Torniamo ad occuparci del tema legato alla dignità della donna: nella famosa manifestazione dello scorso 13 Febbraio, come vi abbiamo documentato, ha preso la parola anche Suor Eugenia Bonetti. Ora, leggiamo alcune sue considerazioni, soprattutto in risposta alle reazioni del cosiddetto giorno dopo:
Dopo il mio intervento in Piazza del Popolo, domenica scorsa, molte persone si sono domandate e me lo hanno anche scritto, perché io, suora e missionaria, sono scesa in piazza di fronte a migliaia di persone per condividere una riflessione sulla dignità della donna. La mia risposta è stata per tutti la stessa: offrire un segno concreto di vicinanza alla donna, in modo dignitoso e direi davvero profetico, per dare voce a diverse centinaia di religiose che ogni giorno operano silenziosamente e gratuitamente con amore, coraggio e determinazione per ridare vita e speranza a tante donne comprate, vendute e sfruttate. Donne la cui dignità e identità è stata violentata e umiliata.
Donne che mai avrebbero potuto far sentire la loro voce, perché ridotte in schiavitù e quindi senza volto, senza nome, senza diritti e libertà. Ero lì per dire “basta” alla mercificazione del corpo della donna e a questa enorme ipocrisia di chi non vede o non vuol vedere.
Molti - e specialmente i media - continuano a chiedermi come mi sono sentita in quella enorme piazza e come ho vissuta questa esperienza, una prima assoluta per una religiosa in un contesto eminentemente laico. Di fronte a quella folla di donne di diverse posizioni ed estrazione sociale, mi sono sentita una formichina che il Signore voleva usare per farne la voce del vasto mondo delle religiose, che in Italia sono ancora più di ottantamila, e per chiedere a tutti rispetto e dignità per la donna. Ero ben cosciente che potevamo correre il rischio di essere strumentalizzate, mal interpretate e anche condannate da chi non vuole cogliere il messaggio semplice, schietto e genuino che vogliamo condividere. Infatti, non sono mancate alcune critiche da parte di chi ritiene inopportuno vedere delle suore in mezzo alla folla, preoccupati di non mischiare il “sacro con il profano”, e dimenticando che laddove si tratta della dignità della persona umana, creata a immagine di Dio, c’è solo il “sacro”. Il profano esiste solo quando noi profaniamo e deturpiamo questa stessa immagine per interessi e opportunismo. Ho ricevuto pure tanti messaggi di apprezzamento e incoraggiamento, oltre che di stupore per il coraggio e la determinazione nel far emergere una riflessione sul valore e la bellezza vera della donna, portatrice di valori veri, autentici e umani: armonia, vita, amore e speranza per una convivenza basata sul rispetto reciproco e sul riconoscimento di ruoli diversi ma complementari.
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Mi scrive una signora, all’indomani della manifestazione del 13 febbraio a Roma: «Ho ascoltato il suo intervento a favore delle donne, in piazza del Popolo. Mi ha colpito molto! Non credevo che una suora potesse avere tanto coraggio e coerenza; indubbiamente il suo intervento ha fatto cambiare opinione a molti. A me personalmente di sicuro: miscredente, ex comunista, senza più fede politica, mai creduto in quella religiosa; tuttavia, oggi il suo coraggio mi ha fatto nascere il desiderio di saperne di più. […] Ma lo sa che con il suo intervento ha aperto gli occhi, il cervello e il cuore a tanti di noi? Mi creda, ha seminato il bene meglio di tanti inascoltati, ripetitivi e pomposi sermoni cardinalizi. […] Lei ha parlato a migliaia di persone, di sinistra, politicizzate e sicuramente non di chiesa come mai nessun aveva fatto in passato».
Sono moltissime le reazioni come questa, di persone lontane dalla Chiesa, che mi comunicano la loro vicinanza e la loro condivisione di quanto ho detto domenica scorsa. Così come sono moltissime le reazioni di amici, conoscenti, suore e tanti sconosciuti più vicini alla Chiesa. Gli uni e gli altri mi confermano che il senso della mia presenza e del mio intervento è stato capito, nonostante alcune critiche.
Io, come tante altre religiose, cerco di attingere la genuinità della mia parola non dai teoremi astratti, ma dal vivere quotidianamente un impegno, a contatto con donne ferite, abusate e sminuite nella loro umanità. Noi religiose, che lavoriamo nel difficile e delicato settore della tratta di esseri umani per lo sfruttamento sessuale, non abbiamo mai voluto salire in cattedra per dare lezioni o fare proclami. Né tantomeno per fare politica o anche solo del semplice moralismo. Ma sempre, ovunque ce lo abbiano permesso, abbiamo cercato di far sentire la nostra voce, per denunciare questo vergognoso traffico e le condizioni di sfruttamento che rendono schiave migliaia di donne nel nostro Paese. E per dire che qualcosa si può e si deve fare per combatterlo e per dare una speranza di vita nuova alle vittime.
L’occasione che mi è stata offerta domenica mi ha permesso di portare nuovamente la mia testimonianza, anche se in un contesto forse inconsueto. Ma il mio atteggiamento è stato quello di sempre: ovvero quello di chi si fa, con umiltà ma anche con determinazione, voce di chi non ce l’ha, cercando di rompere almeno un poco il muro dell’indifferenza.
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