Qualche tempo fa, nella Vigna del Signore, abbiamo letto l'Enciclica del Venerabile Giovanni Paolo II, intitolata "Fides et Ratio": il titolo già mostra il contenuto di tal documento interamente focalizzato sul rapporto controverso tra fede e ragione. Già allora avevamo constatato come la ragione non esclude la fede e come la fede stessa porti alla ragione. Oggi, dopo queste premessa, vogliamo invitarvi alla lettura proprio di un articolo, di Don Giacomo Pavanello, che conferma la visione della Fides et Ratio e che vuole far capire come fede e scienza non possono assolutamente essere separate:
Qualche giorno fa sono stato in pellegrinaggio a Civitavecchia, assieme alla fraternità dei sacerdoti di Nuovi Orizzonti. Abbiamo sostato in preghiera davanti alla statua della Madonnina che, nel 1995, pianse lacrime di sangue. Furono fatti ampi esami medico-scientifici, tutti convergenti verso l’inspiegabilità di molti aspetti della vicenda. Il vescovo di allora, mons. Grillo, subì un attacco di cuore, quando, immerso nel suo scetticismo (ampiamente documentato), vide la statua piangere mentre la teneva tra le sue mani.
Non voglio addentrarmi nelle pieghe della cronaca, che meriterebbe ben più di uno scarno post. Mi ha molto colpito invece un aspetto consequenziale alla storia: molti uomini di scienza, professi servitori della ragione e della verità, sono stati messi all’angolo dall’inspiegabilità scientifica di molti fenomeni. Sto parlando dei vari Odifreddi e compagnia bella, che, davanti all’insufficienza delle motivazioni che possano spingere verso l’ipotesi da loro formulata, scelgono due strade: o trasformare la probabilità in certezza, o falsificare e limitare i fatti registrati e documentati (almeno quelli “pericolosi”).
Ma allora a che serve il mondo fisico? Perché per molti cattolici, forse un po’ troppo retrogradi, la scienza è ancora un nemico e non invece una delle manifestazioni più belle del genio umano?
Il concilio ecumenico Vaticano II, al numero 36 della Gaudium et spes e al numero 3 della Dei Verbum parla del mondo creato come di “manifestazione di Dio” o di “perenne testimonianza di sé”.
Giovanni Paolo II, nell’enciclica Fides et Ratio (1998), si esprime così: “Viene quindi riconosciuto un primo stadio della rivelazione divina, costituito dal meraviglioso libro della natura, leggendo il quale, con gli strumenti propri della ragione umana, l’uomo può giungere alla conoscenza del Creatore” (n. 19).
Nel catechismo della chiesa cattolica è affermato: “La creazione è rivelata come il primo passo verso tale alleanza, come la prima e universale testimonianza dell’amore onnipotente di Dio” (n. 288).
È dunque possibile leggere nella creazione un primo livello della rivelazione divina, tale che, imparato il linguaggio usato, si possa scoprire tramite essa un aspetto del Creatore. Il magistero ci fornisce un’ulteriore immagine, attinta dai secoli di storia passata: la metafora del libro. Una figura usata già da Sant’Agostino e da diversi pensatori in epoca medievale: “Altri, per trovare Dio, leggono un libro. È un gran libro la stessa bellezza del creato: guarda, considera, leggi il mondo superiore e quello inferiore. Dio non ha tracciato con l’inchiostro lettere per mezzo delle quali tu lo potessi conoscere. Davanti ai tuoi occhi ha posto ciò che egli ha creato. Perché cerchi una voce più forte? Grida verso di te il cielo e la terra: «Io sono opera di Dio»” (S. Agostino, Discorsi II/1 (51-85) sul Nuovo Testamento).
Viene alla mente il libro a forma di rotolo al capitolo cinque dell’Apocalisse: un libro scritto all’esterno e all’interno, che solo l’Agnello immolato, Gesù Cristo, è in grado di aprire e di interpretare. Non è certamente intenzione dell’autore sacro parafrasare il creato con il libro apocalittico, ma tale immagine offre interessanti spunti. La natura può essere letta dall’esterno, nella sua fredda e nuda fisicità e già questo può lasciarci stupefatti per la varietà delle forme viventi e non. Ma l’uomo è chiamato a imparare a leggere anche dentro la natura, sul lato interno, nascosto, e lì potrà scoprire un messaggio nuovo e particolare di provvidenza e di amore, potrà imparare a conoscere meglio il suo Creatore. Il creato è allora “quasi un altro libro sacro le cui lettere sono rappresentate dalla moltitudine di creature presenti nell’universo”, come ebbe a dire Giovanni Paolo II nell’udienza generale del 30 gennaio 2002. E forse la lettera più importante è l’uomo.
Sono degni di nota due grandi pensatori che utilizzarono la metafora del libro: Galileo Galilei (1564-1642) e Giovanni Keplero (1571-1630). Il primo, dopo aver affermato la possibilità di conoscere Dio attraverso la natura, ricorda che il creato è un libro con lingua e caratteri speciali, che è necessario decifrare per riuscire a leggerlo. Addirittura Keplero è convinto che la rivelazione di Dio nel cosmo sia paritaria alla sua rivelazione nelle Sacre Scritture. Arriva a presentare gli astronomi come “sacerdoti del Dio altissimo”, il cui compito è rendere culto e lode a Dio, attraverso il loro studio.
In definitiva, il cosmo e la bibbia, se paragonati a due libri, rivelano avere lo stesso autore: il contenuto, la forma, lo stile se confrontati mettono in luce l’unica origine, la stessa mano, in virtù dei tanti, troppi legami che è impossibile non considerare.
Giovanni Paolo II spese tante parole per supplicare che fede e scienza ricominciassero a marciare assieme lungo le strade della conoscenza umana, tanto da dedicarci appunto un’enciclica, “Fede e Ragione”.
Molti scelgono purtroppo ancora “fede o ragione”, oppure addirittura “fede contro ragione”, anche tra le fila cattoliche.
Victor Hugo ebbe a dire che l’intelligenza cerca, ma è il cuore che trova.
Allontanare fede e ragione equivale a separare mente e cuore: nessuno dei due può sussistere equilibrato in assenza dell’altro.
Presentarsi come uomini di scienza non può significare voler spiegare tutto, così come un uomo di fede non può permettersi di usare il Dio “tappabuchi”, quello che entra in campo quando le risposte mancano. Se siamo tutti in ricerca della verità, ricordiamoci che senza onestà non si va da nessuna parte. Già qualcuno, giusto qualche annetto fa, sosteneva che il vero sapiente è colui che sa di non sapere; forse l’abbiamo lasciato in qualche scaffale polveroso delle nostre biblioteche…
FONTE
Capire la Santa Messa - Ultimo Appuntamento
10 anni fa
1 commenti: on "Fides et Ratio - Il parallelismo tra Fede e ragione"
Molto interessante e profondo. La natura è un libro aperto, e questo è innegabile. Vedere un albero con i suoi frutti, ad esempio, ci fa comprendere come Dio ama l'uomo perché ha provveduto a dargli da mangiare, mostrando la premura del Creatore verso la Sua creatura. Ecco perché è proprio vero che la natura ci fa conoscere un aspetto del Creatore come è scritto nell'articolo!
Grazie!
Posta un commento