giovedì 12 maggio 2011

Don Martino Michelone: un "Giusto fra le Nazioni"

Dopo la Seconda guerra mondiale, il termine Giusti tra le nazioni (in ebraico: חסידי אומות העולם, traslitterato Chasidei Umot HaOlam) è stato utilizzato per indicare i non-ebrei che hanno agito in modo eroico a rischio della propria vita per salvare la vita anche di un solo ebreo dal genocidio nazista conosciuto come Shoah.
Tra questi "Giusti" vi sono anche cinquecento italiani e tra questi, la scorsa Domenica, è entrata anche la figura di Martino Michelone: un sacerdote cattolico di Moransengo (Asti) che, nella sua canonica, nascose ai nazisti la famiglia di Riccardo Segre. Egli è ricordato per il suo profondo impegno contro le atrocità naziste e per questo il popolo ebraico lo vuole ringraziare attraverso questo riconoscimento alla memoria che gli è stato conferito, come suddetto, la scorsa Domenica. Il portale dall'ebraismo italiano ricorda quest'evento e soprattutto ci mostra la figura di questo coraggioso membro dell'ordine sacerdotale della Chiesa Cattolica:

L’ambasciatore d’Israele Ghideon Meir, Luciano Segre, Gad Lerner, don Ciotti: tutti assieme a Moransengo (Asti) per ricordare un coraggioso sacerdote che salvò la vita a una famiglia ebraica. Martino Michelone, parroco di Moransengo, è stato dichiarato “Giusto tra le Nazioni” dallo Yad Vashem, istituzione che onora la memoria delle vittime della Shoah.
La cerimonia ufficiale si è svolta in piazza Ferrero a Moransengo, dove è stata posta una lapide che ricorda il sacerdote vissuto a lungo nel paese monferrino. Un momento di festa che, per il contesto in cui è nato è si svolge, risulta anche legato al prossimo Festival di Cultura Ebraica OyOyOy!
Per l’occasione presenti molti illustri ospiti illustri: l’ambasciatore di Israele Ghideon Meir, i rappresentanti della Regione e della Provincia, Don Luigi Ciotti, la vicepresidente Ucei Claudia De Benedetti e i sindaci di molti comuni monferrini tra cui Morano, città natale di Don Michelone. C’erano naturalmente anche Luciano Segre e Gad Lerner. Proprio Segre e Lerner sono stati infatti i più assidui promotori del riconoscimento al sacerdote che durante la seconda guerra mondiale salvò la vita a Segre e alla sua famiglia nascondendola in canonica. La vicenda è stata portata alla luce in occasione di un incontro pubblico avvenuto nel 2008 in sinagoga durante il festival OyOyOy!
Con l’aiuto di Lerner Segre aveva rievocato quei giorni di settant’anni fa: dopo l’8 settembre la fuga della famiglia prima a Cogne, il provvidenziale ritardo all’appuntamento per la fuga in Svizzera che li fece scampare all’eccidio dell’Hotel Meina, poi ancora la fuga a Castino, zona partigiana dove papà Riccardo subì una infezione ad un polmone ed infine la salvezza nella figura di un prete del Monferrato, cliente del negozio di tessuti di famiglia: don Martino Michelone, parroco di Moransengo. È lui che alla fine del 1943 dice a Riccardo Segre fuggiasco, povero e malato: “Prendi la tua famiglia e venite a nascondervi in canonica da me”. Sopra la chiesa vivevano rinchiusi Riccardo, sua moglie Angela, sua sorella Elvira e il piccolo Luciano. Che di don Michelone ricorda soprattutto le mani grosse come badili pronte agli scappellotti per piccole marachelle o negligenze scolastiche (grazie all’aiuto del parroco il piccolo Segre riusciva anche ad andare a scuola a Tenengo ) o quando fece partire un colpo dal fucile di un partigiano, col pericolo di attirare i nazisti.
Don Michelone rischiava di suo, ma era sostenuto dall’intero paese e la volta che i nazisti vennero a prenderlo rimase alla macchia per giorni con l’aiuto dei parrocchiani. Tra i medicinali paracadutati dagli inglesi recuperò perfino della penicillina con cui fu curato il polmone di suo padre. Del resto non era l’unico a sapere che la famiglia Segre non era una famiglia di semplici sfollati: probabilmente anche il vescovo di Casale condivideva il segreto.
Spiega Segre nel commentare l’annuncio dello Yad Vashem che tra le domande poste dall’istituto nei due anni dell’istruttoria quella più frequente era se Don Michelone avesse mai tentato di convertirlo, “Non fu mai così: non abbiamo mai parlato di religione neanche dopo la guerra. Certo, per non destare sospetti facevo il chierichetto e quando venne Monsignor Angrisani in visita pastorale fece anche a me il segno sulla fronte. Ma chiaramente doveva sapere anche lui chi ero”.
Don Michelone e Luciano Segre si videro per l’ultima volta in occasione della morte del padre di Luciano negli anni ‘60, Don Michelone invece se ne andò nel 1979. Qualche anno addietro prende avvio la pratica per ricordarlo tra i “Giusti” dello Yad Vashem. I requisiti necessari c’erano tutti: Don Michelone non aveva preteso denaro per l’aiuto fornito, aveva rischiato la propria vita per salvare gli ebrei in fuga e c’erano testimoni della verità dei fatti. Anzi ci sono ancora tanto che due coetanei di Luciano Segre erano presenti alla cerimonia a Moransengo.
Questa non è l’ultima iniziativa organizzata per ricordare il sacerdote. È infatti prevista a breve una commemorazione al mausoleo della Shoah sulle colline di Gerusalemme che si concluderà con la piantumazione di un albero. Anche il Comune di Morano collocherà una targa per ricordarlo dopo che a Don Michelone sono già stati dedicati i giardini pubblici di Morano e una piazza a Moransengo. Prologo alle celebrazioni un incontro svoltosi nei locali della Comunità ebraica di Casale Monferrato. L’ambasciatore d’Israele insieme a Gad Lerner, lo stesso Luciano Segre e Claudia De Benedetti si sono ritrovati nei locali di vicolo Salomone Olper per ricordare le tante vittime monferrine della Shoah.
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