martedì 18 gennaio 2011

Il poeta amico di Giovanni Paolo II

 Marek Skwarnicki da una foto di  Mariusz Kubik
Oggi leggiamo un'intervista di Luigi Geninazzi, di Avvenire, ad un amico di Karol Wojtyla. Un amico di vecchia data, tanto da esser considerato «il poeta amico di Giovanni Paolo II». Quest'amicizia è nata addirittura nel lontano 1958 e si è protratta lungo tutto il corso della vita di Wojtyla, con un numero di corrispondenze pari a 127 lettere! Il nome di quest'uomo che ha anche subito la prigionia nel lager nazista, è  Marek Skwarnicki ed è anche giornalista, scrittore e romanziere di successo.
Vediamo dunque la sua reazione alla bellissima notizia della beatificazione: 

Qual è stata la sua prima reazione alla notizia?

Guardi, come tanti altri che hanno conosciuto Wojtyla da vicino, anch’io non ho mai avuto dubbi sulla sua santità. Ma adesso è diverso: la decisione di Benedetto XVI di proclamare beato il suo predecessore non è semplicemente un atto formale, è un evento spirituale che coinvolge la Chiesa ed entra nelle viscere del mio essere credente. Ripenso alla mia lunga amicizia con Karol e la vedo sotto una luce diversa, mi sento in uno stato di grazia tutto particolare.

Cosa intende dire?

Gli ho voluto bene e lui mi ricambiava con generosità ed affetto. I nostri colloqui non erano mai superficiali. Ho sempre considerato Wojtyla un fratello maggiore, anzi un padre. Ed ora capisco: tramite l’amicizia con lui sono stato introdotto all’autentico "sensus Ecclesiae", all’esperienza quotidiana della fede come incontro.

C’è un ricordo particolare che in questo momento sovrasta tutti gli altri?

È un ricordo buffo. Stamattina, camminando lungo la via Franciszkanska dove ha sede l’arcivescovado, m’è venuto in mente quella volta che mi recai dal cardinale Wojtyla con una grande agitazione addosso. Era il 1965, avevo ricevuto una lettera dal Vaticano con cui venivo nominato membro del Ponticio Consiglio per i laici, senza mai essere stato informato prima. Chiesi spiegazione ed il cardinale allargò le braccia: «Scusami tanto, mi sono dimenticato di dirtelo!». Poi mi spiegò: «Ci vuole uno che vada a Roma per sfatare quella sciocca idea di "Chiesa del silenzio" che in Occidente hanno sui cattolici dell’Est Europa». Non è un caso che, pochi giorni dopo la sua elezione a pontefice, disse: «Non c’è più la Chiesa del silenzio, adesso parla tramite il Papa!».

Lei ha collaborato alla stesura dell’ultima fatica letteraria di Papa Wojtyla, il "Trittico Romano", un poemetto pubblicato nel 2003...

A dire il vero io ho solo fatto un lavoro redazionale, assemblando i suoi testi. Lì si svela il suo lato mistico oltre che poetico. Giovanni Paolo II si sentiva vicino alla fine, era sul punto di vedere in faccia Dio ed il Trittico romano parla di questa sua esperienza.

Immagino che più d’una volta l’abbia visto pregare nella sua cappella privata in Vaticano...

Sì. Sono sempre rimasto colpito dalla sua capacità di estraniarsi da tutto, con naturalezza, e di entrare in profondo ed intimo contatto con Dio. Ricordo la sua visita a Fatima nel 1982: davanti alla statua della Vergine il suo volto cambiò aspetto, rimase come in estasi. Poi pianse, come un bambino davanti alla madre.

Com’è stato il suo ultimo incontro con Giovanni Paolo II?

Fu pochi mesi prima della sua morte. Già faceva molta fatica a parlare. Mi disse solo: Marek, Marek! Poi mi accarezzò la guancia. Intuii che era il suo addio. Ma lo sento ogni giorno sempre più vicino. E adesso che verrà proclamato beato molti mi dicono scherzando che, come amico del Papa, ho già un biglietto d’ingresso libero in Paradiso. Fosse vero!
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