giovedì 17 marzo 2011

Omelia del Cardinal Bagnasco per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia

Oggi deroghiamo alla nostra consueta programmazione perchè vogliamo celebrare degnamente il centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia. Uno degli elementi base della nostra politica, il più importante, il più intangibile e sicuramente l'elemento dell'unità perchè è l'unità che ci rende un popolo vero, un popolo unico e un popolo forte e capace di aiutarsi nei momenti difficili come quelli attuali. Per chiunque si trovasse ad entrare in politica, ci sarebbe sempre un limite invalicabile consistente nell'unità della Repubblica Italiana: ecco perchè pensiamo che politici che disprezzano questo valore non dovrebbero nemmeno sedere nei seggi del Parlamento e né tantomeno dovrebbero ricoprire cariche di governo considerando che non si riconoscono nella Nazione. Il riferimento è esplicito e sono certo che tutti avrete capito di chi stiamo parlando. 
Detto questo, vogliamo abbandonare ogni spirito polemico in questo giorno così bello e lo vogliamo far riportando il discorso integrale del Cardinal Bagnasco, pronunciato durante l'odierna omelia, in occasione per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia celebrato a Roma, nella Basilica di S. Maria degli Angeli:



Omelia del Card. Angelo Bagnasco

Presidente della Conferenza Episcopale Italiana

per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia



Roma, 17 marzo 2011, Basilica di S. Maria degli Angeli 


Signor Presidente della Repubblica,
Signori Presidenti del Senato e della Camera,
Signor Presidente del Consiglio,
Confratelli nell’Episcopato,
      Fratelli e Sorelle nel Signore,

      siamo qui oggi – insieme ai Presidenti delle conferenze episcopali regionali  -  per elevare a Dio l’inno di ringraziamento per l’Italia. Non è retorica, né tantomeno nostalgia quella che ci muove, ma la consapevolezza che la Patria che ci ha generato è una preziosa eredità e insieme una esigente responsabilità. L’Eucaristia che stiamo celebrando in questa Basilica di S. Maria degli Angeli - uno degli innumerevoli scrigni di bellezza custoditi dal nostro Paese - ci invita ad oltrepassare le contingenze del momento presente e ad allargare lo sguardo a quella singolare ‘Provvidenza’ che ha condotto gli italiani a diventare sempre più consapevoli dell’Italia. Ben prima dell’Italia in senso stretto, infatti, è esistita una sotterranea tensione morale e spirituale in cui si sono forgiate la lingua e progressivamente la sensibilità e la cultura e che ha condotto, per vie non sempre rettilinee, a dar vita all’Italia. Di essa tutti ci sentiamo oggi orgogliosamente figli perché a lei tutti dobbiamo gran parte della nostra identità umana e religiosa.

“Signore, la tua bontà dura per sempre”

