martedì 26 aprile 2011

Cento anni dopo - Centesimus Annus - IV parte

Torna l'appuntamento con l'Enciclica del Venerabile Giovanni Paolo II, intitolata "Centesimus Annus" e promulgata nel centenario della Rerum Novarum. Oggi continuiamo a veder richiamati i tratti caratteristici dell'Enciclica di Leone XIII ed in particolare il Venerabile Giovanni Paolo II fa riferimento alla concezione dei rapporti tra lo Stato e i cittadini. In sostanza il pensiero è rivolto a come e quando lo Stato deve intervenire nella vita dei cittadini e il riferimento al principio di solidarietà su cui si devono imprimere le relazioni non solo nell'ordine nazionale, ma anche in quello internazionale. Lo Stato deve quindi intervenire laddove c'è un reale bisogno del suo intervento a causa di una debolezza intrinseca, come nel caso della classe operaia che, soprattutto oggi, si ritrova a vivere una condizione di debolezza contrattuale che sta mettendo a repentaglio anche i diritti più basilari (e questo ci fa capire l'incredibile lungimiranza di Leone XIII in quanto la Rerum Novarum continua ad avere una forte attualità):

10. Un'altra importante nota, ricca di insegnamenti per i nostri giorni, è la concezione dei rapporti tra lo Stato ed i cittadini. La Rerum novarum critica i due sistemi sociali ed economici: il socialismo e il liberalismo. Al primo è dedicata la parte iniziale, nella quale si riafferma il diritto alla proprietà privata; al secondo non è dedicata una speciale sezione, ma — cosa meritevole di attenzione — si riservano le critiche, quando si affronta il tema dei doveri dello Stato.32 Questo non puo’ limitarsi a «provvedere ad una parte dei cittadini», cioè a quella ricca e prospera, e non puo’ «trascurare l'altra», che rappresenta indubbiamente la grande maggioranza del corpo sociale; altrimenti si offende la giustizia, che vuole si renda a ciascuno il suo. «Tuttavia, nel tutelare questi diritti dei privati, si deve avere un riguardo speciale ai deboli e ai poveri. La classe dei ricchi, forte per se stessa, ha meno bisogno della pubblica difesa; la classe proletaria, mancando di un proprio sostegno, ha speciale necessità di cercarla nella protezione dello Stato. Perciò agli operai, che sono nel numero dei deboli e bisognosi, lo Stato deve rivolgere di preferenza le sue cure e provvidenze».33

Questi passi oggi hanno valore soprattutto di fronte alle nuove forme di povertà esistenti nel mondo, anche perché sono affermazioni che non dipendono da una determinata concezione dello Stato né da una particolare teoria politica. Il Papa ribadisce un elementare principio di ogni sana organizzazione politica, cioè che gli individui, quanto più sono indifesi in una società, tanto più necessitano dell'interessamento e della cura degli altri e, in particolare, dell'intervento dell'autorità pubblica.

In tal modo il principio, che oggi chiamiamo di solidarietà, e la cui validità, sia nell'ordine interno a ciascuna Nazione, sia nell'ordine internazionale, ho richiamato nella Sollicitudo rei socialis,34 si dimostra come uno dei principi basilari della concezione cristiana dell'organizzazione sociale e politica. Esso è più volte enunciato da Leone XIII col nome di «amicizia», che troviamo già nella filosofia greca; da Pio XI è designato col nome non meno significativo di «carità sociale», mentre Paolo VI, ampliando il concetto secondo le moderne e molteplici dimensioni della questione sociale, parlava di «civiltà dell'amore».35

11. La rilettura dell'Enciclica alla luce delle realtà contemporanee permette di apprezzare la costante preoccupazione e dedizione della Chiesa verso quelle categorie di persone, che sono oggetto di predilezione da parte del Signore Gesù. Il contenuto del testo è un'eccellente testimonianza della continuità, nella Chiesa, della cosiddetta «opzione preferenziale per i poveri», opzione che ho definito come una «forma speciale di primato nell'esercizio della carità cristiana».36 L'Enciclica sulla «questione operaia», dunque, è un'Enciclica sui poveri e sulla terribile condizione, alla quale il nuovo e non di raro violento processo di industrializzazione aveva ridotto grandi moltitudini. Anche oggi, in gran parte del mondo, simili processi di trasformazione economica, sociale e politica producono i medesimi mali.

Se Leone XIII si appella allo Stato per rimediare secondo giustizia alla condizione dei poveri, lo fa anche perché riconosce opportunamente che lo Stato ha il compito di sovraintendere al bene comune e di curare che ogni settore della vita sociale, non escluso quello economico, contribuisca a promuoverlo, pur nel rispetto della giusta autonomia di ciascuno di essi. Ciò, però, non deve far pensare che per Papa Leone ogni soluzione della questione sociale debba venire dallo Stato. Al contrario, egli insiste più volte sui necessari limiti dell'intervento dello Stato e sul suo carattere strumentale, giacché l'individuo, la famiglia e la società gli sono anteriori ed esso esiste per tutelare i diritti dell'uno e delle altre, e non già per soffocarli.37

A nessuno sfugge l'attualità di queste riflessioni. Sull'importante tema delle limitazioni inerenti alla natura dello Stato converrà tornare più avanti; intanto, i punti sottolineati, non certo gli unici dell'Enciclica, si pongono in continuità nel Magistero sociale della Chiesa, anche alla luce di una sana concezione della proprietà privata, del lavoro, del processo economico, della realtà dello Stato e, prima di tutto, dell'uomo stesso. Altri temi saranno menzionati in seguito nell'esaminare taluni aspetti della realtà contemporanea; ma occorre tener presente fin d'ora che ciò che fa da trama e, in certo modo, da guida all'Enciclica ed a tutta la dottrina sociale della Chiesa, è la corretta concezione della persona umana e del suo valore unico, in quanto «l'uomo ... in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa».38 In lui ha scolpito la sua immagine e somiglianza (cf Gn 1,26), conferendogli una dignità incomparabile, sulla quale più volte insiste l'Enciclica. In effetti, al di là dei diritti che l'uomo acquista col proprio lavoro, esistono diritti che non sono il corrispettivo di nessuna opera da lui prestata, ma che derivano dall'essenziale sua dignità di persona.


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