venerdì 4 marzo 2011

Il ricordo di Paul Bhatti

Continuiamo a ricordare la figura di Shahbaz Bhatti, ricordando che che anche il Papa, in un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, inviato a mons. Lawrence Saldanha, arcivescovo di Lahore e presidente della Conferenza episcopale del pachistana, ha espresso il suo profondo dolore per l’assassinio, del ministro per le minoranze. 
Oggi lo ricordiamo attraverso le parole di suo fratello Paul Bhatti, raggiunto telefonicamente da un inviato di Radio Vaticana

R. – Sto partendo per il Pakistan, dove mi stanno aspettando per i funerali. Non so quello che dico, perché veramente sono rimasto sconvolto da quanto accaduto. Ma tutti ce lo aspettavamo, perché lui non si è mai tutelato, si è sempre esposto per gli altri, soprattutto per la gente più povera. Mio fratello combatteva per i diritti dei cristiani e di tutte le minoranze oppresse in Pakistan; in particolare contro la legge sulla blasfemia che condanna a morte chi offende Maometto. Da qui, noi avevamo l’impressione che questa legge venisse usata spesso contro i cristiani per rancori personali. Lui ha lottato molto per questo, al punto da ricevere anche consensi internazionali dagli Stati Uniti, dal Vaticano e anche da molti Paesi occidentali. E questo ha colpito il governo locale, al punto che era quasi riuscito a presentare un disegno di legge in Parlamento. Ma chi sostiene che l’attuale legge sia giusta o chi sostiene che il Parlamento sia manipolato dall’Occidente, probabilmente non è d’accordo con il suo progetto. Era molto tempo che mio fratello riceveva minacce di morte. Poi c’è stato il caso di Asia Bibi, una donna proveniente da un ceto molto povero condannata a morte sulla base di quella legge sulla blasfemia. Mio fratello ha lottato molto, insieme anche con il governatore del Punjab che è stato ucciso qualche mese fa.

D. – Dr. Paul Bhatti, ci può ricordare chi era suo fratello, quale la sua famiglia, quale l’educazione religiosa ricevuta?

R. – Noi veniamo da una famiglia cattolica che vive in un villaggio cattolico, cristiano del Pakistan, e che si chiama Kushphur. Qui abbiamo ricevuto un’educazione cattolica. Mio fratello si era laureato in legge e poi aveva anche seguito un corso in relazioni internazionali; ha iniziato ad interessarsi alla politica in maniera particolare quando ha iniziato a vedere delle ingiustizie in Pakistan. Il primo evento è stato quando si propose una carta d’identità diversa tra cristiani e musulmani. Lui era molto giovane ancora, avrà avuto 23 anni… Iniziò a protestare, guidando varie manifestazioni. Alla fine, riuscirono addirittura a far cambiare idea al governo e da lì iniziò ad impegnarsi contro ogni ingiustizia. E non solo in questo caso di Asia Bibi: in passato ha lottato per altre persone che erano state condannate sempre sulla base della legge contro la blasfemia.

D. – Dopo l’assassinio brutale di suo fratello, cosa si può sperare per il Pakistan?

R. – Penso che questo possa essere un momento di riflessione sia per la gente del Pakistan – perché mi hanno telefonato tanti amici pakistani musulmani, che condannano questo omicidio e non condividono la discriminazione - sia per l’Occidente. Si dovrà promuovere una riflessione all’insegna del dialogo con quei Paesi che hanno una legge contro la blasfemia, affinché questa legge venga abolita. Qualcosa dovrà esser fatto, a livello internazionale, per continuare questa lotta. Conoscendo l’obiettivo ed anche il sacrificio di mio fratello, spero che la gente lo segua …

D. – Quindi, il lavoro e l’impegno di suo fratello non risulteranno vani …

R. – Credo di no, perché sicuramente anche io personalmente – non a modo suo, ovviamente – ma per quello che posso fare, ho deciso di impegnarmi nella maniera più intensa possibile, perché questa è una causa giusta, è una causa che lui ha portato avanti e noi lo seguiamo, lo appoggiamo. Io sono medico qui, in Italia, ma quello che posso fare sono disposto a farlo, perché sono convinto che questa opera vada continuata, che vada appoggiata sui diversi fronti.

D. – Dr. Bhatti, secondo lei dietro a questo assassinio ci sono i talebani oppure altri gruppi estremisti in Pakistan?

R. – Questo non lo so. Ho sentito dire che sarebbero stati lasciati dei volantini dei talebani locali del Punjab, che si sarebbero assunti la responsabilità dell’omicidio. Ma quando il mese scorso sono stato in Pakistan lui mi aveva detto di avere ricevuto molte minacce e che immaginava che prima o poi l’avrebbero ucciso. Io gli avevo detto: “Ti conviene venire in Occidente per qualche mese, finché le acque non si saranno calmate un po’”. E lui mi rispose che se si fossero calmate le acque, si sarebbe calmato tutto e nessuno avrebbe portato avanti la causa, e quindi non voleva andare via.

D. – Cosa chiede alla Chiesa universale, a tutti i fedeli, a tutti i cristiani, a tutti i cattolici?

R. – Mio fratello era un cristiano convinto, praticava la sua fede. Perciò, chi è fedele, chi ha una fede forte crede nella preghiera: a questa ci tengo e sono convinto che serva. Penso che anche tutti i cristiani del Pakistan dovrebbero riflettere su questa situazione in modo che, in un modo o nell’altro, le ingiustizie si risolvano. (gf)
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1 commenti: on "Il ricordo di Paul Bhatti"

Mikhael ha detto...

Shahbaz Bhatti è un uomo beato.

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