giovedì 27 gennaio 2011

La piaga della mafia - Riflessioni di Paolo Borsellino

 Nel nostro appuntamento settimanale contro la mafia, torniamo a parlare di Paolo Borsellino. Abbiamo visto la sua storia, abbiamo visto il suo coraggio e la forza dell'esempio che egli rappresenta. Ma è giusto ascoltare i suoi insegnamenti, ascoltare le parole dettate dall'esperienza vissuta. I suoi discorsi sono tutti di grande importanza, alcuni anche profetici. In particolar modo, basti pensare ai discorsi sulle collusioni tra mafia e politica. Proprio su questo ci soffermeremo settimana prossima mentre oggi ci limitiamo a leggere alcune osservazioni e riflessioni storiche che hanno dato l'impulso a quella rivoluzione socio-culturale, soprattutto giovanile, ancora in atto. Nonostante questo, però, la situazione è ancora difficile perchè l'omertà è pressante, le collusioni sempre più diffuse e la mafia sempre più silenziosa. Speriamo che l'eco di queste parole possa sortire l'effetto di una maggior partecipazione a questo processo rivoluzionario a cui si spera, possa partecipare anche lo Stato, oltre i proclami e le propagande: 


“Se la gioventù le negherà il consenso anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo”.
“Davanti alle difficoltà non bisogna arrendersi. Al contrario devono stimolarci a fare sempre di più e meglio, a superare gli ostacoli per raggiungere i risultati che ci siamo prefissati”.
“Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare”.
“La lotta alla mafia deve essere un movimento culturale e morale che coinvolga tutti, specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità, quindi complicità”.
“La paura è normale che ci sia, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, sennò diventa un ostacolo che ti impedisce di andare avanti”.
“Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”. “È bello morire per ciò in cui si crede. Chi ha paura muore ogni giorno, chi ha coraggio muore una volta sola”.
"Ti dico solo che loro possono uccidere il mio corpo fisico e di questo sono ben cosciente. Ma sono ancora più cosciente che non potranno mai uccidere le mie idee e tutto ciò in cui credo! Si erano illusi che uccidendo il mio amico Giovanni, avrebbero anche ucciso le sue idee e quel gran patrimonio di valori che stava dietro a lui. Ma si sono sbagliati, perché il mio amico Giovanni tutto ciò che amava e onorava, lo amava così profondamente da legarselo nel suo animo, rendendolo dunque immortale”.

“Devo fare in fretta perché adesso tocca a me”.

“I giovani e la mafia? È un problema di cultura, non in senso restrittivo e puramente nozionistico, ma come insieme di conoscenze che contribuiscono alla crescita della persona. Fra queste conoscenze vi sono quei sentimenti, quelle sensazioni che la cultura crea e che ci fanno diventare cittadini, apprendendo quelle nozioni che ci aiutano a identificarci nelle Istituzioni fondamentali della vita associativa e a riconoscerci in essa”.

“Purtroppo i giudici possono agire solo in parte nella lotta alla mafia. Se la mafia è un Istituzione antistato che attira consensi perché ritenuta più efficace dello Stato, è compito della scuola rovesciare questo processo perverso formando giovani alla cultura dello Stato e delle Istituzioni”.

“Sono ottimista perché vedo che verso di essa (la mafia, ndr) i giovani, siciliani e no, hanno oggi una attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai quarantanni. Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di reagire di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta”.
“La maggior parte della gente rispetta le leggi dello Stato non perché le tema, non perché tema la sanzione penale o civile che sia, lo fa perché ritiene che sia giusto non uccidere o non sorpassare in curva. E se così non fosse, cioè se la gente rispettasse le leggi solo perché le teme, non basterebbero tanti carabinieri per il numero di persone che ci sono nel nostro paese; la maggior parte di noi rispetta le leggi perché SENTE il dovere di osservarle”.
“Tanto più il cittadino si sente parte integrante dello Stato, con tutte le sue ramificazioni di Regione, Comune e Provincia, tanto più sente il dovere di rispettare le leggi”.
“Questo è ciò che accaduto storicamente nel Meridione d’Italia, dove il cittadino si è sentito estraneo allo Stato; non ha sentito l’impulso istintivo a rispettare le leggi. Ciò è accaduto principalmente nelle tre grandi regioni del sud: Campania, Calabria e Sicilia, dove si è venuta a creare una vera e propria disaffezione verso lo Stato e le sue leggi”.
“Questo è il motivo della nascita delle grandi organizzazioni criminali che conosciamo come Camorra e Mafia.”. “Perché?”
“Perché ci sono i bisogni che il cittadino chiede, quelli economici, quelli sociali, i bisogni di sicurezza, che il cittadino chiede gli siano assicurati dalla Stato in tutte le sue articolazioni regionali, comunali e provinciali; quando il cittadino non si identifica più nello Stato, quando non ha più fiducia in quest’ultimo, cerca di trovare dei surrogati. L’errore è pensare che la mafiaabbia colmato il mancato sviluppo economico di queste parti disagiate del paese, quindi sbagliamo se crediamo di risolvere il problema inviando più risorse economiche in quelle zone. Lo Stato ha sì il dovere di sostenere le zone con ampie sacche di disoccupazione, di emarginazione e di miseria, ma se non capterà la fiducia dei cittadini sull’imparziale ed equa distribuzione delle risorse, le organizzazioni sfrutteranno questo profluvio di risorse per meglio lucrare. L’esempio è che quando in Sicilia arrivano delle risorse dallo Stato centrale, la prima cosa che si pensa è che queste verranno spartite dalla mafia”.
“Se queste sono le ragioni di fondo della nascita e dello sviluppo della mafia, non illudiamoci che le azioni giudiziarie da sole, possano fare piazza pulita dell’intero fenomeno. Potermo prendere questo o quel capo-mafia potremo accertarne la colpevolezza, ma se non andremo a fondo nel problema,alla radice, la mafia si ripresenterà sempre più forte di prima: abbiamo tutti assistito al grande clamore intorno al maxiprocesso di Paleremo, ma finito quello, eravamo punto e a capo”.
“Quando un’azione è soltanto giudiziaria e repressiva, ma non incide sulle cause del fenomeno è chiaro che non è efficace”.
“Vi è stata una delega totale ed inammissibile nei confronti della magistratura e della forze dell’ordine ad occuparsi essi solo del problema della mafia. Lo Stato non ha fatto nulla per creare le condizioni per una migliore amministrazione , per esempio, della giustizia civile, alla quale il cittadino si rivolge per piccoli fatti o piccole cause civili; un processo civile dura non meno di dieci anni”.
“Infine c’è l’equivoco di fondo: si dice che quel politico era vicino alla mafia, che quel politico era stato accusato di avere interessi convergenti con la mafia, però la magistratura, non potendone accertare le prove, non l’ha condannato, ergo quell’uomo è onesto. …e no!”
“Quanti di voi conoscono qualcuno che seppure mai condannato sanno che non è uomo onesto?”
“Questo discorso non va, perché la magistratura può fare solo un accertamento giudiziale, può dire, beh, ci sono sospetti, sospetti anche gravi, ma io non ho le prove e la certezza giuridica per dire che quest’uomo è un mafioso”:
“Però i consigli comunali, regionali e provinciali avrebbero dovuto trarne le dovute conseguenze da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, considerando il politico tal dei tali inaffidabile nella gestione della cosa pubblica”.
“Ci si è nascosti dietro lo schema della sentenza, cioè quest’uomo non è stato condannato quindi non è un mafioso, quindi è un uomo onesto!” “Questo dovrebbe spingere i partiti a fare pulizia al proprio interno”.


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