lunedì 28 febbraio 2011

La primavera araba non passa il Sahara

Il vento democratico soffia sul Nord Africa, ma non sembra soffiare al di là del Sahara. Per quale motivo i regimi non sembrano essere in pericolo in quelle zone sud-sahariane? Scopriamolo con un articolo di approfondimento Sara Milanese, in rappresentanza delle Suore Missionarie della Consolata:

Povertà più profonda e più analfabetismo: due tra i motivi che potrebbero impedire agli Stati africani subsahariani di rovesciare i regimi. Il "vento di rivoluzione" che dalla Tunisia continua a soffiare sul Nord Africa e sui paesi arabi del Medio oriente è arrivato fino alla Corea del Nord, almeno secondo la stampa di Seul: da giorni uno dei più importanti quotidiani sudcoreani, The Chosun Ilbo riporta le notizie di proteste e manifestazioni nelle città nordcoreane al confine con la Cina. L'esercito avrebbe risposto con la violenza alle richieste di cibo e elettricità da parte della popolazione, ci sarebbero diversi feriti e anche dei morti. Purtroppo le informazioni arrivano frammentate e non sono verificabili, a causa della rigida censura applicata dal regime di Pyong Yang.

La sete di libertà non è però riuscita ad attraversare il Sahara: nei paesi africani sotto il deserto il rovesciamento dei regimi resta un miraggio. Eppure in molte di queste nazioni ci sono gli stessi contesti che hanno spinto tunisini, egiziani e libici a scendere in piazza: povertà, disoccupazione, mancanza di libertà, corruzione politica.

Il 18 febbraio le elezioni in Uganda hanno riconfermato Yiweru Nysevebu alla presidenza del paese, che guida da 25 anni. Arrivato al potere con la forza delle sue milizie nel 1986, 10 anni dopo si è fatto legittimare da elezioni truccate. Così è andata anche per il questo quarto mandato consecutivo, che ha assegnato a Museveni il 68% dei voti. Le opposizioni hanno chiaramente denunciato brogli e intimidazioni, e soprattutto la compravendita di deputati. Di fatto l'era Museveni ha instaurato un sistema di corruzione di cui beneficia l'enclave del presidente. La paura di possibili rivolte sul modello di quelle del nord Africa ha giustificato un massiccio dispiegamento di forze di sicurezza.

Intanto in Costa d’Avorio è ancora braccio di ferro tra il neo presidente Alassane Ouattara e Laurent Gbagbo, che alla guida del paese dal 2000, ora non ne vuole sapere di accettare il verdetto delle elezioni di novembre che lo escludono dalla vita politica. La diplomazia internazionale, e l'Unione Africana portano avanti da mesi ormai un'inutile ricerca di dialogo per permettere al nuovo presidente di assumere la guida del paese.

In realtà nelle ultime settimane sono scoppiate proteste di piazza anche in Mauritania, Camerun, Gabon, Sudan, Zimbabwe e Gibuti, con alla base le stesse richieste dei popoli arabi: maggior democrazia, lotta alla povertà e alla disoccupazione. Ma in nessuno di questi paesi le manifestazioni si sono tradotte in movimenti più ampi di dissenso, in grado di organizzare una protesta tale da preoccupare i regimi o i governi autoritari.

Perché? Secondo alcuni analisti l'Africa subsahariana non è ancora pronta: nonostante in molti paesi la società civile sia ben organizzata, la classe media è spesso troppo giovane per contare davvero. Rispetto ad Egitto, Tunisia, Libia, il tasso di alfabetizzazione è ancora molto basso, la povertà più radicata. Alcuni paesi, come l'Angola o l'Rd Congo, escono da conflitti molto, troppo recenti. Il profondo senso di appartenenza etnico impedisce spesso di far nascere un sentimento di orgoglio nazionale, e alimenta conflitti interni. La difficoltà di accedere ad internet impedisce inoltre di utilizzare i social network come strumento di organizzazione delle proteste.
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