La Liturgia ci ha posto sulle labbra queste parole e ancor più nel nostro cuore: sentimento di lode e di gratitudine per i doni di Dio, e, tra questi, la grazia di appartenere ad un popolo, di avere una storia e un destino comune, di avere un volto: di non essere civilmente orfani. La Patria, nello stesso linguaggio comune, esprime una paternità, così come la Madrepatria esprime una maternità: il popolo che nasce da ideali alti e comuni, che vive secondo valori nobili di giustizia e solidarietà, che sviluppa uno stile di relazioni virtuose, respira un anima spirituale capace di toccare le menti e i cuori, è un popolo vivo, prende volto, assapora e si riconosce uno, diventa Nazione e Patria, offre sostanza allo Stato. L’unificazione, come ha scritto il santo Padre, Benedetto XVI, al Presidente della Repubblica, “è il naturale sbocco di una identità nazionale forte e radicata, sussistente da tempo”. E’ questa la vera forza della società e dello Stato, il tesoro più grande da custodire con amore e da trasmettere alle giovani generazioni. Si è parlato di volto: senza volto infatti non ci si incontra, non si riesce a conoscersi, a stimarsi, a correggersi, a camminare insieme, a lavorare per gli stessi obiettivi, ad essere “popolo”.
Tale volto rivela l’identità plurale e variegata della nostra Patria, in cui convivono peculiarità e tradizioni che si sviluppano in modo armonico e solidale, secondo quello che don Luigi Sturzo chiamava il “sano agonismo della libertà”. E potremmo aggiungere della operosità.
La religione, in genere, e in Italia, le comunità cristiane in particolare, sono state e sono lievito accanto alla gente: sono prossimità di condivisione e di speranza evangelica, sorgente generatrice del senso della vita, memoria permanente di valori morali. I 100.000 campanili della nostra Italia, ispirano un sentire comune diffuso che identifica senza escludere, che fa riconoscere, avvicina, sollecita il senso di cordiale appartenenza e di generosa partecipazione alla comunità cristiana, alla vita del borgo e del paese, delle città e delle regioni, dello Stato.
Come non esprimere, poi, affetto ed ammirazione per Roma, capitale d’Italia, memoria vivente della nostra storia plurimillenaria e provvidenziale sede del Successore di Pietro, centro della Cattolicità! Significative al riguardo le parole del card. Giovanni Battista Montini all’indomani del I centenario dell’Unità:”Il nome di Roma appare nelle intenzioni divine” (Campidoglio, 10 ottobre 1962). 

 “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro”

Il Vangelo di oggi evidenzia una delle grandi regole di ogni comunità, la legge della relazione. La nostra vera identità infatti sta nel legame. La beatitudine della vita si pesa nel dare e nel ricevere amore. A partire da dove?  A partire dalla regola evangelica che gli esegeti chiamano la regola d’oro: “Tutto quello che volete che gli uomini facciano a voi, questo anche voi fate a loro”. Prodigiosa semplificazione della legge etica. Tutta la legge la imparerò a partire da ciò che desidero per me: fate agli altri quello che desiderate per voi.
“Come agire allora? A partire da me, ma non per me” (Martin Buber, Il cammino dell’uomo). Nessuno è l’obiettivo di se stesso!
Solo uscendo dalla trappola mortale di un individualismo che ha mostrato chiaramente le sue falle e i suoi inganni, sarà possibile ritrovare un bene più ampio e a misura umana, che tutti desideriamo. L’uomo non è una monade gettata per caso nel caos, un caos  abitato da innumerevoli altre che vagano come scintille nella notte, ma è relazione, come Dio-Creatore è relazione di persone nell’ intimità del suo essere. Da questa origine deriva nell’uomo un indirizzo di marcia che, prima che essere un imperativo morale, è un’esigenza ontologica, scritta cioè nelle fibre del suo essere uomo. Seguire questa direzione profonda significa per la persona raggiungere se stessa, compiersi, creare una società ricca di relazioni positive. Viceversa,  allontanarsi vuol dire negarsi a se stessa, e perdersi in una libertà innamorata di sé: l’individuo è destinato a trovarsi solo con se stesso, e la società che ne consegue sarà tendenzialmente frammentata e insicura, diventerà progressivamente paurosa e aggressiva, ripiegata e autoreferenziale. Il prendersi in carico gli uni gli altri, nella quotidianità dei giorni e degli anni, sarà visto come un insopportabile attentato alla libertà individuale e alla felicità, o come un peso insostenibile per la collettività.

            Da questo altare, da dove eleviamo un’intesa preghiera per il nostro Pese, la Chiesa rinnova il suo amore per l’Italia e la gioia di servire il popolo italiano secondo il Vangelo. Come Pastori, al nostro Paese auguriamo di far proprie le parole del salmo: “Rendo grazie al tuo nome, Signore, per la tua fedeltà e la tua misericordia. Nel giorno in cui t’ho invocato, mi hai risposto, hai accresciuto in me la forza.
Amen.
  
                                                                                   Card. Angelo Bagnasco
                                                                                     Arcivescovo di Genova
    Presidente della CEI


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