giovedì 2 dicembre 2010

Discorso del Cardinal Bertone in seno all'OSCE

Davanti ai 56 capi di Stato o di governo dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) riuniti nella capitale kazaka Astana, il segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone, rilegge i dieci principi dell’Atto finale di Helsinki: la “Magna Charta” scritta nel 1975 per costruire – da «Vancouver a Vladivostok» – una pace basata sulla cooperazione degli individui e il rispetto di alcuni imperativi etici. (Avvenire).
Pubblichiamo il testo integrale del discorso del Cardinal Bertone che si sofferma sulla necessità che sia riconosciuta libertà religiosa perchè essa è compatibile anche con diversi sistemi sociali: questo alla luce della marginalizzazione del cristianesimo e di una, a volte velata, discriminazione dei cattolici, in alcuni ambienti:

Signor Presidente,

Eccellenze,

1. Desidererei innanzitutto esprimere la mia gratitudine al Presidente del Kazakhstan per la gentile e cordiale accoglienza riservata a tutte le Autorità, in occasione di questo Incontro al Vertice dei Capi di Stato o di Governo dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa – il primo del ventunesimo secolo. Grazie anche per la squisita ospitalità, testimoniata in molti modi! La mia gratitudine va inoltre alle Autorità amministrative del Kazakhstan, come pure a quanti hanno preparato la riunione e ne hanno curato i dettagli organizzativi: a tutti e a ciascuno va l’espressione della più viva riconoscenza da parte della Santa Sede.

Un particolare ringraziamento va tributato alla Presidenza in esercizio kazaca, che con perseveranza e grande impegno è riuscita a convincere gli Stati partecipanti dell’utilità di questo passo e che con il suo lavoro instancabile ha creato i presupposti perché esso possa favorire decisioni politiche importanti per l’Organizzazione.

2. Il Kazakhstan è un Paese carico di secoli di storia, che sa quanto la pace sia importante e urgente! Per conformazione geografica, esso è Terra di confine e di incontro. Qui, in queste sconfinate steppe, si sono incontrati e continuano a incontrarsi pacificamente uomini e donne appartenenti ad etnie, culture e religioni diverse. Non posso non ricordare le parole del grande pensatore e poeta kazaco Abai Kunanbai: «L’umanità ha come principio l’amore e la giustizia, esse sono il coronamento dell’opera dell’Altissimo» (I detti, cap. 45).

In un certo senso, tali principi dell’amore e della giustizia stanno alla base dell’Atto Finale di Helsinki, di cui ricorre quest’anno il trentacinquesimo anniversario. Il suo Documento Finale è uno degli strumenti più significativi del dialogo internazionale. I trentacinque Paesi firmatari raggiunsero infatti un accordo fondamentale; la pace non è assicurata solo quando le armi tacciono; è piuttosto il risultato della cooperazione degli individui da una parte e delle società stesse dall’altra, ed è anche il risultato del rispetto di alcuni imperativi etici.

I famosi «dieci principi» che aprono il Documento Finale costituiscono la base sulla quale i popoli d’Europa, che sono stati per anni vittime di guerre e divisioni, hanno voluto consolidare e preservare la pace, in modo tale da permettere alle generazioni future di vivere nell’armonia e nella sicurezza. Gli autori del documento finale hanno compreso chiaramente che la pace sarebbe molto precaria senza una cooperazione proficua tra le nazioni e tra i singoli, senza una migliore qualità della vita e senza la promozione dei valori che essi hanno in comune.

Signor Presidente!

3. Quanto sono attuali tali «dieci principi»! Non v’è dubbio infatti che, accanto agli innegabili progressi conseguiti, esistono settori in cui l’affievolirsi della reciproca fiducia tra Stati partecipanti ha impedito il raggiungimento di obiettivi più ambiziosi. È su questi settori che devono concentrarsi gli sforzi del Vertice per offrire precise indicazioni sulle quali sviluppare le attività dell’OSCE nel 2011 e negli anni a venire.

Per quanto attiene alla prima dimensione, quella politico-militare, non possiamo che felicitarci del fatto che, negli oltre dieci anni trascorsi dall’ultimo Vertice di Istanbul, le minacce tradizionali alla sicurezza che avevano caratterizzato gli anni precedenti si siano indebolite, in quanto efficacemente contrastate dall’attuazione di importanti strumenti sul Controllo degli Armamenti e sulle Misure di Fiducia e di Sicurezza.

Tuttavia, la situazione degli armamenti (forze in campo, dottrine di impiego, organizzazione e nuove tecnologie degli armamenti) è evoluta ed è quindi appropriato che questo Vertice ne prenda atto, impegnando gli Stati partecipanti a negoziare migliorie ed aggiornamenti degli strumenti esistenti e ad idearne, se del caso, di nuovi. Ci riferiamo naturalmente alla rivitalizzazione del Trattato sulle Forze Convenzionali in Europa (CFE), ad un completo riesame del Documento di Vienna 1999 e, perché no, ad eventuali sviluppi del Codice di Condotta sugli aspetti politico-militari della Sicurezza.

