martedì 31 maggio 2011

Cento anni dopo - Centesimus Annus - VII parte

Dopo una settimana di assenza, torna l'appuntamento con l'Enciclica del Beato Giovanni Paolo II, intitolata "Centesimus Annus" e promulgata nel centenario della Rerum Novarum. Prima di addentrarci nella pagina odierna, ci sentiamo di fare gli auguri ai nuovi governanti locali che sono stati eletti nella giornata di ieri: il vento sembra esser girato e l'Italia sembra esser concorde nel voler una nuova politica, non più basata sulle battute e sulle cadute di stile (e di morale), ma una politica del fare, del perseguimento dell'interesse collettivo. Ciò che auspichiamo è che i nuovo governanti siano capaci di rispondere a queste esigenze, lavorando con onestà e interesse esclusivo per il popolo dei cittadini.
Detto questo (ne parleremo approfonditamente nell'appuntamento di Domenica con il punto della settimana), torniamo a leggere il documento del Beato Giovanni Paolo II che si sofferma sulla situazione creatasi all'indomani del termine del secondo devastante conflitto mondiale: un conflitto che solo apparentemente sembrava aver riportato la pace, ma che ben presto si rivelerà esser stato solo un terribile spargimento di sangue. La guerra, ancora oggi, è in atto a causa dello spirito egoistico, prepotente e ispiratore di odio dell'uomo: fintantoché non si cercherà la via del dialogo e del compromesso, non si potrà mai fermare quella macchina odiosa che constringe centinaia di migliaia di persone (uomini, donne e bambini) ad una vita di terrore, di stenti, di morte e di dolore. Il mondo ha bisogno di pace, di solidarietà fraterna, di comunione e tutto questo si può costruire solo mettendo via le armi e cominciando ad intavolare un dialogo simile a quello che si instaura nelle più comuni famiglie. Leggiamo ora il pensiero della Centesimus Annus: 


18. Certo, dal 1945 le armi tacciono nel Continente europeo; tuttavia, la vera pace — si ricordi — non è mai il risultato della vittoria militare, ma implica il superamento delle cause della guerra e l'autentica riconciliazione tra i popoli. Per molti anni, invece, si è avuta in Europa e nel mondo una situazione di non-guerra più che di autentica pace. Metà del Continente è caduta sotto il dominio della dittatura comunista, mentre l'altra metà si organizzava per difendersi contro un tale pericolo. Molti popoli perdono il potere di disporre di se stessi, vengono chiusi nei confini soffocanti di un impero, mentre si cerca di distruggere la loro memoria storica e la secolare radice della loro cultura. Masse enormi di uomini, in conseguenza di questa divisione violenta, sono costrette ad abbandonare la loro terra e forzatamente deportate.

Una folle corsa agli armamenti assorbe le risorse necessarie per lo sviluppo delle economie interne e per l'aiuto alle Nazioni più sfavorite. Il progresso scientifico e tecnologico, che dovrebbe contribuire al benessere dell'uomo, viene trasformato in uno strumento di guerra: scienza e tecnica sono usate per produrre armi sempre più perfezionate e distruttive, mentre ad un'ideologia, che è perversione dell'autentica filosofia, si chiede di fornire giustificazioni dottrinali per la nuova guerra. E questa non è solo attesa e preparata, ma è anche combattuta con enorme spargimento di sangue in varie parti del mondo. La logica dei blocchi, o imperi, denunciata nei Documenti della Chiesa e di recente nell'Enciclica Sollicitudo rei socialis,50 fa sì che le controversie e discordie insorgenti nei Paesi del Terzo Mondo siano sistematicamente incrementate e sfruttate per creare difficoltà all'avversario.

