domenica 16 gennaio 2011

Giornata del migrante e del rifugiato: Una sola famiglia umana

Oggi la Chiesa celebra la 97.ma Giornata del migrante e del rifugiato e per meglio partecipare con il cuore a questo giorno nel quale siamo chiamati a riflettere sulla fratellanza che deve intercorrere tra i popoli, leggiamo l'intervista di Fabio Colagrande all'arcivescovo Antonio Maria Vegliò e una testimonianza di una donna peruviana migrata in Italia con la sua famiglia. I testi sono tratti dal sito italiano di Radiovaticana:



R. - Secondo dati recenti forniti dalle Nazioni Unite, i migranti in situazione di regolarità oggi nel mondo sono circa 214 milioni. Si stima che altri 15-20 milioni siano gli irregolari. A questi dobbiamo aggiungere almeno 15 milioni di rifugiati, mentre le persone sfollate all’interno dello stesso Paese (quelle che convenzionalmente sono definite come Internally Displaced Persons), soprattutto per violazioni di diritti umani, si aggirano attorno ai 27 milioni. Le regioni da cui maggiormente partono le persone in movimento sono senza dubbio quelle dell’Africa subsahariana, quelle del Medio Oriente e tutto il Sudest asiatico, ma anche molti Paesi dell’America Latina: insomma, quasi tutti i Paesi del mondo sono toccati da questo fenomeno, come zone di origine, di destinazione o di transito dei flussi di mobilità umana. Le cause sono le più svariate. A livello locale o nazionale: la ricerca di un futuro migliore, la povertà, la disoccupazione, le crisi economiche e politiche, i conflitti politici e sociali, la fame e le guerre. A livello mondiale, invece, vorrei ricordare soprattutto lo squilibrio economico internazionale, il degrado ambientale, la violazione dei diritti umani l’assenza di pace e di sicurezza.


D. - Dinanzi a questo scenario, quali sono le situazioni che maggiormente preoccupano la Chiesa e, in particolar modo, il Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti?


R. - Ormai da settimane seguiamo con apprensione la sorte di diversi migranti di nazionalità eritrea, etiope, somala e sudanese sottoposti a violenze, torture e continue estorsioni da parte di bande di predoni in Egitto e nei Paesi limitrofi. Qui vi è anche un collegamento fra i trafficanti e il crimine organizzato che gestisce il "mercato nero" di organi umani. Situazioni di grande sofferenza vi sono anche in Costa d’Avorio e in Sudan, costringendo migliaia di persone alla fuga dai loro Paesi, mentre i Paesi ricchi del mondo disputano una guerra fredda ed economica per accaparrarsi le risorse dell’Africa. Poi, continua il calvario dei profughi iracheni immigrati in Nord Europa, dove le autorità rimpatriano forzatamente i richiedenti asilo, le cui le domande vengono rifiutate. Così sta succedendo in Gran Bretagna, Francia, Olanda, Norvegia e Svezia, sebbene questa pratica sia stata condannata in sede di Unione Europea. Pare che dal 2008 ad oggi, circa 5 mila iracheni siano tornati volontariamente nel loro Paese, mentre più di 800 sono stati rimandati indietro contro la loro volontà. Nella cronaca di questi giorni, poi, tutti leggiamo la tragedia di milioni di sfollati a causa di disastri provocati dalla natura o dalla cattiva gestione del territorio da parte dell’uomo. In effetti, vi sono già numerosi morti in seguito all’inondazione della città di Brisbane. La terza città più grande dell’Australia si è trasformata in una “zona di morte”, ma il dramma delle inondazioni continua a devastare anche il nordest dell’Australia. In Brasile, tantissime persone sono rimaste senza casa in seguito alle piogge torrenziali che hanno causato numerose frane nelle città in cima alle montagne che circondano Rio de Janeiro. Le alluvioni hanno colpito anche lo Sri Lanka, dove fonti governative informano della creazione di 351 campi per l’accoglienza degli sfollati, il cui numero si avvicina ai 130 mila, mentre il totale delle persone colpite dalle alluvioni supera gli 860 mila. Senza dimenticare, infine, che in Indonesia sono almeno 11 mila le persone sfollate nei campi di accoglienza, in seguito alle gravi inondazioni causate dall’acqua piovana mista alle rocce vulcaniche e alle sabbie, che hanno spazzato via le strade e danneggiato molti villaggi. Gli sforzi della Chiesa per aiutare le popolazioni colpite sono molteplici: arrivano aiuti economici da diversi Paesi e anche il Papa, specialmente tramite il Pontificio Consiglio Cor Unum, offre la sua solidarietà. Qui, però, vorrei soprattutto ricordare l’appello al rispetto dei diritti degli immigrati che è stato lanciato in questi giorni dall’arcivescovo di Léon e presidente della Conferenza episcopale del Messico, Mons. José Guadalupe Martín Rábago, di cui ha riferito anche L’Osservatore Romano. Il vescovo ha denunciato violenze e soprusi subiti dai migranti che cercano di raggiungere gli Stati Uniti, accanto all’abuso di autorità, all’incursione da parte delle forze di sicurezza, ai sequestri di immigrati irregolari e al crescente potere della criminalità organizzata. A Chahuites, nello scorso mese di dicembre, 50 migranti centroamericani sono stati rapiti e la loro sorte è tutt’ora ignota, come lo è quella dei migranti africani nella penisola del Sinai.


