martedì 14 dicembre 2010

Le parole dalla vita

Un nuovo colpo ai sostenitori dell'eutanasia è venuto negli scorsi giorni, quando un uomo è momentaneamente uscito dal suo stato comatoso. SI tratta solo di una piccola chimera, però la speranza è che ben presto si possano ottenere nuovi risultati in grado di sostenere la vita, anche quando tutto sembra disperato. Il fatto è che nessuno può pensare di poter porre fine alla vita di un uomo e quanto accaduto dimostra come un uomo resta comunque cerebralmente attivo e che in seguito potrebbe anche uscire dallo stato comatoso per riabbracciare la vita. Vi abbiamo mostrato il caso di un uomo tornato a vivere dopo tale esperienza e oggi vediamo più in dettaglio il caso in questione e le ripercussioni che esso può avere sulle teorie scientifiche e sui pensieri degli uomini:

È tornato vigile per sei ore, durante le quali ha interagito con i medici mostrando di comprenderne le indicazioni, e ha portato alla bocca un bicchiere d’acqua, per poi ricadere nello stato di “minima coscienza”, una condizione di disabilità gravissima successiva allo stato vegetativo in cui si trovava da cinque anni, dopo un’emorragia cerebrale.
È la vicenda di un uomo di settant’anni, entrato in una sperimentazione all’ospedale San Camillo di Venezia nella quale si esaminano gli effetti di un trattamento chiamato “stimolazione magnetica transcranica”: si tratta di uno studio guidato dal neurologo Leontino Battistin, di concerto con i Dipartimenti di Neuroscienze delle Università di Verona e Padova. L’evento, unico nel suo genere finora, è stato pubblicato nella rivista scientifica internazionale “Neurorehabilitation and Neural Repair”.

Un singolo caso non permette di generalizzare alcunché, e non deve in nessun modo alimentare illusioni pericolose nei confronti dei familiari di persone che si trovano in questo stato. Fatti come quello accaduto a Venezia devono piuttosto incoraggiare la ricerca in questa direzione: è evidente che, con l’avvento delle neuroscienze e delle nuove tecnologie connesse, che consentono di sondare zone e funzioni cerebrali finora inesplorate, emerge in tutta evidenza quanto siano ancora misteriosi quello stato particolare che chiamiamo “coma”, insieme alle sue evoluzioni.
Persone uscite dal coma, ma che apparentemente non hanno conservato capacità di comunicazione con l'ambiente circostante, mostrano invece che, opportunamente “interrogate” o stimolate con nuove metodiche, sono ancora capaci di mettersi, in qualche modo, in relazione con chi li circonda. Dai primi esperimenti di Owen nel 2002 alle recenti osservazioni di Steven Laureys e collaboratori, condotti utilizzando tecniche di risonanza magnetica funzionale, fino al recente caso italiano appena descritto: sono sempre più numerose le evidenze di attività cerebrali insospettate, in pazienti giudicati oramai “irrecuperabili” dal punto di vista medico, la cui esistenza, per molti, è considerata una non-vita. Coma, stato vegetativo, minima coscienza, locked-in: parole che fanno paura, perché significano una situazione di disabilità estrema, di dipendenza totale da chi vive accanto, di incapacità totale di movimento e di parola. Parole ed espressioni con cui tanti di noi hanno familiarizzato solamente con l'irruzione della tragica vicenda di Eluana Englaro nel dibattito pubblico, quando la domanda più ricorrente era se valesse veramente la pena vivere così o se invece fosse meglio farla finita.
Sicuramente nessuno si augura di vivere esperienze come queste. Ma nessuno si augurerebbe neppure di avere altre terribili malattie, o di vivere tante altre situazioni di sofferenza e difficoltà, non solo fisica e materiale, ma anche psicologica: chi è in grado di misurare il dolore della perdita di un figlio, di una madre, di un compagno, della fine di un legame affettivo, di un matrimonio? Chi è in grado di stabilire cosa è più o meno sopportabile?

L'esperienza di persone che hanno vissuto in condizioni come quella di Eluana, i loro racconti e quelli dei loro familiari ed amici, ci dicono altro. Chi si è preso cura di queste persone ci dice che, accanto al grande dolore per la situazione dei loro cari, e alle difficoltà quotidiane, c'è, sostanzialmente, tanta voglia di vivere, ci sono una tenacia e una forza d'animo spesso sorprendenti.

È una vita diversa e misteriosa, quella di tante persone che dopo essere uscite dal coma rimangono in condizioni come lo stato vegetativo e di minima coscienza. Una vita che però, per bocca di tanti familiari, chiede di essere innanzitutto rispettata come lo è quella di ogni essere umano, e poi sostenuta, aiutata, accompagnata. È una vita che forse, in un futuro più o meno lontano, la scienza potrebbe aiutare a far tornare più simile a quella che tutti noi viviamo come normale, magari proseguendo ricerche come questa italiana.

Ricerche e studi che potranno andare avanti e svilupparsi, su cui qualcuno vorrà investire risorse umane ed economiche, solo se c'è la convinzione che quelle in stato vegetativo siano persone, e persone vive, a tutti gli effetti.

Assuntina Morresi 
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