I gruppi estremisti, che cercano di risolvere tali controversie con le armi, trovano facilmente appoggi politici e militari, sono armati ed addestrati alla guerra, mentre coloro che si sforzano di trovare soluzioni pacifiche ed umane, nel rispetto dei legittimi interessi di tutte le parti, rimangono isolati e spesso cadono vittima dei loro avversari. Anche la militarizzazione di tanti Paesi del Terzo Mondo e le lotte fratricide che li hanno travagliati, la diffusione del terrorismo e di mezzi sempre più barbari di lotta politico-militare trovano una delle loro principali cause nella precarietà della pace che è seguita alla seconda guerra mondiale. Su tutto il mondo, infine, grava la minaccia di una guerra atomica, capace di condurre all'estinzione dell'umanità. La scienza, usata a fini militari, pone a disposizione dell'odio, incrementato dalle ideologie, lo strumento decisivo. Ma la guerra può terminare senza vincitori né vinti in un suicidio dell'umanità, ed allora bisogna ripudiare la logica che conduce ad essa, l'idea che la lotta per la distruzione dell'avversario, la contraddizione e la guerra stessa siano fattori di progresso e di avanzamento della storia.51 Quando si comprende la necessità di questo ripudio, devono necessariamente entrare in crisi sia la logica della «guerra totale» sia quella della «lotta di classe».

19. Alla fine della seconda guerra mondiale, però, un tale sviluppo è ancora in formazione nelle coscienze, ed il dato che si impone all'attenzione è l'estensione del totalitarismo comunista su oltre metà dell'Europa e su parte del mondo. La guerra, che avrebbe dovuto restituire la libertà e restaurare il diritto delle genti, si conclude senza aver conseguito questi fini, anzi in un modo che per molti popoli, specialmente per quelli che più avevano sofferto, apertamente li contraddice. Si può dire che la situazione venutasi a creare ha dato luogo a diverse risposte.

In alcuni Paesi e sotto alcuni aspetti si assiste ad uno sforzo positivo per ricostruire, dopo le distruzioni della guerra, una società democratica e ispirata alla giustizia sociale, la quale priva il comunismo del potenziale rivoluzionario costituito da moltitudini sfruttate e oppresse. Tali tentativi in genere cercano di mantenere i meccanismi del libero mercato, assicurando mediante la stabilità della moneta e la sicurezza dei rapporti sociali le condizioni di una crescita economica stabile e sana, in cui gli uomini col loro lavoro possano costruire un futuro migliore per sé e per i propri figli. Al tempo stesso, essi cercano di evitare che i meccanismi di mercato siano l'unico termine di riferimento della vita associata e tendono ad assoggettarli ad un controllo pubblico, che faccia valere il principio della destinazione comune dei beni della terra. Una certa abbondanza delle offerte di lavoro, un solido sistema di sicurezza sociale e di avviamento professionale, la libertà di associazione e l'azione incisiva del sindacato, la previdenza in caso di disoccupazione, gli strumenti di partecipazione democratica alla vita sociale, in questo contesto dovrebbero sottrarre il lavoro alla condizione di «merce» e garantire la possibilità di svolgerlo dignitosamente.

Ci sono, poi, altre forze sociali e movimenti ideali che si oppongono al marxismo con la costruzione di sistemi di «sicurezza nazionale», miranti a controllare in modo capillare tutta la società per rendere impossibile l'infiltrazione marxista. Esaltando ed accrescendo la potenza dello Stato, essi intendono preservare i loro popoli dal comunismo; ma, ciò facendo, corrono il grave rischio di distruggere quella libertà e quei valori della persona, in nome dei quali bisogna opporsi ad esso.

Un'altra forma di risposta pratica, infine, è rappresentata dalla società del benessere, o società dei consumi. Essa tende a sconfiggere il marxismo sul terreno di un puro materialismo, mostrando come una società di libero mercato possa conseguire un soddisfacimento più pieno dei bisogni materiali umani di quello assicurato dal comunismo, ed escludendo egualmente i valori spirituali.

In realtà, se da una parte è vero che questo modello sociale mostra il fallimento del marxismo di costruire una società nuova e migliore, dall'altra, negando autonoma esistenza e valore alla morale, al diritto, alla cultura e alla religione, converge con esso nel ridurre totalmente l'uomo alla sfera dell'economico e del soddisfacimento dei bisogni materiali.


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