II. LA PERSONA UMANA « IMAGO DEI »
c) Universalità del peccato e universalità della salvezza
120 La dottrina del peccato originale, che insegna l'universalità del peccato, ha una fondamentale importanza: « Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi » (1 Gv 1,8). Questa dottrina induce l'uomo a non restare nella colpa e a non prenderla alla leggera, cercando di continuo capri espiatori negli altri uomini e giustificazioni nell'ambiente, nell'ereditarietà, nelle istituzioni, nelle strutture e nelle relazioni. Si tratta di un insegnamento che smaschera tali inganni.
La dottrina dell'universalità del peccato, tuttavia, non deve essere slegata dalla consapevolezza dell'universalità della salvezza in Gesù Cristo. Se ne viene isolata, essa ingenera una falsa angoscia del peccato e una considerazione pessimistica del mondo e della vita, che induce a disprezzare le realizzazioni culturali e civili dell'uomo.
121 Il realismo cristiano vede gli abissi del peccato, ma nella luce della speranza, più grande di ogni male, donata dall'atto redentivo di Gesù Cristo, che ha distrutto il peccato e la morte (cfr. Rm 5,18-21; 1 Cor 15,56-57): « In Lui Dio ha riconciliato l'uomo con Sé ».231 Cristo, l'Immagine di Dio (cfr. 2 Cor 4,4; Col 1,15), è Colui che illumina pienamente e porta a compimento l'immagine e somiglianza di Dio nell'uomo. La Parola che si fece uomo in Gesù Cristo è da sempre la vita e la luce dell'uomo, luce che illumina ogni uomo (cfr. Gv 1,4.9). Dio vuole nell'unico mediatore Gesù Cristo, Suo Figlio, la salvezza di tutti gli uomini (cfr. 1 Tm 2,4-5). Gesù è al tempo stesso il Figlio di Dio e il nuovo Adamo, ossia il nuovo uomo (cfr. 1 Cor 15,47-49; Rm 5,14): « Con la rivelazione del mistero del Padre e del suo amore Cristo, nuovo Adamo, manifesta pienamente l'uomo all'uomo e gli svela la sua altissima vocazione ».232 In Lui noi siamo da Dio « predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli » (Rm 8,29).
122 La realtà nuova che Gesù Cristo dona non s'innesta nella natura umana, non le si aggiunge dall'esterno: è invece quella realtà di comunione con il Dio trinitario verso la quale gli uomini sono da sempre orientati nel profondo del loro essere, grazie alla loro creaturale similitudine con Dio; ma si tratta anche di una realtà che essi non possono raggiungere con le loro sole forze. Mediante lo Spirito di Gesù Cristo, Figlio incarnato di Dio, nel quale tale realtà di comunione è già realizzata in modo singolare, gli uomini vengono accolti come figli di Dio (cfr. Rm 8,14-17; Gal 4,4-7). Per mezzo di Cristo, partecipiamo alla natura di Dio, che ci dona infinitamente di più « di quanto possiamo domandare o pensare » (Ef 3,20). Ciò che gli uomini hanno già ricevuto non è che un pegno o una « caparra » (2 Cor 1,22; Ef 1,14) di ciò che otterranno completamente soltanto davanti a Dio, visto « a faccia a faccia » (1 Cor 13,12), ossia una caparra della vita eterna: « Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo » (Gv 17,3).
123 L'universalità della speranza cristiana include, oltre agli uomini e alle donne di tutti i popoli, anche il cielo e la terra: « Stillate, cieli, dall'alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia. Io, il Signore, ho creato tutto questo » (Is 45,8). Secondo il Nuovo Testamento anche la creazione intera, infatti, insieme con tutta l'umanità, è in attesa del Redentore: sottoposta alla caducità, si protende piena di speranza, tra i gemiti e i dolori del parto, attendendo di essere liberata dalla corruzione (cfr. Rm 8,18-22).
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