mercoledì 22 dicembre 2010

Carità e Verità: Caritas in Veritate - III

Continuiamo la lettura della nuova Enciclica di Papa Benedetto XVI "Caritas in veritate". Quest'enciclica è stata la terza del pontificato di Benedetto XVI e si sofferma su temi molto attuali, come la crisi economica e vari temi di natura sociale. La sua lettura è molto importante poiché rivolta non solo ai fedeli, ma a tutti gli uomini di buona volontà, mostrando come un vero sviluppo umano si può ottenere solo attraverso la carità e la verità, due valori imprescindibili per una società più giusta, sotto tutti i punti di vista, e la cui mancanza ha portato il mondo nell'attuale situazione di crisi e povertà.
Oggi continuiamo a vedere il richiamo alla Populorum progressio di Paolo VI e vediamo come l'analisi si concentri sulle cause del sottosviluppo di alcuni popoli, derivante in larga parte dalla mancanza di fraternità tra i popolo e dalla mancanza di vera carità: in effetti, nonostante i numerosi proclami in favore del Terzo Mondo, manca una vera presa di coscienza dei problemi di questo mondo così distante, in quanto manca la carità. I governi pensano che aprire il portafoglio serva a sentirsi a posto con la coscienza, soprattutto dinanzi all'opinione pubblica: ma la carità non significa far cadere soldi a pioggia. Carità significa entrare nella realtà di chi è in difficoltà e cercare di capire cosa sia fattibile per poter ridurre quella difficoltà (nel caso in questione, bisognerebbe capire come ridurre il sottosviluppo e come aiutare le popolazioni in difficoltà):


15. Altri due documenti di Paolo VI non strettamente connessi con la dottrina sociale — l'Enciclica Humanae vitae, del 25 luglio 1968, e l'Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, dell'8 dicembre 1975 — sono molto importanti per delineare il senso pienamente umano dello sviluppo proposto dalla Chiesa. È quindi opportuno leggere anche questi testi in relazione con la Populorum progressio.

L'Enciclica Humanae vitae sottolinea il significato insieme unitivo e procreativo della sessualità, ponendo così a fondamento della società la coppia degli sposi, uomo e donna, che si accolgono reciprocamente nella distinzione e nella complementarità; una coppia, dunque, aperta alla vita [27]. Non si tratta di morale meramente individuale: la Humanae vitae indica i forti legami esistenti tra etica della vita ed etica sociale, inaugurando una tematica magisteriale che ha via via preso corpo in vari documenti, da ultimo nell'Enciclica Evangelium vitae di Giovanni Paolo II [28]. La Chiesa propone con forza questo collegamento tra etica della vita e etica sociale nella consapevolezza che non può “avere solide basi una società che — mentre afferma valori quali la dignità della persona, la giustizia e la pace — si contraddice radicalmente accettando e tollerando le più diverse forme di disistima e violazione della vita umana, soprattutto se debole ed emarginata” [29].

L'Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, per parte sua, ha un rapporto molto intenso con lo sviluppo, in quanto « l'evangelizzazione — scriveva Paolo VI — non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello, che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale, dell'uomo » [30]. « Tra evangelizzazione e promozione umana — sviluppo, liberazione — ci sono infatti dei legami profondi » [31]: partendo da questa consapevolezza, Paolo VI poneva in modo chiaro il rapporto tra l'annuncio di Cristo e la promozione della persona nella società. La testimonianza della carità di Cristo attraverso opere di giustizia, pace e sviluppo fa parte della evangelizzazione, perché a Gesù Cristo, che ci ama, sta a cuore tutto l'uomo. Su questi importanti insegnamenti si fonda l'aspetto missionario [32] della dottrina sociale della Chiesa come elemento essenziale di evangelizzazione [33]. La dottrina sociale della Chiesa è annuncio e testimonianza di fede. È strumento e luogo imprescindibile di educazione ad essa.

