Oggi il mondo celebra la giornata della libertà di stampa. Noi tutti la riteniamo una delle libertà fondamentali che non possono essere sottoposte a restrizioni perchè il mondo ha diritto di sapere quanto accade. Nel nostro Paese, c'è un chiaro problema: la politica non ama la libertà di stampa e tenta di porre numerosi ostacoli dinanzi a quei giornalisti scomodi che dicono cose che, secondo loro, non dovrebbero dire. Noi riteniamo che non interessa se il giornalista è di destra, di sinistra, di centro o di qualsiasi parte: tutti devono avere la possibilità di esporre i fatti, nel limite della diffamazione: per questo, ci sono gli strumenti atti a reprimere tali violazioni. L'essenza della democrazia si basa proprio su tale libertà consacrata anche dall'articolo 21 della Costituzione nostrana.
Parliamo di questo anche perchè Papa Benedetto XVI, nell'intenzione di preghiera per il mese di maggio, ha posto al centro il tema dei media e l'etica. E' un intenzione molto attuale che vuole far riflettere sul ruolo dei mass media e sul fatto che prima della notizia, vi deve essere sempre il rispetto della verità e della dignità della persona. Radio Vaticana, in concomitanza con la ricorrenza laica di questa giornata, ha intervistato Roberto Natale, presidente della Federazione nazionale della Stampa italiana:
D. - Il Papa invita a “pregare per gli operatori dei media perché rispettino sempre la verità, la solidarietà e la dignità della persona”. Verità e rispetto della persona, sono certo valori universali, che travalicano il mondo cattolico e interpellano la deontologia professionale degli operatori dei media. Roberto Natale come si calano questi valori nel vissuto del nostro mestiere?
R. – Verità e responsabilità sono – o dovrebbero essere – le pietre angolari della nostra professione. Certo, indipendentemente dal fatto che si creda o meno, il rispetto della verità sostanziale dei fatti sta scritto – per parlare di noi giornalisti italiani – nella legge costitutiva del nostro Ordine professionale. Oggi, "verità e responsabilità" significa che dobbiamo ricordarci di raccontare la realtà e non le costruzioni che sulla realtà si fanno per distrarre, per farci sentire spettatori-bambini, oppure per considerarci elettori da ammansire e da guidare verso obiettivi di questa o quella parte. "Verità e responsabilità" significa oggi tenere in considerazione l’impatto sempre maggiore che hanno l’informazione e la comunicazione nella vita delle persone. Nei giorni scorsi, abbiamo riletto insieme i messaggi che Giovanni Paolo II aveva scritto per le 26 Giornate mondiali delle comunicazioni sociali. In uno dei primissimi messaggi, Papa Wojtyla scriveva: “Ricordatevi che gli spettatori – parlava dei bambini, ma non solo – sono molle cera”. Ecco, di questa responsabilità dobbiamo ricordarci. E penso al messaggio di Giovanni Paolo II del 1979, più di 30 anni fa, quando ancora nessuno sapeva cosa fosse lo share: Giovanni Paolo II scriveva: “State attenti a non orientare il vostro lavoro alla massima ricerca dell’ascolto”.
D. – Il Papa chiede anche solidarietà. Proprio oggi la Federazione nazionale della stampa italiana ha organizzato un incontro pubblico sul tema “Giornalismo all’ombra del terrore”, in cui si parla del ruolo dei media nelle rivolte arabe. Il sottotitolo recita: “Nord Africa: l’informazione più forte dei regimi. Persone, lavoro, democrazia, diritti”. Ecco, che cosa si vuole comprendere in questo titolo?
R. – Si vuol comprendere l’importanza grandiosa, direi esaltante, che l’informazione attraverso i mezzi classici e ancor più attraverso i mezzi nuovi o nuovissimi, come i social network, ha avuto e sta avendo nella lotta per la libertà di popoli interi: quelli del Nord Africa e del Medio Oriente. Dunque, le settimane che stiamo vivendo sono anche motivo di grande ottimismo sul ruolo dell’informazione, perché vediamo quanto il lavoro di giornalisti e giornaliste in quelle società in condizioni di estrema difficoltà, sia servito a far crescere un terreno di speranza, di libertà, un terreno di richiesta di diritti. Certo, ragionare su quelle esperienze esaltanti dell’informazione significa anche – ed è più imbarazzante per noi – riflettere sul tradizionale nostro disinteresse per ciò che avviene anche a poche decine di miglia da noi. In altri termini: siamo rimasti sorpresi – non solo gli analisti politici, ma anche noi giornalisti – dal fatto che ci sia stata una tale esplosione di voglia di libertà nei Paesi del Nord Africa. Dove eravamo, noi? Perché ci occupiamo così poco di capire prima? Perché siamo così presi dalle vicende di casa nostra, da riuscire con grande difficoltà ad alzare lo sguardo, e magari lo facciamo soltanto quando le cose hanno raggiunto dimensioni così esplosive che non è possibile ignorarle? E magari, anche dopo che le rivolte, le ribellioni, sono esplose ce ne occupiamo soprattutto, un po’ egoisticamente, per le conseguenze che ne possono derivare per noi - per l’arrivo di troppi profughi, di troppi immigrati - anziché guardare alla voglia di libertà, alla grande speranza umana che in quelle lotte si esprime. (gf)
Da sottolineare che “i giornalisti sono sempre meno percepiti come osservatori esterni e il loro lavoro è sempre meno rispettato”, denuncia Jean-Francois Julliard, segretario generale di Reporter senza frontiere, commentando il rapporto 2011 “Predatori della libertà di stampa”, presentato oggi nel mondo. Ancora lunga la lista dei giornalisti uccisi nel 2010, ben 57, seppure in calo rispetto ai 76 del 2009. Per contro aumentano i rapimenti, 51 lo scorso anno rispetto ai 33 del precedente. “Per la prima volta – ha osservato Julliard – nessun continente è sfuggito a questo male. I giornalisti – ha ammonito – si stanno trasformando in merce di scambio. I rapitori li prendono in ostaggio per finanziare le loro attività criminali, fare accettare le loro richieste ai governi e inviare messaggi alla pubblica opinione: i rapimenti forniscono loro pubblicità”.
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