lunedì 21 marzo 2011

I missionari e l’Italia unita

Prima di andare all'argomento odierno, dedichiamo un pensiero alla guerra in Libia: in particolare, vi rendiamo partecipi del parere espresso dal Cardinal Angelo Bagnasco che condivide, dunque, il nostro stesso pensiero espresso nei giorni scorsi:

"Speriamo che si svolga tutto rapidamente, in modo giusto ed equo, col rispetto e la salvezza di tanta povera gente che in questo momento è sotto gravi difficoltà e sventure. Preghiamo per la salvezza del popolo libico": lo ha detto l'arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco stamani in visita pastorale alla Chiesa di Nostra Signora del Rimedio in piazza Alimonda a Genova commentando l'inizio dei bombardamenti sulla Libia. "Preghiamo come comunità cristiana affinché si illuminino le menti e i cuori dei responsabili di questa grave situazione, che vede soffrire tanta gente", ha proseguito il Cardinal Bagnasco parlando della situazione in Libia. Il Vangelo ci indica il dovere di intervenire per salvare chi è in difficoltà. Se qualcuno aggredisce mia mamma che è in carrozzella io ho il dovere di intervenire", ha detto poi il porporato rispondendo alla domanda di un parrocchiano sempre sulla questione della Libia. "Tutte le carte internazionali parlano di dignità della persona umana e di diritti, diritti che non sempre sono rispettati e promossi nelle varie parti del mondo - ha concluso Bagnasco -. I diritti devono essere coniugati dentro ad ogni cultura e tradizione. È certo che l'umanità dovrebbe diventare sempre di più una famiglia, una comunità, dove ci si aiuta vicendevolmente nei momenti difficili".
 
 Speriamo davvero che l'umanità possa divenire sempre più una famiglia. Nel frattempo, oggi mostriamo chi quotidianemnte prova a fare del mondo una famiglia: ci riferiamo ai missionari, ricordati da padre Piero Gheddo in occasione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia:

Padre Piero Gheddo
Le celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia sono state, anche per i circa 15.000 missionari italiani sparsi per il mondo, un momento forte per sentirci di “appartenere ad un popolo, di avere una storia e un destino comune, di non essere civilmente orfani”, come ha detto il card. Angelo Bagnasco nell’omelia alla Basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma, dinnanzi alle massime autorità dello stato e del governo italiano. Montanelli ha definito i missionari “i più credibili rappresentanti dell’Italia in ogni paese del mondo” e nella ricorrenza dei 150 anni non possiamo dimenticare, proprio negli anni del Risorgimento italiano, la nascita del movimento missionario in Italia, simboleggiata dai quattro Istituti missionari italiani; il Pime (1850), i Comboniani (1867), i Saveriani (1898) e i missionari della Consolata (1901), con le loro congregazioni femminili, le riviste missionarie, le Pontificie opere missionarie, l’unione missionaria del Clero (1916) e, nell’ultimo dopoguerra, il volontariato cattolico internazionale, i sacerdoti “Fidei Donum” e tutte le altre iniziative che portano il nome di Cristo ai popoli e rappresentano degnamente l’Italia unita nel mondo. Nella vita missionaria sul campo, nessuno più ricorda la provenienza dal nord o dal sud Italia, tutti ci sentiamo italiani e nient’altro.

Ho incontrato missionari e suore italiani nei luoghi in cui Cristo è ancora in viaggio, alle frontiere del Vangelo dove nasce la Chiesa e la carità cristiana è il miracolo quotidiano che commuove e converte i cuori: in Swaziland, Namibia, Costa dei Somali, Mali, Somalia, Eritrea, Ciad, Sudan, Papua Nuova Guinea, Laos e Cambogia, Borneo e Timor Est e tanti altri paesi anche i più piccoli e poveri, nei quali nessun italiano va come turista, come Haiti e Bangladesh.

  I missionari sentono fortemente l’appartenenza alla patria italiana, ne ascoltano la radio e pregano per il nostro popolo. Sulla scena del mondo globalizzati, essi rappresentano al meglio i valori profondi di solidarietà e gratuità così radicati nella nostra terra e nella nostra storia. Nelle celebrazioni di questa ricorrenza patriottica, si sono giustamente ricordati i milioni di migranti italiani: come non ricordare i missionari che continuano ancor oggi, ogni anno, a dare la vita per i popoli di cui sono diventati fratelli e sorelle, fino ad essere ricordati come “padri della patria” in terre lontane?
Ne ricordo due soli, eroi ignorati in patria, ma ricordati e ancora celebrati nei loro paesi d’adozione. Due esempi su migliaia di altri. Il vescovo di Bissau, il francescano veronese mons. Settimio Ferrazzetta (1924-1999), pregato come autentico “Padre della Patria” in Guinea Bissau. Durante la guerra civile del 1998 era ammalato di cuore in Italia, ma capiva che poteva ancora influire sui due protagonisti della guerra, il presidente Nino e il capo delle forze armate Ansumane Mané. Nonostante il parere contrario dei medici, il vescovo Settimio è tornato in Guinea Bissau ed è riuscito ad incontrare i due contendenti attraversando anche un fiume in secca, con la melma che gli arrivava al ginocchio, sostenuto da due giovanotti neri. Una grande fatica che il suo cuore non ha più sopportato ed è morto in Guinea dopo aver riportato la pace nel paese. Ha dato davvero la vita per il popolo guineano, tutti lo sanno! Il presidente Nino ha poi consegnato una medaglia d’oro al fratello del vescovo Settimio, nominato “Padre della Patria”.

Il secondo caso è quello di padre Clemente Vismara (1897-1988), che se Dio vuole sarà beatificato il giugno prossimo nel Duomo di Milano: 65 anni di missione in Birmania (Myanmar), missionario simbolico del riscatto dei tribali birmani, le etnie minoritarie sempre disprezzate e oppresse. La missione li ha elevati con la scuola e il Vangelo e tante altre opere sanitarie e di sviluppo. Clemente Vismara, eroe della prima guerra mondiale con tre medaglie al valore guadagnate sul campo, quando compiva i 60 anni in Myanmar la Conferenza episcopale l’ha nominato “Patriarca della Birmania” e come tale è ancora venerato e pregato. Sarà anche il primo Beato di quel bellissimo paese ancora in attesa di essere liberato dalla dittatura.

Piero Gheddo
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