martedì 19 aprile 2011

Cento anni dopo - Centesimus Annus - III parte

Torna l'appuntamento con l'Enciclica del Venerabile Giovanni Paolo II, intitolata "Centesimus Annus" e promulgata nel centenario della Rerum Novarum. Oggi continuiamo a veder richiamati i tratti caratteristici dell'Enciclica di Leone XIII ed in particolare i diritti fondamentali enunciati nell'opera che ha segnato non solo l'epoca della sua emanazione, ma anche le epoche future (come dimostrato dalla nostra Costituzione Repubblicana): 

7. In stretta relazione col diritto di proprietà l'Enciclica di Leone XIII afferma parimenti altri diritti, come propri e inalienabili della persona umana. Tra essi è preminente, per lo spazio che il Papa gli dedica e l'importanza che gli attribuisce, il «diritto naturale dell'uomo» a formare associazioni private; il che significa, anzitutto, il diritto a creare associazioni professionali di imprenditori e operai, o di soli operai.19 Si coglie qui la ragione per cui la Chiesa difende e approva la creazione di quelli che comunemente si chiamano sindacati, non certo per pregiudizi ideologici, né per cedere a una mentalità di classe, ma perché l'associarsi è un diritto naturale dell'essere umano e, dunque, anteriore rispetto alla sua integrazione nella società politica. Infatti, «non puo’ lo Stato proibirne la formazione», perché «i diritti naturali lo Stato deve tutelarli, non distruggerli. Vietando tali associazioni, esso contraddice se stesso».20

Insieme con questo diritto, che — è doveroso sottolineare — il Papa riconosce esplicitamente agli operai o, secondo il suo linguaggio, ai «proletari», sono affermati con eguale chiarezza il diritto alla «limitazione delle ore di lavoro», al legittimo riposo e ad un diverso trattamento dei fanciulli e delle donne21 quanto al tipo e alla durata del lavoro.

Se si tiene presente ciò che dice la storia circa i procedimenti consentiti, o almeno non esclusi legalmente, in ordine alla contrattazione senza alcuna garanzia né quanto alle ore di lavoro, né quanto alle condizioni igieniche dell'ambiente ed ancora senza riguardo per l'età e il sesso dei candidati all'occupazione, ben si comprende la severa affermazione del Papa. «Non è giusto né umano — egli scrive — esigere dall'uomo tanto lavoro, da farne per la troppa fatica istupidire la mente e da fiaccarne il corpo». E con maggior precisione, riferendosi al contratto, inteso a far entrare in vigore simili «relazioni di lavoro», afferma: «In ogni convenzione stipulata tra padroni ed operai vi è sempre la condizione o espressa o sottintesa» che si sia provveduto convenientemente al riposo, proporzionato «alla somma delle energie consumate nel lavoro»; poi conclude: «Un patto contrario sarebbe immorale».22

8. Subito dopo il Papa enuncia un altro diritto dell'operaio in quanto persona. Si tratta del diritto al «giusto salario», il quale non puo’ essere lasciato «al libero consenso delle parti: sicché il datore di lavoro, pagata la mercede, ha fatto la sua parte, né sembra sia debitore di altro».23 Lo Stato — si diceva a quel tempo — non ha potere di intervenire nella determinazione di questi contratti, se non per assicurare l'adempimento di quanto è stato esplicitamente pattuito. Una simile concezione delle relazioni tra padroni e operai, puramente pragmatica ed ispirata ad un rigoroso individualismo, viene severamente biasimata nell'Enciclica, perché contraria alla duplice natura del lavoro, come fatto personale e necessario. Poiché, se il lavoro, in quanto personale, rientra nella disponibilità che ciascuno ha delle proprie facoltà ed energie, in quanto necessario è regolato dal grave obbligo che ciascuno ha di «conservarsi in vita»; «di qui nasce per necessaria conseguenza — conclude il Papa — il diritto di procurarsi i mezzi di sostentamento, che per la povera gente si riducono al salario del proprio lavoro».24

Il salario deve essere sufficiente a mantenere l'operaio e la sua famiglia. Se il lavoratore, «costretto dalla necessità, o per timore del peggio, accetta patti più duri perché imposti dal proprietario o dall'imprenditore, e che volenti o nolenti debbono essere accettati, è chiaro che subisce una violenza contro la quale la giustizia protesta».25

Volesse Dio che queste parole, scritte mentre avanzava il cosiddetto «capitalismo selvaggio», non debbano oggi essere ripetute con la medesima severità. Purtroppo, si riscontrano ancora oggi casi di contratti tra padroni e operai, nei quali è ignorata la più elementare giustizia in materia di lavoro minorile o femminile, circa gli orari di lavoro, lo stato igienico dei locali e l'equa retribuzione. E questo nonostante le Dichiarazioni e Convenzioni internazionali al riguardo,26 e le stesse leggi interne degli Stati. Il Papa attribuiva all'«autorità pubblica» lo «stretto dovere» di prendersi debita cura del benessere dei lavoratori, perché non facendolo si offendeva la giustizia; anzi, non esitava a parlare di «giustizia distributiva».27

9. A tali diritti Leone XIII ne aggiunge un altro, sempre a proposito della condizione operaia, che desidero ricordare per l'importanza che ha: il diritto di adempiere liberamente i doveri religiosi. Il Papa lo proclama nel contesto degli altri diritti e doveri degli operai, nonostante il clima generale che, anche ai suoi tempi, considerava certe questioni come attinenti esclusivamente all'ambito privato. Egli afferma la necessità del riposo festivo, perché l'uomo sia riportato al pensiero dei beni celesti e al culto dovuto alla maestà divina.28 Di questo diritto, radicato in un comandamento, nessuno puo’ privare l'uomo: «A nessuno è lecito violare impunemente la dignità dell'uomo, di cui Dio stesso dispone con grande rispetto»; di conseguenza, lo Stato deve assicurare all'operaio l'esercizio di tale libertà.29

Non sbaglierebbe chi in questa limpida affermazione vedesse il germe del principio del diritto alla libertà religiosa, divenuto poi oggetto di molte solenni Dichiarazioni e Convenzioni internazionali,30 nonché della nota Dichiarazione conciliare e del mio ripetuto insegnamento.31 Al riguardo, ci si deve domandare se gli ordinamenti legali vigenti e la prassi delle società industrializzate assicurino oggi effettivamente l'elementare diritto al riposo festivo.


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