mercoledì 5 gennaio 2011

Carità e Verità: Caritas in Veritate - V

Continuiamo la lettura della nuova Enciclica di Papa Benedetto XVI "Caritas in veritate". Quest'enciclica è stata la terza del pontificato di Benedetto XVI e si sofferma su temi molto attuali, come la crisi economica e vari temi di natura sociale. La sua lettura è molto importante poiché rivolta non solo ai fedeli, ma a tutti gli uomini di buona volontà, mostrando come un vero sviluppo umano si può ottenere solo attraverso la carità e la verità, due valori imprescindibili per una società più giusta, sotto tutti i punti di vista, e la cui mancanza ha portato il mondo nell'attuale situazione di crisi e povertà:

23. Molte aree del pianeta, oggi, seppure in modo problematico e non omogeneo, si sono evolute, entrando nel novero delle grandi potenze destinate a giocare ruoli importanti nel futuro. Va tuttavia sottolineato come non sia sufficiente progredire solo da un punto di vista economico e tecnologico. Bisogna che lo sviluppo sia anzitutto vero e integrale. L'uscita dall'arretratezza economica, un dato in sé positivo, non risolve la complessa problematica della promozione dell'uomo, né per i Paesi protagonisti di questi avanzamenti, né per i Paesi economicamente già sviluppati, né per quelli ancora poveri, i quali possono soffrire, oltre che delle vecchie forme di sfruttamento, anche delle conseguenze negative derivanti da una crescita contrassegnata da distorsioni e squilibri.

Dopo il crollo dei sistemi economici e politici dei Paesi comunisti dell'Europa orientale e la fine dei cosiddetti “blocchi contrapposti”, sarebbe stato necessario un complessivo ripensamento dello sviluppo. Lo aveva chiesto Giovanni Paolo II, il quale nel 1987 aveva indicato l'esistenza di questi “blocchi” come una delle principali cause del sottosviluppo [57], in quanto la politica sottraeva risorse all'economia e alla cultura e l'ideologia inibiva la libertà. Nel 1991, dopo gli avvenimenti del 1989, egli chiese anche che, alla fine dei “blocchi”, corrispondesse una riprogettazione globale dello sviluppo, non solo in quei Paesi, ma anche in Occidente e in quelle parti del mondo che andavano evolvendosi [58]. Questo è avvenuto solo in parte e continua ad essere un reale dovere al quale occorre dare soddisfazione, magari profittando proprio delle scelte necessarie a superare gli attuali problemi economici.

24. Il mondo che Paolo VI aveva davanti a sé, benché il processo di socializzazione fosse già avanzato così che egli poteva parlare di una questione sociale divenuta mondiale, era ancora molto meno integrato di quello odierno. Attività economica e funzione politica si svolgevano in gran parte dentro lo stesso ambito spaziale e potevano quindi fare reciproco affidamento. L'attività produttiva avveniva prevalentemente all'interno dei confini nazionali e gli investimenti finanziari avevano una circolazione piuttosto limitata all'estero, sicché la politica di molti Stati poteva ancora fissare le priorità dell'economia e, in qualche modo, governarne l'andamento con gli strumenti di cui ancora disponeva. Per questo motivo la Populorum progressio assegnava un compito centrale, anche se non esclusivo, ai « poteri pubblici » [59].

Nella nostra epoca, lo Stato si trova nella situazione di dover far fronte alle limitazioni che alla sua sovranità frappone il nuovo contesto economico-commerciale e finanziario internazionale, contraddistinto anche da una crescente mobilità dei capitali finanziari e dei mezzi di produzione materiali ed immateriali. Questo nuovo contesto ha modificato il potere politico degli Stati.

Oggi, facendo anche tesoro della lezione che ci viene dalla crisi economica in atto che vede i pubblici poteri dello Stato impegnati direttamente a correggere errori e disfunzioni, sembra più realistica una rinnovata valutazione del loro ruolo e del loro potere, che vanno saggiamente riconsiderati e rivalutati in modo che siano in grado, anche attraverso nuove modalità di esercizio, di far fronte alle sfide del mondo odierno. Con un meglio calibrato ruolo dei pubblici poteri, è prevedibile che si rafforzino quelle nuove forme di partecipazione alla politica nazionale e internazionale che si realizzano attraverso l'azione delle Organizzazioni operanti nella società civile; in tale direzione è auspicabile che crescano un'attenzione e una partecipazione più sentite alla res publica da parte dei cittadini.



Continuiamo a vedere come Benedetto XVI centri il problema reale costituito da uno sviluppo economico-tecnologico che ha portato conseguenze nefaste su molti aspetti sociali, soprattutto nei Paesi poveri che, in qualche modo, si sono ulteriormente impoveriti. Il problema è che a questo sviluppo forte e rapido non è seguito un altrettanto rapido sviluppo della società la quale è rimasta per lo più inerte nel vedere il mondo restringersi globalmente. Molte realtà medio-piccole hanno dovuto fare i conti con la globalizzazione selvaggia che ha inasprito la concorrenza sul mercato e gli stessi operai hanno visto perdere il loro potere contrattuale, ormai sempre più risicato e soggiogato da un ricatto morale (come dimostra la vicenda Fiat).
L'altro punto delicato, su cui si concentra l'attenzione del Papa, è giustamente quello relativo al ruolo dei poteri pubblici. L'ingresso in Europa ha costato anche una certa limitazione di svranità in campo economico e questo ha comportato l'impossibilità o una maggior difficoltà nel concedere aiuti economici alle imprese in difficoltà. In più, la globalizzazione ha comportato un restringimento notevole del potere statale che non è in grado di impedire ad un'impresa di trasferire la propria sede in un Paese che presenta un costo del lavoro notevolmente più basso. Ci troviamo dunque in una situazione difficile, di perenne ricatto, che non sembra avere via d'uscita a breve termine. Ecco perchè c'è bisogno, come dice Benedetto XVI, di una partecipazione attiva di tutti noi al mantenimento della res publica poiché altrimenti ci troveremo schiacciati dal peso di una crisi che si prospetta sempre più ardua da superare. Il tempo della delega ai pubblici poteri sta finendo poiché i governi non sono più in grado di assicurare interventi in ogni settore: per questo c'è bisogno di alzarsi le maniche e lavorare non solo per sé stessi, ma anche per gli altri affinché si trovi una soluzione in grado di ridare al sistema quell'equilibrio perduto a causa dello sviluppo selvaggio dell'ultimo decennio.


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