Continuiamo la lettura della nuova Enciclica di Papa Benedetto XVI "Caritas in veritate". Quest'enciclica è stata la terza del pontificato di Benedetto XVI e si sofferma su temi molto attuali, come la crisi economica e vari temi di natura sociale. La sua lettura è molto importante poiché rivolta non solo ai fedeli, ma a tutti gli uomini di buona volontà, mostrando come un vero sviluppo umano si può ottenere solo attraverso la carità e la verità, due valori imprescindibili per una società più giusta, sotto tutti i punti di vista, e la cui mancanza ha portato il mondo nell'attuale situazione di crisi e povertà.
Oggi ci troviamo un richiamo ad un'Enciclica di Paolo VI (che a breve affronteremo interamente) in quanto anch'essa si soffermò sulla questione sociale e sullo sviluppo dei popoli ritenuto da Benedetto XVI molto importante in quanto L'idea di un mondo senza sviluppo esprime sfiducia nell'uomo e in Dio:
CAPITOLO PRIMO
IL MESSAGGIO
DELLA POPULORUM PROGRESSIO
10. La rilettura della Populorum progressio, a oltre quarant'anni dalla pubblicazione, sollecita a rimanere fedeli al suo messaggio di carità e di verità, considerandolo nell'ambito dello specifico magistero di Paolo VI e, più in generale, dentro la tradizione della dottrina sociale della Chiesa. Sono poi da valutare i diversi termini in cui oggi, a differenza da allora, si pone il problema dello sviluppo. Il corretto punto di vista, dunque, è quello della Tradizione della fede apostolica [13], patrimonio antico e nuovo, fuori del quale la Populorum progressio sarebbe un documento senza radici e le questioni dello sviluppo si ridurrebbero unicamente a dati sociologici.
11. La pubblicazione della Populorum progressio avvenne immediatamente dopo la conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II. La stessa Enciclica segnala, nei primi paragrafi, il suo intimo rapporto con il Concilio [14]. Giovanni Paolo II, vent'anni dopo, nella Sollicitudo rei socialis sottolineava, a sua volta, il fecondo rapporto di quella Enciclica con il Concilio e, in particolare, con la Costituzione pastorale Gaudium et spes [15]. Anch'io desidero ricordare qui l'importanza del Concilio Vaticano II per l'Enciclica di Paolo VI e per tutto il successivo Magistero sociale dei Sommi Pontefici. Il Concilio approfondì quanto appartiene da sempre alla verità della fede, ossia che la Chiesa, essendo a servizio di Dio, è a servizio del mondo in termini di amore e di verità. Proprio da questa visione partiva Paolo VI per comunicarci due grandi verità. La prima è che tutta la Chiesa, in tutto il suo essere e il suo agire, quando annuncia, celebra e opera nella carità, è tesa a promuovere lo sviluppo integrale dell'uomo. Essa ha un ruolo pubblico che non si esaurisce nelle sue attività di assistenza o di educazione, ma rivela tutte le proprie energie a servizio della promozione dell'uomo e della fraternità universale quando può valersi di un regime di libertà. In non pochi casi tale libertà è impedita da divieti e da persecuzioni o è anche limitata quando la presenza pubblica della Chiesa viene ridotta unicamente alle sue attività caritative. La seconda verità è che l'autentico sviluppo dell'uomo riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione [16]. Senza la prospettiva di una vita eterna, il progresso umano in questo mondo rimane privo di respiro. Chiuso dentro la storia, esso è esposto al rischio di ridursi al solo incremento dell'avere; l'umanità perde così il coraggio di essere disponibile per i beni più alti, per le grandi e disinteressate iniziative sollecitate dalla carità universale. L'uomo non si sviluppa con le sole proprie forze, né lo sviluppo gli può essere semplicemente dato dall'esterno. Lungo la storia, spesso si è ritenuto che la creazione di istituzioni fosse sufficiente a garantire all'umanità il soddisfacimento del diritto allo sviluppo. Purtroppo, si è riposta un'eccessiva fiducia in tali istituzioni, quasi che esse potessero conseguire l'obiettivo desiderato in maniera automatica. In realtà, le istituzioni da sole non bastano, perché lo sviluppo umano integrale è anzitutto vocazione e, quindi, comporta una libera e solidale assunzione di responsabilità da parte di tutti. Un tale sviluppo richiede, inoltre, una visione trascendente della persona, ha bisogno di Dio: senza di Lui lo sviluppo o viene negato o viene affidato unicamente alle mani dell'uomo, che cade nella presunzione dell'auto-salvezza e finisce per promuovere uno sviluppo disumanizzato. D'altronde, solo l'incontro con Dio permette di non “vedere nell'altro sempre soltanto l'altro” [17], ma di riconoscere in lui l'immagine divina, giungendo così a scoprire veramente l'altro e a maturare un amore che “diventa cura dell'altro e per l'altro”[18].