16. Nella Populorum progressio, Paolo VI ha voluto dirci, prima di tutto, che il progresso è, nella sua scaturigine e nella sua essenza, una vocazione: « Nel disegno di Dio, ogni uomo è chiamato a uno sviluppo, perché ogni vita è vocazione » [34]. È proprio questo fatto a legittimare l'intervento della Chiesa nelle problematiche dello sviluppo. Se esso riguardasse solo aspetti tecnici della vita dell'uomo, e non il senso del suo camminare nella storia assieme agli altri suoi fratelli né l'individuazione della meta di tale cammino, la Chiesa non avrebbe titolo per parlarne. Paolo VI, come già Leone XIII nella Rerum novarum [35], era consapevole di assolvere un dovere proprio del suo ufficio proiettando la luce del Vangelo sulle questioni sociali del suo tempo [36].

Dire che lo sviluppo è vocazione equivale a riconoscere, da una parte, che esso nasce da un appello trascendente e, dall'altra, che è incapace di darsi da sé il proprio significato ultimo. Non senza motivo la parola « vocazione » ricorre anche in un altro passo dell'Enciclica, ove si afferma: « Non vi è dunque umanesimo vero se non aperto verso l'Assoluto, nel riconoscimento d'una vocazione, che offre l'idea vera della vita umana » [37]. Questa visione dello sviluppo è il cuore della Populorum progressio e motiva tutte le riflessioni di Paolo VI sulla libertà, sulla verità e sulla carità nello sviluppo. È anche la ragione principale per cui quell'Enciclica è ancora attuale ai nostri giorni.

17. La vocazione è un appello che richiede una risposta libera e responsabile. Lo sviluppo umano integrale suppone la libertà responsabile della persona e dei popoli: nessuna struttura può garantire tale sviluppo al di fuori e al di sopra della responsabilità umana. I « messianismi carichi di promesse, ma fabbricatori di illusioni » [38] fondano sempre le proprie proposte sulla negazione della dimensione trascendente dello sviluppo, nella sicurezza di averlo tutto a propria disposizione. Questa falsa sicurezza si tramuta in debolezza, perché comporta l'asservimento dell'uomo ridotto a mezzo per lo sviluppo, mentre l'umiltà di chi accoglie una vocazione si trasforma in vera autonomia, perché rende libera la persona. Paolo VI non ha dubbi che ostacoli e condizionamenti frenino lo sviluppo, ma è anche certo che « ciascuno rimane, qualunque siano le influenze che si esercitano su di lui, l'artefice della sua riuscita o del suo fallimento » [39]. Questa libertà riguarda lo sviluppo che abbiamo davanti a noi ma, contemporaneamente, riguarda anche le situazioni di sottosviluppo, che non sono frutto del caso o di una necessità storica, ma dipendono dalla responsabilità umana. È per questo che « i popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell'opulenza » [40]. Anche questo è vocazione, un appello rivolto da uomini liberi a uomini liberi per una comune assunzione di responsabilità. Fu viva in Paolo VI la percezione dell'importanza delle strutture economiche e delle istituzioni, ma altrettanto chiara fu in lui la percezione della loro natura di strumenti della libertà umana. Solo se libero, lo sviluppo può essere integralmente umano; solo in un regime di libertà responsabile esso può crescere in maniera adeguata.