D. - In queste situazioni, come si inserisce l’operato della Chiesa?


R. - Siamo tutti consapevoli, oggi, di vivere in un mondo che se, da una parte, è sempre più globalizzato, dall’altra appare anche diviso dalla diversità culturale, sociale, economica, politica, religiosa e presenta nuove sfide alla nostra coscienza cristiana, una delle quali, particolarmente importante, afferma il Papa nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale di quest’anno, è la consapevolezza di appartenere tutti ad un’unica famiglia umana, la “famiglia dei popoli”, “chiamata ad essere unita nella diversità”. E nello sforzo di armonizzare l’unità dell’umanità, nella diversità dei popoli che la compongono, è necessario impostare tutta una pedagogia per l’accoglienza delle differenze, per la cultura del dialogo, della reciprocità e della solidarietà. La Chiesa sente l’importanza di unificare società, come quelle attuali, socialmente disintegrate. L’impegno del dialogo su tutti i fronti (a livello interculturale, interconfessionale e interreligioso) diventa il compito più urgente che i cristiani sono chiamati a svolgere, oggi, in società sempre più caratterizzate dal pluralismo etnico, culturale e religioso. 


D. - Come rileggere il Messaggio del Papa per la Giornata Mondiale del migrante e del Rifugiato alla luce delle nuove sfide che sta affrontando la comunità internazionale?


R. - Quest’anno il Messaggio di Benedetto XVI, il quinto del suo Pontificato, sottolinea che l’umanità è una sola famiglia, multietnica e interculturale. In tale contesto, la Chiesa avverte come suo compito anzitutto quello di ristabilire i valori e la dignità umana, specialmente mediante la promozione di una cultura dell’incontro e del rispetto, che risana le ferite subite e apre nuove possibilità di integrazione, di sicurezza e di pace. La sfida consiste nel creare zone di tolleranza, speranza, guarigione, protezione, e nell’assicurare che drammi e tragedie – causati da atteggiamenti di intolleranza che, purtroppo, sfociano anche nella xenofobia e nel razzismo – non accadano mai più. Poi, per quanto riguarda la lotta alle cause delle migrazioni, volontarie o forzate, di quelle per motivi economici o provocate da disastrosi mutamenti dell’ecosistema, è da auspicare che gli Stati più avvantaggiati sappiano cogliere l’esortazione del Santo Padre all’equa distribuzione dei beni della terra, mettendo in atto interventi strutturali ed efficaci, come cooperazione allo sviluppo dei Paesi più poveri, riducendo le cause degli esodi forzati.






Margot Canto, peruviana, è arrivata in Italia 10 anni fa. Lavora presso l’Ufficio della pastorale dei migranti della diocesi di Torino, dove presta consulenza in favore di altri stranieri. Al microfono di Anna Rita Cristaino, spiega i motivi che l’hanno spinta a lasciare il suo Paese e come da allora sia cambiata la sua vita:


R. – Lavoravo in una ditta molto importante e avevo un alto incarico, ma avendo già compiuto più di 45 anni - e nel mio Paese avere 45 anni significa essere già vecchi - ho dovuto lasciare il mio lavoro. Avevo ancora due figli da mantenere e in quel momento, quindi, abbiamo deciso di venire in Italia.


D. – Come è stata accolta e quali le difficoltà maggiori che ha dovuto affrontare?


R. – Quando siamo arrivati ci siamo trovati veramente in grande difficoltà, perché siamo diventati extracomunitari. Per questo non riuscivamo a trovare una casa e non riuscivamo a trovare un lavoro del nostro livello, essendo laureati: questo è stato un problema per noi, perché non avevamo percepito ancora che il nostro ruolo come stranieri in Italia sarebbe stato un ruolo di basso livello. Così abbiamo deciso di lavorare come lavoravano qui tutti gli stranieri. Ho iniziato, dunque, un nuovo percorso.


D. – Ci sono state occasioni, quindi, in cui si è sentita discriminata?


R. – Mi sono sentita molto discriminata, inizialmente. E’ stato molto difficile accettare questa situazione, trovarsi prima di tutto in una società che non ti accetta e dove non sei ben accolta.


D. – Chi l’ha aiutata all’inizio e quali i passi successivi che lei ha fatto?


R. – A Torino, c’è l’Ufficio pastorale migranti e con il loro aiuto ho iniziato a studiare prima la lingua e poi ho seguito il percorso di mediazione interculturale per diventare referente di comunità.


D. – Nel Messaggio per la Giornata mondiale delle migrazioni, il Papa sottolinea come tutti i popoli costituiscano una sola comunità, parla di una sola famiglia umana...


R. – Questo del Papa è un Messaggio molto importante. Mi sembra che cosa fondamentale, non solo per gli Stati o per le leggi ma per le persone, sia quella di pensare che noi stranieri siamo persone, non siamo manodopera. Siamo persone e non una cosa, con una nostra famiglia, una nostra vita e con cui si può compartire la propria vita, stringere amicizia e fare conoscenza.(ap)

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