domenica 17 aprile 2011

Il punto della settimana - Il processo breve

Carissimi, pur non volendo, siamo sempre costretti a parlare delle solite cose, nel nostro consueto appuntamento di analisi della settimana. Infatti, la scena politica italiana è largamente monopolizzata dall'ormai noto "processo breve" che, in realtà, per non offendere l'intelligenza, dovrebbe esser chiamato prescrizione breve. Tutto questo sta sottraendo tempo ed energia al Parlamento Italiano che, invece di occuparsi delle questioni di reale importanza, si blocca su provvedimenti chiaramente ad personas che non incidono nella vita quotidiana delle persone comuni. Quando abbiamo iniziato questo nostro percorso di conoscenza del mondo della politica, la prima cosa che abbiamo visto è stata il significato della politica: ed allora vedemmo come il significato pregnante di questa parola era perseguimento dell'interesse collettivo. L'attuale situazione politica italiana, invece, sembra aver smarrito tal significato considerando il numero considerevole di provvedimenti interessanti una stretta cerchia di soggetti, per lo più vicini al premier. 
Noi vorremmo vedere la politica occuparsi di temi cruciali come il lavoro e la sanità: perchè, ad esempio, invece della riforma della giustizia, nessuno parla di riforma della sanità? Il sistema sanitario sta infatti vivendo una situazione di dissesto economico che sta portando consequenzialmente alla chiusura di numerosi presidi ospedalieri, costringendo i pazienti a lunghi viaggi alla ricerca di un posto letto. E' vergognoso che un Paese civile e democratico, non sia in grado di fornire una vera assistenza sanitaria, in barba all'articolo 32 della Costituzione che richiama il principio di tutela della salute umana. Ecco di cosa abbiamo bisogno: la riforma della giustizia è sì importante (se fatta secondi criteri di riduzione dei tempi processuali e non dei tempi di prescrizione, il che è ben diverso), ma il popolo ha bisogno che siano rispettati i suoi diritti più essenziali: il diritto al lavoro e il diritto alla salute. Compito del governo deve essere quello di intervenire per la piena attuazione di questi diritti, garantendo il proprio sostegno per risolvere problemi difficili. Oggi, invece, vediamo sacrificati i nostri diritti sull'altare, ad esempio, del rispetto del patto di stabilità regionale: ma possiamo davvero pensare di ridurre la salute dei cittadini a mera voce del bilancio? Si può davvero pensare in questi termini la salute umana? O non si dovrebbe forse pensare ad una riforma che vada a garantire il diritto alla salute non in termini di costo, ma di servizio? Ci basterebbe anche vedere l'interesse della politica che invece è totalmente incentrato su come salvare Silvio Berlusconi non nel processo, ma dal processo e dall'eventuale sentenza di condanna. 
Ed ecco che torniamo al punto dolente del processo breve. Per concludere, vi lasciamo alle parole di Danilo Paolini, estratte da un articolo del quotidiano Avvenire ("Ma non chiamatelo «processo breve"):

Alzi la mano chi desidera un processo lungo, estenuante e spesso inconcludente come gran parte di quelli che si celebrano (o si trascinano) per anni nei tribunali italiani. Una legge sul «processo breve», ovvero un provvedimento che riuscisse davvero a garantire l’amministrazione della giustizia in tempi certi e ragionevoli, sarebbe perciò l’uovo di Colombo, oltre che la medicina più indicata per curare il male di cui soffre questo settore. Già, perché se si riuscisse a guardare l’Italia senza le lenti deformanti della partigianeria (ormai vero sport nazionale, al pari del calcio), si vedrebbe un Paese stritolato dalla "questione giudiziaria".

Con questa definizione non vanno intese, però, l’urgenza dell’attuale presidente del Consiglio di risolvere i suoi guai con taluni magistrati di Milano e la costanza (non priva di forzature procedurali, né, talvolta, perfino di venature d’astio) con la quale questi ultimi lo incalzano ormai da quasi vent’anni, bensì proprio la lentezza dei processi civili e penali. La stessa che ci procura continue condanne a Strasburgo per «irragionevole durata» delle cause. E che ci vede dietro a diversi Stati in via di sviluppo nella classifica mondiale dei luoghi dove occorre più tempo per recuperare un credito: 1.210 giorni, più di tre anni.

Sarebbe meglio chiedersi, infatti, a che cosa non servirà questa legge, per convenzione e sintesi giornalistica definita «sul processo breve». E la risposta è che, purtroppo, non servirà ad abbreviare i tempi dei processi. Come tutti i testi analoghi da cui è stata preceduta (approvati, come la legge Pinto del 2001 o la "ex-Cirielli" del 2005, oppure rimasti allo stadio di proposta, come quella del 2006 firmata anche dall’attuale capogruppo del Pd al Senato Anna Finocchiaro, allora nell’Ulivo, e ancor prima, nel 2004, da cinque suoi compagni di partito nei Ds, tra i quali l’attuale consigliere "laico" del Csm Guido Calvi) potrà soltanto prendere atto, di volta in volta, di un fallimento: quello di uno Stato che non riesce a garantire una sentenza definitiva in tempi ragionevoli. Ma questa è la radiografia del male, non la cura.
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