte e potente con tutte le risorse a disposizione. Tuttavia, egli valutò esattamente il pericolo che rappresentava per le masse l'attraente presentazione di una soluzione tanto semplice quanto radicale della questione operaia di allora. Ciò risulta tanto più vero, se vien considerato in relazione con la paurosa condizione di ingiustizia in cui giacevano le masse proletarie nelle Nazioni da poco industrializzate.

Occorre qui sottolineare due cose: da una parte, la grande lucidità nel percepire, in tutta la sua crudezza, la reale condizione dei proletari, uomini, donne e bambini; dall'altra, la non minore chiarezza con cui si intuisce il male di una soluzione che, sotto l'apparenza di un'inversione delle posizioni di poveri e ricchi, andava in realtà a detrimento di quegli stessi che si riprometteva di aiutare. Il rimedio si sarebbe così rivelato peggiore del male. Individuando la natura del socialismo del suo tempo nella soppressione della proprietà privata, Leone XIII arrivava al nodo della questione.

Le sue parole meritano di essere rilette con attenzione: «Per rimediare a questo male (l'ingiusta distribuzione delle ricchezze e la miseria dei proletari), i socialisti spingono i poveri all'odio contro i ricchi, e sostengono che la proprietà privata deve essere abolita ed i beni di ciascuno debbono essere comuni a tutti ...; ma questa teoria, oltre a non risolvere la questione, non fa che danneggiare gli stessi operai, ed è inoltre ingiusta per molti motivi, giacché contro i diritti dei legittimi proprietari snatura le funzioni dello Stato e scompagina tutto l'ordine sociale».39 Non si potrebbero indicar meglio i mali indotti dall'instaurazione di questo tipo di socialismo come sistema di Stato: quello che avrebbe preso il nome di «socialismo reale».

13. Approfondendo ora la riflessione e facendo anche riferimento a quanto è stato detto nelle Encicliche Laborem exercens e Sollicitudo rei socialis, bisogna aggiungere che l'errore fondamentale del socialismo è di carattere antropologico. Esso, infatti, considera il singolo uomo come un semplice elemento ed una molecola dell'organismo sociale, di modo che il bene dell'individuo viene del tutto subordinato al funzionamento del meccanismo economico-sociale, mentre ritiene, d'altro canto, che quel medesimo bene possa essere realizzato prescindendo dalla sua autonoma scelta, dalla sua unica ed esclusiva assunzione di responsabilità davanti al bene o al male. L'uomo così è ridotto ad una serie di relazioni sociali, e scompare il concetto di persona come soggetto autonomo di decisione morale, il quale costruisce mediante tale decisione l'ordine sociale. Da questa errata concezione della persona discendono la distorsione del diritto che definisce la sfera di esercizio della libertà, nonché l'opposizione alla proprietà privata. L'uomo, infatti, privo di qualcosa che possa «dir suo» e della possibilità di guadagnarsi da vivere con la sua iniziativa, viene a dipendere dalla macchina sociale e da coloro che la controllano: il che gli rende molto più difficile riconoscere la sua dignità di persona ed inceppa il cammino per la costituzione di un'autentica comunità umana.

Al contrario, dalla concezione cristiana della persona segue necessariamente una visione giusta della società. Secondo la Rerum novarum e tutta la dottrina sociale della Chiesa, la socialità dell'uomo non si esaurisce nello Stato, ma si realizza in diversi gruppi intermedi, cominciando dalla famiglia fino ai gruppi economici, sociali, politici e culturali che, provenienti dalla stessa natura umana, hanno — sempre dentro il bene comune — la loro propria autonomia. È quello che ho chiamato la «soggettività» della società che, insieme alla soggettività dell'individuo, è stata annullata dal «socialismo reale».40

Se ci si domanda poi donde nasca quell'errata concezione della natura della persona e della «soggettività» della società, bisogna rispondere che la prima causa è l'ateismo. È nella risposta all'appello di Dio, contenuto nell'essere delle cose, che l'uomo diventa consapevole della sua trascendente dignità. Ogni uomo deve dare questa risposta, nella quale consiste il culmine della sua umanità, e nessun meccanismo sociale o soggetto collettivo può sostituirlo. La negazione di Dio priva la persona del suo fondamento e, di conseguenza, induce a riorganizzare l'ordine sociale prescindendo dalla dignità e responsabilità della persona.

L'ateismo di cui si parla, del resto, è strettamente connesso col razionalismo illuministico, che concepisce la realtà umana e sociale in modo meccanicistico. Si negano in tal modo l'intuizione ultima circa la vera grandezza dell'uomo, la sua trascendenza rispetto al mondo delle cose, la contraddizione ch'egli avverte nel suo cuore tra il desiderio di una pienezza di bene e la propria inadeguatezza a conseguirlo e, soprattutto, il bisogno di salvezza che ne deriva.
 

 

Digg Google Bookmarks reddit Mixx StumbleUpon Technorati Yahoo! Buzz DesignFloat Delicious BlinkList Furl

0 commenti: on "Cento anni dopo - Centesimus Annus - V parte"

Posta un commento