domenica 26 giugno 2011

“Ti lodiamo, Signore onnipotente”

Oggi è stata una giornata meravigliosa per la Chiesa Cattolica perché non solo ha celebrato la magnificenza del Corpus Domini, ma anche la beatificazione di tre servi del Signore: don Serafino Morazzone, Suor Enrichetta Alfieri e padre Clemente Vismara. Pubblichiamo dunque l'omelia integrale del Cardinal Dionigi Tettamanzi che ha reso lode al Signore per averci donato tre figure di tale santità:  

Omelia per la Beatificazione di don Serafino Morazzone,
suor Enrichetta Alfieri e padre Clemente Vismara.
Solennità del SS. Corpo e Sangue di Cristo
Milano – Piazza Duomo, 26 giugno 2011


“Ti lodiamo, Signore onnipotente”

Cari fratelli e sorelle nel Signore, la nostra Chiesa diocesana si rallegra del dono ricevuto nell’anno in cui commemora il quarto centenario della canonizzazione di san Carlo Borromeo: il germe della santità lungo i secoli per la forza dello Spirito continua a produrre frutto in abbondanza! Non è trascorso molto tempo dal giorno in cui abbiamo avuto la gioia di elevare all’onore degli altari don Carlo Gnocchi. Ed eccoci ancora riuniti in questa piazza del Duomo per una triplice beatificazione.
Noi “ti lodiamo, Signore onnipotente, glorioso re di tutto l’universo. Ti benedicono gli angeli e gli arcangeli, ti lodano i profeti con gli apostoli”. Le parole di questo antico canto della liturgia ambrosiana oggi idealmente si
dilatano e si amplificano: Ti lodino, o Signore, i nostri tre nuovi beati, ti rendano grazie con la loro vita così semplice e insieme così straordinaria. Tu non ci lasci mancare esempi da ammirare e da imitare, perché la nostra vita sia una testimonianza autentica della bellezza e della forza rinnovatrice del Vangelo.
Rivolgiamo il nostro affettuoso e devoto omaggio a papa Benedetto XVI, che ci ha riservato un dono così prezioso, e insieme porgiamo un sentito ringraziamento al cardinale Angelo Amato, Rappresentante del Santo Padre per il rito di beatificazione. La nostra gratitudine va in particolare a tutti i confratelli vescovi e ai presbiteri partecipi di questa solenne celebrazione del Corpus Domini, nella quale ancora una volta “onoriamo con profonda venerazione il mistero del corpo e del sangue del Signore”. 

Nel deserto ti ho nutrito di manna

La profonda relazione che ha legato i nostri tre beati all’Eucaristia ― amata, celebrata e vissuta ogni giorno ― risplende in tutta la sua forza nel loro cammino di santità. Nutrendosi del Corpo di Cristo essi hanno trovato l’energia di superare ogni avversità. Certi, come abbiamo ascoltato nella lettura del Deuteronomio (8,3), che “l’uomo non vive soltanto di pane, ma… di quanto esce dalla bocca del Signore”, essi hanno saputo affrontare i molteplici deserti dell’esistenza con la speranza e la fiducia che Dio solo può donare.
Come scriveva il beato Clemente Vismara a un suo amico: «Il Signore è proprio buono, buono, buono. Se lo fu con me, perché non lo deve essere anche per te, con tutti? …E’ una vita un po’ dura la mia, ma ci si trova gusto a vivere e a far vivere. Come vivere e come morire senza fare del bene?». Nutrito di Cristo il fervente missionario non risparmiava se stesso ma si donava con gioia.
Con la stessa gioia la beata Enrichetta ― “l’Angelo”, la “Mamma” di San Vittore ―, nella disumanità del carcere portava la dolcezza dell’amore, convinta che «un’anima consacrata, una sposa di Gesù ― come scriveva dopo la liberazione nel quaderno degli Esercizi Spirituali ― è un’anima che si è data tutta a Lui, ai suoi interessi che sono: la sua gloria, le anime» e altrettanto persuasa che l’apostolo è semplicemente «un vaso che trabocca di santità e di amore» .
Nel momento terribile della prigionia, ella non lasciò prevalere la disperazione, ma si affidò alla preghiera con parole che ancor oggi ci fanno meditare: «Non avevo detto tante volte alle povere detenute: “Se fossi al vostro posto spenderei tutto il mio tempo nella preghiera?!”. Eccone venuto il momento. Che grazia poter pregare!». Una preghiera, la sua, che trovava il vertice nel dono della comunione eucaristica. Lo narra lei stessa nelle Memorie: «…pregai ancora nella bramosa attesa di Gesù Eucaristia… Quale dolcissima emozione! […] Stringere nel mio cuore Gesù, vivo, vero, reale con me Prigioniero in cella. Quale mia Santa Comunione fu mai simile a quella? Non è possibile dirlo. Solo Gesù sa … e so anch’io che Egli è immensamente soave e buono». Anche l’umile e generosa fedeltà alla piccola parrocchia di Chiuso di Lecco del beato Serafino Morazzone si alimentava alla quotidiana celebrazione della santa Messa, nella quale “il buon Curato” raccoglieva ― con la preghiera attribuita a sant’Ambrogio e che recitava ogni giorno prima di salire all’altare ― «le tribolazioni degli uomini, le tensioni dei popoli, il gemito dei prigionieri, le sofferenze degli orfani, le necessità dei pellegrini, l'indigenza dei poveri, la disperazione dei sofferenti, la debolezza degli anziani, le aspirazioni dei giovani, i voti delle vergini, il pianto delle vedove, i desideri di ogni uomo». Nell’Eucaristia trovava così realizzazione piena il suo essere pastore secondo il cuore del Signore, il suo ― come scriveva Alessandro Manzoni ― “consumarsi nello zelo”.

