Oggi si celebra la Giornata degli stati vegetativi: la data è simbolica poiché fu in questo giorno che, due anni fa, ci lasciò Eluana Englaro in seguito ad eutanasia. Noi della Vigna del Signore abbiamo sempre difeso la vita, in ogni sua forma: abbiamo parlato del male che arrecano omicidi mascherati come l'aborto e l'eutanasia e abbiamo anche mostrato come questi interventi umani possano precludere il sorgere o il risorgere di una vita! Oggi, vi mostriamo un ennesimo caso di risveglio, che il quotidiano l'Avvenire, ha prontamente pubblicato. Si tratta di una storia bellissima che mostra come c'è sempre speranza, anche quando i medici sembrano negativi e anche quando la situazione sembra disperata. La fede in Dio è un'arma potente che noi ancora non siamo in grado di usare correttamente: ma quando prendiamo cognizione del suo uso, possiamo davvero ottenere cose straordinarie come quelle che stanno avvenendo negli ultimi tempi.
Noi speriamo che queste testimonianze miracolose possano infondere coraggio in quelle persone che quotidianamente vivono situazioni disperate, situazioni che spingono al desiderio dell'eutanasia il quale è un desiderio sbagliato in quanto contrario a Dio e alla vita. Vediamo ora la storia di Jennifer:
«Con mio marito Narciso abbiamo compreso che lo stato vegetativo non va mai considerato come un’anticamera della morte. C’è sempre un barlume da tener vivo e da accompagnare: quella speranza per noi si è illuminata». Barbara Bettega racconta sottovoce, rispettosa di ogni situazione e sorvolando leggera su ogni polemica. Tiene ad amplificare la gioia dell’uscita dal coma profondo della sua dolcissima Jennifer, una vispa ragazzina di prima media: vi era piombata tre mesi fa, colpita da un arresto cardiaco nell’atrio della sua scuola a Canal San Bovo, in una delle valli più isolate del Trentino orientale.
In quel grigio lunedì d’ottobre – anche l’elicottero aveva dovuto lottare contro la neve per trasportarla all’ospedale di Trento – la prima risonanza magnetica non lasciava molto spazio alla speranza. I medici avevano abbassato la temperatura corporea per limitare i danni cerebrali a causa di quei secondi senza ossigeno trascorsi dall’arresto al provvidenziale massaggio cardiaco praticato dalla generosa bidella Maria, mandata a chiamare di corsa proprio da Jonathan, 9 anni, il fratellino più piccolo.
Qualche giorno dopo, in coma farmacologico, un primo tentativo di stubare Jessica non era riuscito: occhi chiusi, cielo buio anche per i genitori che facevano la spola – duecento chilometri ogni giorno dal Primiero a Trento – per starle vicini qualche minuto, e intuire (invano, fino ad allora) qualche miglioramento. Poi la decisione di trasferirla a Padova, alla rianimazione pediatrica, dove in dicembre le veniva applicato un defibrillatore.
Un lungo Natale “appeso” alle strumentazioni del coma farmacologico, raccontato così dai genitori alle parrocchie e a tanti volontari della loro valle mobilitati anche nella preghiera: «In questo periodo per noi tragico, in cui più volte abbiamo rischiato di perdere Jennifer, la nostra vita quotidiana si è fermata e ci ha catapultati in un immenso, indescrivibile dolore nel vedere nostra figlia soffrire; impotenti ad alleviare quella sofferenza e inerti davanti ai medici che non possono darti garanzie sul futuro che aspetta lei e noi».
Ma due mesi e mezzo dopo, ai primi di gennaio, la fiducia degli splendidi zii, dei nonni e di tanti volontari alle loro spalle, sembra dare forza alla battaglia di Jennifer: comincia piano a rispondere alle sollecitazioni, riapre gli occhi, riconoscere il fratellino, mamma Barbara e papà Narciso: «In quei primi momenti – raccontano gli infaticabili Bettega – per noi è stato come se la nostra bambina fosse nata una seconda volta. Per noi – aggiungono senza paura di abusare il termine, che sale alla bocca da una robusta fede montanara – questo rimarrà sempre un miracolo. Abbiamo sperimentato la forza della preghiera e della comunità».
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