Un importante lavoro propedeutico in questa direzione è stato compiuto dal Foro per la Cooperazione in materia di Sicurezza (FSC) sotto la competente guida delle varie Presidenze che si sono succedute, da ultimo quella dell’Irlanda, alle quali va tutto il nostro plauso. Questo ci rende ottimisti per ulteriori progressi.

Altrettanto, se non maggiore impulso, devono ricevere gli sforzi atti a risolvere i conflitti protratti che, pur nella loro dimensione localizzata, rappresentano una grave minaccia alla sicurezza ed alla stabilità dell’intera area OSCE.

Vanno anche affinate le potenzialità dell’Organizzazione, limitatamente ai settori in cui essa può fornire un originale contributo, nella lotta alle minacce rappresentate dal terrorismo. Do atto al Segretariato degli sforzi che sta compiendo al riguardo tramite le sue Unità specializzate e concordo sull’opportunità di un più stretto coordinamento.

Auspico infine che ricevano ulteriore sostegno quelle attività che, in maniera più immediata, incidono sulla sicurezza dei cittadini, quali l’eliminazione della minaccia rappresentata dalle Armi Leggere e di Piccolo Calibro (SALW) e dai Depositi di Munizioni Convenzionali (SCA), la lotta alle Armi di Distruzione di Massa (WMD) e la tutela dell’ambiente cibernetico.

Signor Presidente!

4. L’Atto Finale di Helsinki ha riconosciuto anche l’importanza dei fattori economici e ambientali per la pace, la sicurezza e la cooperazione.

Al riguardo, la Santa Sede non cessa di ribadire che obiettivo comune degli Stati dovrebbe essere la tutela e il rispetto della dignità umana che unisce l’intera famiglia umana, un’unità radicata nei quattro principi fondamentali della centralità della persona umana, della solidarietà, della sussidiarietà e del bene comune. Questi principi sono più che consoni al concetto comprensivo della sicurezza che è alla base della nostra Organizzazione e costituiscono un continuo richiamo di cui deve farsi carico la comunità politica.

Papa Benedetto XVI nella sua ultima Enciclica Caritas in veritate afferma: «La grande sfida che abbiamo davanti a noi, fatta emergere dalle problematiche dello sviluppo in questo tempo di globalizzazione e resa ancor più esigente dalla crisi economico-finanziaria, è di mostrare, a livello sia di pensiero sia di comportamenti, che non solo i tradizionali principi dell’etica sociale, quali la trasparenza, l’onestà e la responsabilità non possono venire trascurati o attenuati, ma anche che nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica. Ciò è un’esigenza dell’uomo nel momento attuale, ma anche un’esigenza della stessa ragione economica. Si tratta di una esigenza ad un tempo della carità e della verità» (N. 36).

Infatti, proprio la crisi economico-finanziaria ha mostrato l’importanza della dimensione etica per il settore economico-ambientale e la necessità di non trascurare i principi di solidarietà, di gratuità e della logica del dono anche nelle relazioni interstatali, per poter realizzare pace e sicurezza eque, giuste e durature. La Santa Sede ritiene che sia urgente introdurre una logica che metta la persona umana e, in particolare, la famiglia e le persone bisognose, come centro e fine dell’economia.

Il Vertice ci offre un’opportunità unica per affrontare le sfide odierne alla pace ed alla sicurezza, causate anche dai problemi economici e ambientali, e per riaffermare un approccio integrato all’attuazione di tutti i diritti dell’uomo, inclusi quelli economici e sociali. Vorrei qui richiamare il principio di solidarietà fra i popoli, essenziale per il progresso economico e sociale. La solidarietà implica anche l’impegno degli Stati a sviluppare la cooperazione, al fine di migliorare il benessere dei popoli e di contribuire al soddisfacimento delle loro aspirazioni. I vantaggi delle realizzazioni in campo economico, scientifico, tecnico, sociale, culturale e umanitario contribuiranno alla creazione di condizioni favorevoli per rendere tali vantaggi accessibili a tutti attraverso la riduzione dei divari nei livelli di sviluppo economico.

Un campo particolare in cui l’OSCE potrebbe intensificare le sue attività è quello della cooperazione tecnica e scientifica con la facilitazione del trasferimento delle tecnologie e del know-how nel campo dei trasporti, della gestione delle frontiere, della sicurezza energetica e di quella cibernetica.