Noi siamo, benché molti, un solo corpo

I nostri tre beati intuivano in profondità che sull’altare è deposto il mistero del Corpo di Cristo le cui membra siamo tutti noi, come afferma incisivamente Sant’Agostino: «A ciò che siete rispondete: Amen, e rispondendo
lo sottoscrivete. Ti si dice infatti: Il Corpo di Cristo, e tu rispondi: Amen. Sii membro del corpo di Cristo, perché sia veritiero il tuo Amen».
L’“Amen” che don Serafino Morazzone, suor Enrichetta Alfieri e padre Clemente Vismara hanno pronunciato coincide con l’offerta senza riserve della loro vita, messa a totale disposizione degli altri nella varietà e diversità delle vocazioni e delle responsabilità ricevute dall’unico Spirito. Il beato Serafino non pensò mai di lasciare la sua gente, anche quando gli proposero di “fare carriera” in posti migliori. La parrocchia di Chiuso era tutto per lui: corpo e vita. Non gli interessavano gli onori, se non quello di servire Dio e i fratelli con umiltà e amore.
Suor Enrichetta condivise con le detenute la dura vita del carcere in fedeltà al carisma delle suore della Carità di santa Giovanna Antida Thouret, realizzando il proposito di cercare sempre e con amore il più povero e quello che la faceva sentire sposa di Gesù, povero per lei (cfr. Memento del marzo 1925).
Padre Clemente sentì come sue stesse membra le famiglie che gli chiedevano il dono del Battesimo per condividere la fede nell’unico Dio e poi i tantissimi bambini che gli erano affidati perché li salvasse. Questi stessi orfani vedevano il beato uscire per ultimo dalla chiesa e rimanervi a lungo per contemplare nel Tabernacolo la divina Presenza, il Santissimo Sacramento per lui così prezioso perché “vita della sua vita”.
Ecco il messaggio sempre attuale che ci viene dai tre beati: siamo costituiti per formare l’unico Corpo di Cristo, siamo nutriti e santificati dall’Eucaristia, perché “una sola fede illumini e una sola carità riunisca l’umanità diffusa su tutta la terra” (Prefazio).
La grazia sorprendente dell’Eucaristia, l’amore gratuito di Dio che non cessa di farsi dono continua ad esercitare una misteriosa forza d’attrazione anche in un mondo, come il nostro, apparentemente distratto e indifferente, ma in realtà assetato di riconciliazione e di unità, bisognoso di quella carità semplice e concreta che sa trasfigurare la normalità del quotidiano nella piccolezza di un sorriso, di un gesto di amicizia, di una parola di consolazione. «La vita ― come diceva padre Vismara ― è radiosa dal momento in cui si incomincia a donarla… La vita è bella, quando ci si vuol bene… Solo l’amore fa vincere la vita».

Chi mangia questo pane vivrà in eterno

La sorgente di questo Amore, che i nostri occhi potranno contemplare in pienezza solo nell’ultimo giorno, proviene dal Mistero dell’altare. Dall’Eucaristia si sprigiona una luce che anticipa lo splendore della gloria
futura e irradia ogni atto di libera donazione, ogni vera scelta d’amore. Mangiare del Corpo e bere del Sangue di Cristo significa entrare nell’orizzonte della nuova vita che lui, il Crocifisso risorto, ha inaugurato; significa “dimorare in lui” nella certezza meravigliosa del suo “dimorare in noi”. Così è stato per nostri beati, che nutriti del Pane della vita e per questo divenuti loro stessi “pane spezzato” per la vita del mondo, secondo la promessa del Vangelo vivono in eterno.
Intercedete ora per noi, beato Serafino, beata Enrichetta e beato Clemente, perché sappiamo accogliere le parole di Gesù e farle nostre; perché possiamo crescere in quella “grandezza della piccolezza evangelica” che l’allora arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini riferiva efficacemente a don Serafino Morazzone. Sì, questa espressione ― “grandezza della piccolezza evangelica” ― trova oggi la sua conferma ecclesiale, anche per gli altri nostri beati, insieme alla certezza – sono ancora parole del futuro Paolo VI – che “il Signore sta con i poveri, coi poveri di cuore, con gli umili e soprattutto con chi ama e sa donare” (13 aprile 1956).

+ Dionigi card. Tettamanzi
Arcivescovo di Milano
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