12. Il legame tra la Populorum progressio e il Concilio Vaticano II non rappresenta una cesura tra il Magistero sociale di Paolo VI e quello dei Pontefici suoi predecessori, dato che il Concilio costituisce un approfondimento di tale magistero nella continuità della vita della Chiesa [19]. In questo senso, non contribuiscono a fare chiarezza certe astratte suddivisioni della dottrina sociale della Chiesa che applicano all'insegnamento sociale pontificio categorie ad esso estranee. Non ci sono due tipologie di dottrina sociale, una preconciliare e una postconciliare, diverse tra loro, ma un unico insegnamento, coerente e nello stesso tempo sempre nuovo [20]. È giusto rilevare le peculiarità dell'una o dell'altra Enciclica, dell'insegnamento dell'uno o dell'altro Pontefice, mai però perdendo di vista la coerenza dell'intero corpus dottrinale [21]. Coerenza non significa chiusura in un sistema, quanto piuttosto fedeltà dinamica a una luce ricevuta. La dottrina sociale della Chiesa illumina con una luce che non muta i problemi sempre nuovi che emergono [22]. Ciò salvaguarda il carattere sia permanente che storico di questo « patrimonio » dottrinale [23] che, con le sue specifiche caratteristiche, fa parte della Tradizione sempre vitale della Chiesa [24]. La dottrina sociale è costruita sopra il fondamento trasmesso dagli Apostoli ai Padri della Chiesa e poi accolto e approfondito dai grandi Dottori cristiani. Tale dottrina si rifà in definitiva all'Uomo nuovo, all'« ultimo Adamo che divenne spirito datore di vita » (1 Cor 15,45) e che è principio della carità che « non avrà mai fine » (1 Cor 13,8). È testimoniata dai Santi e da quanti hanno dato la vita per Cristo Salvatore nel campo della giustizia e della pace. In essa si esprime il compito profetico dei Sommi Pontefici di guidare apostolicamente la Chiesa di Cristo e di discernere le nuove esigenze dell'evangelizzazione. Per queste ragioni, la Populorum progressio, inserita nella grande corrente della Tradizione, è in grado di parlare ancora a noi, oggi.
13. Oltre al suo importante legame con l'intera dottrina sociale della Chiesa, la Populorum progressio è strettamente connessa con il magistero complessivo di Paolo VI e, in particolare, con il suo magistero sociale. Il suo fu certo un insegnamento sociale di grande rilevanza: egli ribadì l'imprescindibile importanza del Vangelo per la costruzione della società secondo libertà e giustizia, nella prospettiva ideale e storica di una civiltà animata dall'amore. Paolo VI comprese chiaramente come la questione sociale fosse diventata mondiale [25] e colse il richiamo reciproco tra la spinta all'unificazione dell'umanità e l'ideale cristiano di un'unica famiglia dei popoli, solidale nella comune fraternità. Indicò nello sviluppo, umanamente e cristianamente inteso, il cuore del messaggio sociale cristiano e propose la carità cristiana come principale forza a servizio dello sviluppo. Mosso dal desiderio di rendere l'amore di Cristo pienamente visibile all'uomo contemporaneo, Paolo VI affrontò con fermezza importanti questioni etiche, senza cedere alle debolezze culturali del suo tempo.
14. Con la Lettera apostolica Octogesima adveniens del 1971, Paolo VI trattò poi il tema del senso della politica e del pericolo costituito da visioni utopistiche e ideologiche che ne pregiudicavano la qualità etica e umana. Sono argomenti strettamente collegati con lo sviluppo. Purtroppo le ideologie negative fioriscono in continuazione. Dall'ideologia tecnocratica, particolarmente radicata oggi, Paolo VI aveva già messo in guardia [26], consapevole del grande pericolo di affidare l'intero processo dello sviluppo alla sola tecnica, perché in tal modo rimarrebbe senza orientamento. La tecnica, presa in se stessa, è ambivalente. Se da un lato, oggi, vi è chi propende ad affidarle interamente detto processo di sviluppo, dall'altro si assiste all'insorgenza di ideologie che negano in toto l'utilità stessa dello sviluppo, ritenuto radicalmente anti-umano e portatore solo di degradazione. Così, si finisce per condannare non solo il modo distorto e ingiusto con cui gli uomini talvolta orientano il progresso, ma le stesse scoperte scientifiche, che, se ben usate, costituiscono invece un'opportunità di crescita per tutti. L'idea di un mondo senza sviluppo esprime sfiducia nell'uomo e in Dio. È, quindi, un grave errore disprezzare le capacità umane di controllare le distorsioni dello sviluppo o addirittura ignorare che l'uomo è costitutivamente proteso verso l'« essere di più ». Assolutizzare ideologicamente il progresso tecnico oppure vagheggiare l'utopia di un'umanità tornata all'originario stato di natura sono due modi opposti per separare il progresso dalla sua valutazione morale e, quindi, dalla nostra responsabilità.
Capire la Santa Messa - Ultimo Appuntamento
10 anni fa
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