lunedì 3 gennaio 2011

Costruiamo la pace e non il conflitto

Nel proseguire il racconto dei terribili eventi che stanno mettendo a serio rischio l'incolumità dei nostri fratelli cristiani nelle terre medio-orientali, ci sembra opportuno dar risalto ad una parte dell'omelia pronunciata dal nostro Papa Benedetto XVI, durante la celebrazione dello scorso 1 gennaio:

È nel nome di Maria, madre di Dio e degli uomini, che dal 1° gennaio 1968 si celebra in tutto il mondo la Giornata Mondiale della Pace. La pace è dono di Dio, come abbiamo ascoltato nella prima lettura: “Il Signore … ti conceda pace” (Nm 6,26). Essa è il dono messianico per eccellenza, il primo frutto della carità che Gesù ci ha donato, è la nostra riconciliazione e pacificazione con Dio. La pace è anche un valore umano da realizzare sul piano sociale e politico, ma affonda le sue radici nel mistero di Cristo (cfr Conc. Vat. II, Cost. Gaudium et spes, 77-90). In questa solenne celebrazione, in occasione della quarantaquattresima Giornata Mondiale della Pace, sono lieto di rivolgere il mio deferente saluto agli illustri Signori Ambasciatori presso la Santa Sede, con i migliori voti augurali per la loro missione. Un cordiale e fraterno saluto va, poi, al mio Segretario di Stato ed agli altri Responsabili dei Dicasteri della Curia Romana, con un particolare pensiero per il Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e i suoi collaboratori. Desidero manifestare loro viva riconoscenza per il quotidiano impegno a favore di una pacifica convivenza tra i popoli e della formazione sempre più solida di una coscienza di pace nella Chiesa e nel mondo. In questa prospettiva, la comunità ecclesiale è sempre più impegnata ad operare, secondo le indicazioni del Magistero, per offrire un sicuro patrimonio spirituale di valori e di principi nella continua ricerca della pace.

L’ho voluto ricordare nel mio Messaggio per l’odierna Giornata, dal titolo “Libertà religiosa, via per la pace”: “Il mondo ha bisogno di Dio. Ha bisogno di valori etici e spirituali, universali e condivisi, e la religione può offrire un contributo prezioso nella loro ricerca, per la costruzione di un ordine sociale e internazionale giusto e pacifico” (n. 15). Ho sottolineato, pertanto, che “la libertà religiosa è elemento imprescindibile di uno Stato di diritto; non la si può negare senza intaccare nel contempo tutti i diritti e le libertà fondamentali, essendone sintesi e vertice” (n. 5).

L’umanità non può mostrarsi rassegnata alla forza negativa dell’egoismo e della violenza; non deve fare l’abitudine a conflitti che provocano vittime e mettono a rischio il futuro dei popoli. Di fronte alle minacciose tensioni del momento, di fronte specialmente alle discriminazioni, ai soprusi e alle intolleranze religiose, che oggi colpiscono in modo particolare i cristiani (cfr ibid., 1), ancora una volta rivolgo il pressante invito a non cedere allo sconforto e alla rassegnazione. Esorto tutti a pregare affinché giungano a buon fine gli sforzi intrapresi da più parti per promuovere e costruire la pace nel mondo. Per questo difficile compito non bastano le parole, occorre l’impegno concreto e costante dei responsabili delle Nazioni, ma è necessario soprattutto che ogni persona sia animata dall’autentico spirito di pace, da implorare sempre nuovamente nella preghiera e da vivere nelle relazioni quotidiane, in ogni ambiente.


Carissimi, abbiamo ritenuto giusto rivedere queste parole perchè sono un giusto invito alla ricerca e alla costruzione della pace. Non dobbiamo dimenticarci che la pace non è qualcosa di scontato, che viene all'improvviso: la pace è un processo evolutivo, un progetto di costruzione comune a tutti gli esseri umani. Per questo, ognuno di noi, ha la possibilità di inserire un tassello in questa costruzione: a volte, basta un atto di misericordia per contribuire in maniera egregia a questo processo evolutivo che, purtroppo, non si può mai dire di aver raggiunto una volta per tutte.

Fintantoché ci saranno uomini egoisti, uomini malati di odio e disprezzo degli esseri umani diversi per ragioni di razza, sesso, orientamento religioso o politico, non potremo mai dire di aver raggiunto il nostro obiettivo. Però è importante evitare di rispondere con la forza alle provocazioni perchè così si alimenta un processo di divisione ce è già in atto: è difficile non vedere che dietro tutto questo si cela l'ombra di una volontà di scontro religioso. Ancora una volta, si vuole usare Dio per giustificare guerre, rivoluzioni e battaglie. Ecco perchè dobbiamo sganciarci da questa realtà e già noi possiamo compiere un passo in tal senso: basta semplicemente non prendersela con il musulmano vicino di casa che è estraneo a tutto questo.
Ieri, vedendo le immagini da Alessandria, non abbiamo potuto che provare rammarico, per i nostri fratelli cristiani: essi hanno risposto usando violenza, attaccando un imam che aveva provocato gli animi intervenendo contro le parole del Papa tacciate come ingerenza. Comprendiamo le ragioni dell'esasperazione cristiana, ma siamo sicuri che questo non è ciò che vogliono gli autori di questi attentati? Rispondendo alla violenza con violenza non si va da nessuna parte se non al conflitto. Allora cerchiamo mezzi pacifici di risoluzione delle controversie, magari attraverso una maggior responsabilizzazione dei vertici istituzionali che possono e che devono intervenire per evitare di ricadere in una nuova epoca buia della storia della nostra religione e della nostra società civile. 

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