sabato 19 marzo 2011

Quando la guerra diviene inevitabile...

Il nostro Osservatorio non può non puntare il suo sguardo su quanto sta accadendo in Libia in queste ore. Ormai la guerra è prossima e purtroppo non sappiamo cosa potrà accadere. L'unica cosa che possiamo dire è che a volte sembrano davvero non esistere alternative alla guerra: fu questo che portò il Venerabile Giovanni Paolo II a dire ""No alla guerra! La guerra non è sempre inevitabile. E' sempre una sconfitta per l'umanità"".
La guerra non è sempre inevitabile equivale a dire che ci sono delle volte in cui essa è appunto inevitabile e oggi sembra essere così perchè Gheddafi sta massacrando un popolo intero solo per poter mantenere il proprio trono. Leggiamo oggi alcune testimonianze provenienti dalla Libia e risalenti a pochi giorni fa:

La dichiarazione di mons. Martinelli all'Agenzia FIDES

“Siamo impegnati ad infondere coraggio ai fedeli rimasti, in gran parte africani e filippini” dice a Fides Mons. Martinelli
Tripoli (Agenzia Fides)- “Vediamo quale sarà oggi la fisionomia della nostra comunità che si riunirà per celebrare la Messa della prima domenica di Quaresima” dice all’Agenzia Fides Mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, Vicario Apostolico di Tripoli, in Libia, raggiunto poco tempo prima di celebrare la Messa domenicale che qui viene anticipata al venerdì. “C’è paura ad avventurarsi per le strade, poi ci sono persone che abitano lontano, e non è sempre facile raggiungere la chiesa. Ho però fiducia che la gente verrà, perché sta prendendo coraggio, perché il fatto di pregare insieme infonde forza” dice Mons. Martinelli.
Il Vicario Apostolico di Tripoli descrive così la comunità cattolica della capitale libica, ridottasi di numero dopo la partenza di diversi fedeli stranieri, soprattutto europei: “ormai i fedeli rimasti sono gli africani e i filippini, la maggior parte dei quali sono infermiere. A Tripoli vi sono circa 2mila infermiere filippine, in tutta la Libia saranno probabilmente circa 5mila. Vi sono poi i professori di inglese, alcuni sono rimpatriati, altri sono rimasti perché le scuole sono aperte, per lo meno in alcune zone di Tripoli. Cerchiamo di incoraggiarli a vivere questi momenti difficili alla luce della fede”.
Dopo la partenza per l’Italia di 53 rifugiati eritrei, vi sono ancora migliaia di africani che si trovano in condizioni precarie, perché non vi sono enti internazionali che offrono loro un documento per lasciare il Paese. “Non siamo l’UNHCR (Alto Commissariato ONU per i Rifugiati). Quello che possiamo fare per queste persone è registrarle per facilitare eventualmente il riconoscimento di queste situazioni. Stiamo finendo di registrare gli eritrei, ne abbiamo registrati finora 2.500. Vi sono anche altri gruppi, come gli etiopici ed altri, di persone che vivono nel bisogno. Cerchiamo di aiutare in primo luogo coloro che hanno le necessità più gravi ed urgenti, soprattutto le famiglie con bambini” dice Mons. Martinelli.
Per quanto concerne la situazione della città, Mons. Martinelli afferma: “A Tripoli si vive in un silenzio assoluto, direi quasi assurdo. La gente sta chiusa in casa. Oggi i negozi sono chiusi per rispetto del Venerdì di preghiera islamico. Ieri alcuni negozi avevano timidamente riaperto i battenti. Si vuole dare l’impressione di una vita normale, ma la situazione non è certo normale”. (L.M.) (Agenzia Fides 11/3/2011)

La testimonianza del vescovo di Bengasi a Misna

“C’è apprensione e paura; seguiamo le ultime notizie attraverso le televisioni straniere, noi stessi temiamo che la situazione possa degenerare”. E’ una voce pacata ma preoccupata quella di monsignor Silvestro Magro, vescovo di Bengasi, raggiunto telefonicamente dalla MISNA. “La vita sembra scorrere ancora normalmente – aggiunge – se normale, in questa situazione, significa fare incetta di scorte alimentari avere ancora a disposizione alcuni servizi fondamentali come l’erogazione di acqua e corrente elettrica, o vedere che le banche continuano a funzionare”.
Con le truppe rimaste fedeli al colonnello Muammar Gheddafi che hanno raggiunto Ajdabiya, a Bengasi si respira aria di tempesta. Se la strategia del regime pare quella di accerchiare la seconda città del paese (la presa di Ajdabiya consentirebbe infatti di aprire anche la strada per Tobruck, verso il confine egiziano, e di stringere così Bengasi in una morsa), non è chiaro quale sia il reale potenziale degli insorti né se ci sia la volontà di resistere a un esercito meglio addestrato ed equipaggiato. E poco importa, se la comunità internazionale deciderà di imporre il divieto di volo sui cieli libici (la cosiddetta ‘no fly zone’) perché ormai l’avanzata di Gheddafi è progredita abbastanza da poter fare a meno del supporto dell’aviazione.
Se a Bengasi ci si prepara al peggio, anche a Tripoli, seppur in maniera diversa, si respira aria di attesa. “Nel frattempo – dice alla MISNA padre Daniel Farrugia, vicario generale della diocesi – qui si fa incetta di scorte alimentari. Durante la mattinata e le prime ore del pomeriggio la vita sembra scorrere normalmente, ma chi può compra quanto è reperibile e si può permettere. Ormai gli scaffali non sono pieni, ma tutto ciò che viene messo in vendita va praticamente a ruba più che per necessità per precauzione”.
La situazione più precaria a Tripoli è quella dei migranti eritrei. “Un aereo militare italiano ne ha trasferiti ieri una settantina in Italia – dice padre Farrugia – una settimana fa una cinquantina aveva potuto usufruire della stessa via di fuga. Si tratta soprattutto di donne e bambini, gli altri – almeno 2000 a Tripoli – sono ancora qui, si arrangiano come possono e quando sentono di qualcuno che è riuscito ad andare via vengono nella nostra chiesa di San Francesco nella speranza che possa essere il loro turno. In attesa di lasciare il paese sono anche tanti cittadini di paesi africani. Spesso senza documenti, alcune migliaia di loro – conclude il sacerdote – vivono accampati nei pressi dell’aeroporto aspettando un aereo che li porti da qualche altra parte”.

Da queste testimonianze si evince che la situazione è molto delicata e il terrore è diffuso a macchia d'olio: l'intervento dell'ONU sembra l'unica via per poter ridare pace, speranza e liberazione ad un popolo che ha subito per quarant'anni la dittatura di un uomo che è stato solo capace di calpestare i diritti umani e di arricchirsi mentre il Paese sprofondava nella povertà. Preghiamo affinché Gheddafi si arrenda prima che sia troppo tardi e preghiamo affinché la pace e la democrazia risorgano in tutto il Nord Africa, il prima possibile.
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1 commenti: on "Quando la guerra diviene inevitabile..."

Enza ha detto...

Dobbiamo solo far silenzio dopo aver letto tutto ciò. Non ci sono parole!!! Grazie Chiesa di Cristo, grazie a voi sacerdoti. Quando nascono situazioni di questo genere, la Chiesa si prende ogni problema per soccorrere e salvare le persone! Come possono tanti criticarla???
Grazie

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