18. Oltre a richiedere la libertà, lo sviluppo umano integrale come vocazione esige anche che se ne rispetti la verità. La vocazione al progresso spinge gli uomini a « fare, conoscere e avere di più, per essere di più » [41]. Ma ecco il problema: che cosa significa « essere di più »? Alla domanda Paolo VI risponde indicando la connotazione essenziale dell'« autentico sviluppo »: esso « deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l'uomo » [42]. Nella concorrenza tra le varie visioni dell'uomo, che vengono proposte nella società di oggi ancor più che in quella di Paolo VI, la visione cristiana ha la peculiarità di affermare e giustificare il valore incondizionato della persona umana e il senso della sua crescita. La vocazione cristiana allo sviluppo aiuta a perseguire la promozione di tutti gli uomini e di tutto l'uomo. Scriveva Paolo VI: « Ciò che conta per noi è l'uomo, ogni uomo, ogni gruppo d'uomini, fino a comprendere l'umanità tutta intera » [43]. La fede cristiana si occupa dello sviluppo non contando su privilegi o su posizioni di potere e neppure sui meriti dei cristiani, che pure ci sono stati e ci sono anche oggi accanto a naturali limiti [44], ma solo su Cristo, al Quale va riferita ogni autentica vocazione allo sviluppo umano integrale. Il Vangelo è elemento fondamentale dello sviluppo, perché in esso Cristo, « rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo » [45]. Ammaestrata dal suo Signore, la Chiesa scruta i segni dei tempi e li interpreta ed offre al mondo « ciò che possiede in proprio: una visione globale dell'uomo e dell'umanità » [46]. Proprio perché Dio pronuncia il più grande « sì » all'uomo [47], l'uomo non può fare a meno di aprirsi alla vocazione divina per realizzare il proprio sviluppo. La verità dello sviluppo consiste nella sua integralità: se non è di tutto l'uomo e di ogni uomo, lo sviluppo non è vero sviluppo. Questo è il messaggio centrale della Populorum progressio, valido oggi e sempre. Lo sviluppo umano integrale sul piano naturale, risposta a una vocazione di Dio creatore [48], domanda il proprio inveramento in un « umanesimo trascendente, che ... conferisce [all'uomo] la sua più grande pienezza: questa è la finalità suprema dello sviluppo personale » [49]. La vocazione cristiana a tale sviluppo riguarda dunque sia il piano naturale sia quello soprannaturale; motivo per cui, « quando Dio viene eclissato, la nostra capacità di riconoscere l'ordine naturale, lo scopo e il “bene” comincia a svanire » [50].

19. Infine, la visione dello sviluppo come vocazione comporta la centralità in esso della carità. Paolo VI nell'Enciclica Populorum progressio osservava che le cause del sottosviluppo non sono primariamente di ordine materiale. Egli ci invitava a ricercarle in altre dimensioni dell'uomo. Nella volontà, prima di tutto, che spesso disattende i doveri della solidarietà. Nel pensiero, in secondo luogo, che non sempre sa orientare convenientemente il volere. Per questo, nel perseguimento dello sviluppo, servono « uomini di pensiero capaci di riflessione profonda, votati alla ricerca d'un umanesimo nuovo, che permetta all'uomo moderno di ritrovare se stesso » [51]. Ma non è tutto. Il sottosviluppo ha una causa ancora più importante della carenza di pensiero: è « la mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli » [52]. Questa fraternità, gli uomini potranno mai ottenerla da soli? La società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli. La ragione, da sola, è in grado di cogliere l'uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità. Questa ha origine da una vocazione trascendente di Dio Padre, che ci ha amati per primo, insegnandoci per mezzo del Figlio che cosa sia la carità fraterna. Paolo VI, presentando i vari livelli del processo di sviluppo dell'uomo, poneva al vertice, dopo aver menzionato la fede, « l'unità nella carità del Cristo che ci chiama tutti a partecipare in qualità di figli alla vita del Dio vivente, Padre di tutti gli uomini » [53].

20. Queste prospettive, aperte dalla Populorum progressio, rimangono fondamentali per dare respiro e orientamento al nostro impegno per lo sviluppo dei popoli. La Populorum progressio, poi, sottolinea ripetutamente l'urgenza delle riforme [54] e chiede che davanti ai grandi problemi dell'ingiustizia nello sviluppo dei popoli si agisca con coraggio e senza indugio. Questa urgenza è dettata anche dalla carità nella verità. È la carità di Cristo che ci spinge: « caritas Christi urget nos » (2 Cor 5,14). L'urgenza è inscritta non solo nelle cose, non deriva soltanto dall'incalzare degli avvenimenti e dei problemi, ma anche dalla stessa posta in palio: la realizzazione di un'autentica fraternità. La rilevanza di questo obiettivo è tale da esigere la nostra apertura a capirlo fino in fondo e a mobilitarci in concreto con il « cuore », per far evolvere gli attuali processi economici e sociali verso esiti pienamente umani.


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