Nel campo ambientale non può mancare un’attenzione all’acqua - una necessità fondamentale per la vita. Ad ogni essere umano dovrebbe essere assicurata la disponibilità di una sufficiente quantità di acqua di adeguata qualità. Una maggiore disponibilità di acqua significa più cibo, meno fame, salute migliore ed un generale stimolo ad uno sviluppo sostenibile.

La Santa Sede sostiene anche altri temi di cui tradizionalmente si occupa l’OSCE, inter alia, la promozione del buon governo, la lotta alla corruzione, la sicurezza e l’efficacia dei trasporti, la prevenzione delle catastrofi naturali, causate dall’uomo e dalla natura stessa, come anche la gestione dei flussi migratori, con un’attenzione particolare ai diritti dei migranti e delle loro famiglie.

Specialmente in questo tempo di crisi economica c’è la tendenza a dimenticare i diritti dei migranti. Dobbiamo ricordare, in ogni caso, che tutti gli esseri umani, senza alcuna eccezione, inclusi i migranti, sono dotati di diritti inalienabili che non possono, né essere violati, né tanto meno ignorati. Lo status di migrante non cancella la sua dignità umana. Inoltre, gli Stati devono agire in modo tale da assicurare ai lavoratori migranti legalmente residenti un giusto impiego e la sicurezza sociale. In riferimento ai diritti del migrante non possiamo dimenticare la famiglia. Essa ha un valore fondamentale nella costruzione di una qualsiasi società. La Santa Sede sottolinea, in particolar modo, il diritto di riunificare le famiglie, che gli Stati partecipanti si sono impegnati a facilitare nell’Atto Finale di Helsinki, nel Documento di Madrid del 1983 e nel Documento Finale di Vienna del 1989.

Signor Presidente!

5. Le discussioni alla base del Processo di Corfù hanno posto l’accento sul fatto che, nell’acquis che l’OSCE si è costruita negli anni, sono contenuti impegni di grande portata in favore della difesa delle libertà fondamentali e dei diritti umani, del diritto allo sviluppo umano integrale e del sostegno alla legge internazionale e delle istituzioni globali. La CSCE e l’OSCE hanno sempre avuto nelle loro rispettive agende la promozione e la protezione dei diritti umani. È la dignità della persona umana che motiva il desiderio della nostra Organizzazione a lavorare per la realizzazione effettiva di tutti i diritti umani.

Tra queste libertà fondamentali vi è il diritto alla libertà religiosa. Essa è divenuta un tema ricorrente nel contesto degli affari internazionali. Il problema è divenuto parte della cultura del nostro tempo, poiché i nostri contemporanei hanno imparato molto dagli eccessi del passato, e hanno capito che credere in Dio, praticando la religione e unendosi agli altri nell’esprimere la propria fede, non è una concessione elargita dallo Stato, ma un vero diritto fondato nella dignità stessa della persona umana. La libertà religiosa protegge la dimensione trascendentale dell’essere umano ed esprime il suo diritto di cercare Dio e di relazionarsi con Lui, sia come individuo, sia come comunità di credenti.

Gli sviluppi di questi ultimi anni e i progressi fatti nella stesura dei vari testi emanati dall’OSCE dimostrano, sempre più chiaramente, che la libertà religiosa può esistere in differenti sistemi sociali. Purtroppo, si nota una "crescente marginalizzazione della religione, in particolare del Cristianesimo, che sta prendendo piede in alcuni ambiti, anche in nazioni che attribuiscono alla tolleranza un grande valore" (Discorso del Santo Padre alla società britannica, Westminster Hall, 17 settembre 2010)." L’idea della religione come forma di alienazione è smentita dalla costatazione che i credenti rappresentano un asse fondamentale a favore del bene comune.

La vita religiosa, quale fattore importante per la vita sociale e culturale dei Paesi, non è minacciata solo da restrizioni vessatorie, ma anche dal relativismo e da un falso secolarismo, che esclude la religione dalla vita pubblica. Ecco perché è di vitale importanza per i credenti partecipare liberamente al dibattito pubblico per presentare così una visione del mondo ispirata dalla loro fede. In questo modo essi contribuiscono alla crescita morale della società in cui vivono. Gli Stati partecipanti dell’OSCE hanno sempre più acquisito la consapevolezza che un franco confronto di idee e di convinzioni è condizione indispensabile per il loro sviluppo globale. Per questa ragione la zona da «Vancouver a Vladivostok» può a buon diritto aspettarsi dalle religioni un efficace contributo alla coesione sociale, alla sicurezza e alla pace.

Strettamente correlata alla libertà religiosa, laddove essa viene negata, si trovano l’intolleranza e la discriminazione a causa di motivi religiosi, in special modo quelle contro i Cristiani. È ampiamente documentato che i Cristiani sono il gruppo religioso maggiormente perseguitato e discriminato. Oltre 200 milioni di essi, appartenenti a confessioni diverse, si trovano in situazioni di difficoltà a causa di strutture legali e culturali.

