mercoledì 19 gennaio 2011

Il Papa vicino ai genitori che hanno perso i propri figli

Chi ha perso una persona cara, specie giovane in famiglia, può comprendere la sofferenza di tante mamme e tanti papà, di tanti giovani che han perso i loro fratelli o sorelle.


Papa Benedetto nell'Udienza Generale del mercoledì (che potrete leggere domani in Il post del giorno n.d.r.) si rivolge proprio ai genitori che han perso i figli. Seguiranno alle parole del Papa una bellissima testimonianza occasione di riflessione di un padre francescano fondatore dell'Associazione "Figli in paradiso: ali tra cielo e terra".


Il seguente articolo è tratto dal sito italiano di Radio Vaticana:


Benedetto XVI ai genitori che hanno perso figli: la sofferenza si trasformi in speranza con l'aiuto di Maria


Al termine dell’udienza generale il Papa ha salutato i membri dell’Associazione “Figli in paradiso: ali tra cielo e terra”, che riunisce i genitori colpiti dalla morte, spesso tragica, dei figli. Ce ne parla Sergio Centofanti.

Il saluto del Papa all’Associazione è affettuoso, forte l’invito ai genitori: 

“Non lasciatevi vincere dalla disperazione o dall’abbattimento, ma trasformate la vostra sofferenza in speranza, come Maria ai piedi della Croce”.

Calda la raccomandazione ai giovani:

“Nell’esuberanza dei vostri anni giovanili, non mancate di calcolare i rischi e agite in ogni momento con prudenza e senso di responsabilità, specialmente quando siete alla guida di un autoveicolo, a tutela della vostra vita e di quella altrui”. 

Il Papa incoraggia i sacerdoti che accompagnano spiritualmente le famiglie colpite dalla perdita di figli a proseguire generosamente in questo importante servizio. Quindi, assicura una speciale preghiera di suffragio per tutti i giovani che hanno perso la vita: 

“Sentite accanto a voi la loro spirituale presenza: essi, come voi dite, sono ‘ali tra cielo e terra’”.

L’Associazione “Figli in Paradiso” è stata fondata dal padre francescano Angelo De Padova, a partire da una dolorosa esperienza personale: la morte improvvisa del fratello. Ascoltiamo padre Angelo al microfono di Rosario Tronnolone:
R. – Vedendo i miei genitori distruggersi, dividersi, non reagire più mi sono detto: “Qualcosa bisogna fare!”. E così, pian piano ho iniziato a celebrare la Messa per due giovani ragazze morte in un incidente, nel 2004. Vedevo le mamme distrutte e dissi: preghiamo insieme ogni mese per queste vostre figlie. Pian piano ho visto la chiesa riempirsi di altre mamme che cercavano un punto di riferimento nella fede, nella preghiera. E così, in sei anni abbiamo creato 20 gruppi in 20 Paesi in cui i parroci sono impegnati a celebrare la Messa per i ragazzi, e molti gruppi fanno anche il cammino di mutuo-aiuto per l’elaborazione del lutto. Oltre alla fede c’è bisogno anche di un luogo, dove esprimere i sentimenti, le emozioni … Alle persone in lutto a volte si dice: “non ti preoccupare, vai avanti, fatti coraggio, hai altri figli, so come ti senti”. Ma le mamme soffrono a sentire queste frasi, perché non sono vere, sono frasi di circostanza, sono frasi fatte. E allora abbiamo creato questi gruppi dove le mamme si sentono accolte e non giudicate da nessuno. Non più “poveretta, poverina”, ma in uno stesso luogo, lo stesso dolore trasformarlo poi in amore.

D. – Come si trasforma questo dolore in qualcosa di positivo?

R. - Attraverso opere di carità, attraverso progetti di missioni all’estero, costruzioni di scuole materne in Africa, adozioni a distanza oppure volontariato nella Caritas, nel catechismo … Occorre investire il dolore in qualcosa di positivo, e questo grande dolore – prima o poi – avrà il suo frutto. Io sono anche cappellano in un ospedale. Quando c’è un intervento chirurgico, c’è sempre il drenaggio per fare uscire tutto quello che c’è di “brutto” dentro; se non c’è il drenaggio, arriva l’infezione. Così è anche per il dolore: se non si fa uscire, il dolore, ci si ammala nella mente, nel corpo, nella psiche. Si ammala tutta la famiglia, perché poi il papà e la mamma si chiudono, gli altri fratelli dicono: “non ho perso soltanto un fratello, ho perso anche una mamma e un papà, non mi pensano più, non mi parlano più, non cucinano più” … e così si ammala la famiglia e si ammala la società, pian piano, perché la famiglia è la cellula fondamentale della società. Quindi, con la preghiera e con i gruppi di mutuo aiuto cerchiamo di sanare questa grave ferita. Da una ferita può sempre nascere qualcosa di positivo. Nelle strutture vecchie, antiche, dalle crepe nei muri esce sempre un filo d’erba: così anche nella morte di un figlio dobbiamo trovare il positivo. E’ difficile, ma è possibile: attraverso Gesù e attraverso un cammino di comunione tra di noi. (gf)

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