La comunità internazionale deve combattere l’intolleranza e la discriminazione contro i Cristiani con la stessa determinazione con cui lotta contro l’odio nei confronti di membri di altre comunità religiose. E gli Stati partecipanti all’OSCE si sono impegnati a farlo. Nelle discussioni durante la Tavola Rotonda del marzo del 2009 è emerso chiaramente che l’intolleranza e la discriminazione contro i Cristiani si manifestano sotto forme diverse all’interno dell’intera area dell’OSCE. In alcuni Paesi esistono ancora leggi intolleranti e discriminatorie, decisioni e comportamenti, azioni e omissioni che negano questa libertà. Si registrano episodi ricorrenti di violenza e perfino assassinii di Cristiani. Restrizioni eccessive rimangono nei confronti della registrazione di Chiese e comunità religiose, come anche contro l’importazione e la distribuzione del loro materiale religioso. Ci sono anche interferenze illegittime nel campo della loro autonomia a livello organizzativo, che impediscono di agire in maniera coerente con le convinzioni morali. Talvolta viene esercitata una pressione eccessiva su persone impiegate nella pubblica amministrazione che ledono il diritto di seguire i dettami della propria coscienza con chiari segni di resistenza contro il riconoscimento del ruolo pubblico della religione L’educazione civica è carente nel rispettare l’identità e i principi dei Cristiani e dei membri di altre religioni. Neppure i mezzi di comunicazione e i discorsi pubblici sono sempre liberi da atteggiamenti d’intolleranza e, a volte, da vere denigrazioni nei confronti dei Cristiani e di membri di altre religioni. L’OSCE dovrebbe, quindi, sviluppare proposte effettive per combattere dette ingiustizie.

Signor Presidente,

La Santa Sede è stata sempre consapevole della gravità del crimine del traffico di esseri umani, una forma moderna di schiavitù. Proprio oggi ricorre la Giornata Mondiale per l’Abolizione della Schiavitù.

Tutti gli sforzi volti ad affrontare le attività criminali e a proteggere le vittime del traffico dovrebbero includere uomini e donne e porre i diritti umani al centro di tutte le strategie. Questo stesso approccio dovrebbe essere applicato ad altre forme di traffico, come le forme illecite di subappalto che traggono profitto da condizioni di lavoro basate sullo sfruttamento.

Il traffico di esseri umani è un problema pluridimensionale, sovente legato alla migrazione, ma va ben al di là dell’industria del sesso, comprendendo anche il lavoro forzato di uomini, donne e bambini in vari settori industriali e commerciali. Se da una parte il lavoro coatto è collegato alla discriminazione, alla povertà, agli usi locali, alla mancanza di terra e all’analfabetismo della vittima, dall’altra ha un nesso con il lavoro flessibile e a buon mercato. Le diverse forme di traffico richiedono misure e approcci distinti, volti a ridare dignità alle vittime.

Per prevenire il traffico di esseri umani oggigiorno si fa spesso ricorso a politiche d’immigrazione più severe, a maggiori controlli alle frontiere e alla lotta al crimine organizzato. Tuttavia, fin quando le vittime che sono state rimpatriate si ritrovano nelle stesse condizioni da cui hanno cercato scampo, il traffico non si interromperà facilmente. Quindi le iniziative anti-traffico devono mirare anche a sviluppare ed offrire possibilità concrete per sfuggire appunto al ciclo povertà-abuso-sfruttamento. Come affermato da Papa Benedetto XVI, nella sua Enciclica Spe salvi: «La misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società» (N. 38).

Signor Presidente,

6. La Dichiarazione Finale del Vertice, come anche il Piano di Azione, attestano l’attualità dei "dieci principi" di Helsinki. Questi documenti rivelano al mondo che gli impegni concordati dell’OSCE sono forti e nobili, sono supportati da un solido mandato e dal principio del consenso. La Santa Sede riafferma questi impegni e incoraggia l’Organizzazione a rimanere ferma su di essi.

Mi sia permesso, Signor Presidente, concludere il mio intervento citando le parole di Papa Giovanni Paolo II in occasione della sua Visita Pastorale in Finlandia nel 1989. Rivolgendosi ai componenti dell’Associazione Paasikivi, disse: «Nel nobile compito di portare a termine il processo di Helsinki la Chiesa cattolica non mancherà di essere accanto a voi, al vostro fianco, in quel modo discreto che caratterizza la sua missione religiosa. Essa è infatti convinta della validità dell’ideale incarnato qui quattordici anni fa in un documento che per milioni di Europei è più di un documento finale: è un "atto di speranza!"».

Che l’Incontro al Vertice di Astana sia anche un «atto di speranza» per la nostra generazione!

La ringrazio, Signor Presidente!


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